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Opposizione all’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e onere della prova. Spunti sul rilievo dell’impignorabilità

autore: F. Campione

Sommario: 1. Ambito dell’indagine. - 2. Le condizioni di espropriabilità dei beni del fondo patrimoniale secondo la giurisprudenza. - 3. L’onere della prova delle condizioni di inespropriabilità del bene: l’impostazione prevalente. - 4. La diversa soluzione proposta da una parte della dottrina. - 5. Le ragioni che dimostrano la fondatezza dell’orientamento prevalente: onere della prova, azione esecutiva e opposizione all’esecuzione. - 6. (segue) Impignorabilità dei beni e onus probandi. - 7. Spunti conclusivi.



1. Ambito dell’indagine



L’art. 170 c.c., il quale stabilisce che l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui loro frutti è esclusa per i debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, ove il creditore sia consapevole di detta estraneità, solitamente viene esaminato, anche (se non soprattutto) in sede giurisprudenziale, sotto due profili. In primo luogo, emerge il profilo, per così dire, sostanziale della fattispecie contemplata dall’art. 170 c.c., che dà conto delle condizioni di espropriabilità dei beni del fondo patrimoniale e che ruota, fondamentalmente, attorno alla nozione di “bisogni della famiglia”. In secondo luogo, entra in gioco il profilo che potremmo definire “processuale” della vicenda, e cioè quello afferente al riparto dell’onere della prova nell’ambito del giudizio di opposizione all’esecuzione instaurato dai coniugi debitori a seguito dell’avvio dell’azione esecutiva sui beni del fondo patrimoniale da parte del creditore. Ritenendo utile fornire qualche cenno al versante “sostanziale” della citata disposizione, è invero su questo secondo aspetto che intendiamo maggiormente concentrare le nostre riflessioni.



2. Le condizioni di espropriabilità dei beni del fondo patrimoniale secondo la giurisprudenza



Come sopra riportato, ai sensi dell’art. 170 c.c., l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui loro frutti è esclusa per i debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, ove il creditore sia consapevole di detta estraneità1 .

Sono dunque due gli elementi che, per così dire, condizionano l’esperibilità dell’azione espropriativa sui beni del fondo patrimoniale: uno, di carattere oggettivo, attiene alla causa obligandi; l’altro, di carattere soggettivo, consiste nella scientia creditoris2 . Peraltro, dalla formulazione della norma s’intuisce che l’elemento soggettivo assume rilievo solo ove l’obbligazione sia estranea ai bisogni della famiglia, mentre laddove essa sia finalizzata a soddisfare i predetti bisogni, i beni conferiti nel fondo sono espropriabili a prescindere dalla scientia3 . Va da sé che, nell’ottica di delineare i limiti di espropriabilità dei beni del fondo patrimoniale, gioca un ruolo fondamentale la definizione del concetto di “bisogni della famiglia”. Da questo punto di vista, possiamo osservare che, negli anni, la Suprema Corte ha adottato e consacrato un concetto assai lato di bisogni della famiglia, ricomprendendo nei medesimi anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi4 . Su questa linea interpretativa, la Cassazione ha altresì affermato che il criterio identificativo dei crediti che possono essere realizzati esecutivamente sui beni del fondo non va ricercato nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore delle stesse e i bisogni della famiglia, fermo restando che la finalità di soddisfare tali bisogni non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa, dovendosi concretamente accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni de quibus5 . A dire il vero, di recente, la S.C. sembra aver sconfessato tale orientamento, laddove ha affermato che “se il credito per cui si procede è solo indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, rientrando nell’attività professionale da cui quest’ultimo ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell’art. 170 c.c., la sua soddisfazione sui beni costituiti in fondo patrimoniale”6 . Sennonché, tale generica affermazione, non ulteriormente specificata, ad avviso di chi scrive non appare affatto idonea a vanificare il costante indirizzo della Corte Suprema, anche perché nel prosieguo del passaggio citato si fa richiamo ad alcuni precedenti rientranti a pieno titolo nel filone giurisprudenziale sopra descritto7 .



3. L’onere della prova delle condizioni di inespropriabilità del bene: l’impostazione prevalente



Come indicato nel primo paragrafo, è sul tema dell’onere della prova (nel giudizio di opposizione all’esecuzione esperita sui beni del fondo patrimoniale) che intendiamo soffermarci un po’ più diffusamente8 . Invero, va osservato che su questo versante la giurisprudenza appare piuttosto granitica, e tale consolidato indirizzo è stato ribadito anche di recente9 ; sennonché, l’interesse a proporre, nella presente sede, qualche considerazione sul tema de quo, discende, a dire il vero, da alcune recenti riflessioni dottrinali che, in sostanza, hanno seriamente messo in discussione quanto affermato dalla giurisprudenza. Ma procediamo con ordine. Posto che – come anticipato – lo strumento di tutela processuale offerto al coniuge debitore (o ai coniugi debitori) è rappresentato dall’opposizione all’esecuzione ex art. 615 ss. c.p.c.10, secondo l’orientamento della Suprema Corte l’onere della prova circa la sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 grava sulla parte che intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale11; sicché spetta a chi intenda eccepire l’inespropriabilità dei beni de quibus, dunque al debitore, dimostrare che il debito era stato contratto per cause estranee ai bisogni della famiglia e che il creditore conosceva l’estraneità del credito ai bisogni della famiglia12, e ciò sia perché un fatto negativo (come la non conoscenza) non può formare oggetto di prova, sia perché esiste una presunzione di inerenza dei debiti a tali bisogni13. Inoltre, in argomento, in dottrina si è osservato che non viene posta come equipollente alla conoscenza effettiva la conoscenza che il creditore avrebbe potuto conseguire adottando la normale diligenza; onde, per quanto lontano dai bisogni dalla famiglia, un qualunque credito potrà sempre incidere – in chiave esecutiva – sui beni del fondo, ove il debitore non riesca a provare la conoscenza effettiva, in capo al creditore, della estraneità del credito ai bisogni della famiglia14. È anche vero, d’altro canto, che sul piano dell’onus probandi dell’elemento soggettivo, la medesima Cassazione, in più occasioni, ha specificato che a tal fine è possibile avvalersi anche di presunzioni ex art. 2729 c.c.15, ammorbidendo così la rigidità del carico probatorio gravante sul debitore16.



4. La diversa soluzione proposta da una parte della dottrina



Se quello testé riportato è l’orientamento da anni costante, in specie in giurisprudenza17, va peraltro segnalato, come anticipato, che soprattutto negli ultimi anni una parte della dottrina ha sottoposto a revisione critica tale impostazione maggioritaria. Intanto, pare possibile affermare che il motivo di tale “insofferenza” all’orientamento della giurisprudenza risiede in ciò che potremmo definire come l’impatto sull’onere della prova – e in particolare sull’utilità del meccanismo deduttivo delle presunzioni per dar riscontro della scientia creditoris18 – della concezione (di cui abbiamo dato conto in precedenza19) dei “bisogni della famiglia”, ritenuta eccessivamente ampia e, come tale, idonea sostanzialmente a vanificare la funzione di separazione patrimoniale insita nella costituzione del fondo patrimoniale. Infatti, si è da più parti denunciato che, seguendo le linee esegetiche dettate dalla giurisprudenza, l’area dell’inespropriabilità dei beni del fondo patrimoniale finisce per essere notevolmente ridotta, se non addirittura “annichilita”, e ci si è chiesti se, a tali rigorose condizioni, possa residuare un interesse delle parti all’utilizzo di tale istituto20. Inoltre, nell’ottica di coniugare la norma generale in tema di onere della prova – l’art. 2697 c.c. – con la disciplina espressa dall’art. 170 c.c., si è rilevato che quest’ultima disposizione non offra alcuna soluzione al problema dell’allocazione dell’onere della prova, denotando un tenore letterale del tutto silente sul punto21. Su questa base critica, si è allora proposto una diversa opzione ricostruttiva, fondata su una interpretazione costituzionalmente orientata del congegno normativo costituito dagli artt. 170 e 2697 c.c. In questo ordine di idee, risulterebbe di dubbia tenuta costituzionale una regola che gravi una parte di un onere probatorio “eccessivo”, alla luce delle ripercussioni, in termini di menomazione, sul diritto d’azione e di difesa; onde la misura dell’onere de quo deve essere, più in generale, bilanciata equamente fra le parti e correlata al principio di ragionevolezza22. Sulla scorta di queste premesse, si è valutato come “fortemente contrario a ragionevolezza” – soprattutto alla luce del principio della vicinanza della prova23 – l’onere in capo ai coniugi debitori di dimostrare la conoscenza effettiva in capo al creditore circa la estraneità del debito ai bisogni della famiglia; pertanto, dovrebbe valere una diversa regola, sulla base della quale i coniugi siano onerati semplicemente dell’allegazione della conoscenza dell’estraneità da parte del creditore, spettando viceversa a quest’ultimo la dimostrazione della non conoscenza di detta estraneità24. Tale ricostruzione giunge a proporre il seguente bilanciamento dell’onus probandi: a fronte dell’avvio, da parte del creditore, dell’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale (o dell’iscrizione di ipoteca giudiziale), i coniugi che si oppongono ai sensi dell’art. 615 c.p.c. saranno costretti a dare dimostrazione, in primo luogo, dell’esistenza del fondo e, soprattutto, della sua opponibilità (sulla base del relativo regime pubblicitario); in secondo luogo, dovranno provare in concreto che il debito sia stato contratto per bisogni estranei alle esigenze familiari25; ove essi siano riusciti a dar conto dell’estraneità del debito rispetto al menage familiare, allora toccherà al creditore fornire la prova della sua ignoranza di tale circostanza, se del caso avvalendosi delle presunzioni26.



5. Le ragioni che dimostrano la fondatezza dell’orientamento prevalente: onere della prova, azione esecutiva e opposizione all’esecuzione



Pur condividendo le perplessità derivanti dall’ampia concezione dei bisogni della famiglia e dalle ricadute che questa comporta sul piano dell’onere della prova27, chi scrive ritiene che, proprio in merito al profilo dell’onus probandi, debba essere confermata l’impostazione giurisprudenziale; a nostro avviso, la forzatura esegetica su un aspetto sostanziale (i.e. il concetto di bisogni della famiglia, ai fini dell’art. 170 c.c.) non può ripercuotersi, in chiave sistematica, sulle implicazioni processuali, in particolare contaminando e compromettendo il corretto inquadramento degli oneri probatori nel contesto di uno strumento di tutela la cui finalità è quella di paralizzare l’azione esecutiva, contestando il diritto a procedere a esecuzione forzata. Ci spieghiamo meglio. Il tema dell’onere della prova ruota, in via principale, attorno all’art. 2697 c.c., il quale distingue tra i fatti costitutivi del diritto, rispetto ai quali l’onere probatorio grava su “chi intende far valere un diritto in giudizio”, e fatti modificativi, impeditivi ed estintivi (la cui allegazione sta alla base della proposizione delle c.d. eccezioni di merito28), per la dimostrazione dei quali l’onus probandi incombe su colui che resiste alla pretesa avversaria. Ora, come insegna la dottrina processualcivilistica, mentre non è oltremodo complicato distinguere i fatti costitutivi dai fatti modificativi ed estintivi – collocandosi questi, sotto il profilo strutturale e temporale, al di fuori del nucleo dei primi –, piuttosto problematica si presenta la distinzione tra fatti costitutivi e fatti impeditivi, dal momento che questi ultimi sono contemporanei ai fatti costitutivi e che tutti i fatti possono essere presi in considerazione dal duplice angolo visuale del loro accadimento e del loro non accadimento29. Da questo punto di vista, il legislatore, nel descrivere all’interno delle norme la fattispecie, non sempre è risolutivo, sicché sono stati elaborati alcuni criteri per risolvere i casi dubbi: i) un primo criterio, non sempre invocabile, poggia sulla distinzione tra regola ed eccezione, laddove è la conformazione della norma stessa che costruisce la fattispecie secondo lo schema regola-eccezione (al verificarsi di certi fatti si producono taluni effetti, “tranne che”, “ad eccezione che”, “questa disposizione non si applica quando”); ii) un secondo criterio fa leva sul brocardo negativa non sunt probanda, posto che la prova di un fatto negativo è difficile da dare, potendo farsi ricorso solo alle presunzioni e non alle prove dirette; iii) un terzo criterio è quello – già richiamato in precedenza – della vicinanza o prossimità alla prova (di cui la regola negativa non sunt probanda è una specificazione), sulla base del quale, ove sia incerto se il fatto debba essere ricondotto all’alveo dei fatti costitutivi ovvero a quello dei fatti impedititi, l’onere grava sul soggetto per il quale la prova è più facile, cioè il soggetto più vicino alla fonte di prova30. Si tratta a questo punto di capire se, rispetto al diritto a procedere a esecuzione forzata da parte del creditore, le condizioni di espropriabilità contemplate dall’art. 170 c.c. siano fatti costitutivi oppure fatti impeditivi (invero, il dubbio nello specifico concerne l’elemento soggettivo della scientia creditoris) 31. Intanto, non ci sembra che possa essere utilmente e fondatamente invocato il principio di vicinanza alla prova, e in questo senso depongono due rilievi, apparentemente contraddittori ma che, in realtà, dànno proprio conto della non decisività, nel caso di specie, del richiamo al principio in questione. Per un verso, infatti, il creditore si troverebbe gravato dell’onere di un fatto negativo, determinandosi così un contrasto con la regola negativa non sunt probanda, che per opinione pacifica è una specificazione del principio di vicinanza alla prova. Per altro verso – anche muovendo dall’assunto in base al quale la regola di cui al citato brocardo non è più valida32 –, deve constatarsi che pure con riferimento ad altre fattispecie, in altri settori dell’ordinamento, il legislatore a volte onera bensì una parte della dimostrazione per così dire negativa di un proprio stato soggettivo, ma altre volte impone a una parte di dare dimostrazione “positiva” di uno stato soggettivo in capo all’altra parte33. Al di là di questi spunti, nell’ipotesi di cui all’art. 170 c.c. la soluzione al problema che siamo posti è data, a nostro avviso, dalle seguenti considerazioni. Salvo il profilo dell’opponibilità, l’art. 170 c.c. pone chiaramente un limite alla pretesa espropriativa del creditore, stabilendo che l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale non può avere luogo alle due condizioni più volte richiamate. Viene dunque in gioco una sorta di preclusione all’esercizio, da parte del creditore, del diritto a procedere a esecuzione forzata, e cioè il diritto processuale a che l’ufficio esecutivo fornisca e metta in atto quanto necessario per la realizzazione coattiva del diritto sostanziale dell’istante34; l’insegnamento tradizionale a questo proposito discorre di azione esecutiva35, intesa come diritto autonomo dal diritto sostanziale di cui si chiede la tutela in via, per l’appunto, esecutiva. Il presupposto dell’azione de qua, ossia ciò che viene comunemente definito in termini di condizione necessaria e sufficiente per procedere a esecuzione forzata, è rappresentato dal titolo esecutivo36, il quale altro non è che la fattispecie da cui sorge il diritto di procedere in via esecutiva37. A tal proposito in dottrina si distingue il titolo esecutivo in senso sostanziale, inteso per l’appunto come la fattispecie da cui nasce l’effetto giuridico di rendere tutelabile esecutivamente un certo diritto sostanziale, dal titolo esecutivo in senso documentale, che consiste nel documento che rappresenta in modo non completo la fattispecie del diritto a procedere ad esecuzione forzata38. Se l’unica condizione per l’esperimento dell’azione esecutiva è rappresentata dal titolo esecutivo, a tutela del debitore, come recita l’art. 615 c.p.c., rimane comunque la possibilità di contestare il diritto a procedere a esecuzione forzata instaurando il giudizio di opposizione all’esecuzione39. Esso è un ordinario processo di cognizione – strutturalmente autonomo rispetto al processo di esecuzione, ma a questo funzionalmente legato40 – in cui si verifica un’inversione della iniziativa processuale, posto che l’opponente, ossia colui che avvia il giudizio, sul piano sostanziale ricopre il ruolo di chi contesta il diritto a procedere esecutivamente. Nel processo de quo, l’art. 2697 c.c. – il quale non menziona le figure dell’attore e del convenuto, ma quelle di chi vuol far valere un diritto in giudizio e di chi nega l’esistenza (o eccepisce la modifica) di tale diritto – è applicato in base alla posizione sostanziale delle parti, e non alla iniziativa processuale, onde è il creditore, convenuto opposto, a dover dimostrare i fatti costitutivi del diritto, e il debitore – parte opponente – a dover dar prova dei fatti impeditivi, modificativi ed estintivi del diritto del creditore41. Se, allora, per far valere la pretesa esecutiva è sufficiente il titolo esecutivo, è evidente che ogni elemento ostativo a tale pretesa – a parte i casi eccezionali in cui nel documento che incorpora il titolo non sia rappresentato un fatto costitutivo dell’efficacia dello stesso42 – deve essere allegato e provato, in sede di opposizione all’esecuzione, dalla parte che nega l’esistenza del diritto a procedere a esecuzione forzata43.



6. (segue) Impignorabilità dei beni e onus probandi



Peraltro, ai nostri fini, è necessario un ulteriore passaggio. Fin qui abbiamo ragionato nell’ottica della contestazione del diritto a procedere a esecuzione forzata sotto il profilo della deduzione dell’inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo44; sennonché, nel caso che ci occupa non si pone un problema di (in)esistenza del titolo esecutivo, ma di (im) pignorabilità del bene45. Mette conto ricordare, infatti, che l’art. 615, comma 2, c.p.c., per l’ipotesi in cui l’esecuzione sia iniziata, consente l’opposizione alla stessa anche per contestare la pignorabilità dei beni. A questo proposito, a parte quanto disposto espressamente dal codice di rito (artt. 514, 515 e 545), è piuttosto diffusa l’opinione secondo la quale l’art. 170 c.c. contiene una previsione speciale di impignorabilità assoluta46. Posto ciò, il senso del discorso articolato nel precedente paragrafo non sembra essere smentito: ancorché l’assunto possa non apparire pacifico47, si afferma generalmente che anche facendo valere l’impignorabilità del bene si concretizza una contestazione del diritto a procedere a esecuzione forzata48, ancorché sotto il profilo (non già dell’esistenza del titolo ma) dell’oggetto del processo di espropriazione49. Pertanto, in questo ordine di idee, pare logico concludere nel senso che l’impignorabilità dei beni del fondo patrimoniale – nei limiti tracciati dall’art. 170 c.c. anche sul piano soggettivo (la scientia del creditore) – si atteggia a elemento impeditivo del diritto a procedere a esecuzione forzata, per la dimostrazione del quale è onerata la parte esecutata. Del resto, se, da un lato, la pretesa del creditore è avanzata mediante l’esercizio dell’azione esecutiva e, dall’altro lato, il codice contempla l’impignorabilità quale motivo di opposizione all’esecuzione, è la legge stessa a costruire tale categoria come fatto ostativo rispetto all’esercizio dell’azione de qua50; in altri termini, sulla base dell’impianto codicistico, mentre per far valere la pretesa espropriativa è sufficiente il titolo esecutivo, la pignorabilità rileva, per così dire, in negativo, come elemento che frappone un impedimento – donde la ricostruzione come fatto impeditivo – all’esistenza del diritto di procedere con l’espropriazione forzata (con riferimento a quel certo bene)51. La conclusione alla quale siamo giunti non deve destare stupore, dal momento che, al di là dell’ipotesi dell’art. 170 c.c., in altre occasioni, e proprio nella precipua prospettiva di definire i carichi probatori, la categoria dell’impignorabilità è stata espressamente inquadrata, dalla giurisprudenza e dalla dottrina, come fatto impeditivo dell’esercizio dell’azione esecutiva da parte del creditore52. Peraltro, viene da pensare che l’impignorabilità assoluta, di per sé, nel contesto degli elementi fattuali integranti eccezioni rispetto al diritto a procedere in executivis, sia un elemento neutro e non rappresenti ontologicamente un fatto impeditivo, posto che essa, astrattamente, può essere prevista dalla legge anche dopo la nascita del diritto a procedere a esecuzione forzata (acquisendo così i connotati del fatto estintivo). Del resto, la fattispecie di tale diritto deve essere inquadrata nel suo complesso, collocando da un lato i fatti costitutivi e dall’altro lato i fatti a rilievo impeditivo, estintivo e modificativo, e in questa seconda sponda l’impignorabilità assoluta normalmente integra un fatto impeditivo, ma talvolta può costituire un fatto estintivo. Per comprendere meglio quanto appena osservato, occorre a nostro avviso immaginare il diritto a procedere a espropriazione nella sua proiezione oggettiva, con riferimento a un certo bene (per il quale vi sia una previsione originaria o sopravvenuta di impignorabilità): in questa prospettiva, è intuitivo come, di norma, l’impignorabilità assoluta del bene in questione sia già fissata dalla legge, talché essa assume i connotati del fatto impeditivo, nel senso che il diritto ad agire esecutivamente su quel certo bene non sorge; tuttavia, non può escludersi l’eventualità che, mancando una originaria previsione di non pignorabilità, tale diritto, sempre con riferimento a quel certo bene, abbia bensì origine ma venga poi, per così dire, annientato da una successiva previsione legale di impignorabilità del bene medesimo. Questo spunto, ad avvisa di chi scrive, conferma il dato sopra anticipato: se l’impignorabilità assoluta “sopravvenuta” non può che essere un fatto estintivo, se ne ricava che l’impignorabilità assoluta originaria si colloca nella medesima sponda della fattispecie, dunque è fatto impeditivo53. E infatti, nell’ambito della disciplina ex art. 170 c.c., l’impignorabilità integra un elemento impeditivo, dato che in tale prospettiva ciò che rileva è l’estraneità del debito rispetto ai bisogni della famiglia e la conoscenza di ciò in capo al creditore, elementi che – se sussistenti – per l’appunto impediscono la produzione dell’effetto giuridico consistente nella nascita del diritto a procedere a espropriazione dei beni del fondo patrimoniale; qui, a ben vedere, l’impignorabilità è originaria poiché discende da circostanze che si legano indissolubilmente alla nascita e alla natura del credito da tutelare in via esecutiva. D’altro canto, per dimostrare che grava sul creditore l’onere di provare l’assenza in capo a sé della scientia, non varrebbe a nostro avviso argomentare assumendo che possa entrare in gioco un caso di provocatio ad probandum54, come nell’ipotesi della contestazione della propria qualità di erede da parte del soggetto nei cui confronti sia intimato precetto ai sensi dell’art. 477 c.p.c.55. Siffatto meccanismo opera, ad esempio, nell’opposizione a decreto ingiuntivo, posto che, secondo il rito monitorio c.d. puro, nella (precedente) fase inaudita altera parte l’istante, per ottenere il decreto, può limitarsi ad affermare i fatti costitutivi del proprio diritto56; analogamente, nella dimensione dell’esecuzione forzata, la possibilità di agire in executivis nei confronti del successore universale è concessa dall’art. 477 c.p.c., il quale non impone al creditore di provare che l’esecutato è effettivamente l’erede del debitore, essendo viceversa sufficiente che il procedente affermi che il destinatario dell’esecuzione è l’erede di colui che è indicato come debitore nel titolo esecutivo, mentre ogni eventuale contestazione sul punto è, per così dire, rimessa all’opposizione all’esecuzione, ove l’onere della prova della qualità di erede grava sul creditore57.



7. Spunti conclusivi



Ferme le considerazioni esposte nei precedenti paragrafi, riteniamo utile proporre qualche breve spunto conclusivo, che possa contribuire a fornire qualche indicazione valevole a far recuperare, all’art. 170 c.c., un più ampio margine di operatività. Intanto, ci sembra che le “insofferenze” nei confronti dell’orientamento (soprattutto) giurisprudenziale debbano essere finalizzate a stimolare, a livello interpretativo, un aggiustamento del tiro, piuttosto che sul piano dell’onere della prova, sulla nozione di “bisogni della famiglia”, nell’ottica di un ridimensionamento restrittivo dell’attuale concezione58. Inoltre, riteniamo che, sul piano processuale, non vada trascurata la possibilità che i dati fattuali che determinano l’impignorabilità dei beni siano rilevabili d’ufficio dal giudice. Da questo punto di vista, senza indugiare sulla questione circa la rilevabilità d’ufficio dell’impignorabilità da parte del giudice dell’esecuzione (a prescindere dall’opposizione)59, a nostro avviso è predicabile la possibilità che, a seguito dell’iniziativa oppositoria da parte dell’esecutato, il giudice possa rilevare ex officio – purché risultanti dagli atti – elementi fattuali che integrano eccezioni, trovandosi a operare in un ordinario processo di cognizione nel quale valgono le regole processuali generali. Del resto, i fatti impeditivi – e, per quanto più interessa, l’elemento della scientia creditoris – che, ai sensi dell’art. 170 c.c., consentono di vanificare l’azione esecutiva del creditore, sulla base della regole generali per come elaborate dall’orientamento prevalente in materia, fondano eccezioni in senso lato e non in senso stretto60; e non bisogna trascurare, inoltre, che il principio dell’onere della prova non implica anche l’onere della iniziativa probatoria, essendo vigente anche il principio di acquisizione processuale, in virtù del quale, quando la prova è legittimamente acquisita al processo, il giudice può trarre da essa quanto occorre per provare i fatti allegati, qualunque sia il soggetto che ha fatto acquisire al processo la prova in questione61.

In virtù di questi spunti, pare possibile immaginare che, a fronte dell’opposizione dei coniugi debitori sostenuta sul piano probatorio soltanto sotto il profilo dell’estraneità del debito alle esigenze familiari, nulla possa essere perduto per gli opponenti, residuando la possibilità che l’elemento da cui trarre presuntivamente la scientia creditoris sia in qualche modo introdotto o dall’altra parte, o per altra via (ad esempio attraverso una prova testimoniale ammessa su altri fatti), con conseguente rilievo d’ufficio da parte del giudice.

NOTE

1 L’applicazione di questa disciplina presuppone la sussistenza dei requisiti formali di opponibilità del fondo all’azione esecutiva intrapresa dal creditore [annotazione della costituzione del fondo sull’atto di matrimonio in data anteriore a quella del pignoramento; sul punto, mette conto ricordare che secondo Cass., sez. un., 13 ottobre 2009 n. 21658, in Corr. giur., 2010, 1612 ss., con nota di G. Ridella, per ottenere l’opponibilità del fondo ai creditori occorre far riferimento solo all’annotazione del vincolo a margine dell’atto di matrimonio e non alla trascrizione dello stesso (che avrebbe solo una funzione di pubblicità notizia)]. In dottrina, per una disamina generale del tema della aggredibilità in via esecutiva, sia in caso di esecuzione singolare sia in caso di fallimento, di un bene costituito in fondo patrimoniale, cfr. A. Lorenzetto Peserico, Il fondo patrimoniale tra esecuzione forzata e fallimento, in Riv. esec. forz., 2013, 487 ss.

2 M. Mattioni, Fondo patrimoniale e bisogni della famiglia, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 661 ss., par. II, 2; v. anche M. de Pamphilis, I bisogni “insaziabili” della famiglia: presupposti per l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e ripartizione dell’onere probatorio, in Fam. e dir., 2017, 513 ss.; G. Oberto, Sub art. 170, in M. Sesta (a cura di), Codice della famiglia, 3a ed., Milano, 2015, 722 ss.

3 Cfr. M.M. Francisetti Brolin, L’indisponibilità e l’inespropriabilità (limitata) del fondo patrimoniale, Napoli, 2012, 45 ss.; M. Mattioni, op. loc. cit., il quale – richiamando sul punto F. Santoro-Passarelli, Poteri e responsabilità patrimoniali dei coniugi per i bisogni della famiglia, in Aa.Vv., Diritto di famiglia. Raccolta di scritti di colleghi di della Facoltà giuridica di Roma e di allievi in onore di Rosario Nicolò, Milano, 1982, 417 ss. – osserva che l’art. 170 c.c., mediante l’elemento soggettivo della scientia creditoris, intende tutelare l’affidamento del creditore, consentendogli – eccezionalmente – di aggredire i beni del fondo quante volte egli avesse contratto nella convinzione che il debitore agisse per scopi inerenti ai bisogni della famiglia e che, pertanto, l’obbligazione fosse garantita (anche) dai beni costituiti in fondo patrimoniale.

4 Cfr., in giurisprudenza, tra le altre, Cass. 11 luglio 2014 n. 15886, in Foro it., 2014, 1, 3494; Cass. 7 luglio 2009 n. 15862, in Fam. pers. succ., 2010, 271 ss., con nota di A. Donato; Cass. 7 gennaio 1984 n. 134, in Foro it. 1985, I, 558. La giurisprudenza di merito, dal canto suo, avalla una “una interpretazione estremamente ampia della categoria dei bisogni della famiglia che giustificano l’esecuzione anche sul fondo patrimoniale, corrispondentemente riducendo la portata del divieto dell’articolo 170 c.p.c., in quanto norma eccezionale, come tale di stretta interpretazione, rispetto alla regola della piena responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c.” (Trib. Reggio Emilia, 20 maggio 2015, in Notariato, 2015, 6, 600). In dottrina, per una panoramica dell’evoluzione in parte qua della giurisprudenza cfr., ad esempio, M. Mattioni, op. cit., II, 3. Anche nella manualistica più autorevole si ricorda che la nozione di “debiti contratti per bisogni della famiglia” non deve essere intesa restrittivamente; in questo senso cfr., tra gli altri, M. Paladini, in Aa.Vv., Diritto Privato, 2a ed., III, Torino, 2013, 1118; F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, 14a ed., Napoli, 2009, 374.

5 Invero, di recente Cass. 25 febbraio 2020 n. 5017, in Dir. fam. e pers., 2020, 1297 ss., con nota di F. Campione, ha sviluppato il ragionamento in questione nel contesto di una più ampia riflessione, in base alla quale, per un verso, l’iscrizione ipotecaria di cui all’art. 77 del d.P.R. n. 602 del 1973 è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall’art. 170 c.c., onde il creditore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al debitore e conferiti nel fondo, ove il debito sia stato contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, oppure – nell’ipotesi contraria – purché il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere, diversamente, illegittima l’eventuale iscrizione comunque effettuata (su questa linea, in giurisprudenza, cfr., tra le altre, Cass. 23 novembre 2015 n. 23876, in Rass. trib., 2017, 785 ss., con nota di S.A. Parente, Obbligazione tributaria, ipoteca esattoriale ed esecuzione sui beni del fondo patrimoniale; Cass. 23 agosto 2018 n. 20998, in Corr. trib., 2018, 3017 ss., con nota di E. Fronticelli Baldelli, Inopponibilità del fondo patrimoniale all’ipoteca esattoriale). Per altro verso – posto che il criterio identificativo dei crediti che possono essere realizzati esecutivamente sui beni conferiti nel fondo va ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia (cfr. anche Cass. 24 febbraio 2015 n. 3738, in Fisco, 2015, 11, 1097) –, anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può ritenersi contratto per soddisfare tale finalità, fermo restando che essa non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa, dovendosi accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari, nel cui ambito vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’univoco sviluppo della famiglia, ovvero per il potenziamento della capacità lavorativa, e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (cfr. anche Cass. 6 maggio 2016, n. 9188, in Fisco, 2016, 22, 2195). Sul punto v. anche S. Capolupo, Ipoteca legale su beni del fondo patrimoniale, in Fisco, 2020, 43, 4147 ss.; A.R. Ciarcia, Il fondo patrimoniale e i debiti tributari, in Dir. e prat. trib., 2019, 2424 ss

6 Cass. 27 aprile 2020 n. 8201, in Fam. e dir., 2020, 1040 ss., con nota di M. de Pamphilis, Redditi professionali e bisogni della famiglia: un nuovo corso della S.C. in materia di impignorabilità dei beni del fondo patrimoniale?, il quale evidenzia la laconicità della motivazione della decisione in questione, pur osservando che essa segna una parziale inversione di rotta rispetto alla giurisprudenza maggioritaria.

7 Ad esempio, viene richiamata Cass. 19 febbraio 2013 n. 4011, in Giur. it. 2013, 2501 ss. con nota di M.M. Francisetti Brolin, Fondo patrimoniale e onere della prova e art. 170 c.c.: note critiche e proposta (alternativa) per un’interpretazione costituzionalmente orientata, che testualmente afferma: “va ribadito il principio di diritto per il quale ‘in tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui frutti di essi, il disposto dell’art. 170 c.c. […] va inteso non in senso restrittivo, come riferentesi cioè alla necessità di soddisfare l’indispensabile per l’esistenza della famiglia, bensì […] nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi’ […]. Si è quindi preferita una nozione di bisogni della famiglia piuttosto ampia, per la quale si esclude che bisogni rilevanti siano soltanto quelli essenziali del nucleo familiare, ma vi si comprendono anche altre esigenze, purché il loro soddisfacimento sia funzionale alla vita della famiglia; inoltre, si è attribuita rilevanza non solo ai bisogni oggettivi, ma anche a quelli soggettivamente ritenuti tali dai coniugi, adottandosi peraltro un parametro di valutazione negativo, secondo quanto sopra. Come è noto, controversa è la possibilità di ricondurre ai bisogni della famiglia i debiti derivanti dall’attività professionale o d’impresa di uno dei coniugi, anche in considerazione del fatto che i redditi relativi sono di norma, ma non necessariamente, destinati al mantenimento della famiglia. È vero che […] la destinazione ai bisogni della famiglia non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto nell’esercizio dell’impresa, tuttavia è evidente che la richiamata circostanza non è, a contrario, nemmeno idonea ad escludere in via di principio che il debito possa dirsi contratto per soddisfare detti bisogni […] Piuttosto, occorre che l’indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura di questa: i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligarsi fosse quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo, ma nel senso ampio di cui sopra, nel quale sono ricompresi anche i bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari”. Del resto, ancora più di recente, Cass. 8 febbraio 2021 n. 2904 ha ribadito, per un verso, che i bisogni della famiglia devono intendersi in senso lato e, per altro verso, con precipuo riguardo ai debiti derivanti dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, che è nozione di comune esperienza che le obbligazioni assunte nell’esercizio delle attività de quibus abbiano uno scopo normalmente estraneo ai bisogni della famiglia, onde è necessario l’accertamento da parte del giudice di merito della relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia in senso ampio intesi, avuto riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto.

8 Sull’onere della prova in generale non possiamo non richiamare, tra le altre, le opere di G.A. Micheli, L’onere della prova, Padova, rist. 1966; G. Verde, L’onere della prova nel processo civile, Napoli-Camerino, 1974; S. Patti, Prove, in Comm. cod. civ. e cod. coll. Scialoja, Branca e Galgano, Bologna, 2015; M. Taruffo, voce Onere della prova, in Dig. disc. priv., sez. civ., 1995, XIII, Torino, 65 ss.; Id., voce Onere della prova [dir. proc. civ.], in Enc. Giur. Treccani, Il diritto on line, 2017; L.P. Comoglio, Le prove civili, 3a ed., Torino, 2010, 249 ss.

9 Cass. n. 5017/2020 cit.

10 Cfr., tra gli altri, G. Gabrielli, Patrimonio familiare e fondo patrimoniale, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 301; A. Lorenzetto Peserico, op. cit., par. 4; M.M. Francisetti Brolin, L’indisponibilità, cit., 26 e nota 43 per ulteriori riferimenti.

11 Cfr., tra le altre, Cass. 24 febbraio 2016 n. 3600, in Fisco, 2016, 12, 1181, con nota di A. Borgoglio; Cass. 29 gennaio 2016 n. 1652, in Mass. redaz., 2016; Cass. n. 4011/2013, cit.; v. anche Cass. 5 marzo 2013 n. 5385, in Giur. it. 2013, 2501 ss., con nota di M.M. Francisetti Brolin, Fondo patrimoniale e onere della prova e art. 170 c.c.: note critiche e proposta (alternativa) per un’interpretazione costituzionalmente orientata.

12 V., tra le altre, Cass. 11 luglio 2017 n. 17076, in Mass. redaz., 2017; Cass. 11 novembre 2016 n. 23054, in Mass. redaz., 2016. Nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Parma 7 gennaio 1997, in Nuova giur. civ. comm., 1998, 31 ss., con nota di Mora.

13 Cass. 15 marzo 2006 n. 5684, in Mass. giur. it. 2006; Trib. Salerno 24 gennaio 2012, in Mass. redaz., 2012; in parte qua, giova richiamare anche Trib. Reggio Emilia 20 maggio 2015, cit., secondo il quale spetta al debitore provare che il creditore conosceva l’estraneità del credito ai bisogni della famiglia, essendovi una presunzione di inerenza dei debiti alle esigenze famigliari, anche in ragione del disposto dell’art. 143 comma 3 c.c.

14 Così E. Russo, Le convenzioni matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, 131.; v. anche, più di recente, A. Randazzo, Il fondo patrimoniale: gli incerti confini del vincolo di inespropriabilità, in Fam. e dir., 2016, 290 ss., par. 3, nota 18, che però segnala come in alcune pronunce la giurisprudenza sembri discostarsi da questa impostazione, e in tal senso richiama Cass. 18 luglio 2003 n. 11230, in Fam. e dir., 2004, 351 ss., con nota di F. Longo, la quale ha affermato che la formulazione dell’art. 170 c.c. “rende evidente che il legislatore ha inteso precludere al creditori che al momento del sorgere dell’obbligazione erano a conoscenza di detta estraneità di soddisfarsi sui beni del fondo, ma non imporre quale ulteriore requisito in positivo l’effettiva conoscenza da parte degli stessi della corrispondenza del credito alle esigenze del nucleo”.

15 V. ad es. Cass. 11 luglio 2014 n. 15886, cit.; Cass. 19 febbraio 2013 n. 4011, cit.; in dottrina v. A. Randazzo, op. cit., par. 3, la quale ricorda che, comunque, grava sull’opponente l’onere di allegare e dimostrare i fatti noti da cui desumere, in via presuntiva, i fatti oggetto di prova. Del resto, come ha osservato la stessa Suprema Corte, segnatamente con riguardo alla prova della conoscenza, in capo al creditore, dello stato d’insolvenza del debitore – ai fini dell’azione revocatoria ex art. 67 della legge fallimentare (v. ora l’art. 166 d.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 – codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza –, la cui entrata in vigore della citata riforma, originariamente prevista per il 15 agosto 2020, è stata posticipata, ad opera del d.l. 8 aprile 2020 n. 23, al 1° settembre 2021 a causa dell’emergenza epidemiologica da COVID-19) –, dato che si tratta di dimostrare uno stato interiore del soggetto, il quale non può quindi risultare da una prova diretta, s’impone il richiamo dello strumento delle presunzioni (così Cass. 24 marzo 2007 n. 9903, in Fall., 2007, 879 ss., con osservazioni di V. Cederle, La prova della scientia decoctionis tra astrattezza ed effettività; in argomento v. anche F. Landolfi, La presunzione semplice nella prova della scientia decoctionis, in Fall., 2004, 172 ss.).

16 Osservazione già espressa in dottrina: cfr., anche per ulteriori riferimenti, M.M. Francisetti Brolin, op. ult. cit., 28-29.

17 Per una rapida rassegna cfr. anche G. Buffone, sub art. 170, in Aa.Vv., Codice della famiglia, diretto da F. Di Marzio, Milano, 2018, 488; D. Micali, Diritto di procedere in executivis e limiti alla pignorabilità: l’onere della prova in rapporto con l’efficacia del titolo esecutivo, in Riv. esec. forz., 2014, 2 ss., par. 3; in argomento v. anche I. Gambioli, Esecuzione forzata su beni e frutti del fondo patrimoniale: la tortuosa strada dell’esecutato opponente, in Il giusto proc. civ., 2014, 1161 ss.; A. Lorenzetto Peserico, op. cit., par. 5; per ulteriori riferimenti di dottrina v., ad es., M.M. Francisetti Brolin, Fondo patrimoniale, debito fiscale, onere della prova, in Contratti, 2014, 721 ss., nota 25; M. Mattioni, op. cit., sez. IV.

18 M.M. Francisetti Brolin, L’indisponibilità, cit., 29 ss. e Id., Fondo patrimoniale e onere della prova, cit., par. 2, il quale rileva che il meccanismo delle presunzioni risulta devitalizzato ove si accolga la nozione ampia di bisogni della famiglia, comprensiva, a certe condizioni, anche delle obbligazioni derivanti da attività economiche di uno o entrambi i coniugi (che, come ricorda l’autore, per una parte della dottrina sono per definizione estranee ai bisogni della famiglia); coloro che si oppongono all’esecuzione, infatti, dinanzi all’impossibilità di provare la consapevolezza effettiva del creditore circa l’estraneità del debito, non potrebbero allegare come fatto noto ex art. 2727 c.c. l’origine dell’obbligazione nell’ambito dell’attività imprenditoriale, professionale o lavorativa (elemento da cui dedurre il fatto ignoto della scientia creditoris); tale passaggio logico non sarebbe possibile, posto che l’attività considerata, alla luce dell’idea giurisprudenziale per cui è invece necessario un giudizio in concreto, non è elemento certo e incontrovertibile al fine di stabilire, in un senso o nell’altro, la reale destinazione finalistica dell’obbligazione.

19 V. supra, par. 2.

20 V., sul punto, le considerazioni di E. Russo, op. cit., 131-132; M.M. Francisetti Brolin, L’indisponibilità, cit., 29 ss.; Id., Fondo patrimoniale e onere della prova, cit., par. 2; G. Gabrielli, op. cit., 295; M. Mattioni, op. cit., parr. 5 e 6.

21 M.M. Francisetti Brolin, L’indisponibilità, cit., 30-31.

22 Così M.M. Francisetti Brolin, op. ult. cit., 33-34 e nota 57 per ulteriori riferimenti in merito al richiamo alla ragionevolezza in materia di ripartizione dell’onere probatorio.

23 Su cui v. il prossimo paragrafo.

24 V. ancora M.M. Francisetti Brolin, op. ult. cit., 43-44.

25 M.M. Francisetti Brolin, op. ult. cit., 50, spiega che tale onus probandi, ove si acceda all’ampia nozione giurisprudenziale di “bisogno familiare”, si presenta comunque impegnativo; nel caso in cui il debito dipenda da attività professionale, lavorativa o imprenditoriale, infatti, gli opponenti dovranno dar prova che l’attività, nell’ambito della quale l’obbligazione sia stata assunta, sia orientata ad ottenere una sorta di surplus di reddito, che venga poi concretamente impiegato non per sorreggere la famiglia ma per finalità voluttuarie, personali o meramente speculative. 26 Cfr., amplius, M.M. Francisetti Brolin, op. ult. cit., 45 ss., spec. 48 ss. Inoltre, qualche “deviazione” rispetto all’orientamento maggioritario è riscontrabile anche nella giurisprudenza di merito: così, ad es., Comm. trib. prov. Reggio Emilia, 25 settembre 2013, n. 177, in Contratti, 2014, 721 ss., dopo aver osservato che “l’inerenza immediata e diretta dei debiti fiscali con i bisogni della famiglia può sussistere solo per quelli conseguenti all’imposizione su di un’attività del fondo (ad esempio, redditi degli immobili conferiti) e non ad attività economica del conferente”, è giunta ad affermare che “è onere del creditore dimostrare che le imposte, per cui si procede all’esecuzione, siano quelle riferite al reddito prodotto dai beni conferiti nel fondo”. In parte qua, la medesima dottrina fautrice della ricostruzione (diversa rispetto all’impostazione prevalente) di cui si è dato conto nel testo ha espresso considerazioni critiche: pur ritenendo che l’opzione della Commissione tributaria emiliana risulti compatibile con il principio di vicinanza della prova e coerente nella prospettiva del rapporto amministrazione finanziaria-contribuente, ha osservato che l’applicazione del medesimo criterio a un’obbligazione di diritto privato risulterebbe oltremodo garantista per i coniugi debitori, sui quali invece dovrebbe sempre gravare l’onere della prova circa la “natura” del debito contratto, posto che “costoro, infatti, concorrono ex art. 144 c.c. alla formazione dell’indirizzo della vita domestica “secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa”, sicché, attuando “l’indirizzo concordato”, sono i soggetti che si trovano nella posizione di maggiore vicinanza alla fonte di prova al fine dell’identificazione di tutto ciò che risponda ai bisogni familiari” (così M.M. Francisetti Brolin, Fondo patrimoniale, debito fiscale, cit., par. 3).

27 Come osserva la dottrina, l’orientamento della giurisprudenza si fonda sull’esigenza di reprimere il fenomeno delle separazioni patrimoniali strumentali e fraudolente, consistenti nella costituzione del fondo patrimoniale al mero fine di sottrarre cespiti alla garanzia patrimoniale generica delle obbligazioni contratte dai familiari (M. Mattioni, op. cit., par. 6; D. Micali, op. cit., par. 3).

28 Sulla nozione di eccezione di merito cfr., tra gli altri, G. Fabbrini, (voce) Eccezione, in Enc. giur., vol. XII, 1989, 1 ss.; R. Oriani, voce Eccezione, in Dig. disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, 262 ss.; A. Motto, Poteri giurisdizionali e tutela sostanziale, Torino, 2012, 203 ss.; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, I, Principi generali, 10a ed., 2019, 257 ss.; C. Mandrioli, Diritto processuale civile, I, Nozioni introduttive e disposizioni generali, 18a ed., Torino, 2006, 131 ss.; L.P. Comoglio, Lezione sul processo civile, Bologna, 1998, 263 ss.; L. Montesano, G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, Padova, 2001, 329; A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, 5a ed., Napoli, 2006, 58; F. Russo, Contributo allo studio dell’eccezione nel processo civile, Roma, 2013.

29 Cfr., tra gli altri, F.P. Luiso, op. cit., 263; C. Mandrioli, Diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione, 18a ed., Torino, 2006, 189; L. Dittrich, L’istruzione probatoria, in L. Dittrich (a cura di), Trattato “Omnia” di diritto processuale civile, II, Processo di cognizione, Torino, 2019, 1754 ss.

30 Cfr. F.P. Luiso, op. cit., 265 ss.; L. Dittrich, op. cit., 1758 e nota 122; amplius G. Verde, op. cit., 465 ss. Sulla vicinanza della prova v. anche, più di recente, C. Besso, La vicinanza della prova, in Riv. dir. proc., 2015, 1383 ss.; M. Taruffo, voce Onere della prova [dir. proc. civ.], cit., par. 8. Nella giurisprudenza della Suprema Corte, la consacrazione del principio della vicinanza della prova si è avuto con Cass., sez. un., 30 ottobre 2001 n. 13533, in Foro it., 2002, I, 769 ss., con nota di P. Laghezza, secondo cui, nell’ottica della prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, oppure per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, potendo limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, aggiungendo che uguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite). Più di recente le Sezioni unite hanno avuto di ribadire il principio de quo in tema di onere probatorio nella garanzia per i vizi nella compravendita. In particolare, la S.C. ha affermato che, alla stregua di quanto disposto dall’art. 2967 c.c., nelle azioni edilizie il criterio della distribuzione dell’onere della prova tra venditore e compratore deve seguire la logica secondo la quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento; il diritto alla risoluzione o alla modificazione (quanto al prezzo) del contratto di compravendita, che vuol far valere il compratore che esperisca le azioni di cui all’art. 1492 c.c., si fonda sul fatto della esistenza dei vizi; la prova di tale esistenza spetta, pertanto, al compratore (e non incombe, invece, sul venditore l’onere di dimostrare l’inesistenza dei vizi). Le Sezioni unite hanno poi aggiunto che tale impostazione risulta idonea a soddisfare anche le esigenze legate al principio di vicinanza della prova e al tradizionale canone negativa non sunt probanda, ricordando come tali principi siano stati a suo tempo indicati proprio dalle Sezioni Unite del 2001 a sostegno della opzione ermeneutica che pone sull’obbligato l’onere di provare di avere (esattamente) adempiuto non solo quando il creditore chieda l’adempimento, ma anche quando il creditore chieda la risoluzione del contratto o il risarcimento del danno (Cass., sez. un., 3 maggio 2019 n. 11748, tra l’altro in Contratti, 2019, 373 ss., con nota di T. Dalla Massara; in Giur. it., 2019, 1527 ss., con nota di R. Calvo; in Corr. Giur., 2019, 744 ss., con nota di G. Villa).

31 Anticipiamo, ma riprenderemo questo passaggio più avanti, che ci pare inconfutabile che le condizioni di espropriabilità dettate dall’art. 170 c.c., quand’anche – in ipotesi – fossero ascrivibili all’area delle c.d. eccezioni, non integrerebbero fatti modificativi o estintivi, dovendosi infatti tener conto che, nell’ottica dell’integrazione della fattispecie del diritto a procedere esecutivamente (su cui v. infra nel testo), il fatto da considerare non è la costituzione del fondo, ma la conoscenza del creditore circa l’estraneità del debito rispetto ai bisogni della famiglia.

32 Come rileva M. Taruffo, voce Onere della prova, in Dig. disc. priv., cit., par. 7, la regola tradizionale per cui negativa non sunt probanda non è più ritenuta valida nel nostro ordinamento, onde la parte potrà assolvere all’onere dando la prova di fatti “positivi” incompatibili con la verità del fatto di cui deve dimostrare l’inesistenza; d’altronde, non è neppure escluso che talvolta si possa anche dare la prova diretta di un fatto negativo. L’illustre autore, peraltro, osserva che la prova di un fatto negativo può suscitare notevoli problemi alla parte che ne è onerata. Se il fatto negativo è determinato in modo specifico e circoscritto la prova può essere solitamente data, direttamente o e contrario, senza grandi difficoltà. Problemi rilevanti emergono invece quando il fatto negativo è generico e indeterminato, poiché la prova diretta, ma anche la prova del fatto positivo incompatibile, possono risultare impossibili, tant’è che il legislatore interviene invertendo con presunzioni l’onere della prova in varie ipotesi nelle quali una parte avrebbe l’onere di provare un fatto di difficile dimostrazione.

33 In questo senso torna ancora utile l’esempio della revocatoria fallimentare: il comma 1 dell’art. 167 l. fall. elenca alcune tipologie di atti che sono “revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore”; il comma 2, invece, sottopone a revoca altri atti (i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento), se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore (cfr. anche l’art. 166 del codice della crisi e dell’insolvenza, come richiamato retro alla nota 14).

34 Cfr., tra gli altri, F.P. Luiso, Diritto processuale civile, III, Il processo esecutivo, 10a ed., Milano, 2019, 22; C. Mandrioli, A. Carratta, Corso di diritto processuale civile, III, L’esecuzione forzata, i procedimenti speciali, l’arbitrato, la mediazione e la negoziazione assistita, 16a ed., 2019, 16-17.

35 Cfr., tra gli altri, C. Mandrioli, A. Carratta, op. cit., 14 ss.; amplius, A.A. Romano, voce Titolo esecutivo, in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg., Torino, 2010, par. 2; A. Bonsignori, voce Esecuzione forzata in genere, in Dig. disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, par. 9.

36 V., tra gli altri, C. Mandrioli, A. Carratta, op. cit., 15-16; F.P. Luiso, op. ult. cit., 34 ss.; A. Proto Pisani, op. cit., 696-697, il quale osserva che il titolo esecutivo è lo strumento tramite il quale il legislatore pone fuori dal processo di esecuzione ogni questione relativa all’accertamento dell’esistenza del diritto rappresentato dal titolo; G.N. Nardo, Il titolo esecutivo e l’atto di precetto, in L. Dittrich (a cura di), Trattato “Omnia” di diritto processuale civile, III, Processo del lavoro, esecuzione forzata, Torino, 2019, 3479; E.T. Liebman, Le opposizioni di merito nel processo di esecuzione, Roma, 1931, 125 ss. Per un approfondimento critico sul punto, inidoneo a nostro avviso a scalfire il fondamento delle considerazioni che andremo a sviscerare, cfr. l’analisi di A.A. Romano, op. loc. ult. cit., il quale opina per “una sistemazione dell’azione esecutiva che presupponga così il titolo esecutivo come il diritto sostanziale, quali condizioni identicamente necessarie al suo sorgere, ancorché poi materia di meccanismi di controllo e percorsi di verifica – ora interni al processo d’esecuzione, ora esterni al medesimo – per lo più tra loro differenti”.

37 Cfr., tra gli altri, M. Bove, voce Titolo esecutivo [dir. proc. civ.], in Enc. Giur. Treccani, Il diritto on line, 2017, par. 1; A. Bonsignori, op. loc. ult. cit.; R. Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1993, 1 e 131.

38 F.P. Luiso, op. ult. cit., 36 ss., il quale spiega che, come ogni situazione sostanziale, anche il diritto a procedere ad esecuzione forzata deriva da una fattispecie che è scomponibile, da un lato, nei fatti costitutivi, in presenza dei quali nasce il diritto; dall’altro lato, nei fatti a rilievo impeditivo, modificativo ed estintivo, in presenza dei quali l’effetto giuridico, ove anche si sia completata la fattispecie costitutiva, o non sorge (fatti impeditivi), oppure, una volta sorto, si modifica o si estingue (così ad es. la sentenza di condanna di primo grado integra la fattispecie costitutiva del diritto a procedere esecutivamente, mentre la sospensione parziale dell’efficacia esecutiva da parte del giudice di appello costituisce un fatto modificativo del diritto medesimo). L’autore aggiunge che il documento che incorpora il titolo esecutivo dà una rappresentazione parziale della fattispecie del titolo esecutivo in senso sostanziale, perché può essere carente o di un fatto costitutivo (ma è ipotesi eccezionale: ad es. il pagherò cambiario ha efficacia esecutiva al momento della scadenza del termine in esso previsto, termine la cui scadenza non risulta dall’atto stesso, dovendo invece essere calcolata), oppure, più frequentemente, di un fatto modificativo o estintivo (ad es. il titolo esecutivo in senso documentale non riporta l’eventuale sospensione dell’esecuzione da parte del giudice d’appello).

39 In argomento, tra gli altri, v. R. Oriani, voce Opposizione all’esecuzione, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIII, Torino, 1995, parr. 1 ss.; M.C. Vanz, Le opposizioni in materia esecutiva, in L. Dittrich (a cura di), Trattato “Omnia” di diritto processuale civile, III, Processo del lavoro, esecuzione forzata, Torino, 2019, 4064. La dottrina osserva che, come il titolo esecutivo attribuisce al creditore il diritto di procedere a esecuzione forzata, a prescindere da qualsiasi accertamento al riguardo da parte dell’ufficio esecutivo, così l’opposizione all’esecuzione costituisce il rimedio cognitivo, esterno all’esecuzione, attraverso il quale il debitore può contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente (A. Proto Pisani, op. cit., 698-699).

40 R. Oriani, op. ult. cit., par. 1.

41 F.P. Luiso, op. ult. cit., 273-274; da ultimo v. A. Tedoldi, Esecuzione forzata, Pisa, 2020, 372-373. In tema, per una disamina di più ampio respiro, v. anche il recente lavoro di D. Micali, L’opposizione all’esecuzione come azione in giudizio. Struttura e funzione del rimedio esecutivo, Napoli, 2020, 203 ss.

42 V. retro, nota 38.

43 In proposito, tornando alla distinzione tra titolo esecutivo in senso sostanziale e titolo esecutivo in senso documentale, giova richiamare una recente osservazione, secondo la quale nel caso in cui debbano essere fatti valere fatti che rendono inefficace il titolo esecutivo sostanziale, deve sempre essere proposta un’opposizione per far valere in via di eccezione fatti che non emergono dal titolo esecutivo in senso documentale (M.G. Canella, Titolo esecutivo e precetto. Espropriazione forzata in generale, in Chiarloni (a cura di), Commentario del Codice di Procecura civile, Bologna, 2019, 24).

44 R. Oriani, op. ult. cit., par. 3; F.P. Luiso, op. ult. cit., 258; C. Mandrioli, A. Carratta, op. cit., 128; M.C. Vanz, op. loc. ult. cit. In giurisprudenza v., tra le altre, Cass. 20 gennaio 1999 n. 485, in Foro it., 1999, I, 3521; Cass. 14 aprile 1999 n. 3663, in Mass. giur. it., 1999. Ai fini della presente indagine rimane fuori qualunque considerazione in merito alla c.d. opposizione di merito, basata sulla contestazione dell’esistenza del diritto sostanziale di cui è chiesta la tutela in via esecutiva.

45 Sull’impignorabilità come motivo di opposizione all’esecuzione v., amplius, da ultimo, D. Micali, op. ult. cit., 450 ss.

46 Cfr. L. Iacumin, L’espropriazione mobiliare presso il debitore, in L. Dittrich (a cura di), Trattato “Omnia” di diritto processuale civile, III, Processo del lavoro, esecuzione forzata, Torino, 2019, 3741; M.C. Vanz, op. cit., 4082, nota 80. Del resto, R. Oriani, op. ult. cit., par. 9, ricorda come in giurisprudenza si tenda a far rientrare nell’opposizione per impignorabilità, tra l’altro, le ipotesi in cui si deducano a carico del bene pignorato già precedenti vincoli di destinazione e, da questo punto di vista, con precipuo riferimento al fondo patrimoniale, discorre di “impignorabilità” la giurisprudenza che abbiamo richiamato retro alla nota 11. Giova ricordare che la distinzione tra impignorabilità assoluta e impignorabilità relativa discende, in particolare, dagli artt. 514 e 515 c.p.c., dettati nel contesto dell’espropriazione mobiliare presso il debitore, laddove – cfr. proprio l’art. 514 – si fanno comunque salve le altre cose dichiarate impignorabili da speciali disposizioni di legge (sul punto v. A. Tedoldi, op. cit., 181 ss.). L’art. 514 c.p.c. contempla dunque l’impignorabilità assoluta in termini di tassatività, posto che entra in gioco un’eccezione alla sottoponibilità dei beni all’esecuzione in virtù della loro soggezione alla garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.; l’impignorabilità relativa, dal canto suo (cfr. anche l’art. 516 c.p.c.), è tale quando è predicabile entro determinati limiti quantitativi o cronologici (sul punto v., tra gli altri, L. Iacumin, op. cit., 3740, 3744). Anche nell’ambito del pignoramento presso terzi, il codice di rito, all’art. 545, prevede delle ipotesi tassative di impignorabilità; si tratta dei crediti assolutamente impignorabili (ad esempio i crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri) e dei crediti (ad esempio quelli retributivi e pensionistici) la cui pignorabilità soggiace a precisi limiti fissati dal legislatore (in argomento v., tra gli altri, M.C. Vanz, G. Felloni, Il pignoramento presso terzi, in L. Dittrich (a cura di), Trattato “Omnia” di diritto processuale civile, III, Processo del lavoro, esecuzione forzata, Torino, 2019, 3796 ss.). Per quanto concerne il pignoramento immobiliare, nell’apposita disciplina codicistica non è dato leggere un elenco di beni impignorabili, tuttavia tale caratteristica è rintracciabile in alcuni beni in virtù di regole sostanziali, quali ad esempio gli artt. 822 e 823 c.c. (in tema v., tra gli altri, A. Miozzo, L’espropriazione immobiliare, in L. Dittrich (a cura di), Trattato “Omnia” di diritto processuale civile, III, Processo del lavoro, esecuzione forzata, Torino, 2019, 3852-3853).

47 In dottrina alcuni, per un verso, rilevano che con l’opposizione per impignorabilità del bene non si contesta l’an ma il quomodo della esecuzione (v. ad es. A. Proto Pisani, op. cit., 700); per altro verso, tendono a distinguere, concettualmente, l’opposizione che mira a far dichiarare l’impignorabilità dall’opposizione con cui si contesta il diritto a procedere all’esecuzione forzata (v. R. Oriani, op. ult. cit., par. 9).

48 La giurisprudenza afferma che “per distinguere l’opposizione all’esecuzione da quella agli atti esecutivi, si deve considerare che la prima investe l’an dell’esecuzione, cioè il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata per difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo o della pignorabilità dei beni” (così Cass. n. 485/1999, cit.; ma in termini analoghi v. anche, tra le altre, Cass. n. 3663/1999, cit.; Cass. 23 giugno 1999 n. 6396, in Mass. giur. it., 1999; Cass. 23 luglio 1997 n. 6871, in Mass. giur. it., 1997).

49 F.P. Luiso, op. ult. cit., 265; A. Tedoldi, op. cit., 378. In argomento, da ultimo, cfr., anche per ulteriori riferimenti, F. Tizi, La revocatoria in via riconvenzionale dell’atto di destinazione e giudizio di opposizione all’esecuzione per impignorabilità dei beni, in Riv. es. forz., 2020, 1052 ss., par. 2

50 Peraltro, taluni in dottrina affermano che tra le condizioni dell’azione esecutiva va annoverata la possibilità di aggredire legittimamente uno o più beni (cfr. P. Farina, Il nuovo art. 615 c.p.c. e le preclusioni tra discutibili esigenze sistematiche e rischi di un’esecuzione ingiusta, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 279).

51 Per le implicazioni, sul piano dei rimedi spendibili dal debitore esecutato, derivanti dall’impignorabilità relativa, v. L. Iacumin, op. cit., 3747.

52 Cfr. ad es. Cass. 6 giugno 2006 n. 13263, in Riv. esec. forz., 2006, 585 ss. e, soprattutto, il relativo commento di R. Vaccarella, Impignorabilità di somme “vincolate” dall’ente locale ed onere della prova; cfr. anche D. Micali, Diritto di procedere in executivis, cit., par. 2.

53 Per quanto concerne l’impignorabilità relativa il discorso appare un po’ più articolato. Intanto, va detto che in giurisprudenza sembra emergere una costante tendenza a ritenere l’impignorabilità, senza ulteriori specificazioni, motivo di contestazione del diritto a procedere a esecuzione forzata, da spendere con l’opposizione all’esecuzione (cfr., ex multis, Cass. n. 6871/1997, cit.; Cass. 28 giugno 1989 n. 3138, in Mass. giur. it. 1989, con riferimento alla contestazione di non pignorabilità totale, ma soltanto parziale, del credito del debitore esecutato). Secondo una parte della dottrina, invece, mentre l’impignorabilità assoluta integra un limite all’an dell’esecuzione, quella relativa incide sul quomodo della stessa, onde l’impignorabilità relativa potrebbe essere fatta valere soltanto con l’opposizione agli atti esecutivi. Invero, secondo altri autori il rimedio dev’essere quello previsto dall’art. 615 c.p.c. e, di recente, con precipuo riguardo alle ipotesi di impignorabilità mobiliare, è stato affermato che, in ogni caso, il dubbio va risolto in maniera meno netta: ove la pignorabilità sia esclusa per ragioni di tempo o in virtù dell’attività agricola svolta (artt. 515, commi 1 e 2 e art. 516 c.p.c.), l’azione esecutiva, ancorché temporaneamente, non sussiste, talché l’opposizione è quella regolata dall’art. 615 c.p.c.; ove, al contrario, la pignorabilità sia ammessa ma limitatamente a una quota dei beni (art. 515, comma 3, c.p.c.), l’azione esecutiva sussiste e l’eventuale superamento della predetta quota, rilevando esclusivamente in sede di distribuzione del ricavato o di conguaglio successivo all’assegnazione, incide sul quomodo, aprendosi la via all’opposizione agli atti esecutivi (per questa impostazione e per ulteriori riferimenti v. L. Iacumin, op. cit., 3747). A nostro avviso, mutuando categorie concettuali non estranee alla giurisprudenza e alla dottrina, l’impignorabilità relativa, se originaria, integra un fatto parzialmente impeditivo, mentre se sopravvenuta costituisce un fatto modificativo [o forse parzialmente estintivo, anche se va osservato che, con riferimento ad esempio all’adempimento parziale dell’obbligazione, la dottrina discorre in realtà di fatto modificativo; cfr. L.P. Comoglio, op. cit., 283] del diritto a procedere a espropriazione; essa si fa comunque valere mediante l’opposizione all’esecuzione [in dottrina e giurisprudenza la categoria del fatto parzialmente impeditivo è spesso predicata in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato (cfr. ad es. Cass. 10 novembre 2000 n. 14630, in Mass. giust. civ., 2000, 2301; D. Farace, Sul concorso colposo dei soggetti lesi, in Riv. dir. civ., 2015, 158 ss.), ma non mancano espressioni del medesimo anche in sede di esecuzione forzata (v. ad es. Cass. 29 settembre 2017 n. 22856, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 297 ss., con nota di L. Buonanno, secondo cui il singolo condomino, al quale sia intimato il pagamento del debito condominiale per intero, o comunque senza specificazione della sua quota di responsabilità, può proporre l’opposizione all’esecuzione, o allegando di non essere condomino (con onere della prova della sua qualità di condomino a carico del creditore), oppure “eccependo di essere condomino per una quota millesimale inferiore a quella ‘allegata’ (esplicitamente o implicitamente) dal creditore; in tal caso l’onere della prova della misura di detta quota spetterà all’opponente, trattandosi di allegazione di un fatto (quanto meno assimilabile a quello) ‘modificativo’ e/o ‘parzialmente impeditivo’ della legittimazione passiva all’azione esecutiva del singolo condomino, ovvero dell’efficacia del titolo esecutivo per il suo intero importo”; in termini analoghi v. anche Trib. Roma12 giugno 2019, in Mass. redaz., 2019)].

54 Per un rilievo analogo v. D. Micali, op. ult. cit., par. 3.

55 In un caso del genere, secondo l’opinione consolidata, spetta all’opposto, creditore procedente, dar prova dei presupposti per l’estensione soggettiva dell’efficacia del titolo esecutivo, a seguito della contestazione – ad es. della propria qualità di erede del debitore indicato nel titolo – da parte dell’esecutato (v. F.P. Luiso, op. ult. cit., 274; M. Bove, op. cit., par. 7; M.G. Canella, op. cit., 178; in giurisprudenza v. Cass. 30 maggio 2014 n. 12286, in Mass. giust. civ., 2014).

56 F.P. Luiso, Diritto processuale civile, IV, I processi speciali, 10a ed., Milano, 2019, 161-162, il quale osserva che analogo discorso vale anche nel procedimento monitorio c.d. spurio, laddove il decreto ingiuntivo sia ottenuto mercé una prova documentale non efficace, ex art. 634 c.p.c., secondo le regole ordinarie.

57 F.P. Luiso, Diritto processuale civile, III, cit., 46, il quale spiega che la funzione dell’art. 477 c.p.c. è quella di evitare che il creditore sia costretto a instaurare un processo di cognizione per far accertare la qualità di erede dell’esecutato, che si rivelerebbe inutile se quest’ultimo non contestasse la predetta qualità, onde un accertamento preventivo determinerebbe un’inutile spendita di attività processuale (sul punto, tra gli altri, v. anche M.C. Vanz, op. cit., 4071).

58 Ad es. M. De Pamphilis, op. cit., par. 2, anziché incidere sul regime di riparto dell’onere probatorio, caldeggia una rilettura, in senso più favorevole al debitore, del requisito oggettivo per l’inespropriabilità dei beni costituiti nel fondo patrimoniale. In senso analogo, più di recente, Id., Redditi professionali, cit., par. 3

59 In senso affermativo v. ad es. i fondamentali contributi di S. Satta, Rilevabilità d’ufficio dell’impignorabilità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, 1359 ss. e G. Costantino, L’espropriazione forzata in danno delle unità sanitarie e dei comuni (un altro capitolo di una storia infinita), in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, 671 ss. spec. 691 ss. Più di recente, anche per riferimenti di giurisprudenza, v. L. Iacumin, op. cit., 3744 e ivi note, il quale rileva che l’impignorabilità, essendo stabilita – salva l’ipotesi in cui discenda dall’inalienabilità, che si correla a esigenze di tutela di un interesse pubblico – nell’esclusivo interesse del debitore, non può essere rilevata d’ufficio dal giudice; essa deve perciò essere fatta valere dall’esecutato mediante l’opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c. Sul punto giova rammentare che la l. n. 132 del 6 agosto 2015, di conversione del d.l. 27 giugno 2015 n. 83, ha aggiunto, tra l’altro, un ultimo comma all’art. 545 c.p.c. (nell’ambito dell’espropriazione presso terzi), a tenore del quale “il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsto dallo stesso o dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio”. In precedenza, secondo il consolidato indirizzo della Suprema Corte, “la questione della impignorabilità del bene oggetto di esecuzione presso terzi, con riferimento alla sua natura, costituisce materia di opposizione alla esecuzione a norma dell’art. 615 c.p.c.” (così, tra le altre, Cass., sez. un., 18 dicembre 1987 n. 9407, in Giur. it., 1989, I, 1, 537); successivamente la Cassazione ha sviluppato un orientamento imperniato, sul versante in questione, sulla tipologia di credito: da questo punto di vista, quando è collegata a prestazione dovute a titolo di stipendio, salario, pensione e simili, l’impignorabilità è stabilita nell’interesse pubblico e può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice, mentre quando è contemplata nell’interesse esclusivo del debitore essa può essere fatta valere solo con il rimedio oppositorio (cfr. ad es. Cass. 11 giugno 1999 n. 5761, in Foro it., 2001, I, 2019). La citata nuova previsione ha posto il problema se essa possa essere inquadrata come espressione di una regola generalizzata ovvero circoscritta allo specifico caso di pensioni e stipendi. In questo secondo senso si è espressa una parte della dottrina (cfr., anche per ulteriori riferimenti, M.C. Vanz, op. cit., 4082 e ivi note); secondo altri, invece, “la collocazione topografica della nuova previsione, di chiusura rispetto alla norma che disciplina i crediti impignorabili, determina oggi l’applicabilità del nuovo regime a tutte le ipotesi di impignorabilità previste dal codice di rito, senza che possa più distinguersi a seconda della ragione, di ordine pubblico o di interesse del debitore, posta alla base del limite di legge. Una diversa e più restrittiva ricostruzione non sembra, in effetti, sostenibile alla luce dell’attuale disposizione, che rinviando a tutti i commi precedenti estende, al contrario, il nuovo sistema della rilevabilità d’ufficio anche alle ipotesi di impignorabilità di crediti inserite in norme extravaganti, richiamate dallo stesso art. 545 c.p.c.” (così T. Salvioni, Le modifiche in materia di espropriazione presso terzi, in Giur. it., 2016, 1264 ss., par. 3, la quale aggiunge che in caso di inerzia del giudice il debitore potrà proporre opposizione all’esecuzione per impignorabilità, ma anche solo sollecitarne il rilievo in via informale; in argomento v. anche P. Farina, op. cit., 279, la quale opina nel senso del rilievo officioso anche dell’impignorabilità dei beni inalienabili perché demaniali ex artt. 822-825 c.c., o perché patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici ex artt. 826-830 c.c., o perché cose mobili assolutamente impignorabili ex art. 514 c.p.c.).

60 Non è ovviamente questa la sede per approfondire il tema della distinzione concettuale tra eccezioni (di merito) in senso stretto ed eccezioni (di merito) in senso lato; ci limitiamo a ricordare che, in linea di massima, secondo l’orientamento ormai dominante, l’eccezione in senso stretto riveste carattere eccezionale e, sulla scorta dell’art. 112 c.p.c., va individuata nei casi di espressa previsione di legge nel senso del carattere riservato della eccezione, e nelle ipotesi in cui l’eccezione si ricollega alla titolarità di un’azione costitutiva (cfr., tra le più recenti, Cass. sez. un. 7 maggio 2013 n. 10531, in Foro it., 2013, 12, 3500, con nota di R. Oriani, Eccezione in senso lato e onere di tempestiva allegazione: un discorso chiuso?; Cass. 30 giugno 2020 n. 12980, in Dir. & giust., 2020, con nota di G.D. Giagnotti). Sul punto, anche per ulteriori riferimenti, rinviamo a L. Dittrich, Il principio della domanda e l’oggetto del processo, in L. Dittrich (a cura di), Trattato “Omnia” di diritto processuale civile, II, Processo di cognizione, Torino, 2019, 1463 ss. e ivi note; pare poi utile richiamare, tra gli altri, i fondamentali contributi di R. Oriani, Eccezioni rilevabili (e non rilevabili) d’ufficio. Profili generali (I), in Corr. giur., 2005, 1011 ss.; G. Fabbrini, L’eccezione di merito nello svolgimento del processo di cognizione, in Studi in memoria di Furno, 1973, 247 ss.; E. Grasso, La pronuncia d’ufficio, Milano, 1967, 316 ss.; E. Merlin, Eccezioni rilevabili d’ufficio e sistema delle preclusioni in appello, in Riv. dir. proc., 2015, 299 ss.

61 F.P. Luiso, Diritto processuale civile, I, cit., 240, 261, il quale, sul piano generale, rileva che il principio di acquisizione incontra due limiti: in primo luogo, con riferimento ai diritti c.d. eteroindividuati, il giudice non può accogliere la domanda fondando la decisione su un fatto provato, ma non allegato dalla parte interessata, che individui un diverso diritto (altrimenti verrebbe violato il principio della domanda); in secondo luogo, con riguardo alle eccezioni in senso stretto, non potendo il giudice rigettare la domanda sulla base di una eccezione riservata al convenuto e che questi non abbia sollevato (ancorché il fatto sia provato agli atti di causa).