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Continuano i dubbi interpretativi sull’an e il quantum dell’assegno di divorzio (nota a Cass. civ., sez. I, ord. int., 17 dicembre 2020, n. 28995)

autore: M. Labriola

Sommario: 1. Il caso. - 2. Brevi cenni sulla natura dell’assegno divorzile. - 3. L’auto-responsabilità e la convivenza di fatto. - 4. Conclusioni.



1. Il caso Il diritto di famiglia è materia, rispetto ad altre, di maggiore prerogativa del giudice di merito più che di quello di legittimità. Questo perché il giudice di primo e secondo grado affronta anche le ragioni affettive e fattuali delle controversie familiari. Negli atti giudiziari è inserita una narrazione che racchiude le motivazioni che hanno orientato le decisioni esistenziali di quella famiglia, cui far seguire la domanda di accertamento e riconoscimento del diritto. Non è possibile, pertanto, da parte del giudice di merito prescindere da una attenta valutazione del caso concreto e da una esaustiva attività istruttoria. Questo è l’assunto da cui muove la sentenza in commento che, si noti, nel merito ha ripercorso le dinamiche della famiglia affinché il contesto di vita degli ex coniugi, mutuato in principio di diritto, sia discusso dalla Cassazione riunita a Sezioni Unite. Il caso. La Corte d’Appello riformava la sentenza del Tribunale di Venezia, avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ed escludeva il diritto all’assegno divorzile della ex coniuge in ragione della convivenza intrapresa con un nuovo compagno con cui aveva concepito una figlia. La moglie, pertanto, ricorreva in Cassazione deducendo la violazione degli artt. 360 c.p.c., co. 1, n. 4 e art. 5, co. 10 della l. n. 898/70 atteso che la revoca dell’assegno era stata decisa senza alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice di secondo grado, quindi, con un sostanziale automatismo decisionale a seguito dell’avvenuta convivenza con altro uomo. L’ex marito, costituendosi, evidenziava come ormai un consolidato orientamento della S.C. avesse già messo un punto fermo in tema di interpretazione dell’art. 5 co. 10 l. 898/70, equiparando le ipotesi di nuova convivenza del coniuge avente diritto a quelle del nuovo matrimonio1 .

Nel caso di specie era stato accertato come la moglie, secondo un cliché tipico della (pre)definizione dei ruoli all’interno della famiglia, avesse rinunciato alla propria carriera professionale o ad una attività lavorativa per consentire al marito, nei nove anni di durata del matrimonio, di “applicarsi completamente al proprio successo professionale, quale amministratore e proprietario di una delle più prestigiose imprese di commercializzazione e produzione delle calzature in Italia, con un fatturato all’estero pari a qualche milione di Euro”. Inoltre, come non secondario impegno, la ricorrente si era totalmente dedicata alla cura dei figli e ciò anche dopo la separazione personale dal marito che aveva potuto così implementare la propria fiorente attività. Come si è accennato, la Corte di Cassazione ha descritto, preliminarmente, le scelte anche implicite che avevano caratterizzato la vita della famiglia, per sussumerle, passando dal particolare al generale, in fattispecie analoghe attraverso un’applicazione, quanto più uniforme possibile, di norme oggetto di polisemiche interpretazioni. Conseguentemente, ha rimesso “gli atti al Primo Presidente della Corte di Cassazione per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, in ragione della soluzione delle questioni, di cui in motivazione, di massima di particolare importanza ai sensi dell’art. 374 c.p.c., co. 2”.



2. Brevi cenni sulla natura dell’assegno divorzile Il diritto all’assegno divorzile ha iniziato a presentare minori dubbi interpretativi dopo il luglio del 20182 , atteso che le precedenti sentenze delle S.U. non sempre sono state applicate uniformemente. È pur vero che l’art. 5 l. div. è testualmente ambiguo e la ricerca di definizioni da parte della giurisprudenza è stata particolarmente complessa. In particolare, quest’ultimo arresto delle S.U. conclude che il profilo assistenziale dell’assegno divorzile deve contenere una pluralità di integratori quali, l’inadeguatezza dei mezzi economici o comunque l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive da parte del coniuge debole, la comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, il contributo fornito dal coniuge richiedente alla conduzione della vita familiare e la formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, la durata del matrimonio e l’età dell’avente diritto. La sentenza dell’anno precedente, a firma del Cons. dott. Lamorgese I sez. della Cassazione3 , nasceva da una sollecitazione sociale e giurisprudenziale; il passaggio fondamentale del provvedimento era quello che valorizzava l’auto-responsabilità del coniuge nella ricerca di una autonomia economica, a meno che questi non avesse mezzi adeguati o comunque non potesse procurarseli per ragioni oggettive. Altro aspetto inedito di quest’ultima decisione era il rilievo dalla avvenuta estinzione “del rapporto matrimoniale per effetto della sentenza di status divorzile, sia sul piano personale, sia su quello economico-patrimoniale, una garanzia per il coniuge economicamente più debole che collide radicalmente con la natura stessa dell’istituto e con i suoi effetti giuridici, incarnando una illegittima ultrattività del vincolo matrimoniale in mera prospettiva economico-patrimoniale”. Con la decisione delle Sezioni Unite dell’anno successivo, di contro, l’istituto dell’assegno divorzile è stato visto come l’espressione del principio della solidarietà post-coniugale, ipotesi che ha fatto superare il precedente sistema del mantenimento del tenore di vita ed orientare, piuttosto, verso una diversa lettura della formula testuale “quando [n.d.r. il coniuge] non può procurarseli per ragioni oggettivi e mezzi adeguati” inserita con la riforma del 1987. Così, l’intervento delle S.U. ha ridotto il rischio di un eccessivo rilievo attribuito a quest’ultimo inciso normativo, relativo all’autodeterminazione, per restituire agli altri criteri previsti dall’art. 5 co. 6 l. 898/70 – natura compensativa e perequativa – pari dignità; quello assistenziale, comunque, è rimasto un parametro unitario. Tra i criteri prevalenti, per ottenere il riconoscimento all’assegno divorzile, nella sentenza in commento è predominante quello con funzione compensativa che riconosce “all’ex coniuge, economicamente più debole, un livello reddituale adeguato al contributo fornito all’interno della disciolta comunione; nella formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’altro coniuge”. Quindi, quest’ultima nomofilachia del 2018 ha dettato nuove regole, i cui presupposti nascono dalla tutela di una solidarietà post-coniugale senza trascurare, al contempo, di dare rilievo all’auto-determinazione, collegando, tuttavia, quest’ultima fattispecie ad una assunzione di responsabilità relativa agli impegni coniugali condivisi in costanza di matrimonio. Con tale motivazione l’ultimo arresto delle S.U. ha escluso il parametro del tenore di vita per far prevalere solo le capacità patrimoniali delle parti e restituire dignità al coniuge che ha sacrificato la propria vita professionale per la famiglia. A questo nuovo approccio si sono andati adeguando i giudici di merito4 , riconoscendo che in sede di scioglimento del vincolo coniugale ed in tema di attribuzione di assegno divorzile, occorre non tanto ripianare tout court gli squilibri economici tra gli ex coniugi, bensì evitare locupletazioni in favore della parte che ha direttamente e/o mediatamente beneficiato, durante il matrimonio, dell’opera morale e materiale, non remunerata, dell’altro coniuge. Peraltro, in alcuni provvedimenti emerge, unitamente ai parametri più volte indicati anche quello risarcitorio, ancorché residuale, del lavoro casalingo svolto per la famiglia5 .



3. L’auto-responsabilità e la convivenza di fatto



Ciò detto, la sentenza in commento non si esime dalla censura sulla mancata valutazione, da parte del giudice di appello, circa la presenza di tutti i parametri necessari per la concessione dell’assegno divorzile, ancorché si sia in presenza della formazione di una nuova famiglia di fatto da parte del coniuge che era stato, sino a quel momento, titolare del diritto. Ciò che viene evidenziato dai giudici della Corte è l’aver attribuito, da parte del giudice di 2^ grado, come già detto, automaticità alla perdita del diritto in ragione della convivenza di fatto del coniuge titolare di un assegno di divorzio. Alla luce di tale nuovo orientamento, che induce ad una maggiore accortezza nell’accertamento sull’an e sollecita, al più, una diversa modulazione sul quantum, sul punto qualche giorno dopo la stessa Corte6 , ma altra sezione, ha fornito un ulteriore contributo esplicativo, stabilendo che, benché in presenza di una notevole sproporzione patrimoniale, la coniuge debole inoccupata non ha diritto alla corresponsione dell’assegno divorzile non avendo dimostrato né di aver contribuito alla formazione del patrimonio familiare né alla formazione professionale del coniuge, ancorché la scelta di non lavorare fosse stata condivisa con quest’ultimo. Così gli Ermellini sui parametri che fondano il diritto all’assegno di divorzio, chiariscono, ancora una volta, la “peculiare declinazione del principio dell’auto-responsabilità che, intesa ad apprezzare il carattere eccedente, rispetto alle finalità altrimenti assolte, dell’esigenza che l’assegno operi per il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, contiene dell’indicata posta la componente assistenziale ma non, invece, quella perequativo-compensativa, che ne viene, anzi, esaltata”. In buona sostanza, la S.C. riporta l’attenzione sull’equazione auto-responsabilità e elementi perequativi-compensativi in favore del coniuge avente diritto, ammettendo come il principio del tenore di vita, con riferimento al solo istituto del divorzio, debba essere abbandonato. Il tenore di vita, che non valorizza appieno quella esigenza/ obbligo di auto-determinazione dei componenti della famiglia, non è più parametro utile per determinare il diritto all’assegno divorzile all’interno di nuovi contesti familiari e sociali, non sviluppandosi più una fedele fotografia dell’impegno personale e professionale assunto dai coniugi nel matrimonio. Infatti, nella sentenza annotata si rinviene con chiarezza come, a seguito di un matrimonio duraturo, l’ex coniuge economicamente più debole, che abbia contribuito al tenore di vita della famiglia con personali sacrifici anche rispetto alle proprie aspettative professionali ed abbia in tal modo concorso occupandosi dei figli e della casa, aiutando l’altro coniuge nell’affermazione lavorativo-professionale, acquisti il diritto all’assegno divorzile non per mantenere uno standard di vita ma, appunto, per compensare un sacrificio. Nel paradigma dell’auto-responsabilità, ovviamente, non può che rientrare la celebrazione del nuovo matrimonio dell’ex coniuge avente diritto all’assegno divorzile, come previsto dal co. 10 art. 5 l. 898/70 “l’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto l’assegno, passa a nuove nozze”. Alla stregua di questo dato letterale della norma, da tempo si è andata delineando una interpretazione giurisprudenziale estensiva all’ipotesi della convivenza di fatto. Al nuovo accostamento – tra matrimonio e convivenza – della giurisprudenza7 si aggiunga una recente pronuncia della S.C. che ha escluso il diritto all’assegno divorzile in presenza della costituzione di nuovo legame, sulla presunzione di fatto della detenzione da parte della ex moglie delle chiavi di casa del nuovo compagno e dello svolgimento di un lavoro in comune con quest’ultimo8 . Si noti come quest’ultimo arresto, della VI sez. civ., sia stato emesso lo stesso giorno in cui la I sez. civ., di diverso avviso, rimetteva la questione alle S.U.



4. Conclusioni



Se è accennato come si sia mossa, sino alla sentenza annotata, la giurisprudenza sia di merito sia di legittimità, che ha affermato che la instaurazione da parte del coniuge divorziato, o in attesa di una sentenza non definitiva di divorzio, di una nuova famiglia, ancorché di fatto, è indice di mancanza di ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge. Tale impostazione, tuttavia, sembra ancorarsi agli argomenti sostenuti nelle decisioni, precedenti all’ultimo arresto delle S.U. del 2018, per cui, in ipotesi di convivenza di fatto, il diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso in ragione della formazione di una nuova famiglia – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – che è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, e che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo. All’opposto, la portata assolutamente innovativa della sentenza di remissione alle S.U. sta nell’aver valorizzato la necessità di indagine del singolo caso, alla luce, altresì, di un diritto costituzionale di pari rango, quello alla dignità personale. La lettura che il giudice di merito è tenuto ad effettuare va nella direzione di una sorta di potenziamento degli effetti compensativi legati, nei diversi contesti sociali di riferimento, al contributo fornito da entrambi i coniugi e dall’ausilio, da parte di chi si è occupato dell’accudimento dei figli e del coniuge, garantito per favorire la crescita personale e professionale del partner lavoratore. Infine, appare che il prevalere di tale ultimo requisito abbia lasciato indietro la sperequazione patrimoniale valutabile solo ai fini del quantum.

NOTE

1 Cass. civ., sez. VI, 16 ottobre 2020, n. 22604, in Guida dir. 2020, 45, 95; Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2020, n. 5606, in Guida dir., 2020, 22, 85; Cass. civ., sez. VI, 12 novembre 2019, n. 29317, in Ilfamiliarista.it, 2020, con nota di D. Cavallari.

2 Cass. S. U., 11 luglio 2018, n. 18287, Ai sensi della l. n. 898/1970, art. 5, comma 6, dopo le modifiche introdotte con la l. n. 74/1987, al riconoscimento dell’assegno di divorzio, deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, in Guida dir., 2018, 32, 16, con nota di G. Dosi.

3 Cass., civ, sez. I, 10 maggio 2017, n. 11504; in Dir. Fam. Per., (Il) 2017, 3, I, 764.

4 Trib. Firenze, sez. I, 2 ottobre 2020, n. 2104, in Redazione Giuffrè, 2020.

5 Trib. Novara, 30 settembre 2020, n. 427, in Redazione Giuffrè, 2020.

6 Cass. civ, ord. sez. VI, 13 gennaio 2021, 452, Deve essere cassata con rinvio la sentenza d’appello che riconosce l’assegno divorzile al coniuge richiedente conferendo una portata determinante alla rilevante sperequazione esistente tra le posizioni economiche e patrimoniali delle parti riconoscendo il trattamento senza porre il predetto squilibrio in relazione con gli altri parametri di legge, ed il particolare con il contributo fornito da detto coniuge richiedente alla formazione del patrimonio familiare di quello personale del coniuge, in https://dejure.it/.

7 Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2019, n. 5974, in Guida dir. 2019, 31, 66; Cass. civ., sez. VI, 16 ottobre 2020, n. 22604, in Guida dir. 2020, 45, 95; Trib. Arezzo, 20 luglio 2020, n. 350, in Red. Giuffrè, 2021; App. Milano, sez. V, 7 gennaio 2020, n. 15, in questa ultima sentenza si parla di automatismo della perdita dell’assegno, a prescindere dalla nuova situazione patrimoniale in cui versa il coniuge debole dopo la nuova convivenza di fatto, in Red. Giuffrè, 2020

8 Cass. civ., sez. VI, 17 dicembre 2020, n. 28915, Per la valutazione sulla persistenza delle condizioni per l’attribuzione dell’assegno divorzile deve distinguersi tra semplice rapporto occasionale e famiglia di fatto, sulla base del carattere di stabilità, che conferisce grado di certezza al rapporto di fatto sussistente tra le persone, tale da renderlo rilevante giuridicamente, e in questa prospettiva è sufficiente che l’obbligato, che chiede l’accertamento della sopravvenuta insussistenza del diritto a percepire l’assegno mensile, dimostri l’instaurazione di una stabile convivenza dell’ex coniuge con un nuovo partner, integrando tale prova una presunzione idonea a far ritenere la formazione di una nuova famiglia di fatto e gravando, invece, sul beneficiario dell’assegno l’onere di provare che la convivenza in essere non integra nel caso concreto la formazione di una nuova famiglia (nella specie, la Corte ha ritenuto che andare spesso a pernottare a casa del compagno, detenere le chiavi dell’appartamento a lui intestato, ricoprire infine cariche nelle società da lui gestite, fossero tutti elementi sufficienti per ritenere che la donna avesse creato una nuova famiglia di fatto, dopo il divorzio, e quindi non potesse più pretendere l’assegno divorzile dall’ex marito), in Dir. & Giu., 2020