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Relazione alla Commissione bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza sul cyberbullismo (11 aprile 2019)

autore: C. Cecchella

Sommario: 1. Introduzione. 2. La specializzazione. 3. La repressione. 4. La nozione giuridica di bullismo. 5. Le sanzioni civilistiche. 6. La rieducazione. 7. La prevenzione.



1. Introduzione



Signor Presidente, ringrazio lei, i deputati e senatori della Commissione che hanno ritenuto opportuno ascoltare il mio intervento su un tema così delicato.

Intanto vorrei esprimere le ragioni per cui penso di poter offrire un apporto sul tema e che nascono in primo luogo dalla mia esperienza universitaria di docente di diritto processuale civile. Nel contesto di questa esperienza insegno anche diritto processuale comparato e ho dedicato un corso proprio al diritto processuale di famiglia e alla tutela dei minori, attraverso un’analisi che non è soltanto di diritto interno, ma anche di diritto comparato, prevalentemente europeo.

In secondo luogo ritengo che il mio apporto possa essere utile, perché rappresento circa 2.500 avvocati italiani familiaristi: ormai l’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia è la prima associazione in Italia in questo ambito, in termini di numero di avvocati iscritti e, proprio per questa ragione, è riconosciuta dal Consiglio nazionale forense come specialistica e maggiormente rappresentativa nel settore. Questo anche grazie al fatto che abbiamo costituito, in convenzione con il CNF e l’Università degli Studi Roma Tre, una scuola di specializzazione in cui formiamo avvocati specialisti in materia di diritto di famiglia e minorile. Penso che questo possa dare un apporto significativo alla Commissione anche in termini di esperienza formativa.

Vorrei ripartire la mia relazione in quattro fondamentali suggestioni che il tema merita, anche alla luce della legge n. 71 del 2017.

Il primo tema su cui vorrei soffermarmi è la formazione specialistica di tutti coloro che sono coinvolti in questa vicenda. Il secondo tema è la repressione di certi fenomeni che si

verificano nell’ambito del bullismo e del bullismo elettronico: uso questo termine perché non trattiamo soltanto il bullismo via web, ma anche quello che si manifesta attraverso l’uso del telefono cellulare.

Vi sono infine i due temi della rieducazione e della prevenzione. Su questi quattro punti vorrei soffermarmi.



2. La specializzazione



Partirei dal tema della specializzazione cui teniamo particolarmente, ma è un tema caro anche a tutte le associazioni specialistiche degli avvocati.

Gli avvocati delle Associazioni specialistiche hanno come obiettivo la formazione di professionisti specializzati che si occupano di una certa disciplina specialistica, sulla scia di quanto promuovono i magistrati, nella formazione della loro Scuola fiorentina e della c.d. formazione decentrata. del CSM Numerosi nostri eventi vedono coinvolti i magistrati, sotto il profilo formativo, perché siamo consapevoli che questa è una materia in cui non sono importanti solo le regole giuridiche, quelle regole essenziali che abbiamo imparato durante il nostro corso di laurea, ma sono importanti anche nozioni di altro tipo: psicologico, medico, sociologico e così via, da condividere, avvocati e giudici insieme.

Riteniamo pertanto che, come avviene per gli avvocati e i giudici, debbano essere impegnati in un processo di formazione tutte le componenti coinvolte nel fenomeno del bullismo: mi riferisco ai servizi sociali, alla scuola e, in modo particolare, ai componenti della famiglia. La famiglia resta un po’ sullo sfondo della legge n. 71 del 2017 (mi soffermerò molto sul punto), mentre sarebbe importante e auspicabile che il Parlamento ponesse al centro dei propri lavori la formazione della famiglia e ne rivalutasse il ruolo nella società civile. Occorre una formazione diffusa che coinvolga gli operatori professionali, gli avvocati e i magistrati, ma anche tutte le altre componenti, dai servizi sociali alla scuola, passando infine attraverso la famiglia.

È una battaglia, quella che conduce la mia associazione, tesa a ottenere la specializzazione delle sue componenti associative nell’ambito del diritto di famiglia e del diritto minorile, consapevole del fatto che un bravo avvocato che ha rapporti diretti con le famiglie e con i minori, magari nella veste di curatore del minore, non possa svolgere il suo compito senza avere un’adeguata specializzazione; lo stesso vale per il giudice.

Gli avvocati si autofinanziano la loro specializzazione e a tale scopo nascono le associazioni specialistiche; ma è fondamentale – è questo l’appello che vorrei rivolgere alla Commissione – che lo Stato investa nella formazione, non solo quella degli operatori professionali, i quali sono riusciti a creare le condizioni di una formazione specialistica, ma soprattutto verso le altre componenti della società coinvolte: la scuola, i genitori e i figli che sono i protagonisti della vicenda.



3.La repressione



Fatta questa premessa sulla specializzazione e sulla formazione, che è fondamentale, l’altro tema su cui mi vorrei soffermare riguarda la repressione di certi fenomeni. A tal proposito, ritengo senza alcun dubbio opportuna la scelta della legge n. 71 del 2017 di non introdurre ipotesi di criminalizzazione e penalizzazione di fatti diversi dai reati comuni in cui, purtroppo, possono incorrere i ragazzi che abbiano compiuto, perché imputabili, quattordici anni: si è infatti evitato di creare fattispecie penali speciali nell’ambito del bullismo, in senso generale, e di introdurre circostanze aggravanti, quando il fenomeno del reato comune si verifica in coincidenza con un atto che rientra nella nozione generale di bullismo.

Siamo fermamente consapevoli che una qualificazione penale speciale, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di sanzioni, non sia la soluzione al problema. Riteniamo invece che sia di fondamentale importanza l’introduzione di misure riparative di rieducazione del minore che si trovi coinvolto in una vicenda di bullismo o che si renda protagonista di atti di bullismo; quindi non una normazione penale speciale con sanzioni repressive.

A tal riguardo la normativa attuale è un po’ datata: mi riferisco in particolare al decreto legislativo n. 448 del 1988, che certamente evidenzia sotto il profilo penalistico, quale conseguenza dei reati accertati, un approccio diverso quando il minore (ovviamente imputabile, che abbia quindi compiuto quattordici anni) compie questi atti. In tal senso il decreto legislativo è molto chiaro: vi è la necessità di un’indagine sulla persona del minore; la necessità di prescrizioni di studio e lavoro del minore in sede di limitazione cautelare della libertà; la declaratoria in alcuni casi di rilevanza del fatto penale fondata sulla sua reale offensività; la sospensione del processo penale per messa alla prova del minore. Sono tutte iniziative fondamentali, quando l’imputato è un minore. Mi riferisco anche al decreto legislativo n. 121 del 2018, molto più recente, che consente l’esecuzione della pena del minore in un contesto di comunità e quindi non all’interno di istituti di pena.

Si tratta certamente di soluzioni già esistenti nel nostro sistema, ma forse occorre un ripensamento e una normazione ad hoc sulla tipologia di una sanzione che deve essere essenzialmente rieducativa e di recupero, nonché riparatrice delle condotte penali poste in essere dal minore imputabile. Credo che ciò debba essere oggetto di una riflessione da parte della Commissione, anche in termini propositivi, magari con un adeguamento ai fenomeni del bullismo.



4. La nozione giuridica di bullismo

La coincidenza del reato comune – in fondo è questo il tema – con episodi di bullismo pone il problema di una migliore qualificazione e definizione del fenomeno del bullismo. Si sa che la legge n. 71 del 29 maggio 2017 ha adottato una nozione che non è esattamente coerente con quella che la scienza psicologica o medica suggeriscono: la tendenza scientifica è quella di qualificare il fenomeno del bullismo con riferimento non già ad episodi singoli o occasionali, ma ad aggressioni ripetute e continuative. Componente fondamentale del bullismo è, inoltre, la posizione, prevalente sotto il profilo fisico, psicologico, sociale o razziale dell’autore del comportamento rispetto alla vittima.

Riteniamo che per cominciare a dare una risposta corretta a questo tipo di fenomeni la definizione andrebbe forse un po’ rivista, così da non considerare esclusivamente i comportamenti isolati nell’ambito di Internet o con l’uso di sistemi elettronici. Si dovrebbero dunque ricomprendere nella definizione anche le forme di bullismo face to face, che non sono meno gravi, anche se certamente per alcuni aspetti meno aggressive. In ogni caso anche questo tipo di fenomeno è molto diffuso nel concreto e va combattuto.



5. Le sanzioni civilistiche



Accanto alla problematica delle reazioni al reato e dunque alla necessità di modificare il sistema tenendo conto anche dei reati comuni commessi nell’ambito dei comportamenti tipici del bullismo, l’altro tema al quale teniamo particolarmente è quello delle sanzioni previste a livello civilistico. Il discorso riguarda, in particolare, i riflessi di questi fenomeni nell’ambito della responsabilità genitoriale e cioè delle carenze sotto il profilo educativo della vigilanza del genitore sul figlio, che potrebbero avere ripercussioni proprio sul piano relazionale, sino al punto di arrivare a misure che colpiscono la responsabilità genitoriale, non dico fino ad arrivare alla decadenza, ma che quantomeno prevedano un intervento da parte del giudice.

C’è poi la questione della responsabilità civile del genitore e dell’insegnante che non abbiano adeguatamente risposto alle esigenze di buona educazione e di vigilanza sul figlio o sullo studente. Si tratta di tematiche particolarmente delicate e che sono già abbastanza regolate, per cui non credo che sia necessario un intervento sul piano giuridico.

Semmai il problema riguarda il contesto nel quale queste sanzioni vengono determinate: mi riferisco alla riforma della giustizia civile minorile, cui vorrei fare un piccolo accenno, perché di grande rilievo e non solo in questo ambito.

Sappiamo che l’assetto normativo in materia risale al 1934, anno in cui fu istituito il tribunale per i minorenni, mentre la disciplina codicistica della separazione risale al codice civile del 1942 e al codice di procedura civile del 1940. Ne consegue, dunque, che la regolamentazione del processo in materia familiare e minorile, tuttora applicata, fu definita nel ventennio: questa è la realtà della disciplina tuttora applicabile. Mentre vi è stata una grande evoluzione e una capacità di adeguamento dell’ordinamento sul piano del diritto sostanziale e degli interessi coinvolti, il processo resta ancora regolato su una matrice ideologica che non è assolutamente corrispondente ai nostri tempi e agli stessi principi costituzionali.

Bisogna mettere mano a una riforma della giustizia civile minorile in particolare, perché a mio avviso quella penale risponde già adeguatamente alle esigenze. C’è innanzitutto il problema delle competenze, per cui non dovrebbero esserci più due giudici, ma un unico giudice specializzato. Sarebbe poi necessario che il rito si aprisse alla prospettiva del contraddittorio e dei principi del giusto processo. Quella odierna è l’occasione per sottolineare proprio questo aspetto: è un aspetto parallelo che non va trascurato, in relazione al fenomeno del bullismo di cui stiamo discutendo.

6. La rieducazione

Un altro tema di grande rilievo riguarda la rieducazione. Devo dire che la legge n. 71 del 2017 da questo punto di vista ha fatto dei passi in avanti, prevedendo, non già una reazione penale e sanzionatoria, ma un’azione rieducativa nei confronti dell’autore del comportamento. È tuttavia necessario un ripensamento che coinvolga maggiormente la famiglia, come ho già detto all’inizio del mio intervento.

Certamente una via da percorrere è quella dell’ammonimento che il questore indirizza al minore, autore di fenomeni di bullismo, accompagnato dal genitore, per reati ancora non assoggettati a querela da parte della vittima.

Vorrei però ricordare una norma che alcuni tribunali per i minorenni adottano e che vede coinvolto, non il questore, ma il giudice, che sotto questo profilo offre maggiori garanzie di conoscenza giuridica: mi riferisco all’articolo 25 del Regio decreto del 1934, istitutivo del tribunale per i minorenni. Vorrei leggere questa norma perché è interessante e potrebbe essere foriera di interventi ulteriori sul piano normativo: “Quando un minore degli anni diciotto dà manifeste prove di irregolarità della condotta e del carattere, il procuratore della Repubblica, l’Ufficio del servizio sociale minorile, i genitori, il tutore, gli organismi di educazione, di protezione e di assistenza dell’infanzia e dell’adolescenza possono riferire i fatti al tribunale per i minorenni, il quale, a mezzo dei suoi componenti all’uopo designati dal presidente, esplica approfondite indagini sulla personalità del minore e dispone con decreto motivato l’affidamento al servizio sociale”.

È una norma del 1934 (che però alcuni tribunali applicano) che prospetta un ruolo anche del giudice (dunque non solo dell’apparato amministrativo e del questore) nel tentativo non solo di ammonire il minore, ma anche di recuperarlo a una condotta più corretta sul piano generale.

Sarebbe tra l’altro auspicabile, oltre all’intervento di un apparato amministrativo o giurisdizionale, una vera e propria mediazione familiare. Questo è un altro tema molto interessante, oggetto di disegni di legge attualmente in discussione, se non erro al Senato. La mediazione familiare merita attenzione da parte del legislatore ed è un ulteriore tema di grande rilevanza, non soltanto rispetto a un intervento sul minore, ma anche con riguardo alla relazione tra il minore e i propri genitori. Anche questo è un argomento che meriterebbe di essere tenuto in particolare considerazione nell’ambito della funzione rieducativa.

Dell’intervento della famiglia, invece, si parla solo indirettamente nella legge n. 71: qui si parla dell’informazione che il dirigente scolastico dà alla famiglia e della messa in opera della funzione rieducativa della scuola nei confronti del minore autore di fenomeni di bullismo. In realtà è

necessario porre la famiglia al centro della rieducazione del minore. Forse sarebbe necessario prima di tutto un intervento formativo sui genitori, una sorta di specializzazione dei genitori in questo particolare ambito, perché non possiamo rinunciare all’apporto fondamentale che la famiglia assicura nell’ambito dei rapporti che legano il figlio ai genitori.

7. La prevenzione

C’è poi anche il tema dell’oscuramento e del blocco dei dati sensibili all’interno del sistema web, che necessita forse di una maggiore responsabilizzazione degli Internet provider. Non è molto chiaro quale sia il destinatario delle richieste di blocco e di oscuramento, ma credo che si debba pensare a una responsabilità degli operatori del settore del web. A questo proposito ricordo quanto stabilito da un’interessante sentenza della Corte di cassazione penale del 27 dicembre 2016 Corte di cassazione penale del 27 dicembre 20161: “Nel caso di pubblicazione di messaggi diffamatori all’interno di una community presente su un sito Internet si configura la responsabilità” [attenzione: penale] “a livello concorsuale del gestore del sito qualora lo stesso pur essendo a conoscenza del contenuto diffamatorio del messaggio ne continui a consentire la permanenza sul sito senza provvedere all’immediata rimozione”.

Questo è un altro tema che non è sufficientemente toccato dalla normativa e sul quale forse si dovrebbe cominciare a pensare. Gli operatori del settore devono necessariamente avere (in realtà non hanno molta difficoltà in tal senso) strumenti e mezzi per intervenire immediatamente,

prima ancora di essere sollecitati all’intervento; diversamente rispondono delle eventuali violazioni sotto il profilo penale. Pertanto un ultimo tema, sul quale chiudo il mio intervento, è quello della prevenzione. La legge n. 71 del 2017 offre molto sul piano della formazione scolastica del minore (formazione del personale scolastico, del referente scolastico e degli studenti), ponendo per buona parte sulle spalle della scuola una soluzione del problema. Certamente questa è una via da percorrere in misura anche più accentuata: penso, ad esempio, all’insegnamento dell’educazione civica nell’ambito delle scuole, molto poco diffuso, ma che è in realtà fondamentale per la formazione di personalità equilibrate e di cittadini consapevoli; nozioni di diritto, di psicologia, di medicina e di sociologia sono utili anche per far capire ai giovani gli effetti

positivi e negativi che il web può provocare.

Il nodo vero, però, non è rappresentato dall’intervento sul-

la scuola, ma dall’intervento sulle famiglie, per cui si rende necessaria una formazione che coinvolga non solo i ragazzi, ma anche i genitori. Molto spesso infatti, anche per problemi evolutivi della società, entrambi i genitori lavorano e hanno poco tempo da dedicare all’ambito familiare. A tal proposito penso anche al ruolo dei nonni, che oggi è riconosciuto dal codice civile: forse anche i nonni dovrebbero formarsi su questo particolare profilo. È necessario pensare dunque a strumenti di formazione che coinvolgano i genitori e non solo i ragazzi. Il vero nodo è quello della spesa, che – come credo sappiate – è sempre un freno per il legislatore. Non possiamo pensare di risolvere questi problemi senza un investimento da parte dello Stato.

Vorrei chiudere il mio intervento citando la norma che individua i fondi da destinare al fenomeno del cyberbullismo: “Per le esigenze connesse allo svolgimento delle attività di formazione in ambito scolastico e territoriale finalizzate alla sicurezza dell’utilizzo della rete internet e alla prevenzione e al contrasto del cyberbullismo sono stanziate ulteriori risorse pari a 203.000 euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019”. Ebbene, questa cifra non è sicuramente in grado di garantire un intervento effettivo e completo della scuola e una formazione dei componenti della famiglia che resta un aspetto fondamentale.

Oggi tutto è in gran parte demandato al volontariato delle associazioni professionali. Anche noi avvocati con la nostra associazione siamo coinvolti in molte scuole, ovviamente a titolo gratuito e di volontariato, ma lo Stato deve metter mano alla spesa per riuscire a conseguire effetti preventivi e rieducativi concreti.



NOTE

1 In www.giurisprudenzapenale.com (3 gennaio 2017).