inserisci una o più parole da cercare nel sito
ricerca avanzata - azzera

Il diritto del minore alla vita familiare: i giudici calabresi nel solco della giurisprudenza europea

autore: A. Lasso

Sommario: 1. Emergenza sanitaria e riorganizzazione dei rapporti familiari: il minore e l’anziano nel sistema delle relazioni umane. Il rapporto nonni-nipoti nello scenario della crisi pandemica. - 2. Le recenti posizioni dei giudici d’Appello di Catanzaro: limiti all’affidamento eterofamiliare e minuziosa attenzione ai fatti e al sentire del minore. Allontanamento e affidamento come fasi di un percorso complesso. Necessità di una rimeditazione dei ruoli: servizi sociali e magistratura. - 3. Il problema dell’individuazione della persona affidataria: rilevanza del criterio di “adeguatezza”. Proporzionalità, ragionevolezza ed adeguatezza quali momenti fondamentali del procedimento ermeneutico. Scelte giudiziali e centralità dell’interesse del minore. - 4. L’interesse del minore a rimanere in seno al gruppo familiare: i nonni quali sicuri affidatari e l’abitazione degli ascendenti come luogo di serenità e di realizzazione personale. Le posizioni della Corte catanzarese sul diritto alla famiglia naturale ed il quadro normativo di riferimento: rilevanza dell’art. 8 Cedu. Il diritto alla vita familiare secondo le interpretazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo. - 5. Responsabilità e fiducia quali basi della relazione affettiva tra ascendenti e nipoti. - 6. La sottolineatura dei giudici calabresi: il diritto “effettivo” a rimanere nel contesto familiare. Effettività della tutela e misure di promozione della vita privata e familiare. Giusto processo, tutela effettiva, primazia della persona e solidarietà familiare. - 7. La “rilevanza” dell’ascolto e la posizione del minore d’età nei procedimenti che lo riguardano. Brevi notazioni conclusive



1. Emergenza sanitaria e riorganizzazione dei rapporti familiari: il minore e l’anziano nel sistema delle relazioni umane. Il rapporto nonni-nipoti nello scenario della crisi pandemica



In tempi di emergenza sanitaria, durante i quali esigenza primaria è tutelare i soggetti più deboli e maggiormente colpiti dal virus, assume un particolare significato la riflessione sul ruolo dell’anziano1 e del minore2 nel tessuto dei rapporti familiari ed extrafamiliari. L’incertezza e la drammaticità del vivere e del morire, nell’era del contagio universalmente diffuso, finiscono col prospettarsi, forse inaspettatamente, quali occasioni di rinnovamento e di revisione di tradizionali schemi di convivenza3 , non più idonei a spiegare le dinamiche di un mondo totalmente stravolto dal Covid. Proprio la pandemia, nel fare emergere la particolare vulnerabilità di alcuni soggetti, sollecita a prendersi cura di questi, in un intreccio relazionale nel quale nuove e vecchie generazioni esprimono e trasmettono valori. Nel passaggio dai modelli basati sull’efficienza produttiva al bisogno di assicurare il minimo vitale a tutti, si verifica un cambio di prospettiva, un mutamento di rotta che conduce l’uomo alla riscoperta di sé e alla valorizzazione di esperienze prima ritenute poco significanti. I mutamenti nel mondo del lavoro e l’adozione di nuove forme di trasmissione della cultura fanno da sfondo alla più profonda ed eloquente riorganizzazione dei rapporti familiari, ove gli adulti rappresentano l’autorevolezza dell’esperienza ed i piccoli la sfida del futuro. La famiglia, riparo dal contagio e rimedio al male dell’isolamento sociale, pare quasi volta a riappropriarsi di funzioni e ruoli via via sbiaditi nel tempo, a cagione di abitudini frenetiche sempre più incompatibili con la necessità di fare del nucleo parentale una stabile comunione di sentimenti e di affetti. In un mutato quadro di priorità valoriali, viene meno l’attenzione verso il c.d. interesse astratto della famiglia all’unità, per cedere il passo alla rilevanza delle concrete esigenze dei componenti, ciascuno portatore di istanze meritevoli di tutela dall’ordinamento giuridico. In altri termini, la pandemia finisce con l’accelerare il processo di privatizzazione della famiglia, in seno alla quale genitori, figli, nonni e altri soggetti, in essa presenti a vario titolo, trovano la preziosa occasione di protezione ed affermazione personale4 . Quanto appena osservato non sembra sviare dall’oggetto di una significativa pronuncia calabrese, la quale affronta il tema del rapporto fra nonni e nipoti, nello scenario attuale dell’emergenza pandemica5 . Il minore, protagonista di una triste vicenda familiare, palesa il suo dispiacere per l’allentarsi del rapporto con gli ascendenti, a causa delle restrizioni imposte per il contenimento del contagio: “Io voglio stare con i nonni, perché mi mancano sulla coscienza, non li sto vedendo per colpa del virus e mi mancano”. Oggi è più che mai avvertito il valore del contributo degli ascendenti al processo di libero e pieno sviluppo della personalità del minore. Il distanziamento imposto dalla necessità di tutelare la salute di tutti è questione che ha tenuto e continua a tenere banco nel dibattito sociale, alimentato dal timore che alla crisi sanitaria ed economica si cumulino i problemi connessi ai deficit educativi e formativi dei piccoli. Né può collocarsi in secondo piano il bisogno – giuridicamente tutelato – dell’anziano di godere della presenza di chi ha il dono di regalare leggerezza e spensieratezza all’esistenza. Il binomio nonni-nipoti, al centro del provvedimento del quale si indicheranno i passaggi salienti, costituisce, allora, il punto focale di una riflessione che deve prendere le mosse dalla centralità del minore nel sistema dei rapporti familiari e dalla rilevanza delle richieste della persona anziana, in un sistema chiamato ad attribuire posizione privilegiata a tutte le situazioni esistenziali, richiamate direttamente ed indirettamente dalla Carta fondamentale.



2. Le recenti posizioni dei giudici d’Appello di Catanzaro: limiti all’affidamento eterofamiliare e minuziosa attenzione ai fatti e al sentire del minore. Allontanamento e affidamento come fasi di un percorso complesso. Necessità di una rimeditazione dei ruoli: servizi sociali e magistratura



La recente pronuncia della Corte d’Appello di Catanzaro6 , punto di riferimento per le osservazioni che seguiranno, affronta la questione dell’affido del minore allontanato dai genitori, incapaci di far fronte agli obblighi di cura, assistenza e protezione del figlio. Accertato il forte disagio del giovane, il Tribunale dei minorenni, qualche anno addietro, aveva disposto l’affidamento al competente servizio sociale dell’ASP, affinché individuasse la migliore collocazione del minore, destinato, poi, a vivere una lunga e tormentata fase di passaggi da una famiglia affidataria all’altra. L’affidamento temporaneo eterofamiliare, dunque, rappresenta l’esito del primo percorso di valutazione giudiziale, sopposto a critica dai giudici d’appello, fermi nella convinzione che i disturbi psico-cognitivi del bambino hanno subito un aggravamento a causa della discontinuità dei programmi educativi messi in campo dalle famiglie responsabili della tutela. L’opportunità di poter contare su un contributo affettivo stabile costituisce la base del sano ed equilibrato sviluppo del minore, specie se questo si trovi nelle condizioni di avere una percezione della realtà ed una personalità tali da evidenziare chiari e definiti bisogni e desideri7 . A tal proposito, colpiscono la piena consapevolezza del minore di dover affrontare un cammino di crescita lontano dalla coppia genitoriale, l’apprezzamento per quanto ricevuto da una delle famiglie affidatarie ed il rammarico per la partenza di questa alla volta di Madrid. Non a caso, a parere di chi scrive, la Corte d’Appello riporta e puntualizza parole e stati d’animo del minore che, dunque, viene preso in considerazione nella complessità del suo universo esistenziale. Meritevole di apprezzamento è l’approccio dei giudici di secondo grado alla questione dell’affidamento per inadeguatezza genitoriale, tema che richiede minuziosa attenzione ai fatti, ma soprattutto sensibilità verso le opinioni e le aspettative del minore, dovendo rendere sempre concreta la possibilità di un suo recupero, di una sua rinascita. La base giuridica della decisione del Tribunale, poi impugnata dinanzi alla Corte catanzarese, risiede nell’art. 333 c.c., per il quale, ogniqualvolta la condotta del genitore non sia tale da determinare la pronuncia di decadenza, ma sia comunque lesiva per il figlio, il giudice può adottare in suo favore i provvedimenti più convenienti, disponendo o l’allontanamento di questi dalla residenza familiare o l’allontanamento dello stesso genitore8 . Se così è, allora, l’affidamento eterofamiliare disposto dal magistrato di prime cure trova il suo fondamento nella decisione di allontanare il minore dalla famiglia d’origine. Allontanamento e affidamento9 rappresentano i temi d’indagine e si prospettano quali fasi di un procedimento complesso, nel corso del quale rilevano compiti e funzioni di organi autonomi ma collegati. L’affidamento temporaneo, che rappresenta – secondo la sentenza in esame – “una misura offerta al bambino che versa in difficoltà, determinate dalla malattia di un genitore, isolamento sociale, trascuratezza, fenomeni di violenza fisica e psichica, relazioni disfunzionali”, ha quale presupposto il fatto di per sé traumatico dello sradicamento del minore dal contesto di origine, dalla comunità familiare, pur scossa da contraddizioni, indigenza e conflitti. Lo stesso distacco dai luoghi di gioco, di studio e di condivisione è fatto sì oneroso per i piccoli da richiedere, in ogni circostanza, un attento esame delle alternative possibili di affidamento, in linea con la tutela della sfera affettiva del bambino. Tutela del minore e diritto a vivere nella casa familiare è un binomio inseparabile. La casa, anche quella più umile, è riparo dalle insidie del mondo e crea la possibilità, pur nelle difficoltà spesso generate da malattia e miseria, di ritrovarsi nell’intima condivisione di progetti, idee, oltre che di ansie ed incertezze. Anche qualora le condizioni della serena condivisione manchino, non meno pregnante è il diritto di contare su spazi e strutture capaci di sostenere l’innato bisogno di riservatezza, confidenza, protezione. La casa, dunque, serve alla famiglia, ma soprattutto a chi, come il minore trascurato, vive situazioni di marginalità e fragilità. La casa, in particolare la casa familiare, è proiezione dell’uomo, delle sue molteplici esperienze, del suo sentire. L’indissolubilità del vincolo fra abitazione e possibilità di sviluppo della personalità umana10 fonda, allora, l’obbligo di preservare, per quanto possibile ed in assenza di situazioni di violenza, il bisogno di rimanere nel luogo di nascita, perché funzionale alla realizzazione di interessi molteplici, quali il diritto alla continuità delle abitudini di vita e all’equilibrio psico-fisico e la necessità di costruire un adeguato profilo identitario. Sulla base di tali premesse, va osservato che la stretta collaborazione che si instaura tra servizi sociali e giudici minorili non sempre conduce a risultati apprezzabili sul piano della realizzazione delle concrete esigenze del minore, in bilico tra diritto a preservare e diritto ad una nuova vita. L’eccesso di zelo nella fase di individuazione dei soggetti alternativi ai genitori biologici – impossibilitati o inidonei alla cura ed assistenza – conduce, talvolta, a percorrere vie molto più tortuose di quelle che sarebbe più agevole intraprendere nell’interesse immediato e futuro del minore. Le questioni di fondo, pertanto, vanno dalla rimeditazione dei rapporti tra magistratura e strutture sociali di supporto alla famiglia sino alla individuazione degli ostacoli che si frappongono all’affido extrafamiliare.



3. Il problema dell’individuazione della persona affidataria: rilevanza del criterio di “adeguatezza”. Proporzionalità, ragionevolezza ed adeguatezza quali momenti fondamentali del procedimento ermeneutico. Scelte giudiziali e centralità dell’interesse del minore



A tal ultimo proposito, la Corte d’Appello di Catanzaro ritiene di dover capovolgere l’impostazione del Tribunale dei minorenni, a causa dell’“inadeguatezza” del provvedimento di affidamento eterofamiliare. A fondamento delle nuove determinazioni dei giudici si pone l’asserita lesione dell’interesse del minore. Innanzitutto, la Corte condivide il principio secondo il quale, in ordine all’affido temporaneo dei minori, il giudizio sull’adeguatezza del familiare, scelto quale affidatario a tempo determinato, deve essere svolto dal giudice del merito, tenendo conto dell’esigenza di valorizzare le figure vicarie intrafamiliari, in quanto il mantenimento del rapporto con la famiglia d’origine costituisce la base di ogni decisione che coinvolge minori d’età. Assume qui un particolare significato il richiamo che i giudici fanno al criterio dell’adeguatezza11. Quest’ultimo, al pari della ragionevolezza12 e della proporzionalità13, segna la linea direttrice lungo la quale l’interprete deve muoversi nella ricerca della soluzione più coerente alle esigenze dei soggetti in causa. Se la proporzionalità richiede una corrispondenza, in termini quantitativi, tra rimedio e lesione subita dal titolare dell’interesse protetto, diversamente, ragionevolezza ed adeguatezza comportano la necessità di modulare la decisione al valore di fondo sotteso alla situazione da tutelare14. Se si prova a trasferire le considerazioni ora espresse sul piano della questione in esame, risulta che l’originaria scelta dell’affidamento a soggetti esterni alla famiglia pecca proprio in termini di ragionevolezza ed adeguatezza, in quanto si configura quale sanzione, proporzionalmente corrispondente, alle carenze educative riscontrate nell’ambito della coppia genitoriale. Escludere il coinvolgimento degli stretti congiunti appare, in altre parole, fatto consequenziale all’accertata incapacità della famiglia di far fronte agli obblighi connessi al rapporto di filiazione. La disapprovazione del comportamento del genitore finisce con l’estendersi agli altri componenti della famiglia, sulla base di un giudizio presuntivo, che non tiene conto delle potenzialità di coloro che sono disposti a prendersi cura del minore, né delle primarie esigenze di costui, vivamente interessato a mantenere relazioni significative col mondo affettivo nel quale è cresciuto. Il rinvio all’“adeguatezza” sembra, pertanto, dovuto e, soprattutto in materia di persone e famiglia, assume una precisa valenza. Ragionevole è la decisione che, muovendo dalla gerarchia dei valori ordinamentali, si pone in linea con le fondamentali esigenze della persona umana. Ugualmente, adeguata è l’opzione dell’interprete che individua il rimedio alla luce di una puntuale valutazione della fattispecie, del danno prodotto, dei soggetti coinvolti e dei loro concreti bisogni. Se obiettivo centrale del sistema è, nel quadro del personalismo e solidarismo, consentire all’uomo un pieno e libero sviluppo della personalità, è evidente che le scelte riguardanti situazioni non patrimoniali debbano attuare i principi che fondano le relazioni sociali. L’individuazione del soggetto al quale affidare temporaneamente il minore implica, perciò, un giudizio ispirato ai canoni ermeneutici sopra indicati, infatti è adeguato il familiare prescelto ed è ragionevole la decisione giudiziale ogniqualvolta si assicuri la piena soddisfazione delle istanze del minore e la salvaguardia del sano ed equilibrato sviluppo psico-fisico dello stesso. Una deresponsabilizzazione dell’interprete, rispetto all’obbligo di applicare ragionevolezza ed adeguatezza, condurrebbe a conseguenze negative, dirette a ripercuotersi sul presente e sull’avvenire del giovane. La congrua decisione dell’oggi è, infatti, possibilità futura di riscatto del minore maltrattato, privato di cure e di mezzi di sostentamento. Quanto finora osservato lascia emergere un dato incontestabile: le decisioni giudiziali devono sempre tendere alla massima attuazione dell’interesse del minore15. Non è mai superflua la sottolineatura di quello che, correttamente, è oggi considerato un diritto soggettivo perfetto. Nel complesso sistema delle fonti normative è possibile rinvenire, a più livelli, la configurazione dell’interesse del minore d’età in termini di criterio guida per il giudice e di valvola di sicurezza nella gestione della crisi familiare, che non può riverberarsi sulla vita dei figli, specie se non ancora maggiorenni. Il best interest16 è, dunque, chiave di lettura dell’intero ordinamento dei rapporti personali.

È possibile individuare due momenti essenziali nell’elaborazione del superiore interesse del minore: innanzitutto, esso è criterio interpretativo del complesso diritto minorile; d’altro canto, si prospetta come principio generale capace di ispirare le scelte nei diversi ambiti di regolamentazione giuridica. Il superiore interesse emerge quale fondamento del riconoscimento al minore di singoli diritti, i quali gli attribuiscono una sempre più forte capacità ed autonomia. Man mano, si assiste ad un’evoluzione della portata applicativa del principio, il quale, pur conservando il valore di criterio ermeneutico, diviene regola capace di operare concretamente nelle relazioni intersoggettive e di offrire valide garanzie alla posizione del fanciullo. Nella protezione dei diritti fondamentali non trovano, perciò, ingresso meccanismi automatici, bensì strumenti che si adattano alla specificità del caso concreto, avendo presente la cura del sovrastante interesse non del minore astrattamente inteso, ma del singolo destinatario finale del provvedimento. L’interesse del minore rappresenta, in sintesi, la ragione giustificatrice delle decisioni da assumere, soprattutto nel momento più difficile della vita familiare. Il supremo interesse della prole è parametro alla stregua del quale stabilire il contenuto della sentenza, rilevando già come presupposto dell’instaurazione del giudizio e come regola utile a stabilire se la fattispecie concreta possa o meno essere sussunta nella fattispecie astratta.



4. L’interesse del minore a rimanere in seno al gruppo familiare: i nonni quali sicuri affidatari e l’abitazione degli ascendenti come luogo di serenità e di realizzazione personale. Le posizioni della Corte catanzarese sul diritto alla famiglia naturale ed il quadro normativo di riferimento: rilevanza dell’art. 8 Cedu. Il diritto alla vita familiare secondo le interpretazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo



Nel caso in commento, il preminente interesse coincide con l’esigenza del minore di rimanere in seno alla famiglia, in particolare, presso l’abitazione dei nonni, i quali hanno sempre rappresentato un importante punto di riferimento per il ragazzo. Del resto, costui si è espresso nella direzione di favorire tale scelta, perché consona ai suoi più intimi bisogni. Il collocamento del soggetto presso l’abitazione dei nonni paterni è, per i giudici d’Appello, fatto da privilegiare per più ordini di ragioni: essi sono in grado di sostenere il nipote nella cura dei suoi disturbi cognitivi (tanto da dichiarare la disponibilità a far seguire il ragazzo dal “migliore psicologo”) e – pur soffrendo per la situazione di detenzione del figlio, colpevole di reato – sono in condizioni tali da offrire al giovane tutta la protezione affettiva ed economica di cui necessita. La Corte catanzarese, nel tutelare il rapporto tra nonni e nipote17, dà rilievo al contenuto dell’art. 1 l. 4 maggio 1983, n. 184, il quale attribuisce carattere prioritario all’esigenza del minore di crescere nella famiglia d’origine18. La norma, a detta dei giudici, esprime un principio di carattere generale, valorizzando il egame naturale del figlio con il nucleo familiare di base: “l’importanza del legame di sangue è, infatti, tale che la crescita del minore nella famiglia naturale, senza ingerenze esterne, può essere sacrificata solo in presenza di una situazione di carenza di cure materiali e morali da parte dei genitori e dei prossimi congiunti, la quale risulti gravemente pregiudizievole dello sviluppo e dell’equilibrio psico-fisico del minore”19. Non sembra esservi, invece, alcun richiamo all’art. 317-bis c.c., per il quale l’ascendente a cui viene impedito l’esercizio del diritto di visita può adire il giudice del luogo di residenza del minore, affinché adotti gli opportuni provvedimenti. Né è dato risalto, nel quadro ricostruttivo delle disposizioni in materia, all’art. 337-ter c.c., in virtù del quale “il figlio minore ha diritto […] di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. Si tratta di una norma posta, negli ultimi tempi, al centro dell’attenzione da parte dei giudici di legittimità, i quali, nel riconoscere agli ascendenti il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti20, subordinano l’esercizio della situazione giuridica sostanziale ad una valutazione avente ad oggetto il concreto interesse del minore e l’esigenza di agevolare un progetto educativo volto ad assicurare un sano ed armonioso sviluppo della sua personalità. Come più volte ribadito dalla Corte Europea, nel suddetto progetto formativo deve trovare ampio spazio l’attiva partecipazione dei nonni21. Orbene, si instaura uno stretto legame tra diritto a rimanere nella famiglia d’origine e diritto di visita dei nonni. Pur se la norma richiamata dalla Corte d’Appello è direttamente volta a sottolineare la centralità della famiglia naturale nel percorso di crescita del minore, il riconoscimento e la tutela del diritto di visita operano nel senso di assicurare valore prioritario al contributo pedagogico di soggetti che, per legami di sangue e per uniformità di abitudini ed idee, sono maggiormente idonei a consentire lo sviluppo equilibrato del minore. In altri termini, la cristallizzazione del diritto di visita dei nonni nell’attuale codificazione civile tende a valorizzare il principio affermato nella legge degli anni Ottanta e volto a stabilire una graduazione tra le alternative possibili in caso di affidamento del minore. Nel rispetto della gerarchia delle fonti normative, però, sarebbe stato opportuno far precedere l’affermazione del principio sovranazionale – pur sottolineato dalla Corte catanzarese – contenuto nell’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La prima parte del comma 1 dell’art. 8 Cedu stabilisce che ciascuno ha diritto “al rispetto della propria vita privata e familiare”. L’assenza di un richiamo alla rilevanza sociale della compagine familiare e l’accostamento della “vita familiare” all’autonomia ed autodeterminazione della persona, nonché al rispetto della vita privata, del domicilio e della corrispondenza, attestano la peculiarità della visione convenzionale della famiglia, incentrata sulla protezione dei suoi componenti, più che della cellula familiare in quanto tale. Senza indugiare sull’interpretazione del concetto di “vita privata”, pare opportuno in questa sede chiarire il significato della locuzione “vita familiare”. I giudici calabresi, nella pronuncia in esame, pongono l’accento sulla necessità che venga “accertata” l’esistenza di un legame familiare, perché si attivino i necessari strumenti di tutela. L’accertamento, infatti, è presupposto indefettibile perché lo Stato agisca in modo da permettere che il legame stesso possa “svilupparsi liberamente”. I giudici d’Appello, rilevando tale aspetto, fanno rinvio ad un consolidato orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo22, la quale declina in molteplici modi la nozione di vita familiare. Il figlio nato da un’unione coniugale fa ipso iure parte del nucleo familiare dal momento e per il fatto stesso della nascita, pertanto egli ha diritto a conservare e a promuovere i rapporti che si sono istaurati nel venire al mondo23. Elemento fondamentale della vita familiare è il diritto di vivere insieme, affinché le relazioni possano snodarsi normalmente e i membri della famiglia possano “fruire della reciproca compagnia”24. L’esistenza o meno di una vita familiare è essenzialmente una questione di fatto, che dipende dalla reale configurazione di stretti legami personali25. In tal senso, rileva anche la convivenza fondata su un “rapporto stabile e protratto nel tempo”26, dal quale si desuma il reciproco impegno a costituire una vera e propria comunione di sentimenti e di affetti. Nonostante l’assenza di un legame biologico e di una relazione genitoriale riconosciuta giuridicamente dallo Stato, la Corte europea ritiene che possa esistere una vita familiare anche tra genitori affidatari e minore, in ragione degli stretti legami stabilitisi tra di loro, del ruolo svolto dagli adulti nei confronti del bambino ed in virtù del tempo trascorso insieme27. In presenza di altre condizioni, i giudici europei pervengono a differenti conclusioni. Infatti, l’assenza di legami biologici tra il minore e gli aspiranti genitori, la breve durata del loro rapporto col minore e l’incertezza dei legami dal punto di vista giuridico rappresentano circostanze che, malgrado l’esistenza di un progetto di genitorialità e la qualità dei legami affettivi, implicano il venir meno delle basi per la configurazione di una vita familiare degna di tutela28.



5. Responsabilità e fiducia quali basi della relazione affettiva tra ascendenti e nipoti



Per quanto riguarda lo specifico caso in oggetto, vengono in essere tutti gli elementi che concorrono, secondo la Corte europea, alla rappresentazione di una comunità d’affetti come vita familiare, ex art. 8 della Convenzione29. La coppia di nonni paterni costituisce nucleo familiare dotato di rilevanza giuridica, soprattutto per il potere che le si attribuisce di concorrere significativamente alla protezione e cura del nipote minore d’età ed in stato di disagio psichico. Nel ripercorrere l’iter interpretativo dei giudici sovranazionali, si può dire che, nella fattispecie, la collocazione presso gli ascendenti è garanzia del diritto alla vita familiare, perché permette che si “sviluppi liberamente” il già solido legame affettivo, che si conservino i rapporti istaurati al momento della nascita, che i componenti dello stesso nucleo “godano della reciproca compagnia”. La relazione con i nonni, infatti, è risalente e consolidata, tanto che il nipote ha sempre trovato nella loro abitazione un ambiente sereno e sicuro, nel quale, sin dalla tenera età, si è sentito amato ed accudito. Lo stato custodiale del padre del giovane non può ostare all’affido, né getta ombre sulla dimensione valoriale del legame che corre tra nonni e nipote, in quanto i primi hanno ripetutamente esternato la loro disapprovazione rispetto ai comportamenti antigiuridici del figlio, il quale, pur vivendo con i genitori, ha sempre posto in essere condotte delittuose fuori dalla loro abitazione e dalla loro sfera di controllo. A consolidare il legame, tanto forte da condurre alla sostituzione delle figure genitoriali e tanto significativo da far venire in rilievo una coesa comunità rilevante ai sensi dell’art. 8 Cedu, è l’atteggiamento degli ascendenti che comunicano al servizio consultoriale l’arresto del figlio e che si impegnano, una volta scontata la pena, a locare in favore di costui una casa il più possibile lontana dalla loro residenza. Responsabilità e cura, da un lato, bisogno e fiducia, dall’altro, rappresentano il substrato della relazione affettiva valorizzata e protetta dai giudici di secondo grado.



6. La sottolineatura dei giudici calabresi: il diritto “effettivo” a rimanere nel contesto familiare. Effettività della tutela e misure di promozione della vita privata e familiare. Giusto processo, tutela effettiva, primazia della persona e solidarietà familiare



La Corte d’Appello di Catanzaro, nel dare risalto al principio di cui all’art. 8 Cedu, sottolinea che il diritto alla vita familiare deve essere pienamente riconosciuto. A tal proposito, non pare irrilevante una precisazione in sentenza, che evoca il nucleo delle situazioni esistenziali concernenti il minore: “a carico dello Stato si pongono obbligazioni di carattere positivo, riguardanti il rispetto “effettivo” della vita familiare”. Va precisato che, secondo le previsioni della Convenzione europea, il diritto alla vita familiare non è assoluto: gli Stati contraenti, da un canto, possono limitare l’esercizio del diritto in base alla legge e per quanto necessario in una società democratica a perseguire le finalità d’interesse generale indicate dall’art. 8, par. 2, Cedu; dall’altro canto, essi sono competenti a disciplinare nel dettaglio lo stesso diritto. Orbene, la Corte europea dei diritti umani ha concentrato il proprio sindacato sulla conformità delle misure statali di ingerenza ai principi di legalità, necessità e adeguatezza, elaborando una serie di “obblighi positivi” a carico degli Stati, tenuti ad adottare misure di promozione della vita privata e familiare e a proteggere tale sfera da aggressioni ad opera di terzi. I giudici di Strasburgo hanno, negli anni, utilizzato particolari strumenti interpretativi, tra i quali si pongono il c.d. margine di apprezzamento (che accorda agli Stati una misura di discrezionalità nell’applicare gli standard convenzionali, per tener conto delle peculiarità di ciascun contesto nazionale) e il principio di effettività, che impone agli Stati di perseguire i propri obiettivi di interesse generale in modo conforme al fine e rispettoso delle prerogative dei singoli. La pronuncia in esame, allora, è occasione per ribadire che, soprattutto quando a venir in essere è l’interesse del minore, la tutela deve essere congrua ed effettiva30. Il principio di effettività della tutela giurisdizionale assume un rilievo centrale nel sistema processuale31 e ha quali destinatari il legislatore, che deve approntare gli strumenti azionabili dal soggetto leso nel suo interesse, ed il giudice, il quale deve assicurare al soggetto una tutela ampia e satisfattiva delle sue ragioni. È nel giusto la dottrina secondo la quale il diritto sostanziale, sul piano dell’effettività e non della sola “declamazione”, esiste nella misura in cui il diritto processuale predispone forme di tutela adeguate agli specifici bisogni delle singole situazioni di vantaggio affermate dalle norme sostanziali32. I diritti del minore e gli interessi ad essi sottesi rilevano solo in quanto posti dal processo nella condizione di realizzarsi pienamente. È proprio la sfera delle relazioni personali e familiari ad evidenziare il legame che si instaura tra diritto e processo e la strumentalità di quest’ultimo rispetto al primo. L’esigenza ineliminabile del processo, in particolare di quello minorile, è che non torni mai in danno di colui che da esso attende la tutela piena del proprio diritto. Se così è, l’interpretazione dell’effettività deve muovere dal rilievo della centralità della persona umana nell’ordinamento giuridico. In definitiva, il valore personalistico e il principio di solidarietà familiare rappresentano le ragioni che sorreggono il bisogno di tutela concreta e satisfattoria dei diritti del minore.



7. La “rilevanza” dell’ascolto e la posizione del minore d’età nei procedimenti che lo riguardano. Brevi notazioni conclusive



Il rispetto “effettivo” della vita familiare richiede una puntuale attenzione ai fatti, ai rapporti intersoggettivi e alla volontà di coloro della cui tutela si tratta. Il volere ed i bisogni del minore tiva. La percezione delle opinioni in merito alle scelte che concernono il minore d’età implica il suo coinvolgimento nel giudizio, venendo in essere quale parte del processo. Allora, due questioni richiedono un sintetico chiarimento. Innanzitutto, ci si domanda quale portata abbia attualmente il procedimento di ascolto del minore34. In secondo luogo, l’interrogativo che sorge è quale posizione giuridica assuma il minore ascoltato nel processo. Per la precisa valutazione dell’interesse, vanno presi in considerazione elementi differenti, sulla base di un rinvio a valori non arbitrari e soggettivi, ma obiettivi e rilevanti alla stregua della gerarchia delle fonti. L’acquisizione delle notizie utili ai fini del giudizio di valore avviene proprio attraverso l’ascolto diretto ed indiretto del minore35. L’audizione del minore, prevista dall’art. 12 della Convenzione di New York, è un adempimento necessario nelle procedure che lo riguardano. Ne consegue che l’ascolto del giovane di almeno dodici anni e anche di età minore, ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più significative, del riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione dei suoi peculiari interessi. L’ascolto deve svolgersi con tutte le cautele e le modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti, ivi compresa la facoltà di vietare l’interlocuzione con i genitori e/o con i difensori. L’ascolto può essere omesso solo se in contrasto con l’interesse superiore del minorenne o se manifestamente inutile. Proprio l’ascolto superfluo, in quanto relativo a circostanze acclarate o non contestate, può addirittura risultare dannoso per la serenità e l’equilibrio del bambino. Come si diceva, il richiamo in sentenza al profilo della partecipazione del minore al giudizio come parte in senso sostanziale impone un’ultima precisazione. L’attribuzione della qualità di parte al soggetto minore di età – congiuntamente ai genitori – sebbene non espressamente prevista dal legislatore, è fatto ormai pacifico in dottrina36. Ilcostituiscono il fulcro del procedimento di attuazione del best interest. La Corte catanzarese non esita a sottolineare la “rilevanza” dell’ascolto33, il quale non ha funzione meramente ricognitiva. La percezione delle opinioni in merito alle scelte che concernono il minore d’età implica il suo coinvolgimento nel giudizio, venendo in essere quale parte del processo. Allora, due questioni richiedono un sintetico chiarimento. Innanzitutto, ci si domanda quale portata abbia attualmente il procedimento di ascolto del minore34. In secondo luogo, l’interrogativo che sorge è quale posizione giuridica assuma il minore ascoltato nel processo. Per la precisa valutazione dell’interesse, vanno presi in considerazione elementi differenti, sulla base di un rinvio a valori non arbitrari e soggettivi, ma obiettivi e rilevanti alla stregua della gerarchia delle fonti. L’acquisizione delle notizie utili ai fini del giudizio di valore avviene proprio attraverso l’ascolto diretto ed indiretto del minore35. L’audizione del minore, prevista dall’art. 12 della Convenzione di New York, è un adempimento necessario nelle procedure che lo riguardano. Ne consegue che l’ascolto del giovane di almeno dodici anni e anche di età minore, ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più significative, del riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione dei suoi peculiari interessi. L’ascolto deve svolgersi con tutte le cautele e le modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti, ivi compresa la facoltà di vietare l’interlocuzione con i genitori e/o con i difensori. L’ascolto può essere omesso solo se in contrasto con l’interesse superiore del minorenne o se manifestamente inutile. Proprio l’ascolto superfluo, in quanto relativo a circostanze acclarate o non contestate, può addirittura risultare dannoso per la serenità e l’equilibrio del bambino. Come si diceva, il richiamo in sentenza al profilo della partecipazione del minore al giudizio come parte in senso sostanziale impone un’ultima precisazione. L’attribuzione della qualità di parte al soggetto minore di età – congiuntamente ai genitori – sebbene non espressamente prevista dal legislatore, è fatto ormai pacifico in dottrina36. Il riconoscimento della posizione di parte nel processo trova il suo fondamento nella normativa internazionale37 e nelle chiare posizioni della giurisprudenza costituzionale38. Per quanto riguarda i riferimenti normativi in materia, ha un certo peso l’art. 336, comma 4, c.c., secondo il quale “per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore”. Come si desume dal tenore della norma, il legislatore attribuisce al figlio minore d’età una posizione processuale indipendente. Già la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, al fine di garantire al minore una collocazione autonoma e distinta rispetto a quella dei genitori, aveva previsto che gli Stati aderenti dovessero garantire la designazione, ad opera dell’autorità giudiziaria, di un rappresentante processuale distinto dal difensore di coloro che esercitano la responsabilità genitoriale39. L’art. 4 della Convenzione, tra l’altro, riconosce al minore il diritto di chiedere al giudice, direttamente o indirettamente, la nomina di un rappresentante speciale, qualora il diritto interno sottragga ai titolari della responsabilità genitoriale la facoltà di sostituire il minore per conflitto di interessi. A chiosa di queste brevi osservazioni, si può dire che la sentenza calabrese, sulla scia dei molteplici interventi sovranazionali in tema di diritto alla vita familiare, ha rappresentato utile occasione per puntualizzare alcuni dei profili fondamentali della giustizia minorile. Preferenza dell’affidamento intrafamiliare, centralità dell’interesse del minore, ascolto diretto ed indiretto, autonomia della posizione processuale del minorenne costituiscono i momenti essenziali di un’analisi che approda alla seguente conclusione: il principio di effettività della tutela ed i criteri di ragionevolezza ed adeguatezza del rimedio approntato dal giudice fissano i parametri orientativi dello studio in materia di rapporti personali e familiari.

NOTE

1 Secondo P. Perlingieri, Diritti della persona anziana, diritto civile e stato sociale, in Id., La persona e i suoi diritti. Problemi del diritto civile, Napoli, 2005, 356, la definizione di anziano è abbastanza problematica, “perché esprimibile non unicamente in termini di età della vita, ma anche e soprattutto nella conservazione delle strutture e delle funzioni psico-fisiche”. Se così è, tutte quelle soluzioni legislative che operano sulle premesse di un presunto decadimento della persona dovuto all’età devono essere accantonate, perché lesive del principio di eguaglianza. In tal senso, poco costruttiva appare essere la proposta di creare una categoria includente i diritti dell’anziano. Sul c.d. “diritto dei diritti dell’anziano”, v. M. Dogliotti, I diritti dell’anziano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, 719. Negli anni Settanta del secolo scorso, parte della dottrina ha optato per la stessa scelta metodologica in riferimento al minore, tanto da discutere di un “diritto dei diritti del minore”: M. Bessone, P. Martinelli, A. Sansa, Per una ricerca sul “diritto minorile”: rilievi di metodo, in Giur. mer., 1975, 249. La protezione dell’anziano si traduce in una significativa forma di promozione della personalità umana: così, P. Stanzione, Le età dell’uomo e la tutela della persona: gli anziani, in Riv. dir. civ., 1989, 437 ss.

2 G. Lisella, Rilevanza della “condizione di anziano” nell’ordinamento giuridico, in Rass. dir. civ., 1989, 799 ss., esclude che le problematiche della persona anziana possano essere correlate a quelle dei minori di età. Nelle pagine che seguono, invece, si dimostrerà che esigenze dell’anziano ed interessi del minore si intersecano nell’ottica del pieno riconoscimento della vita familiare, che si prospetta come diritto ad un rapporto stabile con i nipoti e come bisogno del contributo educativo degli ascendenti.

3 A sottolineare l’incidenza del coronavirus sui rapporti familiari è G. Barca, Un face to face tra Covid-19 e diritto di famiglia, in www.osservatoriofamiglia.it., 2020, 2, 46 ss

4 Si rinvia alle riflessioni di P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, III, Situazioni soggettive, Napoli, 2020, 353, per il quale oggi deve ritenersi definitivamente abbandonata la concezione pubblicistica e gerarchica della famiglia, perché quest’ultima è formazione sociale avente la finalità di consentire e promuovere il libero sviluppo dei propri componenti. L’interesse individuale di ciascuno alla piena attuazione della personalità si fonda sull’indissolubile reciprocità con gli interessi degli altri familiari.

5 Ci si riferisce ad App. Catanzaro, Sez. I civile, 22 dicembre 2020.

6 Si rinvia alla sentenza specificata nella nota precedente.

7 A tal proposito, si legga G. Ballarani, La capacità autodeterminativa del minore nelle scelte esistenziali, Milano, 2008, 16 ss. Sul punto, già, A. Belvedere, L’autonomia del minore nelle decisioni familiari, in M. De Cristofaro, A. Belvedere (a cura di), L’autonomia dei minori tra famiglia e società, Milano, 1980, 321 ss.

8 L’art. 330 c.c. e l’art. 333 c.c. prevedono la possibilità che il Tribunale per i minorenni disponga l’allontanamento del minore dalla residenza familiare. Diversa, però, è la funzione che tale provvedimento assume nei due ambiti normativi. Nella prima disposizione, l’allontanamento si configura quale accessorio eventuale della misura principale della decadenza dalla responsabilità genitoriale; in concreto, esso potrà essere disposto quando entrambi i genitori siano dichiarati decaduti, ovvero quando la decadenza riguardi l’unico soggetto esercente le attività connesse alla responsabilità genitoriale e nel nucleo familiare non possa essere garantita la convivenza stabile con altri soggetti, comunque idonei a rivestire un ruolo significativo per il minore. La seconda norma, invece, enuclea espressamente l’allontanamento del minore quale misura che il Tribunale può adottare in tutte le ipotesi in cui la condotta di uno o di entrambi i genitori, seppur dannosa per il figlio, non sia tale da cagionare alcuna forma di decadenza. Il provvedimento, quindi, ha una sua autonomia, in quanto intervento giudiziale volto a realizzare il supremo interesse del minore ad uno sviluppo sereno ed armonioso della personalità.

9 Per un approfondimento delle questioni collegate all’allontanamento del minore dalla famiglia d’origine, sia consentito un richiamo ad A. Lasso, L’allontanamento del minore dalla famiglia tra esigenze di sicurezza e tutela dell’identità personale, in T.H.S. Han, A. Lasso, Identità e sicurezza. Un approccio multidisciplinare, Padova, 2016, 64 ss.

10 Sull’abitazione quale mezzo di realizzazione e sviluppo della persona umana, v. M. Ciocia, Il diritto all’abitazione tra interessi privati e valori costituzionali, Napoli, 2009, 43 ss. Si legga, altresì, U. Breccia, Itinerari del diritto all’abitazione, in A. Bucelli (a cura di), L’esigenza abitativa. Forme di fruizione e tutele giuridiche, Atti del Convegno in onore di Gianni Galli, Firenze 19 e 20 ottobre 2012, Padova, 2013, 123 ss.

11 A parere di P. Perlingieri, Applicazione e controllo nell’interpretazione giuridica, in Riv. dir. civ., 2010, 331, la valutazione dell’autorità giurisdizionale deve sempre tradursi in “giudizio di adeguatezza della soluzione della controversia alla gerarchia dei valori giuridicamente rilevanti e soprattutto prevalenti. Adeguatezza proponibile non in teoria, quale astratto bilanciamento di interessi e di valori, ma necessariamente in relazione all’effettivo reale assetto in tutta la sua specifica fattualità”.

12 Secondo G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, 131, l’adeguatezza è criterio destinato a legarsi alla ragionevolezza. Secondo l’a., infatti, la decisione dell’interprete, risolutiva di un dubbio di fondo, segue un percorso che porta dalla pluralità delle soluzioni possibili a quella che, sulla base di una piena assunzione di responsabilità, appare più adeguata: “Affinché quest’ultima sia realmente quella più adeguata e congrua – non già rispetto al diritto vivente e alla mera prassi giurisprudenziale, né al mero dato letterale, ma agli interessi richiamati e al diritto vigente, ossia all’ordinamento giuridico esistente in un dato momento storico e ai suoi valori normativi, è essenziale un controllo di ragionevolezza”

13 Sul principio di proporzionalità, v., per tutti, P. Perlingieri, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Id., Il diritto dei contratti fra persona e mercato, cit., 443 ss.

14 Il controllo di ragionevolezza è fondamentale nella scelta del rimedio più adeguato o, meglio, del “giusto rimedio”: cfr. G. Perlingieri, o.u.c., 86 ss. Il rimedio individuato dal giudice consente una tutela effettiva del minore qualora si presenti “adeguato” agli interessi sottesi alla fattispecie concreta. Sul nesso fra effettività della tutela e adeguatezza del rimedio, v. P. Perlingieri, Il “giusto rimedio” nel diritto civile, in Giusto proc. civ., 2011, 4 ss.; G. Perlingieri, L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, Napoli, 2013, 84 ss. Per altre considerazioni in argomento, v. A. Lepore, Prescrizione e decadenza. Contributo alla teoria del giusto rimedio, Napoli, 2012, 179 ss.

15 Per cogliere il significato della nozione, si rinvia alle riflessioni di M. Dogliotti, Che cosa è l’interesse del minore?, in Dir. fam., 1992, 1094 ss. Il superiore interesse del minore costituisce una clausola generale, che consente al giudice la valutazione delle peculiarità del fatto sottoposto al suo esame. Nei procedimenti in seno ai quali il superiore interesse del minore deve ricevere preminente considerazione, la sua presenza è strumentale all’attuazione di un fine precipuo, che è quello di attribuire al soggetto, nei limiti della sua capacità di discernimento, l’autonomia di compiere le scelte che riguardano la sua esistenza. A tal proposito, v. L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, 86 ss. Sull’interesse del minore quale espressione della titolarità e dell’esercizio di situazioni giuridiche fondamentali, v., per tutti, G. Dosi, Dall’interesse ai diritti del minore: alcune riflessioni, in Dir. fam., 1995, 1607 ss. Sull’interesse del minore come rilevante principio che fonda il sistema delle relazioni familiari, v., di recente, M. Di Masi, L’interesse del minore. Il principio e la clausola generale, Napoli, 2020, 18 ss.

16 L. Lenti, “Best interests of the child” o “best interest of the children”, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 157 ss.

17 Sulla legittimazione processuale dei nonni, titolari del diritto di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti, v. F. Danovi, Il d.lgs. n. 154/2013 e l’attuazione della delega sul versante processuale: l’ascolto del minore e il diritto dei nonni alla relazione affettiva, in Fam. dir., 2014, 535 ss.

18 In argomento, si rinvia a G. Ballarani, Il diritto dei figli di crescere in famiglia e di mantenere rapporti con i parenti nel quadro del superiore interesse del minore, in Nuove leggi civ. comm., 2013, 534 ss.

19 Le parole sono tratte dal testo della pronuncia in commento, indicata alla nota 5.

20 V., in special modo, Cass. civ., 30 luglio 2020, n. 16410, in www.cortedicassazione.it. I giudici di legittimità hanno, altresì, riconosciuto la legittimazione ad agire del “nonno sociale”, allo scopo di mantenere rapporti significativi con i nipoti: cfr. Cass. civ., 25 luglio 2018, n. 19780 e Cass., 19 maggio 2020, n. 9144, in www.cortedicassazione.it.

21 Di recente, i giudici europei si sono, ancora una volta, interessati al rapporto tra nonni e nipoti, il quale deve essere incoraggiato e tutelato in modo pieno ed effettivo: Cedu, 14 gennaio 2021, Terna c. Italia, ric. n. 21052/18. Secondo la Corte, le autorità italiane, tollerando i mancati incontri tra nonna e nipote, non hanno dimostrato la “diligenza” che si impone in tutti i casi nei quali sono coinvolti minori di età. Si rinvia, inoltre, a: Cedu, 5 marzo 2019, Bogonosovy c. Russia, ric. n. 38201/16; Cedu, 31 maggio 2018, Neli Valcheva c. Georgios Babanarakis, ric. n. 335/17; Cedu, 9 febbraio 2017, Solarino c. Italia, ric. n. 76171/13

22 Il riferimento è a Cedu., 27 ottobre 1994, Kroon e altri c. Paesi Bassi, serie A, n. 297-C, § 30.

23 Cfr. Cedu., 21 giugno 1988, Berrehab c. Paesi Bassi, serie A, n. 138, § 21.

24 Cedu, 27 novembre 1992, Olsson c. Svezia, serie A, n. 250, § 59.

25 Cedu, Grande Camera, 27 gennaio 2015, Paradiso e Campanelli c. Italia, n. 25358/12, § 140.

26 Cedu, 18 dicembre 1986, Johnston e altri c. Irlanda, serie A, n. 112, § 56.

27 Utile è il richiamo a Cedu, 27 aprile 2010, Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, § 48.

28 Cfr. Cedu, 8 luglio 2014, D. e altri c. Belgio, n. 29176/13.

29 Cedu, 13 luglio 2000, n. 39221, Scozzari e Giunta c. Italia, n. 39221/98.

30 A parere di C. Cecchella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, Torino, 2018, 7, quando l’oggetto del giudizio è una situazione indisponibile o “limitatamente disponibile”, oppure quando vengono in essere diritti del minore, soggetto generalmente vulnerabile e fragile, è necessario garantire una tutela effettiva e congrua.

31 Sull’effettività della tutela, si rinvia alle pagine di R. Oriani, Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, Napoli, 2008, 17 ss. A parere di R. Conti, Il principio di effettività della tutela giurisdizionale ed il ruolo del giudice: l’interpretazione conforme, in Pol. dir., 2007, 377 ss., il diritto alla tutela effettiva degli interessi si presenta come pretesa a veder riconosciuta una pluralità di poteri, iniziative e facoltà. Per ulteriori chiarimenti, specie nel quadro dei principi sovranazionali, v. P. Piva, Il principio di effettività della tutela giurisdizionale nel diritto dell’Unione Europea, Napoli, 2012, 21 ss.

32 Così, A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1996, 4 ss.

33 Sul fondamento giustificativo dell’ascolto, che è diritto fondamentale del minore, v. P. Perlingieri, Sull’ascolto del minore, in Riv. giur. Mol. Sannio, 2012, 125 ss.; V. Scalisi, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, 405 ss.

34 Utile è un richiamo alle pagine di A. Graziosi, Ebbene sì, il minore ha diritto ad essere ascoltato nel processo, in Fam. dir., 2010, 365 ss.; F. Tommaseo, Per una giustizia “a misura di minore”: la Cassazione ancora sull’ascolto del minore, in Fam. dir., 2012, 40 ss.; R. Pesce, L’ascolto del minore tra riforme legislative e recenti applicazioni giurisprudenziali, in Fam. dir., 2015, 256 ss.

35 Per approfondimenti, v. P. Virgadamo, L’ascolto del minore in famiglia e nelle procedure che lo riguardano, in Dir. fam., 2014, 1656 ss.

36 Per C. Cecchella, Diritto e processo, cit., 33 e 34, il minore è parte formale e sostanziale del processo. Nel primo caso, si fa riferimento alla qualità del soggetto che può fruire di tutte le prerogative che attengono allo svolgimento del giusto processo. Il minore è, invece, parte sostanziale quando “il giudicato materiale si esprimerà anche sulle particolari situazioni di cui è titolare”. L’a. richiama quelle situazioni del minore “che assumono, per evidente evoluzione del diritto sostanziale, il rango di veri e propri diritti soggettivi”. Sul punto, v. pure B. Poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, Napoli, 2017, 99 ss.

37 Si intende fare riferimento alla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, Strasburgo, 25 gennaio 1996, ratificata con legge 20 marzo 2003, n. 77 e alla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, New York, 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176.

38 Si rinvia, in special modo, a Corte cost. 22 novembre 2000, n. 528, in Fam. dir., 2001, 121, con nota di P. Giangaspero, Procedimenti di volontaria giurisdizione e tutela degli interessi del minore: una decisione interlocutoria della Corte costituzionale e in Dir. fam., 2001, 914, con nota di F. Piccaluga, La rappresentanza del minore e la nomina di un curatore speciale: una sorprendente decisione della Consulta. Significative, pure, le seguenti pronunce: Corte cost., 30 gennaio 2002, n. 1, in Foro it., 2002, I, c. 3302, con nota di A. Proto Pisani, Battute di arresto nel dibattito sulla riforma del processo minorile; Corte cost. 12 giugno 2009, n. 179, in Fam. dir., 2009, 869, con nota di A. Arceri, Il minore ed i processi che lo riguardano: una normativa disapplicata; Corte cost. 11 marzo 2011, n. 83, in Foro it., 2011, I, c. 1289 e Guida dir., 2011, 28 ss., con nota di M. Finocchiaro, Nel giudizio sul riconoscimento del figlio naturale via libera al curatore speciale per l’infrasedicenne.

39 In argomento, v. F. Tommaseo, Rappresentanza e difesa del minore nel processo civile, in Fam. dir., 2007, 409 ss.