inserisci una o più parole da cercare nel sito
ricerca avanzata - azzera

Ancora sui limiti dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne (nota a Cass. Civ., ord. 14 agosto 2020, n. 17183)

autore: F. Ferrandi

Sommario: 1. Premessa. - 2. Il caso di specie. - 3. La disciplina di riferimento e i fondamenti sostanziali del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne. - 4. La cessazione del dovere genitoriale: conseguimento di una “adeguata autosufficienza economica” e la colpevole inerzia del figlio nel mancato raggiungimento della medesima. - 5. In merito all’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento. - 6. Conclusioni.



1. Premessa Con la sentenza resa in data 14 agosto 2020 la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in merito al ricorso presentato da una madre di un figlio trentatreenne con lei convivente e in condizioni di lavoro precario, a fronte della riduzione dell’assegno di mantenimento in favore della medesima per il figlio e della revoca dell’assegnazione della ex casa familiare, ha assunto una posizione fortemente innovativa in merito ai limiti entro i quali il figlio maggiorenne non completamente autosufficiente ha diritto al mantenimento, estendendo la propria funzione nomofilattica all’estrinsecazione del principio di autoresponsabilità e di ridimensionamento delle proprie ambizioni, così che l’obbligo dei genitori non si protragga sine die.



2. Il caso di specie

Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte si trattava di decidere in merito all’impugnazione promossa da una madre di un figlio trentatreenne con lei convivente e in condizioni di lavoro precario avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, la quale, in riforma della decisione del Tribunale di Grosseto che aveva ridotto (da euro 300,00 ad euro 200,00 mensili) l’assegno di mantenimento in favore della medesima per il figlio, insegnate precario di musica, aveva revocato l’assegno in questione, nonché l’assegnazione della casa familiare. La madre, quindi, decideva di impugnare la decisione della corte fiorentina lamentando, da un lato, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., avendo, a suo dire, la sentenza impugnata affermato erroneamente che il figlio avesse conseguito redditi significativi (quasi euro 21.000,00 annui) e non avendo, invece, tenuto conto che questi, inserito nelle graduatorie di terza fascia, quale docente non abilitato compiva esclusivamente supplenze occasionali e doveva frequentare un tirocinio di circa un anno sino alla concorrenza di euro 3.600,00 a titolo di tassa di iscrizione, per poter essere inserito nelle graduatorie al fine di ottenere, in futuro, una cattedra di insegnante a tempo indeterminato; dall’altro, la violazione e falsa applicazione degli artt. 147, 148, 315-bis, 316-bis, 337-sexies e 337-septies c.c., per aver la corte di merito omesso di considerare che il figlio aveva prescelto la carriera dell’insegnamento, che porta alla conclusione, a men del raggiungimento della suddetta posizione in graduatoria, di meri contratti a tempo determinato (supplenze) e come tale è di fatto incapace di garantire ad un soggetto l’effettivo autonomo sostentamento.

A detta della ricorrente, dunque, non esisterebbe alcun limite di età al diritto di un figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente a continuare a ricevere sine die un contributo economico del genitore in precedenza obbligato a versare un assegno in suo favore, nonché a mantenere il godimento della casa familiare. La Suprema Corte ha trattato congiuntamente entrambi i motivi di impugnazione attinenti ai limiti dell’obbligo al mantenimento e li ha ritenuti in parte inammissibili ed in parte infondati, in quanto il principio di autoresponsabilità vigente nel nostro ordinamento impone ai figli maggiorenni, una volta terminati gli studi, di attivarsi per assicurarsi un autonomo sostentamento, in attesa di trovare un lavoro che sia più confacente alle proprie aspirazioni e inclinazioni, senza che siano i genitori a doversi adattare a qualsiasi lavoro per sostentarli, in quanto “la pienezza della scelta esistenziale personale deve pur fare i conti nel bilanciamento con le libertà e diritti altrui di pari dignità”1 . Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, quindi, ha un limite che va desunto considerando la durata ufficiale degli studi ed il tempo del quale un giovane laureato necessita, normalmente, per trovare un impiego in un dato contesto economico, salvo che il figlio non provi non solo che non sia stato possibile procurarsi il lavoro ambito per causa a lui non imputabile, ma che neppure un altro lavoro fosse conseguibile, tale da assicurargli l’automantenimento. Nella valutazione complessiva, occorre dare peso anche all’adeguatezza e alla ragionevolezza delle opzioni formative operate dal figlio rispetto alle condizioni della famiglia, cui non è ammesso imporre un contributo per essa eccessivamente gravoso e non rientrante nelle sue concrete possibilità economiche, tenuto conto, secondo buona fede, della non imponibilità di un eccessivo sacrificio alle altrui esigenze di vita. Secondo la Suprema Corte, in conclusione, tra le evenienze che comportano il sorgere del diritto al mantenimento in capo al figlio maggiorenne non autosufficiente, si pongono, fra le altre: a) la condizione di una peculiare minorazione o debolezza delle capacità personali, pur non sfociate nei presupposti di una misura tipica di protezione degli incapaci; b) la prosecuzione di studi ultraliceali con diligenza, da cui si desuma l’esistenza di un iter volto alla realizzazione delle proprie aspirazioni ed attitudini, che sia ancora legittimamente in corso di svolgimento, nella misura in cui vi si dimostrino effettivo impegno ed adeguati risultati, mediante la tempestività e l’adeguatezza dei voti conseguiti negli esami del corso intrapreso; c) l’essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla conclusione degli studi, svolti dal figlio nell’ambito del ciclo di studi che il soggetto abbia reputato per sé idoneo, lasso in cui questi si sia razionalmente ed attivamente adoperato nella ricerca di un lavoro; d) la mancanza di un qualsiasi lavoro, pur dopo l’effettuazione di tutti i possibili tentativi di ricerca dello stesso, sia o no confacente alla propria specifica preparazione professionale. In assenza della prova di una delle predette fattispecie, raggiunta la maggiore età si presumono l’idoneità del reddito del figlio e il venir meno del suo diritto al mantenimento ulteriore.



3. La disciplina di riferimento e i fondamenti sostanziali del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne



Al fine di comprendere l’iter seguito dalla giurisprudenza nell’affrontare la questione del mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente economicamente, risulta opportuno, ad avviso di chi scrive, precisarne in primo luogo il fondamento e la relativa disciplina. Il dovere di mantenimento del figlio, oltre il raggiungimento della maggiore età, è sancito dall’art. 30, comma 1, Cost., (norma che prevede la responsabilità dei genitori per il fatto stesso della procreazione, senza termini né condizioni) e dagli artt. 147, 148, 315-bis e 316-bis c.c., che, a loro volta, impongono ad entrambi i genitori l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle inclinazioni, delle aspirazioni della stessa, e delle raggiunte capacità professionali, in proporzione alle rispettive sostanze. Con disposizione innovativa, la l. n. 54 del 2006, a salvaguardia di tale dovere da parte dei genitori in crisi, ha disciplinato, per la prima volta, la posizione dei figli maggiorenni introducendo regole diverse, rispettivamente agli artt. 337-ter (provvedimenti riguardo ai figli) e 337-septies c.c. (disposizioni in favore dei figli maggiorenni)2 , prevedendo, in particolare, che l’obbligo dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli non cessa per il solo fatto del raggiungimento della maggiore età da parte di quest’ultimi. Le ragioni che hanno condotto, nel corso del tempo, al perdurante obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne in capo ai genitori, sono da rintracciarsi in fattori sociali, familiari ed economici quali, per esempio, il mutamento dei rapporti genitori-figli, le migliorate condizioni familiari, l’allungamento dei percorsi di studio, la crisi dei livelli occupazionali, a cui vanno aggiunte le novelle in materia di filiazione intervenute nel corso degli ultimi anni. Mi riferisco, in particolare, alle norme di cui agli artt. 315-bis e 316-bis c.c., introdotte ad opera della l. n. 219 del 20123 e del d.lgs. n. 154 del 20134 , le quali, attribuendo ulteriore valore alle norme costituzionali di cui agli artt. 2 e 30, ossia alle “capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni” del figlio, hanno portato a riconoscere il dovere di mantenimento de quo non più volto solo a portare a termine un percorso di studio o a far conseguire un’indipendenza economica per mezzo dello svolgimento di un’attività lavorativa stabile e retribuita, ma, più in generale, a far conseguire un’indipendenza economica proporzionale alle proprie attitudini, potenzialità e aspirazioni, nel contesto della concreta realizzazione di un più ampio progetto esistenziale5 . La norma di riferimento dell’odierno thema decidendum è, quindi, rappresentata dall’art. 337-septies, comma 1, c.c., (“il giudice valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico”), la quale ha sostituito il previgente art. 155-quinquies c.c., individuando, senza ulteriori precisazioni, il momento della cessazione dell’obbligo di mantenimento nel raggiungimento dell’indipendenza economica da parte del figlio, in tal modo anche recependo quanto da tempo affermato al riguardo sia in dottrina che in giurisprudenza6 . La questione, dunque, si pone, in generale, “fuori dalla specifica situazione di una crisi coniugale”7 (dove, spesso, il reale conflitto coinvolge “solo” i genitori e i loro interessi e non il figlio maggiorenne ormai adulto), restando quindi estranea al rapporto fra i genitori, dal momento che l’assegno di cui si discute è versato direttamente nelle mani dell’avente diritto, salva diversa decisione del giudice al riguardo (art. 337-septies, comma 2, c.c.), con la conseguenza, quindi, che il genitore “convivente” non solo non avrà più alcun titolo per agire in giudizio nei confronti di quello tenuto alla corresponsione del contributo, ma addirittura che un versamento dello stesso nelle sue mani potrà essere contestato dal figlio maggiorenne. Con riferimento, poi, alla nozione indeterminata di “indipendenza economica”, dalla cui integrazione discende il diritto all’assegno per il figlio maggiorenne, l’obbligo che ne consegue in capo al genitore non è posto automaticamente dal legislatore, ma è rimesso alla dichiarazione giudiziale secondo il criterio generale e usuale delle “valutazione delle circostanze” del caso concreto8 : al riguardo, la giurisprudenza è incline a ricomprendervi quanto è necessario per soddisfare le primarie esigenze di vita, essendo di contro irrilevante la circostanza che l’attività lavorativa intrapresa dal figlio risulti più umile rispetto a quella svolta dal genitore obbligato e che, di conseguenza, gli assicuri la percezione di un reddito inferiore9 . In particolare, in merito all’idoneità del trattamento economico a soddisfare le primarie esigenze di vita, la stessa giurisprudenza ha più volte espressamente richiamato la disciplina di cui all’art. 36 Cost., la quale sancisce il principio di sufficienza e adeguatezza della retribuzione a consentire un’esistenza dignitosa10. Pertanto, dal momento che è la stessa legge a fondare l’estinzione dell’obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, una volta acquisita la capacità di agire e la libertà di autodeterminazione raggiunta la maggiore età, secondo la Suprema Corte “non è dunque necessaria una prescrizione legislativa, che, come da taluno in dottrina aveva auspicato, fissi in modo specifico l’età in cui l’obbligo di mantenimento del figlio viene meno: in quanto, sulla base del sistema positivo, tale limite è già rinvenibile e risiede nel raggiungimento della maggiore età, salva la prova (sovente raggiunta agevolmente ed in via indiziaria) che il diritto permanga per l’esistenza di un percorso di studi o, più in generale, formativo in fieri, in costanza di un tempo ancora necessario per la ricerca comunque di un lavoro o sistemazione che assicuri l’indipendenza economica”11. E proprio in merito al percorso di studi, si osserva come la sentenza in commento prenda le distanze da alcuni precedenti di legittimità12 sostenendo che le ambizioni di un figlio possano ridimensionarsi al fine del raggiungimento di una propria autonomia ed in nome dell’obbligo morale di non richiedere ai propri genitori un sacrificio maggiore rispetto a quello che si è disposti a fare in prima persona: il diritto al mantenimento, secondo gli Ermellini, deve trovare un limite sulla base di un termine, desunto dalla durata ufficiale degli studi e dal tempo mediamente occorrente ad un giovane laureato, in una data realtà economica, per poter trovare un impiego, salvo che il figlio non provi non solo che non sia stato possibile procurarsi il lavoro desiderato per causa a lui non imputabile, ma che neppure un altro lavoro fosse conseguibile, tale da assicurargli l’automantenimento. Si dovrà, inoltre, tenere in considerazione l’adeguatezza e la ragionevolezza delle opzioni formative, operate dal figlio rispetto alle condizioni della famiglia, cui non è ammesso imporre un contributo per essa eccessivamente gravoso e non rientrante nelle sue concrete possibilità economiche, tenuto conto “della non imposizione di un eccessivo sacrificio alle altrui esigenze di vita”13. Contrariamente, quindi, a quanto sostenuto dalla ricorrente, madre di un insegnante precario di musica, secondo la quale il figlio avrebbe per sempre il diritto al mantenimento da parte dei genitori, non avendo lo stesso ancora raggiunto la completa indipendenza economica nello specifico lavoro prescelto, (adeguato alle sue aspirazioni ed idoneo ad inserirlo, col dovuto prestigio, nel contesto economico sociale), secondo la Corte di Cassazione, non sussiste, nella dovuta ricerca dell’aspirato lavoro, un rigido vincolo alla preparazione teorica in atto e ricevuta, integrando, invece, un dovere del figlio il perseguimento, comunque, dell’autosufficienza economica, secondo un principio di autoresponsabilità nel contemperare i propri desideri di occupazione con il concreto mercato di lavoro14. E tra le evenienze che comportano, a detta degli Ermellini, il sorgere del diritto al mantenimento in capo al figlio maggiorenne non autosufficiente, potendo il giudice valutarle secondo un ragionevole proficuo riferimento a dati statistici, da cui risulti il tempo medio, in un determinato momento storico, necessario al reperimento di una occupazione, a seconda del grado di preparazione conseguito, si annoverano, fra le altre: a) la condizione di una peculiare minorazione o debolezza delle capacità personali, ancorché non sfociate nei presupposti di una misura tipica di protezione degli incapaci; b) la prosecuzione di studi ultraliceali con diligenza, da cui si desuma l’esistenza di un iter volto alla realizzazione delle proprie aspirazioni ed attitudini, ancora legittimamente in corso di svolgimento, in quanto vi si dimostrino effettivo impegno ed adeguati risultati, mediante la tempestività e l’adeguatezza dei voti conseguiti negli esami del corso intrapreso; c) l’essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla conclusione degli studi, svolti dal figlio nell’ambito del ciclo di studi che il soggetto abbia reputato a sé idoneo, lasso in cui questi si sia razionalmente ed attivamente adoperato nella ricerca di un lavoro; d) la mancanza di un qualsiasi lavoro, pur dopo l’effettuazione di tutti i possibili tentativi di ricerca dello stesso, sia o no confacente alla propria specifica preparazione professionale.



4. La cessazione del dovere genitoriale: conseguimento di una “adeguata autosufficienza economica” e la colpevole inerzia del figlio nel mancato raggiungimento della medesima



Un’ulteriore causa di cessazione dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne, che prescinde, dunque, dall’acquisita indipendenza economica, è rappresentata dall’eventuale inerzia da parte del figlio in ordine alla ricerca di un’occupazione ovvero nel rifiuto ingiustificato di accettare un’attività lavorativa confacente alle capacità acquisite15 e, dunque, nelle ipotesi in cui lo stesso, pur essendo stato posto “nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente”, non ne abbia tuttavia tratto “utile profitto per sua colpa o per sua scelta”16. Il genitore non può decidere di interrompere sua sponte l’adempimento di cui si discute, né tantomeno di ridurne il contenuto o di prestare i soli alimenti legali, essendo tenuto, se del caso, a ricorrere all’autorità giudiziaria17 e a provare18, in primo luogo, di aver posto il figlio nelle migliori concrete condizioni per acquisire un’autonomia economica, avendogli offerto la possibilità di frequentare validi percorsi di studio per conseguire il più alto livello di professionalità nell’attività confacente alle sue aspirazioni e ambizioni o congrue proposte di lavoro, senza però che questi ne abbia tratto un utile profitto19. Così, colpevoli atteggiamenti del figlio sono individuati nell’abbandono degli studi universitari (cui non è seguita la ricerca di una attività lavorativa) e più spesso (ma nelle specie si registra un orientamento non uniforme e spesso fin troppo protettivo nei confronti di studenti c.d. fuori corso anche ultratrentenni)20 nel proseguirli (pur in assenza di circostanze eccezionali, come la morte, malattia o separazione dei genitori, che potrebbero, al contrario giustificare una simile dilazione) per tempi del tutto irragionevoli, con negligenza, disinteresse e oltretutto scarso profitto21. Le ragioni del ritardo nel completamento degli studi, dunque, anziché essere imputabili all’inerzia e al disinteresse del figlio, potrebbero piuttosto derivare da una pluralità di variabili, quali, ad esempio, la necessità di impegnarsi in un’attività lavorativa per far fronte ad un’indisponibilità temporanea dei genitori, ovvero all’esigenza di accudire un genitore malato per un periodo più o meno lungo22.

Spetterà, quindi, al giudice una valutazione complessiva della fattispecie sottoposta alla sua attenzione23, avuto particolare riguardo tanto all’effettivo raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte del figlio, quanto al contesto familiare e sociale in cui lo stesso è inserito ovvero al ricorrere di talune circostanze che possano, se del caso, portare alla giustificazione della cessazione ovvero alla permanenza dell’obbligo di mantenimento gravante sui genitori24. Inoltre, una volta terminati gli studi, l’inerzia di un figlio maggiore di età, verso il dovere di lavorare può manifestarsi, tanto con atteggiamenti dolosi (scelte esistenziali deliberate, come lo stato di volontaria disoccupazione o il tenere condotte deplorevoli, capricciose, sregolate, ecc.), quanto colposi, come nel caso oggetto della sentenza oggi annotata, quale la persistente indolenza nella ricerca di un lavoro retribuito compatibile con le proprie attitudini e professionalità, dedizione ad attività sterili e non remunerative, insistenza velleitaria nel tentare determinate professioni, senza prendere atto delle proprie incapacità personali a raggiungere certi traguardi o delle concrete prospettive occupazionali nel settore prescelto. Una causa frequente di colpevole mancato raggiungimento della propria autonomia economica è il rifiuto di svolgere (o il successivo abbandono di) un’attività lavorativa stabile e ben retribuita, che tuttavia è giudicato giustificato solo se manifestato nei confronti di un’occupazione inadeguata alla professionalità acquisita (e alle proprie attitudini, potenzialità e aspettative), posto che l’esigenza di provvedere al proprio mantenimento non deve condurre il giovane a sacrificare le sue aspirazioni professionali, per adattarsi ad un’occupazione lavorativa qualsiasi, che pure gli consentirebbe di conseguire un’autosufficienza economica. E al riguardo la sentenza in commento è chiara nell’affermare che è dovere del figlio ridurre le proprie ambizioni adolescenziali, trovando il modo di automantenersi, risultato che dipenderà dall’impegno profuso per incrementare, nel caso de quo, le supplenze (di musica) o integrare le proprie entrate con ogni opportunità disponibile25.



5. In merito all’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento

L’altro fondamentale aspetto affrontato dalla sentenza oggi commentata attiene, a modesto avviso di chi scrive, all’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento. Alla luce del panorama sopra ricordato, particolare rilevanza assume il ruolo dell’autorità giudiziaria26 chiamata a pronunciarsi sul singolo caso concreto ed ad attuare un difficile bilanciamento, da un lato, delle ragioni di tutela della formazione, delle ambizioni dei figli e, dall’altro, dell’esigenza dei genitori di non essere tenuti all’obbligo di mantenere figli già adulti, posto che deve escludersi che il figlio possa contare incondizionatamente sull’aiuto economico dei genitori. Sebbene, infatti, la personalità del figlio debba trovare una corretta esplicazione, tramite il diritto dello stesso a percepire il mantenimento, tuttavia, detta circostanza non giustifica una sua condotta inerte, colposa, tesa ad affidarsi unicamente a detto sostentamento, così da vanificare la “funzione educativa” stessa che tale diritto mira a offrire; il dovere genitoriale, quindi, si giustificherebbe solo in delimitati confini temporali entro i quali è sensato presumere che le aspettative del figlio abbiano ragionevoli e concrete possibilità di realizzarsi. Una volta, però, superati simili limiti, salvo giustificati motivi, anche dove non si ravvisino profili di specifica colpa, quell’obbligo deve cessare, non avendo più rilevanza neppure le benestanti condizioni economiche familiari, prevalendo l’imputabilità del medesimo nella persistente dipendenza economica, cioè il suo dovere familiare e sociale di attivarsi in ogni modo per rendersi economicamente indipendente dalla famiglia di origine, iniziando un’attività lavorativa, anche non corrispondente alle proprie aspirazioni. Ciò posto, si tratta di capire su chi gravi l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento. Al riguardo, la sentenza oggi annotata rappresenta un importante arresto, dal momento che sposta simile onere a carico del beneficiario, prendendo così le distanze dalla giurisprudenza precedente secondo cui, invece, l’onere della prova sarebbe gravato sul genitore, qualora avesse domandato la modifica o la declaratoria di cessazione dell’obbligo di mantenimento. Il genitore, dunque, avrebbe dovuto dimostrare tale circostanza, oppure che il mancato svolgimento di un’attività produttiva di reddito dipendesse da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato del figlio; ben potendo, in questo caso, l’onere della prova essere assolto mediante l’allegazione di circostanze di fatto da cui desumere in via presuntiva l’estinzione dell’obbligazione dedotta in giudizio, anche tenendo presente che l’avanzare dell’età è un elemento che necessariamente concorre a conformare l’onus probandi27. Con l’odierna pronuncia la Suprema Corte ha affermato, al contrario, che ai fini dell’accoglimento della domanda di cui si discute, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica, precondizione del diritto preteso, ma di avere curato con ogni possibile impegno la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro. Non sarà, dunque, il convenuto, soggetto passivo del rapporto, ad essere onerato della prova della raggiunta effettiva e stabile indipendenza economica del figlio o della circostanza che questi abbia conseguito un lavoro adeguato alle aspirazioni soggettive, dal momento che “raggiunta la maggiore età, si presume l’idoneità al reddito, che, per essere vinta, necessita della prova delle fattispecie che integrano il diritto al mantenimento ulteriore”28. Simile linea interpretativa, spiega la Suprema Corte, è coerente, infatti, con il consolidato principio generale di prossimità o vicinanza della prova, in base al quale la ripartizione dell’onere probatorio deve tenere conto, accanto alla partizione della fattispecie sostanziale tra fatti costitutivi e fatti estintivi od impeditivi del diritto, anche del principio di cui all’art. 24 Cost., e del divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, con la conseguenza che ove i fatti possano essere noti solo ad una delle parti, ad essa compete l’onere della prova, ancorché negativa29. Inoltre, gli Ermellini precisano come le concrete situazioni di vita saranno altresì ragione d’integrazione della prova presuntiva relativamente all’esistenza del diritto, in quanto, ad esempio, incolpevole del tutto o inesigibile sia la conquista attuale di una posizione lavorativa, che renda il figlio maggiorenne economicamente autosufficiente; laddove, dunque, sussista una condotta caratterizzata da intenzionalità (ad es. uno stile di vita volutamente inconcludente e sregolato) o da colpa (come l’inconcludente ricerca di un lavoro protratta all’infinito e senza presa di coscienza sulle proprie reali competenze), il figlio non potrà dimostrare di avere diritto al mantenimento. E, in generale, la prova si presenterà tanto più lieve per il figlio, quanto più prossima sia la sua età a quella di conseguimento della maggiore età, mentre, al contrario, la prova del diritto all’assegno di mantenimento sarà più gravosa, con l’aumentare della stessa, (sino a configurare il “figlio adulto”), in ragione del principio dell’autoresponsabilità, a cui più volte si è fatto riferimento, in considerazione delle scelte di vita fino a quel momento operate ed all’impegno profuso, nella ricerca, in primo luogo, di una sufficiente qualificazione professionale e, successivamente, di una collocazione lavorativa. L’assolvimento di simile onere probatorio si configurerà “particolarmente lieve in prossimità della maggiore età, appena compiuta, ed anche per gli immediati anni a seguire, quando il soggetto abbia intrapreso, ad esempio, un serio e non pretestuoso studio universitario: già questo integrando la prova presuntiva del compimento del giusto sforzo per meglio avanzare verso l’ingresso nel mondo del lavoro (e non solo)”30.



6. Conclusioni



Con l’interessante pronuncia oggi annotata la Suprema Corte ha, quindi, adottato un’innovativa posizione in merito all’interpretazione delle norme relative al mantenimento del figlio maggiorenne e dei diritti e doveri posti in capo ai genitori, suggerendone applicazioni innovative e più analitiche, specialmente in merito all’onere della prova, rispetto ai suoi precedenti arresti. Una sentenza, quindi, che la successiva casistica giurisprudenziale di merito e di legittimità dovrà senza dubbio prendere come punto di riferimento, rappresentando essa, un importante spartiacque in materia tra contrapposti interessi in gioco.

NOTE

1 Cit. Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, in www.leggiditalia.it

2 La l. 8 febbraio 2006, n. 54 recante “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, pubblicata in G.U. 1 marzo 2006, n. 50, aveva introdotto l’art. 155- quinquies c.c., rubricato “Disposizioni in favore di figli maggiorenni”; tale norma sebbene, poi, abrogata dall’art. 106, d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, è trasmigrata nell’art. 337-septies, comma 1°, c.c. (“Disposizioni in materia di figli maggiorenni”), a sua volta introdotto dall’art. 55, d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 (“Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”). Per un approfondimento v. A. Morace Pinelli, Le disposizioni in favore dei figli maggiorenni (art. 337septies), in C.M. Bianca (a cura di), La riforma della filiazione, Padova, 2015, 859 ss.

3 L. 10 dicembre 2012, n. 219 recante “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”, pubblicata in G.U. 17 dicembre 2012, n. 293.

4 D.lgs. 23 dicembre 2013, recante “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”, in G.U. 8 gennaio 2014, n. 5.

5 Sul punto cfr. Cass., 20 dicembre 2017, n. 30540, in www.leggiditalia.it e Cass., 29 settembre 2014, n. 20448, in Nuova giur. civ., 2015, 2, 123, con nota di G.M. Pellegrini.

6 La disciplina di cui all’art. 155-quinquies c.c., introdotta con la l. n. 54 del 2006, ha rappresentato senza dubbio una novità rispetto alla legislazione precedente, dal momento che tanto il codice civile quanto le leggi speciali in materia regolavano esclusivamente il mantenimento dei figli minorenni. Tuttavia, nonostante il precedente silenzio del legislatore, la giurisprudenza era unanime nell’escludere qualsivoglia automatismo nella cessazione dell’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli al momento del raggiungimento della maggiore età, affermando, di contro, la necessità di riconoscere il permanere dell’obbligo fino al conseguimento dell’indipendenza economica ovvero nelle ipotesi in cui il mancato raggiungimento dell’autosufficienza fosse imputabile esclusivamente all’inerzia del figlio stesso: sul punto cfr., Cass., 18 gennaio 2005, n. 951, in www.leggiditalia.it; Cass., 18 febbraio 1999, n. 1353, in Fam. e dir., 1999, 455, con nota di D. Morello Di Giovanni; Cass., 11 marzo 1998, n. 2670, in Mass. Giust. civ., 1998, 562; in dottrina cfr., M. Sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2005, 454; M. Paladini, Riflessioni circa l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne: una isolata decisione giurisprudenziale, in Giur. It., 1990, 8-9, I, 650; M. Cirese, Il mantenimento del figlio maggiorenne tra evoluzione del costume e dinamiche familiari alla luce della legge n. 54 del 2006, in Corr. mer., 2007, 12, 1408 ss.; A. Arceri, Diritto al mantenimento del figlio maggiorenne: inedite posizioni di un giudice di merito sulla legittimazione a spiegare intervento e sui presupposti di legittimazione attiva, in Fam. e dir., 2009, 12, 1139, e M. Rossi, Gli effetti di ordine patrimoniale della separazione nei confronti dei figli, in G. Oberto (a cura di), Gli aspetti patrimoniali della famiglia. I rapporti patrimoniali tra coniugi e conviventi nella fase fisiologica ed in quella patologica, Padova, 2011, 981 ss.

7 Cit. Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, cit.

8 Cit. Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, cit., in cui si legge che: “In via generale, si è, anzitutto, precisato come la valutazione delle circostanze, che giustificano il permanere dell’obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni, conviventi o no con i genitori o con uno d’essi, vada effettuata dal giudice del merito caso per caso”.

9 In proposito cfr., L. Rossi Carleo, C. Caricato, La separazione e il divorzio, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, Il diritto di famiglia, IV, La crisi familiare, a cura di T. Auletta, II, Torino, 2013, 392, sub nt. 192, in cui viene sottolineato come ai fini dell’accertamento dell’acquisita indipendenza economica è sufficiente la presenza di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita senza che assuma alcun rilievo il tenore di vita goduto in precedenza.

10 V. Cass., 11 gennaio 2007, n. 407, in Nuova giur. civ., 2007, 10, 116, con nota di F. Annunziata. Si esclude, invece, il raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte del figlio maggiorenne nell’ipotesi in cui quest’ultimo abbia iniziato un’attività di apprendistato, dal momento che tale rapporto si distingue sotto diversi profili da quello derivante dagli ordinari rapporti di lavoro, v. Cass., 19 maggio 2010, n. 12309, in www.questionididirittodifamiglia.it e Cass., 14 aprile 2010, n. 8954, in www.leggiditalia.it nella quale si evidenzia come non sia sufficiente il mero godimento di un qualsivoglia reddito, ma occorre, altresì, la prova della sua adeguatezza ad assicurare al figlio, anche con riferimento alla durata del rapporto in futuro, la completa autosufficienza economica.

11 Così Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, cit.

12 V. Cass., 26 gennaio 2011, n. 1830, in www.leggiditalia.it che subordina la rinuncia al contributo alla percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita.

13 Così Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, cit.

14 Così Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, cit.

15 Cfr. Cass., 29 ottobre 2013, n. 24424, in www.leggiditalia.it e Cass., 4 aprile 2005, n. 6975, in Guida al dir., 2005, 16, 39, con nota di M. Fiorini.

16 Così Cass., 8 febbraio 2012, n. 1773, in Ced Cassazione, 2012.

17 La decisione è rimessa comunque al prudente apprezzamento del giudice che condurrà, con riferimento al singolo caso prospettatogli, una complessa indagine relativa al contesto socio-economico della famiglia.

18 Sul punto cfr. C. Magli, Sulla persistenza del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, in Fam. e dir., 2014, 3, 240; A. Liuzzi, Obblighi verso il coniuge e figli maggiorenni, in Fam. e dir., 2005, 2, 137, e M. D’Auria, Ancora sulla durata dell’obbligo di mantenimento di figli ai sensi dell’art. 147 c.c. La “colpa” del figlio maggiorenne e l’assenza dalle aule giudiziarie dell’art. 315 c.c. Riflessi in materia di onere della prova, in Giur. It., 2003, 45.

19 Cfr. Cass., 9 maggio 2013, n. 11020, in www.leggiditalia.it e Cass., 7 aprile 2006, n. 8221, in Giur. It., 2007, 2, 337.

20 Cfr. Cass., 11 luglio 2006, n. 15756, in Ced Cassazione, 2006; Cass., 30 ottobre 2013, n. 24493, in www.leggiditalia.it e in dottrina R. Gelli, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne e i suoi limiti: lo studente ultratrentenne “fuori corso”, in Fam. e dir., 2011, 12, 1117.

21 Cfr. Cass., 22 giugno 2016, n. 12952, in Foro it., 2016, 9, 1, 2741; Cass., 26 aprile 2017, n. 10207, in www.leggiditalia.it; Cass., 19 settembre 2017, n. 21615, in www.leggiditalia.it; Cass., 25 settembre 2017, n. 22314, in www.leggiditalia.it e Cass., 25 settembre 2018, n. 22594, in www.leggiditalia.it.

22 Sul punto v. G. Iorio, Il fondamento dell’estinzione dell’obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, in Fam. e dir., 2012, 11, 1069

23 Cfr. Cass., 20 agosto 2014, n. 18076, in Ced Cassazione, 2014.

24 Tra le circostanze che potrebbero giustificare una vera e propria presunzione in merito all’acquisita indipendenza economica del figlio maggiorenne vi è la scelta da parte di quest’ultimo di convolare a nozze. Al riguardo occorre osservare come l’opinione maggioritaria sia incline a negare l’automatica cessazione dell’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli maggiorenni per il solo fatto della celebrazione del matrimonio, richiedendo piuttosto la formazione di un nucleo familiare economicamente autonomo; in questo senso, ex multis, Cass., 19 ottobre 2006, n. 22491, in Fam. e dir., 2007, 1, 77; ai fini della prova del raggiungimento dell’indipendenza economica da parte del figlio, non ritiene di per sé sufficiente neppure la costituzione di una nuova entità familiare finanziariamente indipendente, Cass., 26 gennaio 2011, n. 1830, in Fam. e dir., 2011, 999, con nota di C. Magli; in argomento, cfr., tra gli altri, P. Morozzo della rocca, Il mantenimento del figlio: recenti itinerari di dottrina e giurisprudenza, in Fam. e dir., 2013, 4, 385.

25 Così Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, cit.

26 Cfr. Cass., 11 giugno 2020, n. 11186, in www.leggiditalia.it.

27 Cfr. Cass., 5 marzo 2018, n. 5088, in Ced Cassazione, 2018.

28 Così Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, cit.

29 Sul punto v. Cass., 25 luglio 2008, n. 20484, in Ced Cassazione, 2008; nonché ex multis Cass., 16 agosto 2016, n. 17108, in Ced Cassazione, 2016; Cass., 14 gennaio 2016, n. 486, in Ced Cassazione, 2016; Cass., 17 aprile 2012, n. 6008, in Dir. e Pratica Lav., 2013, 11, 736; Cass., 1 luglio 2009, n. 15406, in Ced Cassazione, 2009 e Cass., Sez. Unite, 30 ottobre 2001, n. 13533, in Corr. Giur., 2001, 12, 1565 nota di V. Mariconda.

30 Così Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, cit