inserisci una o più parole da cercare nel sito
ricerca avanzata - azzera

I confini mobili degli artt. 614-bis e 709-ter c.p.c. nei nuovi trend giurisprudenziali in materia di misure coercitive

autore: A. Di Bernardo

Sommario: 1. Le misure di coercizione indiretta nel processo familiare e minorile. 2. Ambito di operatività e limiti dell’art. 709-ter c.p.c.: la “capitolazione” del diritto-dovere di visita del genitore non collocatario. 2.1. Il caso particolare dell’assegno di mantenimento in favore del figlio: brevi note a margine di Corte cost. 10 luglio 2020, n. 145. 3. I rapporti tra l’art. 614-bis c.p.c. e l’art. 709-ter c.p.c. nel diritto delle relazioni familiari. 4. Art. 614-bis c.p.c. e tutela del credito familiare: una possibile supplenza? 5. A mo’ di conclusione.



1. Le misure di coercizione indiretta nel processo familiare e minorile



Il diritto di famiglia costituisce un settore particolarmente sensibile dove la tensione tra valori di rango costituzionale ed esigenze di effettività della tutela giurisdizionale rivela l’insufficienza degli ordinari strumenti esecutivi di carattere civile, oltre che penale: molti sono infatti gli obblighi naturalmente infungibili – dalla “consegna” dei minori1, alle prescrizioni dettate in tema di affidamento condiviso, alle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale – che necessitano, per essere attuati, della fattiva collaborazione dell’altro genitore.

In questo contesto appare evidente che lo strumento più efficace è rappresentato dalle misure di coercizione indiretta le quali, prescindendo da forme di forza e basandosi sulla tecnica dell’induzione all’adempimento, permettono di rimediare, almeno in parte, al venir meno di quello spirito solidaristico che connota la fisiologia del rapporto coniugale e che conduce all’adempimento spontaneo dei doveri connessi con il ruolo di genitore.

La legge 8 febbraio 2006, n. 54, recante “Disposizioni in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli”, ha pertanto introdotto nell’art. 709-ter c.p.c. un sistema progressivo di mezzi di coazione2, eventualmente cumulabili tra di loro al momento della pronuncia, il cui carattere eterogeneo può essere ricondotto a sistema considerando la ragione ispiratrice della novella legislativa, che si concreta nella realizzazione del superiore interesse del minore quale valore da difendere nel processo al di sopra di tutti gli altri3: sul presupposto che l’utilità di tale categoria si lasci apprezzare in concreto, la norma sopra richiamata ha accordato al giudice l’ampia libertà di avvalersi di ogni mezzo, tra quelli ivi previsti, che ritenga utile per gestire vicende spesso complesse e garantire il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori anche a fronte del fallimento del progetto di vita comune.

Pur apprezzabile nell’intento, l’intervento riformatore si è però tradotto in una disposizione alquanto sibillina, che individua con la generica formula delle “gravi inadempienze o atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento” i comportamenti del genitore a fronte dei quali scatta l’applicazione dell’apparato rimediale tipico apprestato dal secondo comma dell’art. 709-ter, ossia l’ammonizione, il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore o dell’altro genitore e la condanna al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, di importo compreso tra i 75 e i 5.000 euro, a favore della Cassa delle ammende.

La strada intrapresa dal legislatore sul terreno della coercizione indiretta è proseguita con l’introduzione, a opera della legge 18 giugno 2009, n. 69, dell’art. 614-bis c.p.c. – “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile” – che, come è noto, ha dotato il nostro ordinamento di un sistema di esecuzione indiretta a vocazione (quasi) generale4.

Il nostro legislatore, pur ispirandosi in senso lato al sistema delle astreintes, ha delineato un proprio prototipo di misura coercitiva che denotava un approccio ancora timido a tale forma di tutela: invero la norma era idonea a trovare applicazione esclusivamente agli obblighi di fare infungibile e di non fare, per i quali risultava preclusa la via dell’esecuzione forzata mediante surrogazione.



Pertanto la nuova previsione mirava ad assicurare al creditore, rimasto insoddisfatto a seguito della mancata attuazione della prestazione da parte del debitore, il risultato concreto dell’obbligazione in luogo della (spesso inefficace) tutela risarcitoria; l’obiettivo di agevolare la collaborazione del soggetto passivo del rapporto sostanziale veniva perseguito attraverso la minaccia rivolta al renitente di subire conseguenze economiche più gravose rispetto a quelle che gli sarebbero derivate dall’adempimento “spontaneo”.

Anche questa novella legislativa ha tuttavia prodotto risultati discutibili per la scarsa chiarezza del dettato normativo: il disposto dell’art. 614-bis, che operava un generico richiamo al “provvedimento di condanna” senza specificarne il contenuto, si scontrava con il tenore della rubrica, riferentesi espressamente agli “obblighi di fare infungibile o di non fare”; sicché la dottrina si è subito interrogata se l’infungibilità dell’obbligo fosse o meno un presupposto necessario ai fini dell’applicazione della norma, sollevando un ulteriore dibattito teso a stabilire quando una prestazione di facere e di non facere potesse dirsi infungibile e, quindi, suscettibile di essere assistita da una misura coercitiva5.

Per tali ragioni, nell’estate del 20156, il legislatore è intervenuto nuovamente sull’art. 614-bis, apportando rilevanti modifiche alla disciplina di quella prima embrionale forma di coazione indiretta di cui il nostro ordinamento si era dotato appena sei anni prima.

L’intento di accordare una maggiore rilevanza all’istituto emerge sia dal punto di vista grafico che sostanziale: infatti, per un verso, si è dedicato al solo art. 614-bis, rubricato ora “Misure di coercizione indiretta”, un intero nuovo titolo IV-bis all’interno del libro III del c.p.c.; per l’altro, il raggio di azione della misura coercitiva è stato esteso a ogni obbligo contenuto in un provvedimento di condanna, estromettendo le sole obbligazioni di natura pecuniaria e conservando la deroga per le obbligazioni derivanti da un rapporto di lavoro già prevista dal vecchio testo della norma in commento.

Ne deriva che l’istituto trova oggi piena applicazione a tutti gli obblighi di fare o di non fare, infungibili e fungibili (specie laddove la prestazione risulti di difficile attuazione da parte di un terzo), nonché agli obblighi di dare; al contempo la novella ha reso esplicita l’esclusione dall’ambito di operatività della comminatoria degli ordini giudiziali di condanna al pagamento di somme di denaro.

Ebbene, se con un colpo di penna il legislatore ha risolto i vecchi problemi interpretativi e applicativi connessi alla necessaria infungibilità degli obblighi alla cui attuazione doveva essere legata la misura coercitiva, l’intervento riformatore ha lasciato pressoché intatta la restante disciplina dell’art. 614bis: per quanto qui maggiormente interessa, questo stato di cose pone all’interprete delicati problemi di coordinamento tra l’art. 709-ter, che ha mantenuto intatta la propria efficacia in forza della prevalenza della legge speciale rispetto alla legge generale sopravvenuta, e l’art. 614-bis, considerato che né la riforma del 2009 né, tanto meno, la novella del 2015 si sono preoccupate di apprestare una disciplina di raccordo.

Al riguardo, se in una prospettiva de iure condendo è stata talora auspicata l’adozione di una regolamentazione uniforme delle misure coercitive a prescindere dalla loro sedes materiae, sulla falsa riga di quanto accade per il sistema francese delle astreintes7, de iure condito gli sforzi della dottrina e della giurisprudenza si sono incentrati sulla questione del possibile concorso tra le misure compulsorie speciali in discorso e quella generale.

Siamo peraltro convinti che, almeno in linea generale, lo strumento di cui all’art. 614-bis possa essere proficuamente impiegato per colmare le molteplici lacune presenti nella disciplina di settore; fermo restando che, in mancanza di una presa di posizione espressa da parte del legislatore, rientra pur sempre nel potere discrezionale del giudice decidere se irrogare congiuntamente gli strumenti compulsori o corredare la condanna della sola misura accessoria speciale, anche all’esito di una eventuale valutazione di iniquità in concreto dell’istituto generale in ragione del cumulo delle risposte rimediali.



2. Ambito di operatività e limiti dell’art. 709-ter c.p.c.: la “capitolazione” del diritto-dovere di visita del genitore non collocatario



Dal punto di vista sostanziale, nell’ambito del provvedimento con cui il giudice – in sede di separazione o divorzio o di regolamentazione dei rapporti tra genitori e figli in una coppia di fatto ovvero in caso di annullamento o nullità del matrimonio – dispone in ordine all’affidamento della prole ai sensi degli artt. 337-ter ss. c.c., è possibile individuare due categorie di comandi: da una parte le statuizioni di natura patrimoniale, per lo più consistenti in obbligazioni future a carattere periodico; dall’altra le prescrizioni con cui, una volta designato il genitore collocatario, vengono disciplinati i contatti tra i figli e l’altro genitore (ossia il diritto di visita o permanenza presso quest’ultimo), nonché l’esercizio in positivo o in negativo della responsabilità genitoriale.

Per gli ordini da ultimo menzionati, i quali si traducono in capi condannatori a contenuto specifico e diretto, si pongono problemi di attuazione dal momento che il provvedimento di affidamento non si limita a imporre obblighi e sancire correlativi diritti, ma delinea un vero e proprio programma educativo disponendo per il futuro un rinnovato assetto delle relazioni familiari8.

È in questa realtà, delicata e composita, che deve collocarsi l’introduzione nel codice di procedura civile dell’art. 709-ter, il quale rinviene la sua ratio proprio nell’esigenza di assicurare una tutela effettiva rispetto all’adempimento di una serie di doveri a carattere prevalentemente infungibile nei confronti della prole che, prima dell’emanazione della disposizione, mancavano di efficaci strumenti di attuazione e di coazione: vi rientrano pertanto tutte le condotte poste in essere da un genitore al fine di ostacolare l’applicazione delle statuizioni non patrimoniali relative ai figli contenute nei provvedimenti che dichiarano la separazione o il divorzio oppure nelle pronunce regolatrici dei rapporti tra figli e genitori non coniugati.

La tesi, già sostenuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza, trova conforto in un recente arresto della Corte costituzionale che, con la sentenza del 10 luglio 2020, n. 145, ha evidenziato come la norma sia volta a “colmare oggettive lacune che si erano registrate nell’assicurare una tutela effettiva dei diritti della prole di una coppia genitoriale disgregata, correlati a obblighi di natura infungibile pur consacrati in provvedimenti giudiziari”, consentendo di superare i limiti intrinseci dell’esecuzione forzata mediante surrogazione.

In tale prospettiva le misure di cui al secondo comma dell’art. 709-ter, e in particolare quella di cui al n. 4), integrano “una forma di indiretto rafforzamento dell’esecuzione delle obbligazioni di carattere infungibile” realizzata attraverso un meccanismo di compulsione all’adempimento spontaneo che “si accosta nella finalità – pur divergendo nel meccanismo processuale – alle misure di attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare introdotte successivamente dall’art. 614-bis cod. proc. civ.”9.

In senso analogo, con particolare riferimento al diritto di visita, si è espressa la giurisprudenza di legittimità nell’ordinanza del 6 marzo 2020, n. 6471: invero, nell’escludere l’applicabilità al caso di specie dell’art. 614-bis (sul tema si rinvia infra al §3), la Corte di cassazione ha però precisato come l’art. 709-ter possa offrire tutela al diritto di visita del figlio minore da parte del genitore non collocatario a fronte delle condotte pregiudizievoli poste in atto dall’altro genitore10.

Occorre peraltro evidenziare che secondo la Suprema Corte tale situazione soggettiva – inquadrabile nell’alveo della responsabilità genitoriale da esercitarsi di comune accordo nell’attuazione del diritto dei figli minorenni a essere mantenuti, educati, istruiti e assistiti moralmente (art. 316 c.c.) – è azionabile dal genitore titolare che voglia o debba svolgere il proprio ruolo concorrendo con l’altro ai compiti di cura della prole e, in quanto tale, è declinabile sia in senso attivo (ossia nella sua accezione di diritto) che in senso passivo (nella sua accezione di dovere).

In pratica, con riguardo alla frequentazione dei figli, la posizione del genitore non convivente avrebbe un contenuto duplice: in quanto diritto troverebbe tutela rispetto alle violazioni dell’altro genitore, che è tenuto ad astenersi dall’assumere condotte ostruzionistiche ai sensi e per gli effetti dell’art. 709ter; riguardata invece quale dovere, la sua osservanza sarebbe rimessa a una autonoma scelta dell’interessato, la cui libertà di autodeterminarsi prevarrebbe sull’interesse dell’altro genitore a ottenere coattivamente l’adempimento dell’obbligo, in proprio o quale rappresentante del figlio minore.

Questa scissione nell’ambito della situazione giuridica soggettiva del genitore incide quindi inevitabilmente sul rimedio, ossia sul problema della sua attuazione: il diritto-dovere di visita viene infatti escluso dal novero dei provvedimenti suscettibili di essere attuati o eseguiti per essere ricondotto alla sfera della libertà dei soggetti coinvolti, sul presupposto che una qualificazione in termini di obbligo coercibile a iniziativa dell’altro genitore o della prole colliderebbe con la finalità stessa di quel dovere quale strumento di realizzazione dell’interesse superiore del minore “inteso come crescita ispirata a canoni di equilibrio ed adeguatezza”11.

Seguendo tale ragionamento il diritto-dovere di visita andrebbe piuttosto inquadrato come un potere-funzione, non sussumibile pertanto negli obblighi la cui violazione integra una grave inadempienza ai sensi dell’art. 709-ter.

La Corte aggiunge (non senza qualche tratto di scoordinamento, su cui si veda infra) che una simile lettura si inserisce nel solco del diritto del minore alla bigenitorialità, funzionale a garantire ai figli una crescita serena e armonica attraverso l’esercizio condiviso delle responsabilità genitoriali.

Da questo punto di vista il parametro di riferimento è individuato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha affermato il carattere non assoluto dell’obbligo delle autorità nazionali di adottare misure idonee a riavvicinare il genitore e il figlio non conviventi, nella prospettiva della valorizzazione della collaborazione tra tutte le persone coinvolte in una materia la cui delicatezza impone di intervenire con estrema cautela12; se ne fa conseguire che l’impegno profuso in tal senso dalle suddette autorità non sia destinato a tradursi nell’obbligo di ricorrere alla tecnica della coazione, la quale incontrerebbe un limite invalicabile nella libertà dei soggetti coinvolti a tutela del preminente interesse della prole minore.



2.1. Il caso particolare dell’assegno di mantenimento in favore del figlio: brevi note a margine di Corte cost. 10 luglio 2020, n. 145



Una questione che ha appassionato gli studiosi sin dall’entrata in vigore dell’art. 709-ter c.p.c. è quella di comprendere se le sanzioni previste dalla norma siano applicabili unicamente alla violazione dei provvedimenti di carattere personale sull’affidamento, le frequentazioni, l’istruzione e l’educazione, o se invece possano essere invocate anche a fronte dell’inadempimento degli obblighi a contenuto patrimoniale in favore del figlio, come la corresponsione dell’assegno di mantenimento.

In proposito la prevalente giurisprudenza di merito si è attestata sulla compatibilità del mezzo compulsorio con il peculiare scenario incentrato sulla fattispecie in discorso13, sul presupposto che il mancato rispetto delle statuizioni di portata economica possa rientrare tra le “gravi inadempienze” e gli “atti che comunque arrechino pregiudizio al minore”: in quest’ottica la scarsa chiarezza della disposizione in esame, che non opera una precisa individuazione dei comportamenti sanzionabili, consentirebbe di attrarre nell’orbita delle inadempienze o degli atti pregiudizievoli anche l’inosservanza dei provvedimenti di ordine patrimoniale.

Si adduce poi che l’effettiva disponibilità di risorse materiali è conditio sine qua non per la crescita e lo sviluppo del minore e che pertanto nel diritto di famiglia le situazioni patrimoniali relative agli obblighi di mantenimento celano indirettamente la tutela di situazioni personali14.

Se ne fa conseguire che, sebbene l’ambito di applicazione naturale delle misure ex art. 709-ter sia la tutela delle modalità di affidamento e dei diritti a contenuto personale dei minori, nonché del rapporto tra genitore e figlio (con particolare riguardo al diritto di visita), esse sarebbero al contempo utilizzabili a presidio del credito familiare.

Non sono mancate tuttavia alcune voci dottrinali più propene a sostenere la tesi contraria: si è infatti osservato che, già dal punto di vista formale, la norma nel suo complesso è stata introdotta quale specifica modalità di controllo giudiziale nelle controversie sulla potestà (oggi responsabilità) genitoriale e sulle modalità di affido; la sua ratio è quindi unitaria nel senso di garantire il rispetto e l’attuazione degli obblighi infungibili contenuti nei provvedimenti di carattere personale relativi ai minori, di per sé incoercibili con gli ordinari strumenti esecutivi.

Nello stesso senso depone inoltre la circostanza che le condanne pecuniarie in ambito familiare godono di alcuni “privilegi esecutivi” che dovrebbero favorirne la rapida ed esaustiva attuazione15: si pensi ai sequestri, agli ordini di prestare garanzie personali o reali, agli ordini diretti ai terzi debitori dell’obbligato previsti dall’art. 156 c.c., dall’art. 8 legge 1° dicembre 1970, n. 898 (“Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”), dall’art. 3, c. 2 legge 10 dicembre 2012, n. 219 (“Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”), misure che agiscono in via preventiva inducendo l’obbligato ad adempiere al fine di portare ad attuazione il dictum giudiziale.

Per altro verso non si possono dimenticare le apposite misure coercitive penali, quali ad esempio l’art. 388 c.p. e il nuovo art. 570-bis c.p. introdotto dal d.lgs. 1° marzo 2018, n. 2116, norma quest’ultima che sanziona con le pene previste dall’art. 570 c.p. il mancato versamento dell’assegno di mantenimento e di quello divorzile.

In definitiva, ove ritenute applicabili agli obblighi economici, le sanzioni di cui all’art. 709-ter andrebbero ad aggiungersi all’apparato esecutivo e cautelare, specifico e tendenzialmente garantista, apprestato dall’ordinamento a tutela del contributo di mantenimento e dell’assegno divorzile, oltre che agli strumenti di tipo penale che puniscono il mancato versamento dei medesimi, ponendo il delicato problema del cumulo tra le misure in oggetto e gli altri specifici strumenti civilistici o penalistici di tutela del credito.

Ora, non si nasconde che in fattispecie come quella in esame il ricorso all’astreinte si rivelerebbe di indubbia utilità, incentivando il destinatario a eseguire tempestivamente la prestazione onde evitare di incorrere nell’applicazione della sanzione pecuniaria.

È altresì vero che, se in alcuni casi occorre evitare di “punire” due volte una condotta inadempiente, in altri casi la combinazione delle diverse misure esistenti consentirebbe di incrementare l’effettività della tutela giurisdizionale17, anche in considerazione del variegato panorama degli obblighi scaturenti dalla crisi familiare.

Peraltro, nonostante tali spunti, la tesi ex adverso ci sembra più aderente al complessivo spirito del sistema: in effetti, come è stato opportunamente osservato, ampliare il novero degli strumenti di tutela del credito attraverso l’utilizzo dell’art. 709-ter significa attenuare e confondere la reale portata della norma, la quale “finirebbe per essere considerata una sorta di panacea universale, con il rischio di una sua restrittiva applicazione anche nelle ipotesi per le quali invece la stessa è stata intenzionalmente concepita”18.

D’altronde l’indirizzo da noi accolto trova oggi un riconoscimento nella lettura fornita dalla citata Corte cost. n. 145 del 2020, seppure con specifico riferimento alla misura di cui al n. 4): invero è stato affermato il principio di diritto per cui l’art. 709-ter, c. 2 va interpretato nel senso che il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento della prole, nella misura in cui è già sanzionato penalmente, non rientra tra le condotte inadempienti per le quali può essere irrogata la sanzione pecuniaria “amministrativa” di cui al n. 4) della medesima disposizione; tale sanzione riguarda infatti le sole obbligazioni infungibili relative alla responsabilità genitoriale e all’affidamento di minori.

In particolare, con tale decisione la Consulta ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 709-ter, c. 2, n. 4) nella parte in cui prevede che, nell’ambito di un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il genitore che abbia posto in essere atti che arrechino pregiudizio al minore sia passibile della sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 75 a un massimo di 5.000 euro in favore della Cassa delle ammende: i giudici, offrendo una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, hanno chiarito che essa non si applica all’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento della prole, previsto nel caso di specie dalla sentenza di separazione coniugale19.

Questa presa di posizione, a detta della stessa Corte, è stata dettata dalla necessità di scongiurare il possibile contrasto tra la disposizione censurata e il principio del ne bis in idem in riferimento agli artt. 117, c. 1 Cost. e 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU.

In effetti la misura di cui al n. 4) dell’art. 709-ter, pur qualificata come “amministrativa”, ha natura sostanzialmente penale e avrebbe dovuto essere comminata per lo stesso fatto per il quale il convenuto era stato già condannato in sede penale ai sensi dell’art. 570 c.p., secondo la normativa applicabile ratione temporis.

Né sussiste tra i due procedimenti quella stretta connessione sostanziale che, seguendo la giurisprudenza della Corte EDU, consente di sottoporre a processo penale una persona già sanzionata a livello amministrativo con l’applicazione di una sanzione sostanzialmente penale, considerato che la sanzione penale e l’ammenda civile ex art. 709-ter, c. 2, n. 4) risulterebbero essere del tutto sovrapponibili e non già complementari.

Invero, da un lato, esse perseguono la medesima finalità di deterrenza, a carattere special-preventivo, volta a indurre il genitore al pagamento dell’assegno di mantenimento in favore della prole minore senza che sia necessario attivare gli strumenti del processo esecutivo civile; dall’altro, il completamento del trattamento sanzionatorio complessivo è solo eventuale in quanto l’applicazione della sanzione “amministrativa” presuppone un ricorso del genitore che lamenti l’inadempimento dell’altro genitore e inoltre, pur a fronte di tale comprovata inadempienza, il giudice potrebbe limitarsi ad adottare le misure dell’ammonizione o della condanna al risarcimento del danno (art. 709-ter, c. 2, numeri da 1) a 3)) le quali non hanno natura sostanzialmente penale ai fini del rispetto del divieto di bis in idem20.

Questo stato di cose ha condotto i giudici verso l’interpretazione alternativa, alla quale riteniamo di aderire, per cui la sanzione pecuniaria “amministrativa” contemplata dall’art. 2 l. n. 54 del 2006, che ha introdotto appunto l’art. 709-ter, è simmetrica a quella prevista dal successivo art. 3, da cui si evince che l’inosservanza degli obblighi patrimoniali relativi all’assegno di mantenimento, attuabili nelle forme del processo esecutivo per espropriazione, è presidiata in sede penale dal reato di cui all’art. 570-bis c.p. e, qualora il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento si risolva in deprivazione dei mezzi di sussistenza, finanche da quello di cui all’art. 570, c. 2, n. 2) c.p.

Il parallelismo tra le due previsioni, l’una pensata per gli aspetti personali del rapporto tra i genitori e i figli, l’altra concernente gli obblighi di natura economica in seno alla famiglia, consente quindi di escludere che la condotta punita come reato dagli artt. 570 e 570-bis c.p. possa essere sanzionata anche con la pena pecuniaria “amministrativa” dell’art. 709-ter c.p.c.



3. I rapporti tra l’art. 614-bis c.p.c. e l’art. 709-ter c.p.c. nel diritto delle relazioni familiari



Un altro tema che ha dato vita a un ampio dibattito concerne i rapporti, di compatibilità ovvero di reciproca esclusione, tra la norma speciale di cui all’art. 709-ter c.p.c. e quella generale di cui all’art. 614-bis c.p.c. dal momento che, come visto, nonostante l’approccio in due stadi del legislatore all’astreinte la questione risulta tuttora priva di una regolamentazione nel diritto positivo: in diverse parole, si tratta di stabilire se nella materia de qua l’esigenza di irrobustire la tutela del superiore interesse del minore possa giustificare l’applicazione, in via concorrente, della misura prevista dall’art. 614-bis, a far data dal suo ingresso nel codice di procedura civile.

Orbene, un primo nodo da sciogliere attiene alla collocazione sistematica dell’art. 709-ter: il dubbio consiste nel capire se la funzione punitiva sia un attributo comune a tutti i provvedimenti contemplati dal secondo comma della disposizione, o si renda invece necessario operare ulteriori distinzioni.

Riteniamo, in proposito, che l’ammonizione ad astenersi dal reiterare condotte pregiudizievoli per il minore e la sanzione pecuniaria (numeri 1) e 4) dell’art. 709-ter, c. 2, rispettivamente) costituiscano misure a carattere afflittivo impiegate dalla legge come strumenti di coercizione indiretta all’osservanza delle prescrizioni sull’affidamento dei figli: invero la prima mira ad avvertire il genitore inadempiente che la perpetrata inosservanza delle prescrizioni medesime può sfociare in sanzioni più gravi fino alla modifica della relativa decisione giudiziale, mentre la seconda costituisce una sorta di astreinte in favore di un organo pubblico21.

Quanto invece alle condanne di cui ai numeri 2) e 3) dell’art. 709-ter, che permettono di liquidare un risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore del minore o dell’altro genitore, concordiamo con l’opinione secondo cui esse si ricollegano al sistema della responsabilità civile, sebbene con alcuni tratti di specialità22; il significato proprio di tale prescrizione, quale norma speciale rispetto alle regole comuni in tema di responsabilità da fatto illecito, risiede nel legare il risarcimento a condotte che costituiscono al contempo violazione dei doveri genitoriali e violazione di un provvedimento giurisdizionale, secondo la logica tipica del c.d. illecito plurioffensivo riscontrabile anche nella misura coercitiva generale ex art. 614-bis e in analoghe misure di deterrenza esistenti nel nostro diritto positivo.

Ciò posto in ordine alla natura dei rimedi dell’art. 709-ter, occorre verificare che la riconducibilità dei doveri familiari nel raggio di azione dell’art. 614-bis non incontri ostacoli normativi insuperabili.

In realtà, sulla soluzione positiva della disputa si registra un consenso quasi unanime.

È stato anzitutto osservato che la norma generale, pur non essendo specificamente prevista per i provvedimenti adottati in seno alla famiglia, neppure li esclude in modo espresso (come accade, invece, per le controversie in materia di lavoro) e che anche in tale settore vengono in rilievo obblighi infungibili o comunque caratterizzati da infungibilità imperfetta.

Inoltre il presupposto del “provvedimento di condanna” di cui all’art. 614-bis appare integrato da un qualsiasi ordine o comando con cui il giudice individui una condotta dovuta, sì da ricomprendere anche quelli non sussumibili tout court nello schema della condanna classica23: ne consegue che la misura potrà accedere, oltre che alle sentenze di separazione o di divorzio e ai decreti che dispongono in merito all’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, a provvedimenti interinali e persino a provvedimenti di condanna in futuro.

Nello stesso senso depongono anche ragioni di opportunità in quanto l’opzione ex adverso sostenuta comporterebbe un inaccettabile vuoto di tutela in tutte le ipotesi non coperte dal disposto dell’art. 709-ter, come dimostra la menzionata ordinanza n. 6471 del 2020.

Invero il Giudice di legittimità, chiamato ad affrontare la questione se la misura generale di coercizione indiretta sia applicabile al campo dei doveri familiari e in particolare all’obbligo di visita del figlio minore da parte del genitore non collocatario, ha affermato che quest’ultimo non è coercibile neppure nella forma indiretta di cui all’art. 614-bis, con ciò scardinando un orientamento che sembrava ormai consolidato in dottrina e tra i giudici di merito.

Il ragionamento del Collegio ha preso le mosse dalla considerazione per cui i rapporti familiari esulino dall’ambito di operatività dell’art. 614-bis, costituendo un microsistema che rinviene in se stesso il proprio fondamento e i propri limiti; in tale prospettiva la presenza nel nostro ordinamento della misura coercitiva speciale ex art. 709-ter, che si avvale di una forma di esecuzione indiretta sul modello delle astreintes, escluderebbe l’applicabilità di quella generale24.

Si sostiene inoltre che l’obbligo del genitore non affidatario di garantire una regolare frequentazione del figlio, pur costituendo espressione dei doveri genitoriali sanciti dall’art. 147 c.c. e pur essendo suscettibile di regolazione quanto a modi e tempi di esercizio, non possa formare oggetto di una condanna a un facere sia pure infungibile.

Si adduce ancora l’antinomia tra la mera patrimonialità della misura generale di esecuzione indiretta e la natura, personale e insuscettibile di valutazione economica, degli obblighi familiari: detto altrimenti l’irrogazione del provvedimento ex art. 614-bis, comportando una monetizzazione preventiva e una conseguente banalizzazione del dovere di visita del figlio minore, si porrebbe addirittura in contrasto con l’interesse di quest’ultimo.

D’altronde l’indole non obbligata e incoercibile del dovere di visita troverebbe riscontro nello speculare diritto del figlio di frequentare il genitore quale esito di una sua scelta libera e autodeterminata, per “caratteri tanto più obiettivamente inverabili quanto più vicina sia la maggiore età” e che, in quanto tali, possono spingersi fino al rifiuto.

Né a conclusioni diverse potrebbe giungersi per il tramite dell’art. 709-ter, c. 2 dal momento che per la Corte tale norma ha una funzione direttamente sanzionatoria di condotte illecite già verificatesi, e non di coercizione preventiva e indiretta di un dovere per il caso di sua futura inosservanza: in altre parole i poteri di intervento del giudice sono circoscritti al presente, mentre con riguardo alle conseguenze di una eventuale successiva continuazione del comportamento sanzionato si limitano al potere di ammonimento.

Dunque, in una cornice in cui convergono “autoresponsabilità, autonomia e consapevole libertà di scelta” e appaiono d’elezione percorsi condivisi di rielaborazione e miglioramento dei rapporti affettivi, la violazione del dovere di visita del figlio minore non integra grave inadempienza ai sensi dell’art. 709ter, né è suscettibile di coercizione indiretta nelle forme di cui all’art. 614-bis25.

Ciò non varrebbe tuttavia ad affermare che al suo mancato esercizio non conseguano effetti: si precisa infatti che, a fronte del protrarsi dell’inosservanza dei doveri di visita, sarà possibile modificare le decisioni in vigore in tema di affidamento o adottare provvedimenti de potestate fino alla decadenza stessa dalla responsabilità genitoriale ovvero proporre querela ex art. 570 c.p. qualora la condotta contestata, risolvendosi in una dismissione delle funzioni genitoriali, ponga in serio pericolo il pieno ed equilibrato sviluppo della personalità del minore26.

In definitiva l’onere di attivarsi per la tutela del figlio viene fatto gravare sul genitore collocatario, il quale può agire per ottenerne l’affidamento esclusivo oppure intentare un procedimento de potestate o addirittura un procedimento penale.

Questa ricostruzione non ci sembra meritevole di apprezzamento per una serie di ragioni.

Innanzitutto il riferimento all’asserita specialità del diritto di famiglia per fondare un diritto-dovere di visita improntato alla più ampia libertà risulta inappagante se si considera che, pur avendo entrambi introdotto rimedi all’inottemperanza di obblighi di natura infungibile, gli artt. 614-bis e 709-ter hanno ambiti applicativi limitrofi ma differenti: invero l’art. 709-ter appresta una misura coercitiva a carattere repressivo, che è inflitta a posteriori quando le inadempienze si sono già verificate e che svolge quindi una precipua funzione punitiva di pregresse condotte illecite; per contro l’art. 614-bis configura una misura coercitiva di natura preventiva, che è irrogata ex ante (ossia contestualmente al provvedimento di condanna, quando la violazione è solo prevedibile) e che persegue dunque una prevalente finalità dissuasiva27. Ne dovrebbe conseguire che, anche con riguardo alle condotte coperte dall’art. 709-ter, residui uno spazio di operatività dell’art. 614-bis: infatti nulla vieta al giudice di irrogare la misura speciale per le violazioni già perpetrate, e di fissare al contempo la misura generale ove ciò appaia utile ai fini del futuro rispetto del provvedimento emesso.

Facilmente superabile è inoltre l’obiezione per cui il ricorso all’art. 614-bis nel settore considerato troverebbe un limite nella struttura e nella funzione della norma generale: in effetti, per un verso il “provvedimento di condanna” ex art. 614-bis ben si presta a ricomprendere anche il complesso di ordini e comandi in cui si sostanzia il provvedimento sull’affido, per l’altro l’evocato contrasto tra non patrimonialità dell’obbligo originario (in questo caso di visita) e natura monetaria della sanzione conseguente alla violazione è un fenomeno abbastanza diffuso nell’ordinamento.

Pertanto – assodato che l’art. 614-bis è compatibile con i provvedimenti ex art. 709-ter e che la presenza di misure coercitive settoriali non esclude di per sé il ricorso allo strumento generale di esecuzione indiretta – non resta che individuare un proficuo coordinamento tra le due norme, al fine di accertare le concrete possibilità di un impiego contestuale dei diversi rimedi, alla luce della natura e funzione di ciascuno.

Al riguardo, nulla quaestio per le misure punitive di cui ai numeri 1) e 4) dell’art. 709-ter: possono infatti liberamente concorrere con l’astreinte ex art. 614-bis sia l’ammonizione, che non comporta alcun sacrificio patrimoniale per la parte inadempiente, sia (almeno in linea teorica28) la condanna al pagamento della somma da devolvere a favore della Cassa delle ammende, stante il suo carattere di sanzione con beneficiario pubblico.

Ma il discorso non cambia per i rimedi coercitivo-riparatori previsti dai numeri 2) e 3): la misura compulsoria generale e le condanne risarcitorie speciali risultano, sul piano teorico e applicativo, pienamente compatibili, trattandosi di strumenti compensativi e deterrenti, entrambi riconducibili al carattere polifunzionale della responsabilità civile, ma nei quali l’intensità dell’efficacia dissuasiva è stata dal legislatore diversamente graduata.

In altri termini, la condanna preventiva volta a dissuadere dall’illecito rimane distinta dalla condanna diretta a riparare gli effetti di un illecito già realizzato; con la conseguenza che anche tra le figure ex artt. 614-bis e 709-ter, c. 2, numeri 2) e 3) non è predicabile una interferenza esclusiva, ma solo una interferenza che impone un reciproco coordinamento, soprattutto in sede di determinazione del quantum29.

Dobbiamo a questo punto esaminare alcuni aspetti concernenti il regime procedurale dell’istituto ex art. 614-bis, ove applicato nell’ambito del diritto della famiglia in aggiunta all’armamentario predisposto dall’art. 709-ter.

In primis, occorre stabilire se la condanna all’astreinte possa essere attratta nel fascio dei poteri officiosi generalmente riconosciuti al giudice nell’ottica di una tutela rafforzata dei soggetti deboli nel settore considerato.

Sul tema, nonostante la chiarezza (almeno in parte qua) del dato legislativo per cui la misura coercitiva generale può essere disposta “su richiesta di parte”, si è sostenuto che, poiché le statuizioni relative all’affidamento e al mantenimento dei figli minori sono sottratte al principio della domanda ai sensi dell’art. 337-ter c.c., la misura accessoria debba necessariamente seguire anche per tale profilo il regime di quella principale30.

Ad analoga conclusione è pervenuta la giurisprudenza di merito, fondando il potere del giudice di adottare d’ufficio la condanna ex art. 614-bis sull’esigenza di preservare il superiore interesse del minore; interesse che già aveva indotto ad ammettere una autonoma irrogazione dei provvedimenti ex art. 709-ter, pur nel silenzio serbato in proposito da quest’ultima norma31.

In diversi termini la deroga al principio dispositivo è stata giustificata in sede applicativa sulla base di una inedita lettura in combinato disposto delle due norme, finalizzata alla realizzazione del valore supremo a cui è improntato il processo minorile.

Emblematico in tal senso è un recente arresto del Tribunale di Roma dove si è affermato che, sebbene l’art. 614-bis preveda la richiesta di parte, “la ratio sottesa all’art. 709-ter c.p.c., che autorizza il giudice ad adottare anche ex officio tutte le misure necessarie per l’attuazione dei provvedimenti inerenti l’affidamento, tra le quali rientrano le misure di carattere esecutivo, e le misure a tutela del minore, consente al giudice di pronunciare, nella materia in oggetto, l’astreinte anche in assenza di domanda di parte”32.

La decisione desta interesse anche per un altro aspetto, in quanto sembra prefigurare un impiego “anticonvenzionale” del rimedio generale e preventivo di cui all’art. 614-bis.

In effetti la pronuncia officiosa dello stesso è stata legata alla potenzialità lesiva di condotte genitoriali che si risolvano in un uso spregiudicato dei social network, al fine di rimarcare che in tal modo si accetta il rischio che situazioni gravemente pregiudizievoli possano interessare i propri figli: sembra dunque plausibile che la misura coercitiva generale possa svolgere, secondo le circostanze, anche una finalità cautelare, seppure solo in senso lato33.

Quanto infine al problema concernente l’individuazione del destinatario delle somme dovute per il caso di inosservanza del provvedimento giurisdizionale, non sembra errato ritenere che dell’importo dell’astreinte possano beneficiare sia il minore sia uno dei genitori, analogamente a quanto previsto dall’art. 709-ter34: in concreto, per determinare il destinatario o i destinatari dell’importo della penalità di mora il giudice dovrà valutare, caso per caso, come si presenta la portata lesiva della condotta inadempiente già tenuta o come questa potrebbe atteggiarsi in caso di future violazioni.



4. Art. 614-bis c.p.c. e tutela del credito familiare: una possibile supplenza?



Si è visto che, con riguardo ai provvedimenti minorili, al giudice sono accordati rilevanti poteri, officiosi e cautelari, strumentali ad attuare gli interessi dei figli e, quindi, a limitare i danni che la crisi degli affetti familiari è idonea a cagionare agli stessi.

Si è visto altresì come tali prerogative finiscano per estendersi anche alla pronuncia della comminatoria di cui all’art. 614-bis c.p.c. determinando, attraverso interpretazioni all’avanguardia nient’affatto rispettose del dettato normativo, una serie di adattamenti dello strumento compulsorio nell’interesse della prole.

Occorre ora verificare se questo stesso interesse possa legittimare nella materia in esame un più coraggioso impiego del rimedio generale anche in relazione ai diritti patrimoniali, che sarebbero così recuperati alle misure coercitive civili quando l’inadempimento incide sui diritti personali.

L’obbligodisolidarietàeconomicadiverrebbe,inquestosenso, anche componente del più ampio dovere educativo e formativo35; né può dimenticarsi che, sotto il vigore dell’art. 614-bis vecchio testo, la scarsa chiarezza del dato normativo poneva il problema della sua applicazione anche fuori dagli obblighi strettamente infungibili, nelle obbligazioni di consegnare o rilasciare o pagare, quando indirettamente è tutelato un bene personale che rende necessaria la prestazione tempestiva dell’obbligato.

Orbene, pur concordando in linea di principio con questi rilievi, ci sembra preferibile escludere, almeno de iure condito, che gli obblighi pecuniari in discorso possano essere muniti di astreinte dal momento che il novellato istituto (ove, beninteso, lo si ritenga applicabile ai doveri familiari) non può riguardare, per espressa previsione, le condanne al pagamento di somme di denaro.

Tale scelta, tra l’altro, si ritiene giustificata sotto più profili: per un verso, le obbligazioni pecuniarie sono già tutelate attraverso l’esperimento dell’espropriazione forzata, la quale permette al creditore di ottenere il medesimo risultato che avrebbe ricavato dall’adempimento spontaneo e copre con gli interessi il ritardo36; per l’altro, ragioni di ordine sistematico suggeriscono di evitare un eccessivo aggravio della situazione soggettiva del debitore.

Invero, a seguito della recente riforma che ha inserito nell’art. 1284 c.c. i due nuovi commi 4 e 5, dal giorno in cui si propone la domanda giudiziale o si promuove il procedimento arbitrale è stabilita una maggiorazione del tasso di interesse legale pari alla previsione della disciplina speciale, di origine europea, sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali37.

La previsione mira a vincere l’ostinazione del debitore nel ritardare il pagamento delle obbligazioni pecuniarie, costringendo il creditore a intraprendere la via giudiziaria o arbitrale: la deflazione del contenzioso viene quindi perseguita mediante l’imposizione di una misura pecuniaria particolarmente gravosa, che si propone di rendere diseconomico l’inadempimento.

In quest’ottica, il considerevole aumento del saggio legale di interesse sui crediti litigiosi fa venir meno la necessità di ricorrere a ulteriori mezzi di coazione per l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie, con la conseguenza che il legislatore ha preferito ritenere non cumulabili gli interessi legali con la misura ex art. 614-bis38.

In effetti, come è stato osservato, nell’astreinte la somma dovuta per il ritardo finisce per svolgere, rispetto alla prestazione in forma specifica, anche la funzione assolta dagli interessi moratori per il ritardo nel pagamento delle somme di denaro39: si tratta, a ben guardare, della stessa finalità “risarcitoria”, soltanto differente nella tecnica processuale che si adegua all’oggetto specifico della condanna principale.

Pertanto, se è vero che la misura coercitiva ex art. 614-bis costituisce un criterio (sia pure sui generis) di liquidazione del danno, nel caso di obbligazioni pecuniarie il creditore sarà allora sufficientemente garantito dalla corresponsione degli interessi e dalla liquidazione del maggior danno subito.

Questa soluzione appare d’altronde corroborata dalla riforma del 2015, che ha trasformato la misura in una tecnica di attuazione dei diritti alternativa e concorrente con la tradizionale esecuzione surrogatoria, quanto meno nell’ipotesi in cui sia comminata in relazione all’inadempimento o al ritardo nell’attuazione di obblighi eseguibili in via forzosa: in tal caso l’astreinte perde in parte la fisionomia di mezzo di coazione di natura pecuniaria e assume i panni di un indennizzo per il ritardo nell’adempimento all’ordine del giudice40; laddove invece, nell’ipotesi di obbligazioni infungibili, essa mantiene l’originaria natura primariamente coercitiva e solo residualmente indennitaria.

A ciò si aggiunga che, nel campo delle relazioni familiari, gli obblighi di natura economica sono già assistiti dal complesso degli strumenti offerti dagli artt. 148 e 156 c.c. – ai quali sono stati poi affiancati gli analoghi istituti previsti dall’art. 8 l. div. – come da ultimo modificati anche per effetto della riforma sulla filiazione.

Ne deriva che l’esigenza di evitare inutili duplicazioni delle forme di tutela, che ci ha indotto a escludere il ricorso all’art. 709-ter per i crediti familiari (si veda supra nel §2.1.), si impone a fortiori con riguardo alla misura coercitiva generale.

Tanto più se si considera che, anche nella nuova versione dell’art. 614-bis c.p.c., la delimitazione del perimetro dell’esecuzione indiretta rimane informata a un sistema misto di esenzioni, costituito da due eccezioni tipizzate (per i casi in cui la condanna principale riguardi obbligazioni pecuniarie o controversie in materia di esecuzione dei contratti di lavoro) e da una regola di atipicità, ossia la clausola generale della non manifesta iniquità, che consente di superare la rigidità del catalogo chiuso; sicché, ai fini dell’adozione della pronuncia di merito contenente la penalità di mora, l’organo giudiziale competente deve accertare anche che la condanna accessoria non appaia in concreto manifestamente iniqua.

La formula legislativa è stata immediatamente avvertita come un “corpo estraneo” al nostro sistema giuridico: secondo la dottrina maggioritaria l’ambiguità del dettato normativo lascerebbe all’arbitrio del giudice la scelta di concedere la misura ovvero, sul versante opposto, sarebbe idonea a precluderne del tutto l’applicazione41.

Effettivamente non è semplice riempire di contenuto questo limite, considerato che la palese ingiustizia della decisione sulla misura può manifestarsi sotto più profili.

Si può comunque ritenere, in linea di massima, che la non manifesta iniquità entri in gioco quando si tratti di salvaguardare obbligazioni strettamente personali che, coinvolgendo le sfere più intime del debitore, non tollerano l’apposizione di una misura coercitiva42; essa rappresenta inoltre una opportuna clausola di chiusura nelle ipotesi in cui l’ordinamento preveda già altri tipi di coazione indiretta43.

In tale prospettiva, la previsione normativa accorda all’organo giudicante un potere sostanzialmente equitativo che richiede una valutazione, alla stregua della possibile inosservanza del provvedimento condannatorio, da cogliersi caso per caso attraverso un continuo bilanciamento tra il sacrificio imposto al debitore e l’interesse del creditore all’adempimento.

I timori di una eccessiva discrezionalità del giudice si possono in parte fugare sottolineando che il parametro in questione non costituisce la causa giustificatrice della comminatoria, ma vale anzi a giustificarne il rifiuto ove ricorra anche uno soltanto dei limiti, espliciti o impliciti, previsti dall’art. 614-bis44, risolvendosi dunque nell’equo contemperamento degli interessi in conflitto già giuridificati.

Alla luce delle considerazioni svolte, non ci sembra allora peregrino sostenere che la misura coercitiva generale sia da considerarsi iniqua anche quando il creditore possa (rectius, debba) agevolmente conseguire la tutela giurisdizionale per altra via, come avviene appunto nel caso degli obblighi pecuniari e, per quel che qui interessa, del credito familiare.



5. A mo’ di conclusione



Per effetto dell’“ostracismo” dato alle misure coercitive da Cass. n. 6471 del 2020, il dovere del genitore non collocatario di far visita al figlio, in quanto potere-funzione non rientrante tra gli obblighi la cui violazione costituisce una grave inadempienza ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c., è destinato a rimanere libero nel suo esercizio quale esito di autonome scelte che rispondono anche al superiore interesse del minore.

La trasformazione del diritto di visita da diritto-dovere a diritto-funzione comporta inoltre che esso non sia eseguibile nemmeno in forma indiretta, con conseguente inapplicabilità dell’art. 614-bis c.p.c.

Rebus sic stantibus sorge spontaneo chiedersi a quali strumenti di tutela ci si potrà appellare nei casi in cui l’esercizio del potere-funzione di visita, pur non risolvendosi in una totale assenza idonea a incidere sui profili dell’affidamento o della responsabilità genitoriale, non abbia la continuità necessaria a favorire una crescita sana ed equilibrata della prole; ciò tanto più se si considera che l’attuale sistema di responsabilità civile va nella direzione di riconoscere al figlio un diritto soggettivo di rango costituzionale alle relazioni affettive, che si esplica prima di tutto nei confronti dei genitori quali principali garanti dell’adeguato e completo sviluppo della personalità del minore45.

Sia consentita una ulteriore notazione: ove ritenuta cumulabile con il dispositivo dell’art. 709-ter, o quanto meno idonea a colmarne le lacune, la misura generale di esecuzione indiretta rappresenterebbe un mezzo assai propizio per indurre l’obbligato a ottemperare alla pronuncia giudiziale, cosicché non dovrebbe escludersi che un’apprezzabile giustificazione pratica possa prevalere sull’astrattezza dei principi, e segnatamente su quello di specialità.

L’utilità del rimedio ex art. 614-bis si lascia particolarmente apprezzare laddove il giudice si trovi a condannare la parte inadempiente, ai sensi dell’art. 709-ter, a tenere una condotta positiva o negativa caratterizzata da un sufficiente grado di specificità, poiché in casi siffatti l’astreinte si rivela uno strumento molto più efficace, puntuale e certo rispetto alla minaccia di eventuali future sanzioni46.

Del resto nell’ordinamento francese l’istituto dell’astreinte è stato utilizzato fin dal principio per l’attuazione dei provvedimenti minorili47, anche con riferimento al diritto-dovere di visita, dando vita a un sistema composito capace di raggiungere elevati livelli di effettività della tutela giurisdizionale.

In estrema sintesi si può dire che i benefici di ordine pratico derivanti dall’impiego dell’astreinte nei giudizi di separazione e divorzio suggeriscono di superare l’impostazione rigidamente ancorata al principio di specialità e di riconoscere che la norma di cui all’art. 614-bis, proseguendo il cammino intrapreso dal legislatore sulla via della coercizione indiretta, rappresenta un efficace strumento di enforcement invocabile a supporto dell’apparato rimediale tipico previsto dall’art. 709-ter allo scopo di garantire l’esecuzione dei provvedimenti relativi alla prole; sempre che, beninteso, una simile ricostruzione non si scontri con la lettera dell’art. 614-bis o sia comunque sconsigliabile per ragioni sistematiche48.

Resta infatti fermo, sul versante opposto, che le misure compulsorie di cui agli artt. 709-ter e 614-bis costituiscono un’“arma” da maneggiare con estrema oculatezza onde evitare che, da rimedio contro la scorrettezza dell’obbligato, si trasformino in una fonte di iniquità per quest’ultimo.

È proprio quel che accadrebbe se, ad esempio, tali forme di astreintes venissero cumulate senza limiti con il vasto armamentario di provvedimenti specificamente previsti dall’ordinamento a garanzia del credito familiare: in quest’ottica va salutato con favore il monito di Corte cost. n. 145 del 2020 – riferito all’art. 709-ter, ma a nostro avviso mutuabile per l’art. 614-bis – a non inasprire eccessivamente la risposta rimediale, senza che ciò sia giustificato da una ragione valida.



NOTE

1 La scelta delle modalità più adeguate per eseguire l’obbligo di consegna del figlio minore è stata oggetto, in passato, di un ampio dibattito. Con l’entrata in vigore nel 2014 dell’art. 337-ter, c. 2 c.c., che ha assegnato al giudice del merito il potere di determinare le modalità di attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole minorenne, è ragionevole pensare che si sia inteso privilegiare la via dell’esecuzione in via breve sotto il controllo del giudice della cognizione: cfr. F. Danovi, Il processo di separazione e divorzio, Milano, 2015, 626 ss., 629, dove si evidenzia che la devoluzione al giudice della cognizione dei poteri attuativi lo svincola dal seguire gli schemi predefiniti dell’esecuzione forzata. Sul tema si rinvia, per ulteriori ragguagli, a B. Poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, Napoli, 2017, 391 ss.; G. Fanelli, Brevi note su misure coercitive e art. 709-ter c.p.c., in www.Judicium.it, 14 maggio 2012, §2.

2 Nella consapevolezza che l’affidamento condiviso possa far insorgere contrasti tra i genitori, specie in sede di attuazione delle relative decisioni giudiziali, il legislatore ha predisposto uno specifico procedimento dove l’intervento del giudice finalizzato a dirimere il conflitto può spingersi fino alla modifica del provvedimento precedentemente emanato, arricchendolo contestualmente delle misure previste dal secondo comma dell’art. 709-ter c.p.c. onde assicurare l’attuazione delle prescrizioni ivi contenute. Sugli aspetti processuali della norma in esame si vedano, senza pretese di completezza, R. Donzelli, I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709-ter c.p.c., Torino, 2018; C. CeCChella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, Bologna, 2018, 242 ss.; F. Danovi, Il processo, cit., 617 ss.

3 Nel codice del 1942 il minore venne preso in considerazione in una prospettiva meramente paternalistica, come oggetto di protezione e non come persona portatrice di veri e autonomi diritti. È solo con la Costituzione (e con gli atti normativi sovranazionali, a partire dalla Convenzione ONU del 1989 sui diritti del fanciullo) che il superiore interesse del minore assurge a principio-cardine di ogni decisione che lo riguardi, sicché “si può affermare che anche in questo campo il diritto, alla fine, si è riconciliato con la vita”: così a. sCalisi, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, 407.

4 L’introduzione nell’ordinamento interno della misura coercitiva indiretta è stata configurata come “una scelta di civiltà”: così e. MeRlin, Prime note sul sistema delle misure coercitive pecuniarie per l’attuazione degli obblighi infungibili nella l. 69/2009, in Riv. dir. proc., 2009, 1546 ss. Sull’astreinte ex art. 614-bis c.p.c. si veda, da ultimo, l’accurato studio di a. nasCosi, Le misure coercitive indirette nel sistema di tutela dei diritti in Italia e in Francia. Uno studio comparatistico, Napoli, 2019.

5 In generale si considerano infungibili le obbligazioni intuitu personae, quelle legate ai diritti della personalità e quelle di non fare che presuppongono una astensione del debitore. Si è precisato che difetta il requisito della fungibilità quando il soddisfacimento che il creditore ricava dall’adempimento da parte di un terzo sia equivalente a quello che avrebbe conseguito se all’adempimento avesse provveduto personalmente il debitore: cfr. Consolo-Godio, sub art. 614-bis, in Codice di procedura civile, Commentario Ipsoa, III, diretto da Consolo, Milano, 2018, 1336. La dottrina ha poi osservato come la prestazione possa assumere i connotati della fungibilità o dell’infungibilità a seconda di come essa venga considerata nel caso specifico (sulla rilevanza dell’intenzione soggettiva delle parti si veda M. FoRnaCiaRi, I limiti dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare, in Riv. esec. forz., 2000, 409 ss.). Infine, secondo s. MazzaMuto, L’esordio della comminatoria di cui all’art. 614-bis c.p.c. nella giurisprudenza di merito, in Giur. it., 2010, 644, l’art. 614-bis c.p.c. avrebbe dovuto trovare applicazione anche nei casi in cui, pur sussistendo altri strumenti esecutivi, il ricorso agli stessi fosse risultato dispendioso in termini di tempo o comunque difficoltoso, finendo di fatto per vanificare la realizzazione dell’interesse creditorio; alla tesi della c.d. infungibilità processuale ha aderito anche C. Delle Donne, L’introduzione dell’esecuzione indiretta nell’ordinamento giuridico italiano: gli artt. 614-bis c.p.c. e 114, c. 4°, lett. e), Codice del processo amministrativo, in AA.VV., L’esecuzione processuale indiretta, Torino, 2011, 128.

6 Si tratta della legge 6 agosto 2015, n. 132, di conversione del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 recante “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”. Sul novellato art. 614-bis c.p.c. si vedano t. Galletto, Le nuove frontiere dell’esecuzione forzata: le misure di coercizione indiretta, in www.Judicium. it, 23 novembre 2015, §6; a. teDolDi, Le novità in materia di esecuzione forzata nel d.l. n. 83/2015... in attesa della prossima puntata..., in Corr. giur., 2016, 180 ss.; s. MazzaMuto L’astreinte all’italiana si rinnova: la riforma della comminatoria di cui all’art. 614-bis c.p.c., in Eur. e dir. priv., 2016, 11 ss.; G. vallone, Le misure coercitive prima e dopo la riforma dell’art. 614-bis c.p.c. (legge 6 agosto 2015, n. 132 di conversione del d.l. 27 giugno 2015, 83), in Riv. esec. forz., 2016, 34 ss.; s. vinCRe, Le riforme dell’esecuzione forzata dell’estate 2015, in Riv. dir. proc., 2016, 436 ss.; M. Bove, Riforme sparse in materia di esecuzione forzata tra il d.l. n. 83/2015 e la legge di conversione n. 132/2015, in Riv. esec. forz., 2016, 23 ss. Si segnala che la novella del 2015 ha sollevato nuovi dubbi ermeneutici legati all’estensione della misura coercitiva anche agli obblighi fungibili e, quindi, al possibile concorso con l’esecuzione forzata in forma specifica.

7 Invero l’astreinte transalpina, da un lato, ha costituito la base giuridica per la creazione delle misure coercitive speciali e, dall’altro, mantiene comunque un carattere del tutto generale, trovando applicazione per ogni decisione giudiziale indipendentemente dalla natura dell’obbligazione che ne forma oggetto: in argomento si vedano le considerazioni di B. FiCCaRelli, L’esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori: l’esperienza italiana e francese a confronto, in Fam. dir., 2016, 95 ss.; per uno studio recente sulle astreintes soggette a un regime speciale nel diritto francese si rinvia a a. nasCosi, Le misure, cit., 90 ss.

8 Sul tema si vedano già l. saCChetti, L’esecuzione dei provvedimenti civili riguardanti i minori, in Riv. trim., 1988, 282, il quale osserva che nel campo del diritto familiare “ci sono da costruire relazioni umane, non da far scattare alogici meccanismi satisfattivi”; G. Costantino, Sull’esecuzione dei provvedimenti di affidamento della prole, in Atti del convegno “Persona e comunità familiare”, Napoli, 1985, 459 ss. Le fattispecie più frequenti riguardano i diritti di visita, il ripristino del rapporto genitoriale, il trasferimento unilaterale della residenza del minore, il corretto esercizio delle modalità di affidamento; in argomento, da ultimo, si vedano le riflessioni di R. Donzelli, Misure di contenimento della pandemia e affidamento condiviso dei figli minori: spunti per una riflessione attorno all’effettività del diritto alla bigenitorialità nel nostro ordinamento, in www.Judicium.it, 18 maggio 2020; B. Poliseno, Il diritto di visita ai tempi del Covid-19, in Foro it., 2020, V, 211.

9 Corte cost. 10 luglio 2020, n. 145, in www.Ilfamiliarista.it, 28 ottobre 2020, con nota di MontalCini, Mancato pagamento dell’assegno di mantenimento per i figli e sanzione pecuniaria del pagamento alla Cassa delle Ammende: la risposta della Consulta; in www.Ilquotidianogiuridico.it, 15 luglio 2020, con nota di C. tRaPuzzano, Mancato mantenimento prole: la sanzione amministrativa pecuniaria non concorre con l’illecito penale; in www.Dirittoegiustizia.it, 13 luglio 2020, con nota di MaRino, Mancato pagamento dell’assegno di mantenimento della prole: la sanzione amministrativa è incostituzionale?.

10 Cfr. Cass. civ., sez. I, 6 marzo 2020, n. 6471, in Fam. dir., 2020, 332 ss., con nota di B. FiCCaRelli, Misure coercitive e diritto-dovere di visita del genitore non collocatario; in Rass. esec. forz., 2020, 682 ss., con nota di a. Di BeRnaRDo, Misure coercitive indirette e obbligo di visita: c’era una volta il superiore interesse del minore. In senso conforme, nella giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2010, n. 21718 (secondo cui “l’intento del legislatore appare palesemente quello di fornire uno strumento per la soluzione di conflitti tra genitori, riguardo ai figli, che, a seguito della nuova normativa, potrebbero presentarsi più frequentemente”) e Cass. civ., sez. I, 27 giugno 2018, n. 16980 (dove si è fatta applicazione dell’art. 709-ter c.p.c. con riferimento alla violazione delle prescrizioni date dal giudice nel calendario delle visite del minore), entrambe in Dejure. In generale, con l’espressione “diritto di visita” si fa riferimento a “quell’insieme di accorgimenti volti a garantire continuità nel rapporto figlio-genitore non affidatario, o comunque non collocatario in caso di affidamento condiviso”: G Fanelli, Brevi note, cit., 1, nota 3. Sull’attuazione dei provvedimenti concernenti l’esercizio del diritto di visita e di ritorno nello spazio giuridico europeo si veda B. Poliseno, Profili, cit., 460 ss.

11 Così Cass. n. 6471 del 2020, cit.

12 Viene richiamata, in particolare, la decisione Reigado Ramos c. Portogallo

del 22 novembre 2005. La Suprema Corte precisa che dal diritto internazionale si ricava l’indicazione secondo la quale ogni intervento volto ad agevolare l’esercizio del diritto di visita debba ispirarsi al canone della ragionevolezza, la cui valutazione sembra pertanto rimessa al giudice del merito ex art. 337-ter c.c. tenuto conto dell’età del minore, della condotta del genitore non affidatario e delle altre circostanze del caso.

13 Cfr. ad esempio Trib. Modena 20 gennaio 2012, in Giur. mer., 2012, 600 ss.; Trib. Modena 17 settembre 2012, in Giur. loc. Modena, 2012; Trib. Varese 7 maggio 2010, in Fam. pers. succ., 2010, 472 ss.; Trib. Padova 3 ottobre 2008, in Fam. dir., 2009, 609 ss., con nota di F. FaRolFi, L’art. 709-ter c.p.c.; sanzione civile con finalità preventiva e punitiva; Trib. Napoli 7 marzo 2008, in Fam. e minori, 2008; Trib. Modena 29 gennaio 2007, in Fam. dir., 2007, 823 ss., con nota di C. onniBoni, Ammonizione e altre sanzioni al genitore inadempiente: prime applicazioni dell’art. 709-ter c.p.c. (l’autrice, peraltro, esprime perplessità in ordine alla soluzione accolta dal Tribunale); Trib. Modena 7 aprile 2006, in Dir. giust., 2006, 24 ss. In dottrina, per la tesi estensiva, si vedano a. GRaziosi, L’esecuzione forzata dei provvedimenti in materia di famiglia, in AA.VV., Diritto processuale della famiglia, Torino, 2016, 240; i. zinGales, Misure sanzionatorie e processo civile: osservazioni a margine dell’art. 709-ter c.p.c., in Dir. fam., 2009, 407; B. FiCCaRelli, L’esecuzione, cit., 109. Contra – sull’assunto che l’art. 709-ter c.p.c. sia dettato a presidio delle sole obbligazioni infungibili e che gli assegni di mantenimento godano già di forme privilegiate di tutela, civile e penale, tali da non lasciare spazio per l’irrogazione di misure coercitive – F. Danovi, Il processo, cit., 638 ss.; C. CeCChella, Diritto e processo, cit., 117; a. nasCosi, Le misure, cit., 186, nota 5; in giurisprudenza ha negato per queste ragioni l’utilizzo dell’art. 709-ter c.p.c. a tutela del contributo di mantenimento Trib. Pisa 12 marzo 2008, consultabile in Dejure.

14 Si veda Trib. Bologna 19 giugno 2007, in Fam. dir., 2008, 1159 ss., con nota di C. CiliBeRto, Controversie economiche sul mantenimento del minore: prime applicazioni dell’art. 709-ter c.p.c., dove si sostiene che tra le controversie prese in considerazione dall’art. 709-ter c.p.c. rientrano anche quelle inerenti al mantenimento del minore e alla ripartizione del contributo tra i genitori in quanto l’esercizio della potestà comporta l’assunzione di decisioni che possono avere riflessi economici; in termini simili, in dottrina, si esprimono F. toMMaseo, L’adempimento dei doveri parentali e le misure a tutela dell’affidamento: l’art. 709-ter c.p.c., in Fam. dir., 2010, 1064; L. saCChetti, Affido condiviso: i nodi da sciogliere, in Dir. e giust., 2006, 113 ss. La più recente giurisprudenza di legittimità, nell’affermare il principio per cui “il diritto al mantenimento dei figli maggiorenni perdura sino a quando gli stessi versino in una condizione di non autosufficienza incolpevole”, ha ribadito che l’idea che il diritto al mantenimento possa naturalmente esplicarsi anche oltre il raggiungimento della maggiore età si correla al fatto che esiste una “stretta e necessaria correlazione tra diritto-dovere all’istruzione e all’educazione e diritto al mantenimento”: così Cass. civ., sez. I, 14 agosto 2020, n. 17183, in Fam. dir., 2020, 1015 ss., con nota di F. Danovi, Obbligo di mantenimento del maggiorenne, autoresponsabilità e vicinanza della prova: si inverte l’onus probandi?



15 Sui rimedi avverso l’inadempimento delle obbligazioni patrimoniali in seno alla famiglia si veda, per un contributo recente, G. Fanelli, Alcune riflessioni sugli strumenti per l’adempimento degli obblighi a contenuto patrimoniale nel contesto familiare, in R. tisCini (a cura di), Nuovi orientamenti sul titolo esecutivo in funzione dell’efficienza della tutela giurisdizionale, Napoli, 2020, 171 ss., la quale osserva che il legislatore non ha predisposto un sistema unitario di tutela del credito, bensì delle soluzioni differenziate a seconda della situazione in cui versa la relazione familiare. Per un esame degli svariati provvedimenti adottabili, nel contesto della crisi della famiglia, a tutela del coniuge più debole o della prole si rinvia, per tutti, agli studi di carattere monografico di C. CeCChella, Diritto e processo, cit.; B. Poliseno, Profili, cit.; AA.VV., Diritto processuale di famiglia, a cura di a. GRaziosi, Torino, 2016; F. Danovi, Il processo, cit.; sulla centralità degli obblighi di mantenimento nel sistema delle garanzie attribuite ai minori, sempre attuale è lo studio di Ancone, La tutela dei crediti di mantenimento, Napoli, 1985.

16 Recante “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’art. 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103”, che ha introdotto nell’ordinamento penale il principio della riserva di codice al fine di conferire una maggiore organicità al sistema punitivo nel suo complesso. Sulle misure coercitive penali in esame cfr. F. toMMaseo, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: profili processuali, in Fam. dir., 2006, 401; a. CaRRatta, sub art. 709-ter c.p.c., in AA.VV., Le recenti riforme del processo civile, diretto da S. ChiaRloni, II, Bologna, 2007, 1567; e. vullo, Procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, in AA.VV., Commentario del codice di procedura civile, diretto da S. ChiaRloni, I, Bologna, 2011, 302. È utile osservare che, in caso di mancato versamento del contributo di mantenimento, il reato omissivo proprio di cui all’art. 570-bis c.p. sussiste anche se il minore non versa in stato di bisogno: cfr. Cass. pen., sez. VI, 13 giugno 2018, n. 27175, in Dejure, secondo cui la fattispecie criminosa riguarda un inadempimento successivo allo scioglimento, alla cessazione degli effetti civili o alla nullità del matrimonio (e non posto in essere in costanza di coniugio, come invece prevede l’art. 570, c. 1 c.p.) e sanziona la mera violazione degli obblighi specificamente patrimoniali derivanti da una delle situazioni testé indicate, o comunque previsti in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso della prole.

17 Con la conseguenza che il quesito non dovrebbe necessariamente ricevere una risposta unitaria: così G. Fanelli, Alcune riflessioni, cit., 187, 199 ss. In particolare, secondo l’autrice (alla quale si rinvia per un approfondimento delle posizioni emerse sul punto tra i giudici di merito) l’applicazione della misura coercitiva ex art. 709-ter c.p.c. consentirebbe ad esempio di superare, o quanto meno di aggirare, i problemi legati all’esecutività del provvedimento di condanna al pagamento delle c.d. “spese straordinarie” sostenute per il mantenimento della prole.

18 F. Danovi, Il processo, cit., 639.

19 Sotto altro profilo la sentenza segnalata ha affermato che l’art. 709-ter, c. 2, n. 4) c.p.c., nel prevedere tra i fatti costitutivi della fattispecie gli “atti che comunque arrechino pregiudizio al minore”, non viola il principio di legalità di cui all’art. 25, c. 2, Cost.; un tanto sul presupposto che il ricorso a un’enunciazione sintetica della norma incriminatrice, piuttosto che a un’analitica enumerazione dei comportamenti sanzionati, non comporta di per sé un vizio di indeterminatezza purché, mediante l’interpretazione integrata, sistemica e teleologica, sia possibile attribuire un significato chiaro, preciso e intelligibile alla previsione normativa. Per una critica al potere discrezionale di cui gode il giudice nel concedere o rifiutare le misure coercitive nonché nella fissazione del relativo ammontare cfr., sia pure con precipuo riguardo all’art. 614-bis c.p.c., C. CeCChella, Diritto e processo, cit., 244 ss., il quale osserva come il legislatore italiano si mostri poco sensibile verso il tema della tipicità della fattispecie e della sanzione, lasciando all’organo giudicante vere e proprie libertà nella determinazione delle medesime; M. Bove, La misura coercitiva di cui all’art. 614-bis c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 788; e. MeRlin, Prime note, cit., 1558; B. CaPPoni, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2017, 40; M.a. iuoRio, Il nuovo art. 614-bis c.p.c.: introduzione dell’esecuzione indiretta nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. esec. forz., 2009, 418.

20 Per la Consulta due procedimenti possono non solo essere avviati, ma anche concludersi con l’irrogazione di due distinte sanzioni purché ricorrano, congiuntamente, le seguenti condizioni: le sanzioni perseguano finalità differenti e abbiano in concreto per oggetto profili diversi del medesimo comportamento antisociale; la duplicità dei procedimenti costituisca una conseguenza prevedibile della condotta; vi sia una interazione probatoria tra i procedimenti, realizzata attraverso la collaborazione tra le autorità preposte alla definizione degli stessi; ricorra una stretta connessione sul piano temporale tra i due procedimenti, pur non strettamente paralleli, tale da non assoggettare l’incolpato a un “eterno giudizio” per il medesimo fatto; la sanzione comminata nel primo procedimento sia tenuta in considerazione nell’altro, in modo che venga rispettata una proporzionalità complessiva della pena. Ne deriva che “la previsione di un duplice binario sanzionatorio per il medesimo fatto non viola il principio di ne bis in idem” soltanto laddove “si tratti di procedimenti paralleli e integrati sotto l’aspetto sia sostanziale che temporale”: così Corte cost. n. 145 del 2020 cit. Sul tema si veda, da ultimo, n. MaDia, Ne bis in idem europeo e giustizia penale. Analisi sui riflessi sostanziali in materia di convergenze normative e cumuli punitivi nel contesto di uno sguardo d’insieme, Padova, 2020.

21 In tal senso si veda e. vullo, Affidamento dei figli, competenza per le sanzioni ex art. 709-ter e concorso con le misure attuative del fare infungibile ex art. 614-bis, in Fam. dir., 2010, 932, nota 27; l’autore, modificando la posizione assunta in precedenza a favore del modello transalpino (cfr. Id., Commento all’art. 2 l. n. 54/2006, in Nuove leggi civ. comm., 2008, spec. 234 ss.), assimila la misura alla Zwangsstrafen, pur riconoscendo che la stessa abbia caratteristiche tali da renderne difficile la riconduzione ad alcuno dei modelli stranieri più diffusi. Per a. nasCosi, Le misure, cit., 188, il rimedio di cui al n. 4) dell’art. 709-ter c.p.c., pur avendo il comune con l’astreinte francese il profilo sanzionatorio, se ne distingue sia per la natura pubblica del beneficiario sia per il fatto che rimane dubbia una pronuncia officiosa della sanzione amministrativa pecuniaria, sicché si sarebbe in presenza di una misura coercitiva nel senso stretto del termine; riconduce invecelostrumentoinquestioneall’astreinted’OltralpeF.Danovi,Ilprocesso,cit., 635, 641, nota 222. In generale sulla natura punitiva dei rimedi di cui all’art. 709-ter, c. 2, numeri 1) e 4) cfr. R. Donzelli, I provvedimenti, cit., 122 ss.

22 Così R. Donzelli, I provvedimenti, cit., 112. Per la natura propriamente coercitiva di tutte le misure ex art. 709-ter, c. 2 c.p.c. cfr. a. GRaziosi, L’esecuzione, cit., 241; F. Danovi, Le misure ex art. 709-ter c.p.c. in appello tra oneri di impugnazione e poteri del giudice, in Fam. dir., 2016, 172; C. CeCChella, Diritto e processo, cit., 240 ss., secondo cui si tratta di strumenti coercitivi ai quali, in caso di inadempimento, segue la sanzione, non essendo necessaria una preventiva indagine sugli elementi della fattispecie dell’illecito aquiliano. Il dibattito sull’appartenenza dei rimedi in discorso alla categoria delle sanzioni o ai paradigmi risarcitori di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c. adesso necessita di essere inquadrato alla luce di Cass. s.u. 5 luglio 2017, n. 16601 (in Riv. dir. civ., 2018, 283 ss., con nota di M. FRanzoni, Danno punitivo e ordine pubblico; in Foro it., 2017, I, 2639 ss., con nota di e. D’alessanDRo, Riconoscimento di sentenze di condanna a danni punitivi: tanto tuonò che piovve) che – nell’affrontare la questione “se la funzione riparatoria-compensativa, seppure prevalente nel nostro ordinamento, sia davvero l’unica attribuibile al rimedio risarcitorio e se sia condivisibile la tesi che ne esclude, in radice, qualsiasi sfumatura punitiva-deterrente” – ha segnalato la presenza nel nostro ordinamento di alcune disposizioni legislative che ammettono una sorta di danno punitivo (già menzionate nella precedente sentenza 15 aprile 2015, n. 7613 e nella stessa ordinanza di rimessione 16 maggio 2016, n. 9978, entrambe consultabili in Dejure): su queste misure risarcitorie con funzione anche sanzionatoria, nelle quali viene riconosciuta la natura polifunzionale della responsabilità civile, cfr., di recente, a. Pisani, Delitto e castigo: appunti sui rimedi risarcitori ultracompensativi nel vigente ordinamento, in Resp. civ. e prev., 2019, 1036 ss.

23 Cfr. ad esempio Trib. Firenze 10 novembre 2011, in Danno resp., 2012, 781 ss., con nota di D. aMRaM, Cumulo dei provvedimenti ex artt. 709-ter e 614-bis c.p.c. e adempimento dei doveri genitoriali. In giurisprudenza, per la tesi estensiva, si vedano anche Trib. Salerno 22 dicembre 2009, in Fam. dir., 2010, 924 ss., con nota di e. vullo, Affidamento dei figli, competenza per le sanzioni ex art. 709-ter e concorso con le misure attuative del fare infungibile ex art. 614-bis; Trib. minorenni Genova 26 settembre 2012, in Nuova giur. ligure, 2012, 44 ss.; Trib. Roma 10 maggio 2013, in Giur. mer., 2013, 2100, con nota di seRRao, Il giudizio di modifica delle condizioni di separazione e delle condizioni di divorzio; Trib. Roma 23 dicembre 2017, in Fam. dir., 2018, 380 ss., con nota di M. nitti, La pubblicazione di foto di minori sui social network tra tutela della riservatezza e individuazione dei confini della responsabilità genitoriale. In senso contrario all’opinione accolta nel testo cfr. a. Chizzini, Sub art. 614-bis, in La riforma della giustizia civile, Commento alle disposizioni della legge sul processo civile, n. 69/2009, diretto da Balena-CaPoni-Chizzini-MenChini, Torino, 2009, 165, che accorda prevalenza alle misure coercitive di settore, sia in forza del principio di specialità sia per il fatto che il legislatore abbia già provveduto a selezionare l’interesse da proteggere e il contenuto specifico della tutela da assegnare al creditore; C. Delle Donne, L’introduzione, cit., 125.

24 In termini simili si esprime F. toMMaseo, L’adempimento, cit., 1063; per e. vullo, Affidamento, cit., 931 ss., poiché l’art. 709-ter c.p.c. annovera già una misura coercitiva di natura patrimoniale, ossia la sanzione amministrativa pecuniaria, applicare anche l’art. 614-bis c.p.c. risulterebbe manifestamente iniquo con riguardo al n. 4) dell’art. 709-ter; in argomento cfr. anche e. zuCConi Galli FonseCa, Le novità della riforma in materia di esecuzione forzata, in Riv. trim., 2010, 210, secondo la quale il principio di specialità non impedisce che l’art. 614-bis possa essere applicato, in via residuale, in tutti i casi in cui non potrebbe operare l’art. 709-ter.

25 Così Cass. n. 6471 del 2020, cit. Il Collegio, richiamando Cass. 13 agosto 2019, n. 21341 (in Dejure), rileva che sulla scorta della lettura del superiore interesse del minore quale diritto a una crescita sana ed equilibrata la giurisprudenza di legittimità si è spinta fino al punto di ritenere giustificata l’adozione, in un contesto di affidamento, di provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori in ragione del loro carattere recessivo; ciò sarebbe confermato dalla Corte EDU laddove evidenzia la necessità di un rigoroso controllo sulle “restrizioni supplementari” apportate dalle autorità nazionali al diritto di visita dei genitori, le quali comportano il rischio di recidere le relazioni tra i figli in tenera età e uno o entrambi i genitori (in particolare il riferimento è al caso Solarino c. Italia del 9 febbraio 2017, relativo a un provvedimento con cui i giudici nazionali hanno disposto l’interruzione del diritto di visita del ricorrente nei confronti della figlia, senza considerare il ruolo fondamentale dell’apporto paterno per lo sviluppo psicofisico della minore). In generale sulla figura del minore quale soggetto di diritti nell’ordinamento giuridico internazionale e nel nostro ordinamento si veda B. Poliseno, Profili, cit., spec. 11 ss.

26 A sostegno dell’assunto la Suprema Corte richiama Cass. pen. 24 ottobre 2013, n. 51488, in Dejure. È appena il caso di notare che la soluzione adottata nell’ordinanza in esame lascia prive di una adeguata tutela molteplici situazioni pratiche se si considera l’infrequenza delle ipotesi in cui viene concesso l’affidamento esclusivo, oltre al carattere assai blando della responsabilità penale nella materia de qua.

27 In buona sostanza, nella comminatoria ex art. 614-bis c.p.c. il dato sanzionatorio andrebbe a stemperarsi in quello preventivo: sul punto cfr. a. GRaziosi, Sull’applicabilità ai procedimenti in materia di famiglia del dispositivo di esecuzione forzata indiretta ex art. 614-bis, in AIAF, 2012, 8, per il quale tuttavia la stessa violazione potrebbe essere punita alternativamente o in forza di una sanzione ex ante o in forza di una sanzione ex post, ma mai applicando queste ultime congiuntamente allo stesso comportamento, con la conseguenza che, se con la sentenza di separazione o divorzio il giudice fissa l’astreinte, quelle stesse condotte non potranno più essere sanzionate ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c. e viceversa; in altri termini, tra le misure ex artt. 614-bis e 709-ter si prospetterebbe una sorta di concorso elettivo. In favore del cumulo si esprimono, di recente, a. nasCosi, Le misure, cit., 194; R. Donzelli, I provvedimenti, cit., 134 ss.

28 Si potrebbe infatti irrogare la sanzione amministrativa pecuniaria e garantire per il futuro la corretta attuazione della condanna in tema di affidamento mediante la misura di cui all’art. 614-bis c.p.c. dal momento che i due rimedi non si sovrappongono, l’uno colpendo la parte per la violazione già avvenuta e l’altro rivolgendosi a eventuali e successive inadempienze. Cfr. peraltro e. zuCConi Galli FonseCa, Le novità, cit., 210, secondo la quale nell’ipotesi di cui al n. 4) dell’art. 709-ter, c. 2 c.p.c. ove si prevede che la somma derivante dalla misura coercitiva venga percepita dallo Stato, pur essendo in astratto ammissibile il concorso con l’art. 614-bis, scatterebbe inevitabilmente la clausola di iniquità che precluderebbe il cumulo tra le due tipologie di astreinte; negli stessi termini si esprime R. Donzelli, I provvedimenti, cit., 136, per cui si potrebbe ritenere iniquo un inasprimento eccessivo della risposta sanzionatoria anche ai sensi dell’art. 614-bis. Diversamente secondo Vullo, Affidamento, cit., 931 ss., l’applicazione della misura generale sarebbe ingiusta per il fatto che il n. 4) dell’art. 709-ter annovera già una misura coercitiva di natura patrimoniale.

29 Cfr. a. RonCo, L’art. 614-bis c.p.c. e le controversie in materia di famiglia, in Giur. it., 2014, 761. Per M. PalaDini, Misure sanzionatorie e preventive per l’attuazione dei provvedimenti riguardo ai figli, tra responsabilità civile, punitive damages e astreinte, in Fam. dir., 2012, 859, la fissazione di una somma di denaro per ogni inosservanza riguardante le modalità di affidamento, ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c., si risolve in una “predeterminazione giudiziale dell’entità del risarcimento sanzionatorio dovuto per l’ipotesi di violazione dei provvedimenti relativi alla prole”; se ne fa conseguire che il successivo inadempimento non solo non precluderebbe l’applicazione delle ulteriori misure previste dall’art. 709-ter c.p.c., ma permetterebbe altresì al giudice di liquidare il “risarcimento” nella somma già preventivamente stabilita nella pronuncia rimasta inosservata.

30 In tal senso si veda a. GRaziosi, L’esecuzione, cit., 249 ss., il quale osserva come la soluzione opposta condurrebbe all’esito paradossale per cui il giudice, pur potendo liberamente disporre in ordine all’affidamento dei figli, sarebbe viceversa soggetto alle richieste delle parti per garantire il rispetto di quegli stessi obblighi.

31 Cfr. F. Danovi, Il processo, cit., 648, il quale insiste sulla natura sanzionatoria e pubblicistica assegnata alle misure ex art. 709-ter c.p.c. Secondo la dottrina maggioritaria tali rimedi possono essere adottati d’ufficio solo nei casi di cui ai numeri 1) e 4), trattandosi di strumenti meramente sanzionatori, mentre per le misure previste dai numeri 2) e 3) occorre una iniziativa di parte: così, ad esempio, M. luPoi, Aspetti processuali della normativa sull’affidamento condiviso, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1092; per R. Donzelli, I provvedimenti, cit., 112 ss., il risarcimento ex art. 709-ter può eventualmente essere disposto d’ufficio con esclusivo riferimento al minore, laddove invece la norma presuppone la domanda della parte nel caso in cui si debba provvedere con la condanna al risarcimento nei confronti dell’altro genitore.

32 Trib. Roma 23 dicembre 2017, cit.: in particolare nel c.d. “caso facebook” il Tribunale ha irrogato l’astreinte per costringere una madre a interrompere la diffusione di immagini, notizie e dettagli relativi al figlio nei social network, nonché a rimuovere tali dati. Cfr. anche Trib. Milano 7 gennaio 2018, in www. Dirittoegiustizia.it, che ha ritenuto applicabile, oltre all’art. 709-ter c.p.c., anche l’art. 614-bis c.p.c. disponendo quest’ultima misura ex officio nei confronti di una madre che ostacolava il rapporto tra padre e figlio. È stato osservato che la tesi dell’applicabilità d’ufficio della misura coercitiva generale, per un verso, sembra maggiormente coerente con la natura personale e indisponibile degli obblighi familiari e, per l’altro, appare funzionale a tutelare il diritto del minore alla bi-genitorialità onde consentirne una corretta rappresentazione della realtà relazionale: così Trib. Roma 27 giugno 2014, in Dejure.

33 L’espressione è utilizzata in senso parzialmente atecnico, al fine di indicare che il carattere di urgenza dell’intervento può giustificare, rispetto al provvedimento sull’affido, l’attribuzione al giudice di poteri particolarmente incisivi: sul punto cfr. s. PeRon, Sul divieto di diffusione sui social network delle foto e di altri dati personali dei figli, in Resp. civ. e prev., 2018, 589 ss. In termini, ma con riguardo all’art. 709-ter c.p.c., si veda Corte App. Venezia 21 gennaio 2015, in Fam. dir., 2016, 169 ss., con nota di F. Danovi, Le misure ex art. 709-ter c.p.c. in appello, tra oneri di impugnazione e poteri del giudice, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, 799 ss., con nota di PaRisi, Sulla modifica in corso di causa dei provvedimenti di affidamento ex art. 709-ter, comma 2° c.p.c.: la pronuncia, sul presupposto della natura cautelare e coercitiva delle misure ex art. 709-ter, ha affermato che nel processo di separazione le stesse possono essere richieste in grado di appello anche laddove il capo relativo all’affidamento non sia stato espressamente impugnato dalla parte, con la conseguenza che non è necessario instaurare un separato procedimento di modifica ai sensi dell’art. 710 c.p.c.

34 In tal senso si è già espresso R. Donzelli, I provvedimenti, cit., 138 ss. Fatte salve le peculiarità evidenziate nel testo, nel giudizio sulla crisi familiare troveranno applicazione le dinamiche procedimentali ordinariamente previste dall’art. 614-bis c.p.c.: pertanto, la misura coercitiva generale potrà essere richiesta fino all’udienza di precisazione delle conclusioni; il giudice dovrà accertare che l’astreinte non appaia manifestamente iniqua (sul punto cfr. peraltro a. nasCosi, Le misure, cit., 197, secondo cui nel settore in esame tale requisito risulterebbe attenuato, poiché difficilmente una misura compulsoria a tutela dell’affidamento del minore potrà dirsi ingiusta); la misura sarà quantificata sulla scorta dei parametri di cui al secondo comma dell’art. 614-bis; infine, il capo comminatorio costituirà titolo esecutivo in favore del genitore avente diritto, il quale potrà agire contro la parte inadempiente autoliquidando il relativo importo nell’atto di precetto.

35 Si tratta di una prospettiva da tempo sottolineata dalla dottrina: cfr. ad esempio M. DoGliotti, Doveri familiari e obbligazione alimentare, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, Milano, 1994, 50, per cui l’indissolubile collegamento tra diritto al mantenimento, all’educazione e all’istruzione (secondo la formula dell’art. 30, c. 1 Cost.) potrebbe indurre a immaginare l’esistenza di un obbligo sostanzialmente unitario che assume, in base alle circostanze, un contenuto differenziato. Che nei rapporti familiari non si tratti mai di interessi esclusivamente economici è ben evidenziato, di più recente, da F. Danovi, Obbligo di mantenimento, cit., 1026; Fanelli, Alcune riflessioni, cit., 169. In generale sul tema della c.d. “tutela differenziata”, pensata dal legislatore per la protezione dei diritti emergenti nelle relazioni familiari, si rinvia a C. CeCChella, Diritto e processo, cit., 223, secondo il quale il profilo connesso all’attuazione dei provvedimenti in materia familiare è la caratteristica principale dell’intera costruzione sulla tutela differenziata.

36 Si veda peraltro la diversa posizione di a. nasCosi, Le misure, cit., 103, secondo il quale una lettura estensiva dell’art. 614-bis c.p.c. consentirebbe una più energica tutela dell’avente diritto, che deve spesso sopportare estenuanti attese prima di poter recuperare il proprio credito. Altri autori auspicano che le obbligazioni pecuniarie possano, in un prossimo futuro, essere assistite dalla misura coercitiva: così B. FiCCaRelli, L’esecuzione, cit., 109.

37 L’art. 5 d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, anch’esso nella sua nuova formulazione in attuazione della dir. 2011/7/UE, prevede che gli interessi moratori nei rapporti contrattuali tra imprese e tra imprese e pubbliche amministrazioni siano determinati nella misura degli interessi legali di mora, che l’art. 2, lett. e) ed f) d.lgs. n. 231 del 2002 fissa al tasso applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principale, maggiorato di otto punti percentuali: sulla disciplina riformata dei ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali cfr., per tutti, AA.VV., in BeneDetti-PaGliantini (a cura di), I ritardi nei pagamenti, Milano, 2016. Sul nuovo tasso legale introdotto dall’art. 17, c. 1 d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito nella l. 10 novembre 2014, n. 162, si vedano C. Consolo, Un d.l. processuale in bianco e nerofumo sull’equivoco della “degiurisdizionalizzazione”, in Corr. giur., 2014, 1181 ss.; PaRDolesi-sassani, Il decollo del tasso di interesse: processo e castigo, in Foro it., 2015, V, 62 ss.; RoMano-FusChino, L’aumento del saggio di interesse moratorio e i suoi effetti sul tasso di litigiosità, ivi, 2015, V, 70 ss.; Tedoldi, Le novità, cit., 180.

38 In tal senso si vedano s. MazzaMuto, L’astreinte, cit., 42 ss.; De steFano, I procedimenti esecutivi, Milano, 2016, 306; Siclari, Infungibilità tra il dare e il fare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 607, secondo cui misura compulsoria si sommerebbe a misura compulsoria; sulla natura di misura di coercizione indiretta del tasso ex art. 1284, commi 4 e 5 c.c. cfr. F. PiRaino, I ritardi di pagamento e la novella dell’art. 1284 c.c., in BeneDetti-PaGliantini (a cura di), I ritardi nei pagamenti, cit., 151 ss. È utile osservare che la preoccupazione di evitare un cumulo di misure coercitive non è stata invece avvertita nell’ambito dei rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione, la quale gode della fama di pessimo pagatore ed è oggi assoggettabile a mezzi di coazione indiretta per la soddisfazione dei propri debiti, con la conseguenza che potrebbe profilarsi una ingiustificata disparità di trattamento a detrimento del creditore civilistico. Cfr. peraltro Cons. Stato ad. plen. 9 maggio 2019, n. 7, in Rass. esec. forz., 2020, 149 ss., con nota di a. Di BeRnaRDo, Modifica dell’astreinte in ottemperanza: l’adunanza plenaria del consiglio di stato detta le istruzioni per l’uso (a cui sia consentito il rinvio per un approfondimento sul tema), che, nell’affrontare la questione se l’astreinte contenuta in una precedente sentenza di ottemperanza possa essere modificata in sede di chiarimenti, sembra aver introdotto un elemento di rottura rispetto all’orientamento – accolto da Cons. Stato ad. plen. 25 giugno 2014, n. 15, in www.Giustizia-amministrativa.it, e poi recepito dal legislatore dell’art. 114, c. 4, lett. e) c.p.a. – circa la cumulabilità della penalità di mora con la somma dovuta a titolo di interessi moratori.

39 Così B. sassani, Possono gli arbitri pronunciare l’astreinte?, in www.Judicium. it, 16 gennaio 2018, §5, il quale osserva, al contempo, che anche la condanna agli interessi serve a spingere il debitore ad adempiere. Sul punto si vedano anche le riflessioni di G. MiCColis, Prospettive ed evoluzione del processo esecutivo in Italia, in Judicium, 2017, 84, secondo il quale “l’applicazione della misura coercitiva a fianco anche del provvedimento di condanna al pagamento di somma di denaro determinerebbe un vero e proprio supplizio in capo al debitore inadempiente”; s. vinCRe, Le misure coercitive ex art. 614-bis c.p.c. dopo la riforma del 2015, in www.Scuolamagistratura.it, 2017, 380, per cui, qualora in prospettiva de iure condendo dovesse optarsi per l’estensione dell’art. 614-bis c.p.c. alle obbligazioni pecuniarie, non si potrebbe comunque dimenticare che una funzione latu sensu coercitiva viene ora svolta dalla previsione del nuovo quarto comma dell’art. 1284 c.c. La tesi accolta nel testo sembra trovare un riscontro nella ricostruzione offerta da Cons. Stato ad. plen. 9 maggio 2019, n. 7, cit., nella parte in cui si afferma che la recente riforma legislativa dell’art. 114 c.p.a., nel fare riferimento agli interessi legali come indice di equità dell’astreinte amministrativa, avrebbe creato un collegamento indiretto con il parametro del “danno quantificato o prevedibile” ex art. 614-bis, c. 2 c.p.c.

40 Cfr. G. vallone, Le misure, cit., 45. La tesi che nell’istituto ex art. 614-bis c.p.c. sussista una natura concorrentemente indennitaria (oltre che primariamente deterrente) è confortata dalla circostanza per cui la norma stabilisce che la condanna comminatoria può essere adottata solo su istanza di parte, identificando al contempo il beneficiario del relativo importo nel privato che subisce l’altrui inadempimento o ritardo; non vi è poi alcun riferimento all’estraneità della misura rispetto al risarcimento dei danni; occorre invece tener conto, ai fini della liquidazione della comminatoria, del danno prevedibile o già quantificato. Si precisa che in questo caso si potrà parlare di “risarcimento del danno” soltanto a patto di essere consapevoli che, al di là della nomenclatura utilizzata, si è dinanzi a un paradigma completamente nuovo, il quale, non presupponendo la prova specifica di un danno esistente, entra in gioco ogniqualvolta siano intervenuti comportamenti ritenuti lesivi di una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela: in termini simili si esprime, nella dottrina francese, FossieR, Les astreintes, in Droit et pratique des voies d’exécution, diretto da GuinChaRD-Moussa, Dalloz, 2015/2016, 436.

41 In effetti, fino al momento attuale, la giurisprudenza ha dispensato la misura coercitiva con estrema parsimonia e neppure la classe forense ha dato mpulso all’impiego dello strumento, raramente avanzando la relativa istanza in giudizio: per B. CaPPoni, Ancora su astreinte e condanna civile, in www.Judicium. it, 12 settembre 2017, §4, “quel riferimento negativo, che un legislatore balbuziente ha inserito nel 1° co. dell’art. 614-bis senza averne chiari gli esatti termini, è potenzialmente in grado di porre fuori gioco la tutela esecutiva indiretta”. In senso critico si esprimono anche, tra i molti, C. Delle Donne, L’introduzione, cit., 135; F. toMMaseo, L’esecuzione indiretta e l’art. 614-bis c.p.c., in Riv. dir. proc., 2014, 270; a. nasCosi, Le misure, cit., 157, secondo il quale la clausola della non manifesta iniquità risulta oggi anacronistica, dal momento che la riforma del 2015 ha esteso l’impiego della misura anche agli obblighi fungibili.

42 Cfr. a. CaRRatta, Le novità in materia di misure coercitive per le obbligazioni di fare infungibile o di non fare, in Rass. for., 2009, 728; GaMBinieRi, Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare, in Foro it., 2009, V, 323. Per altri autori la misura è iniqua, ad esempio, se il creditore può chiedere la pronuncia costitutiva di cui all’art. 2932 c.c. (così G. Balena, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (Un primo commento della l. 18/06/09, n. 69), in Giusto proc. civ., 2009, 798), o l’inadempimento o il ritardo gli comportino un danno particolarmente tenue o addirittura un vantaggio patrimoniale (cfr. F. De steFano, L’esecuzione indiretta: la coercitoria, via italiana alle “astreintes”, in Corr. merito, 2009, 1183), oppure se al debitore sia richiesto il compimento di una prestazione implicante qualità personali a fronte di un interesse meramente patrimoniale del creditore (in tal senso si vedano a. Chizzini, sub art. 614-bis, cit., 170; G. Costantino, Tutela di condanna e misure coercitive, in Giur. it., 2014, 742), o l’adempimento dell’obbligazione cui è tenuto dipenda dalla collaborazione di un terzo (cfr. in giurisprudenza Trib. Monza 11 febbraio 2016, in Corr. giur., 2017, 1423).

43 Che siano, beninteso, del tutto fungibili rispetto alla tutela compulsoria ex art. 614-bis c.p.c.: in termini simili si esprime e. zuCConi Galli FonseCa, Le novità, cit., 205. Sul diverso problema del coordinamento tra esecuzione diretta (esclusa, in ogni caso, l’espropriazione forzata) ed esecuzione indiretta, per i provvedimenti concernenti obblighi che possono essere attuati a norma dell’art. 612 ss. c.p.c., si veda s. MazzaMuto, L’astreinte, cit., 30, il quale percorre la strada del c.d. “cumulo temperato”: essa consente di applicare all’art. 614-bis c.p.c. una logica di tipo rimediale che attribuisce al giudice l’apprezzamento in concreto degli interessi delle parti, individuando proprio nella valutazione di non manifesta iniquità il principale “canale di collegamento” tra le due forme di esecuzione, con la conseguenza che secondo l’autore la riforma del 2015 avrebbe sancito il passaggio dall’infungibilità processuale come tecnica di ampliamento alla fungibilità processuale come tecnica di contenimento; in argomento cfr. anche Id., La nozione di rimedio nel diritto continentale, in Eur. e dir. priv., 2007, 585 ss.; MazzaMuto-Plaia, I rimedi nel diritto privato europeo, Torino, 2012, 1 ss.

44 Sul punto cfr. B. CaPPoni, Ancora su astreinte, cit., §4, secondo il quale il legislatore ha coniato un modello di equità “ostativa” per cui, sebbene in punto di legittimità il provvedimento compulsorio si giustifichi, esso diviene iniquo sulla base di una valutazione negativa che si aggiunge, completandola, a quella di stretta legittimità. Per s. MazzaMuto, L’esordio, cit., 647, la norma di cui all’art. 614-bis c.p.c. è improntata all’equità non solo come parametro per assicurare la congruità della misura coercitiva adottata, ma anche come criterio per determinare l’entità della somma da corrispondere al creditore, sicché l’autore sembrerebbe configurare il profilo in questione come una valutazione posta a cavallo tra la sfera dell’an e quella del quantum (in senso analogo si veda, sia pure in termini dubitativi, P. PuCCiaRiello, L’esperienza straniera dell’esecuzione forzata indiretta, in AA.VV., L’esecuzione processuale indiretta, cit., 47); contra Consolo-GoDio, sub art. 614-bis, cit., 1339 ss.

45 Invero la giurisprudenza ha enucleato una specifica tipologia di danno, il “danno da privazione genitoriale”, il quale si verifica quando uno o entrambi i genitori fanno mancare al figlio la presenza e il sostegno necessari al suo percorso di crescita: cfr., ad esempio, Trib. Roma 13 settembre 2011, in Fam. dir., 2012, 817 ss., con nota di F. lonGo, La madre collocataria impedisce al padre di vedere il figlio: condannata ad un esemplare risarcimento del danno, a cui si rinvia per riferimenti sull’evoluzione giurisprudenziale in materia. Ne deriva che, anche da questo punto di vista, la qualificazione del diritto di visita in termini di potere-funzione segna “un’improvvisa inversione di rotta” da parte della Corte di cassazione: così B. FiCCaRelli, Misure, cit., 344. Sui rapporti tra il rimedio risarcitorio di cui all’art. 709-ter, c. 2, numeri 2) e 3) c.p.c. e il risarcimento del danno da c.d. illecito endofamiliare ex artt. 2043 e 2059 c.c. si veda, anche per gli aspetti processuali, R. Donzelli, I provvedimenti, cit., 120 ss.; in argomento cfr. altresì Cassano, MaRavisi, Danno esistenziale e danni punitivi: profili risarcitori e quantificazione nella famiglia in crisi, in Danno resp., 2016, 685.

46 La tesi è di R. Donzelli, I provvedimenti, cit., 137, il quale evidenzia che per i doveri genitoriali a contenuto più specifico e puntuale l’art. 709-ter c.p.c., in quanto sanzione ex post, si rivela inefficace, rendendosi necessario l’impiego dell’art. 614-bis c.p.c.: in pratica, considerato che nella materia in esame si ha a che fare con diritti di primario rilievo costituzionale, l’interprete è chiamato ad applicare tutte le norme che consentono di raggiungere l’obiettivo di garantire una tutela giurisdizionale effettiva. Per B. FiCCaRelli, L’esecuzione, cit., 96, inoltre, lo stesso art. 337-ter, c. 2 c.c. avrebbe conferito al giudice il potere di attuare le decisioni sull’affidamento della prole facendo ricorso all’art. 614-bis, in quanto strumento che per il tramite della coazione indiretta è idoneo a perseguire tale scopo.

47 E un percorso simile è stato compiuto nell’ordinamento belga: cfr. D. aMRaM, Cumulo, cit., 785; sull’astreinte belga si rinvia, per tutti, a van CoMPeRnolle-De leval, L’astreinte, 3a ed., Bruxelles, 2013. Si consideri poi che nel modello transalpino, diversamente da quanto accade nei sistemi italiano e belga, l’astreinte è idonea ad attuare tutti i provvedimenti condannatori, ivi inclusi quelli di natura pecuniaria, trovando quindi applicazione anche a tutela degli obblighi di carattere economico in seno alla famiglia: sull’ampia sfera di applicazione, soggettiva e oggettiva, della misura francese si veda A. nasCosi, Le misure, cit., 52 ss.

48 In particolare, nelle ipotesi in cui si dia seguito all’esecuzione forzata diretta nonostante l’astringente, la misura compulsoria assume una valenza anche compensativa rispetto al ritardo nell’adempimento che la apparenta, sul piano funzionale, all’ordinaria vicenda degli interessi moratori per i ritardi nei pagamenti, rendendo ragione dell’esclusione delle obbligazioni pecuniarie dall’orbita applicativa dell’astreinte nostrana: si veda supra al §4.