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Partecipazioni societarie e comunione legale

autore: V. Cianciolo

Sommario: 1. Introduzione. 2. Cenni alla comunione legale. 3. Le varie tipologie di partecipazioni sociali acquistate in regime di comunione legale. 4. Il conferimento dei beni in comunione legale nelle società di persone. 5. Società di persone tra coniugi e impresa coniugale. 6. Le deroghe della comunione legale nelle società di capitali. 7. Comunione legale e clausole di gradimento. 8. Il conferimento dell’azienda individuale del coniuge in regime di comunione legale. 9. Partecipazioni sociali sottoscritte con il conferimento di un immobile donato ad un coniuge in regime di comunione legale. 10. Comunione legale e partecipazione a consorzi. 11. Cenni comparatistici sul regime patrimoniale della famiglia ed acquisto di partecipazione sociale in regime di comunione in Francia, Germania e Inghilterra.



1. Introduzione



La “Riforma di diritto di famiglia”, operata con la ben nota legge 19 maggio 1975, n. 151, soffre di una importante assenza del dato normativo in relazione alla sorte delle partecipazioni sociali da acquistare, in costanza di comunione dei beni tra coniugi. Il legislatore, infatti, si è limitato a disciplinare il caso del coniuge o dei coniugi titolari di un’impresa individuale, senza nulla prevedere relativamente a quello in cui un coniuge svolga attività di impresa congiuntamente con altri. La mancanza di disciplina, si è sostenuto1, non è dovuta ad una lacuna legislativa, ma è stata invece voluta al fine di consentire “senza precostituite catalogazioni, un libero apprezzamento delle singole concrete fattispecie, al fine dell’applicazione dei princìpi del sistema in modo più aderente alla realtà”. Molto probabilmente “si è trattato di una mera omissione di legge, che non ha preso in considerazione questo aspetto particolare nell’ambito della generale disciplina della comunione legale dei beni”2.

Il tema comporta un dato particolare, ossia, l’esecuzione in un unico ambito, di norme che riguardano plessi differenti, le cui possibili conseguenze risiedono in verosimili incompatibilità o interferenze delle regole del diritto societario con il regime comunitario della famiglia.

Tenendo conto della sovrapposizione di queste due aree, la soluzione da ricercare deve essere tesa, da un lato, ad assicurare certezza ai traffici commerciali, tutelando il principio dell’affidamento dei terzi; dall’altro, a rendere paritaria, almeno tendenzialmente, la posizione dei coniugi nei confronti degli incrementi patrimoniali avuti nel matrimonio, salvaguardando, comunque, l’iniziativa economica del coniuge, che ha indubbiamente una copertura costituzionale.

La funzione dei rapporti patrimoniali tra coniugi, diretti a realizzare i principi costituzionali, spiegherebbe un loro assetto normativo autonomo ed autosufficiente3. Pertanto, vengono a qualificarsi “speciali” quelle regole che riguardano il regime patrimoniale, pertanto, capaci di bypassare eventuali antinomie. Il punto è che la derogabilità della norma speciale rispetto alla norma generale, è possibile solo se vi è un’espressa previsione legislativa. Nel silenzio legislativo, quindi, si pongono numerosi interrogativi.

In primo luogo, bisogna verificare se l’acquisto delle partecipazioni sociali comporta il problema della idoneità di queste ultime ad essere oggetto della comunione legale, nonché le regole con le quali le quote di partecipazione hanno ingresso nella comunione stessa. Preliminare alla caduta o meno in comunione è, dunque, la soluzione positiva del quesito posto.

Inoltre, la caduta o meno in comunione della partecipazione sociale presupporrebbe la soluzione dell’ulteriore quesito relativo alla natura giuridica del diritto sulla quota stessa: diritto reale o diritto di credito.



2. Cenni alla comunione legale



La comunione dei beni4 costituisce il regime patrimoniale legale della famiglia, introdotto dalla legge 151/1975 che riformando il codice del 1942, ha previsto agli artt. 177 e seguenti la sua disciplina.

L’ordinamento prevede una pluralità di regimi, la cui scelta nasce dalla volontà di entrambi i coniugi, e per i quali si parla di regimi convenzionali; in mancanza, l’opzione è definita dalla legge con l’automatica applicazione della disciplina della comunione legale.

Un aspetto importante è quello contributivo-distributivo, poiché la chiave di volta del regime patrimoniale della famiglia è quella che, in esecuzione del principio costituzionale dell’uguaglianza tra coniugi, stabilisce a carico di ciascun coniuge l’obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia secondo le proprie sostanze e le proprie capacità di lavoro (art. 143 c.c.). Quest’obbligo, a cui non si può derogare mediante convenzioni matrimoniali (art. 160 c.c.), costituisce l’unico regime patrimoniale che sia idoneo a soddisfare gli interessi della famiglia e a realizzare l’uguaglianza tra coniugi.

All’interno del regime patrimoniale si hanno una serie di sottosistemi dati da:

– una fascia primaria, della quale fanno parte: il regime primario (art. 143 c.c.), il fondo patrimoniale (art. 167 ss. c.c.) e l’impresa familiare (art. 230-bis c.c.);

– una fascia secondaria, in cui in posizione sottordinata ai primi, si trovano:

la comunione legale dei beni (art. 177 ss. c.c.), la comunione convenzionale (artt. 210-211 c.c.) e la separazione dei beni (art. 215 ss. c.c.), questi ultimi due contraddistinti dalla libera scelta dei coniugi.

Di conseguenza, diverse sono le finalità perseguite dai regimi primari e secondari, che autorevole dottrina5 ha distinto rispettivamente in due momenti:

a) l’uno inderogabile e contributivo, che mira al soddisfacimento dei bisogni della famiglia;

b) l’altro diretto a certificare la disposizione dei coniugi a redistribuire o meno tra gli stessi le fortune acquistate, congiuntamente o disgiuntamente manente comunione.

Le caratteristiche peculiari si ravvisano nell’inderogabile uguaglianza delle quote dei coniugi, nell’indisponibilità delle stesse e nel regime speciale di amministrazione che rappresentano le fondamentali difformità rispetto alla comunione ordinaria.

Sotto il profilo degli acquisti, occorre anticipare che la caduta in comunione del bene acquistato dal singolo coniuge, manente comunione, (salvo le ipotesi di cui agli artt. 177 lett. b) e c), 178 e 179 c.c.) è conseguenza dell’effetto acquisitivo unitario ex lege tipico: in buona sostanza, l’acquisto si comunica ope legis anche all’altro coniuge in ragione della metà, effetto proprio della comunione legale.

Si assiste cosi a tre diverse masse di beni:

a) la massa della c.d. comunione immediata formata dagli ac-

quisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio (art. 177 lett. a) c.c.) e dalle aziende gestite da entrambi i coniugi costituite dopo il matrimonio (art. 177 lett. d) c.c.);

b) la massa di beni in comunione de residuo: si tratta di una comunione eventuale e differita, subordinata alla circostanza che al suo scioglimento i beni sussistano ancora: sarebbero dunque, oggetto della comunione legale, se sussistono al momento dello scioglimento di questa, i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati, (art. 177 lett. b) c.c.); i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, che non siano stati consumati (art. 177 lett. c) c.c.) ed i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gestita da entrambi, nonché gli incrementi dell’impresa costituita anche prima del matrimonio, ma gestita da entrambi (art. 178 c.c.);

c) la terza massa dei beni – beni personali – secondo cui sono esclusi dalla comunione legale i beni elencati tassativamente nell’art. 179 c.c.

La massa dei beni che qui occorre esaminare per verificare se l’acquisto della partecipazione sociale da parte di un coniuge produca l’automatico effetto acquisitivo anche in capo all’altro coniuge non acquirente è quella della c.d. comunione immediata prevista dall’art. 177 lett. a).



3. Le varie tipologie di partecipazioni sociali acquistate in regime di comunione legale



È vivamente discusso in dottrina e giurisprudenza quali siano le partecipazioni sociali suscettibili di cadere nel regime di comunione legale dei beni tra coniugi.

Sul tema si confrontano le seguenti opinioni:

a) nessuna partecipazione sociale rientra nella comunione legale tra coniugi, avendo ad oggetto la comunione legale solo diritti reali, mentre le partecipazioni sociali sarebbe-

ro da annoverare tra i diritti di crediti6;

b) tutte le partecipazioni sociali, sia di società di persone

che di capitali, cadono in comunione legale immediata, ai sensi dell’art. 177, lett. a), c.c., in quanto costituiscono acquisizioni patrimoniali7;

c) cadono in comunione legale immediata soltanto le partecipazioni azionarie, in quanto incorporate in un titolo rappresentativo (l’azione), nella cui materialità è insita l’idea di “bene sottostante alla comunione legale”8;

d) cadono in comunione legale immediata le partecipazioni rispetto alle quali la posizione del socio si esprime in termini di mero apporto di capitale e quindi, di investimento, mentre ne sono escluse le quote che sono espressione dell’attività imprenditoriale separata del coniuge, che rientrano, invece, nella comunione de residuo di cui all’art. 178 c.c.9.

e) cadono in comunione legale immediata soltanto le partecipazioni in società di capitali (ad eccezione dell’accomandatario di s.a.p.a.), mentre le quote di società di persone (ad eccezione dell’accomandante di s.a.s.) rientrano, invece, nella comunione de residuo di cui all’art. 178 c.c., rilevando l’assunzione di responsabilità illimitata e l’intuitus personae10. È questa la teoria prevalente in dottrina11, seguita anche da parte della giurisprudenza12.

Si ritiene, in particolare, che vi sia analogia – in termini di responsabilità – tra esercizio di un’impresa individuale (disciplinato dall’art. 178 c.c.) e gestione di impresa sociale. In entrambi i casi il soggetto risponde con l’intero suo patrimonio delle obbligazioni assunte a causa dell’attività imprenditoriale; in entrambe le situazioni è sottoposto al fallimento, ancorché in un caso in via diretta e nell’altro in estensione13.

Ne consegue, secondo detto orientamento prevalente, che per i coniugi in regime di comunione legale dei beni le quote di s.n.c. e di accomandatario di s.a.s. non cadono in comunione legale, mentre l’acquisto di quote di società di capitali rientra nella norma generale dell’art. 177, lett. a), c.c. e, pertanto, qualora non si rientri in alcuno dei casi previsti dall’art. 179 c.c. l’acquisto, anche da parte di uno solo dei coniugi, di una quota di s.r.l. o di azioni di s.p.a. (con esclusione dell’accomandatario di s.a.p.a., attesa la responsabilità illimitata cui questi è soggetto, con conseguente attrazione nell’ambito della comunione de residuo) entra a far parte della comunione legale immediata dei beni.

Occorre, infine, fare le seguenti precisazioni:

1) Se il socio accomandante di S.a.s. o di S.a.p.A. viola il

divieto di immistione di cui all’art. 2320 c.c., ingerendosi nella gestione della società, assume responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali: tuttavia, si ritiene che la sua quota rimanga in comunione legale, poiché non assume in ogni caso la veste di accomandatario.

2) Se l’unico socio di S.p.A. o S.r.l. non adempie agli obblighi di legge in materia di pubblicità e di versamento del capitale, assume responsabilità illimitata (articoli 2325, 2 co., c.c., e 2462, 2 co., c.c.): tuttavia, si ritiene che la sua quota rimanga in comunione legale, poiché l’assunzione di responsabilità illimitata non avviene in virtù dell’equiparazione dell’unico socio all’imprenditore individuale, ma come sanzione per la violazione degli obblighi di legge; infatti, la responsabilità illimitata sussiste soltanto per le obbligazioni sorte in quel periodo.

3) La quota di società cooperativa non cade in comunione legale, per l’intuitus personae connesso alla qualità di socio, benché la quota stessa non comporti l’esposizione a responsabilità illimitata: tuttavia, nelle cooperative edilizie (a proprietà divisa), l’alloggio assegnato in proprietà al socio è destinato a cadere in comunione immediata, come acquisto ex art. 177, lett. a), c.c.



4. Il conferimento dei beni in comunione legale nelle società di persone



È ipotizzabile la partecipazione dei coniugi ad una società di persone attraverso il conferimento di beni oggetto di comunione legale dei beni?

In proposito, è questione discussa se i coniugi possano sottoscrivere in fase costitutiva di società, o acquisire partecipazioni di società già costituite, mediante il conferimento di beni oggetto di comunione legale dei beni14.

Non ci sono dubbi che possano farlo, qualora i coniugi decidessero di conferire beni personali o in comunione de residuo posto che ciascun coniuge è libero di disporre di quel bene.

Cosa diversa, in caso di conferimento di beni oggetto di comunione legale: in questo caso, parte della dottrina dà risposta negativa al quesito. Chi sostiene l’incompatibilità tra disciplina societaria e disciplina del regime legale della famiglia, ritiene che in questo caso verrebbe meno il requisito della pluralità dei soci15, perché uno sarebbe il soggetto cui imputare il rapporto giuridico, identificato con la comunione legale dei beni. In realtà, si deve piuttosto, osservare che i coniugi, quando dispongono di un bene oggetto di comunione legale dei beni, sono un’unica parte contrattuale e, pertanto, sotto tale profilo, sarebbe recuperabile la temuta unicità soggettiva avanzata dalla citata posizione.

Ma pur considerando tale aspetto, si ritiene non vi siano motivi ostativi alla libera stipulabilità da parte dei coniugi di contratti sociali.

Non è da dimenticare, in linea di principio, che, in caso di costituzione di società, sotto il profilo contrattuale, si dà vita ad un contratto associativo o con comunione di scopo, che si contraddistingue rispetto ai contratti di scambio anche sotto il profilo causale, perché, mentre nei contratti di scambio (es.: compravendita) l’avvenimento che soddisfa l’interesse di una parte è diverso dall’avvenimento che soddisfa l’interesse dell’altra, in cui una prestazione è in funzione dell’altra, con un sinallagma contrattuale che evidenzia il ruolo preminente dei beni (rectius: diritti) oggetto di scambio, nei contratti associativi l’avvenimento che soddisfa l’interesse di tutti i contraenti è unico, dove le prestazioni mirano a perseguire uno scopo comune ai contraenti ed i soggetti assumono un ruolo determinante nella configurazione della fattispecie, assumendo rilievo centrale il profilo organizzativo che si viene a porre in essere16.

L’opinione dominante ammette che i coniugi, manente comunione, possano partecipare a società di persone acquistando partecipazioni sociali attraverso il conferimento di beni oggetto di comunione legale, purché sia rispettato quanto sancisce l’art. 180 c.c., ossia, che vi sia il consenso congiunto di entrambi i coniugi necessario per il compimento del suddetto atto di straordinaria amministrazione17.



5. Società di persone tra coniugi e impresa coniugale



Secondo un orientamento, l’impresa coniugale, disciplinata dall’art. 177, lett. d), c.c., è un sistema indipendente ed autonomo, capace di disciplinare integralmente le forme di esercizio congiunto dei coniugi di attività imprenditoriali.

Ci si troverebbe al cospetto di un’impresa collettiva non riconducibile all’interno dello schema societario di cui all’art. 2247 c.c.18. In questo caso, è lo stesso legislatore che prevede eccezioni al sistema per il particolare atteggiarsi dei soggetti agenti quali coniugi in regime di comunione legale dei beni19.

L’impresa coniugale viene così considerata da questa parte della dottrina un’impresa collettiva sui generis, come tale incompatibile con la disciplina societaria ed assoggettata integralmente alla disciplina della comunione legale dei beni, quale disciplina autonoma, completa ed idonea a regolare integralmente il fenomeno individuato.

Alla base di tale ragionamento si pongono alcune norme della comunione legale dei beni, in particolare, gli artt. 177, lett. d), c.c., e 177 cpv., c.c., l’art. 182 c.c., l’art. 191 c.c. e l’art. 210 c.c.

Posta l’incompatibilità tra l’impresa coniugale e società di fatto, ne discende l’impossibilità di alterare il sistema comunione legale dei beni, attraverso la costituzione di società di persone regolari. Se tutto fa perno sul regime della comunione legale, si incontra il limite inderogabile di cui all’art. 210 c.c., con conseguente sanzione di nullità per contrarietà a norme imperative20.

I coniugi potranno costituire una società di persone, ma a condizione che stipulino una convenzione matrimoniale, del regime di separazione dei beni, oppure alla preventiva esclusione dalla comunione legale, tramite convenzione matrimoniale programmatica, dell’attività di impresa.

Una parte della dottrina ha evidenziato la compatibilità della fattispecie di cui all’art. 177, lett. d), c.c., con la normativa societaria, in particolare della società di fatto, con conseguente ammissibilità della possibilità di costituzione di società di persone regolari tra coniugi in regime di comunione legale dei beni21.

Questa tesi fa leva sul fatto che l’art. 177, lett. d), c.c., circoscrive la mera disciplina del regime di “appartenenza” dell’azienda coniugale, attratto al regime di comunione legale dei beni, mentre l’esercizio dell’attività d’impresa sarebbe disciplinata dalle normali regole societarie, configurandosi in tal caso tra i coniugi una società di fatto.

6. Le deroghe della comunione legale nelle società di capitali

Le partecipazioni in società di capitali sono destinate a cadere in comunione immediata, salvo l’accertamento che la partecipazione rappresenti per il coniuge acquirente lo strumento per l’esercizio di un’attività d’impresa. La regola si desume dall’art. 177, co. 1 lett. a) c.c. e dalla deroga ad essa apportata dall’art. 178 c.c. Ciononostante, il trattamento riservato alle partecipazioni societarie al cospetto della disciplina sulla comunione legale deve essere ricostruito alla luce dell’intero complesso normativo di cui agli artt. 177-179 c.c.; se di ciò si tiene conto, possono individuarsi ulteriori eccezioni alla regola dell’ingresso in comunione immediata delle partecipazioni in società che contemplino la responsabilità limitata.

Sono escluse dalla comunione ex art. 177, co. 1 lett. a) c.c. le azioni (rientranti in una categoria speciale) che, se previste statutariamente, l’assemblea straordinaria può deliberare di attribuire ai lavoratori dipendenti della società o di società controllate come forma di assegnazione degli utili (art. 2349 c.c.): in questo caso siamo al cospetto di un compenso aggiuntivo attribuito al lavoratore e al quale corrisponde la natura di provento dell’attività separata del coniuge.

È chiaro che l’art. 179 c.c. implica l’appartenenza al patrimonio personale delle partecipazioni societarie acquistate prima del matrimonio ovvero acquisite successivamente per effetto di donazione o successione mortis causa, salvo che l’atto di liberalità o il testamento le attribuisca specificamente alla comunione.

Rientrano nella categoria dei beni personali altresì le partecipazioni acquistate con il prezzo del trasferimento dei beni personali o con il loro scambio purché al momento dell’acquisto il coniuge renda la dichiarazione di cui all’art. 179, co. 1 lett. f) c.c.

Natura di bene personale deve essere attribuita anche alle azioni acquistate in virtù dell’esercizio del diritto di conversione spettante in caso di emissione ex art. 2420-bis c.c. di obbligazioni convertibili in azioni rientranti nel patrimonio personale del coniuge titolare. Sembra comunque, che in questo caso per mantenere il carattere personale, occorra che al momento della richiesta di conversione, il coniuge effettui la dichiarazione di cui all’art. 179, co. 1 lett. f) c.c.

Altro esempio, si constata nella fusione, che dà luogo ad un riassetto contrattuale ed organizzativo delle società coinvolte, ma causa l’acquisizione di un nuovo “bene”; per cui, se l’originaria partecipazione rientra nel patrimonio personale di uno dei coniugi, necessiterà che costui renda la sopra indicata dichiarazione allo scopo di evitare la caduta del bene in comunione immediata.

Altro caso riguarda la titolarità dei diritti derivanti dall’approvazione di una delibera di aumento del capitale sociale. In questo caso, il diritto di opzione può essere esercitato dal solo coniuge titolare delle partecipazioni societarie: anche se si hanno partecipazioni cadute in comunione immediata, è titolare del diritto d’opzione il coniuge iscritto nel libro dei soci22. Quanto alle azioni acquistate in seguito all’esercizio del diritto d’opzione derivante dalla titolarità di azioni facenti parte del patrimonio personale, occorre secondo la dottrina distinguere: l’aumento di capitale a titolo gratuito comporta la natura personale delle azioni di nuova emissione, laddove invece, in caso di aumento a titolo oneroso, può riconoscersi una siffatta natura solo ove vengano impiegati beni personali e vi sia la dichiarazione di cui all’art. 179, co. 1 lett. f) c.c.23.

Le problematicità di armonizzare la disciplina della comunione legale con le regole collegate all’aumento di capitale sociale ed alle azioni di nuova emissione hanno portato la dottrina a proporre spiegazioni in rapporto alla casistica che si può delineare in concreto. È immaginabile, ad esempio, che il coniuge sottoscrittore delle nuove azioni possa, al momento dello scioglimento della comunione legale, esigere la restituzione del valore “prelevato” dal patrimonio personale e sacrificato a vantaggio della comunione24. In questa situazione appena descritta, la dichiarazione ex art. 179, co. 1 lett. f) c.c. resa dal coniuge sottoscrittore, riguardante il valore venale del diritto d’opzione, potrebbe instaurare una comunione ordinaria tra il coniuge già socio e la comunione legale, nell’ambito della quale al coniuge competerebbe una quota di comproprietà pari al valore del diritto d’opzione esercitato.



7. Comunione legale e clausole di gradimento



Lo statuto di una società può subordinare la validità del trasferimento delle azioni nei confronti della stessa al gradimento di un organo sociale, come il Consiglio di Amministrazione o il Collegio dei sindaci oppure di altri soci.

Le clausole di gradimento, a differenza delle clausole di intrasferibilità, non vietano il trasferimento delle azioni, ma lo subordinano al rilascio in favore dell’acquirente di un consenso, generalmente definito placet. In caso di trasferimento dei titoli azionari, la mancata autorizzazione del placet implica per il neo acquirente il rifiuto della società alla sua annotazione nel libro dei soci e l’esclusione della possibilità di esercitare i diritti sociali.

Le clausole di gradimento sono riconducibili fondamentalmente a due tipi: – clausole di mero gradimento: in questo caso, l’ammissione dell’acquirente nell’ordinamento societario è subordinata al rilascio da parte del soggetto deputato di un gradimento discrezionale ed immotivato;

– clausole di gradimento non mero: sono quelle che condizionano il placet a criteri predeterminati, oppure al possesso di precisi requisiti o qualità personali, tali da escludere un potere discrezionale in capo al soggetto o all’organo deputato a concedere il gradimento.

La presenza di clausole statutarie limitative o impeditive del trasferimento delle partecipazioni societarie contrasterebbe con il meccanismo proprio della comunione legale, onde vi sarebbe una prevalenza delle regole del diritto societario su quelle dettate in tema di rapporti patrimoniali tra coniugi. L’assenza di clausole di tal genere – e, dunque, la c.d. fungibilità delle partecipazioni societarie – non sarebbe d’altra parte condizione sufficiente a decretare l’ingresso in comunione legale delle partecipazioni societarie, poiché occorrerebbe altresì verificare l’eventuale strumentalità delle anzidette partecipazioni rispetto ad un’attività propria del coniuge socio25; peraltro, nel caso in cui tale verifica desse esito negativo, esse cadrebbero in comunione legale non già automaticamente ma solo in seguito all’acquisto della qualità di socio del coniuge non acquirente.

L’articolata soluzione appena descritta si espone ad alcune obiezioni concernenti sia il meccanismo di funzionamento della comunione legale sia il rilievo attribuito al concetto di strumentalità. Innanzitutto, l’affermazione secondo la quale le partecipazioni societarie entrano in comunione legale solo in quanto il coniuge non acquirente diventi socio sembra obliterare il meccanismo attraverso il quale si realizza l’ingresso in comunione legale delle ricchezze conseguite durante il rapporto matrimoniale; meccanismo che prescinde dalla circostanza che uno o entrambi i coniugi risultino intestatari. Non v’è dubbio che, con riguardo alle partecipazioni societarie, vi siano delle peculiarità, scaturenti dalla necessità di coordinare l’inerenza alla comunione legale della partecipazione con le regole di governo della posizione di socio al cospetto della società. Purtuttavia, non sembra possibile escludere l’acquisto automatico da parte della comunione – e ciò a prescindere dall’acquisizione della qualità di socio da parte dell’altro coniuge – delle partecipazioni societarie; tale acquisto produrrà effetti nei rapporti tra coniugi secondo le regole della comunione legale, salva la necessità di stabilire se e con quali modalità la posizione del coniuge non acquirente possa divenire rilevante nei rapporti con la società.

In secondo luogo, si afferma che in presenza di clausole societarie che limitino o ostacolino il trasferimento – quali, ad esempio, le clausole di gradimento – la partecipazione societaria, in quanto infungibile, andrebbe necessariamente considerata come bene personale. Così facendo si qualifica come personale un bene a prescindere dalla ricorrenza di una delle fattispecie di cui all’art. 179 c.c. e, quindi, in virtù di elementi estrinseci desumibili dalle pattuizioni del contratto sociale.

Adottando una siffatta prospettiva, considerato che l’ingresso di un nuovo socio in una società di persone comporta sempre la modifica del contratto sociale, in relazione alla quale l’art. 2252 c.c. richiede il consenso di tutti i soci (salvo che si sia convenuto diversamente), si dovrebbe giungere a sostenere che le partecipazioni in società di persone non possano mai entrare a far parte della comunione legale, nemmeno in quella ad efficacia differita. In altri termini, la peculiare struttura delle società di persone, in relazione alle quali anche le variazioni di natura soggettiva comportano una modifica del contratto sociale, non potrebbe non comportare – avallando la ricostruzione criticata – l’infungibilità ex se della partecipazione societaria e, in via consequenziale, l’incompatibilità con il regime di comunione legale.



8. Il conferimento dell’azienda individuale del coniuge in regime di comunione legale



Il coniuge imprenditore, fino a quando permane la comunione legale, può disporre liberamente dei beni oggetto di comunione de residuo ex art. 178 c.c. senza l’intervento dell’altro coniuge.

Come è noto, l’art. 177, lett. a), c.c. stabilisce che costituiscono oggetto della comunione gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente “ad esclusione di quelli relativi ai beni personali” e tra i beni personali elencati nell’art. 179 c.c., non figurano i beni acquistati con quelli destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi. Se così è, l’acquisto effettuato con lo scambio dei beni aziendali di cui all’art. 178 c.c. dovrebbe cadere in comunione ai sensi dell’art. 177, lett. a), c.c.

È anche vero che la partecipazione sociale acquistata mediante il conferimento in società dell’azienda personale di uno dei coniugi potrebbe essere equiparata ai beni acquistati con “i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi” di cui all’art. 177, lett. c), c.c.

È intuitivo cogliere la corrispondenza tra le due fattispecie: in entrambi i casi si prende in considerazione il risultato economico dell’attività individuale del singolo coniuge ed inoltre, i beni dell’azienda individuale e i proventi dell’attività separata sono entrambi assoggettati alla comunione de residuo.

Con riferimento al regime cui sono assoggettati i beni acquistati con i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, si è ritenuto che, ferma restante la libera disponibilità dei proventi di ciascun coniuge, gli acquisti effettuati con gli stessi sono a loro volta suscettibili di ricadere nella comunione immediata ai sensi dell’art. 177, lett. a), c.c., a meno che non si tratti a loro volta di beni personali ai sensi dell’art. 177, lett. c) e d), c.c.26.

Pertanto, sebbene il bene destinato a cadere in comunione de residuo sia disponibile prima dello scioglimento della comunione, l’acquisto realizzato con tale bene cade in comunione immediata, a meno che non si tratti di un bene di uso strettamente personale o che serva all’esercizio della professione del coniuge.

Conseguentemente, la partecipazione liberata da un coniuge mediante conferimento dell’azienda individuale appare suscettibile di cadere in comunione immediata ai sensi dell’art. 177, lett. a), c.c.



9. Comunione legale e partecipazione a consorzi



Riassumendo quanto fin qui esposto, se l’acquisto di una partecipazione sociale da parte di un soggetto coniugato in regime di comunione legale dei beni divenga o meno, ipso iure, oggetto della comunione legale, ai sensi dell’art. 177, lett. a), c.c., è incognita la cui soluzione risiede, oltre che nella citata norma, nella necessità di adeguare la disciplina della comunione legale con i principi dettati dalla riforma societaria. Giova precisare che in materia di s.p.a. e s.r.l. vale il principio dell’indivisibilità delle partecipazioni e la necessità della nomina di un rappresentante comune per l’esercizio dei diritti dei comproprietari. Sotto questo profilo, l’opinione dominante afferma che qualora prevalga l’aspetto patrimoniale, si sia in presenza di “beni” nel significato di cui all’art. 177, lett. a), c.c., a prescindere dal fatto che le partecipazioni siano costituite da un titolo, per cui esse sono suscettibili, in astratto, di costituire oggetto della comunione legale dei beni27.

La norma che garantisce la posizione del coniuge che voglia svolgere attività imprenditoriale, sia sotto forma di impresa individuale, che per il tramite dell’acquisto di una partecipazione sociale sembra essere l’art. 178 c.c. perché si esprime letteralmente in termini di “destinazione all’esercizio dell’impresa” per cui sembrerebbe rendere rilevante solo questo dato.

Di conseguenza, il nesso di strumentalità (diretto o indiretto) della partecipazione sociale rispetto all’attività d’impresa, potrebbe condurre a ritenere irrilevante il tipo di società della cui partecipazione si tratta, al fine di stabilire se essa cade o meno in comunione immediata.

Il problema dell’appartenenza o meno della partecipazione a un consorzio da parte di un coniuge alla comunione legale trova facile soluzione nel considerarlo bene personale.

I consorzi svolgono oggi, grazie alla riforma del 1976, attività autonome e distaccate dalle fasi delle imprese esistenti; assumono i caratteri di nuovi e indipendenti organismi imprenditoriali. Il profilo organizzativo societario dei consorzi va comunque approfondito in relazione all’inclusione o meno nella comunione legale della partecipazione agli stessi.

In linea di principio, il consorzio si distingue dalla società: tale diversità è più evidente quando il consorzio svolge attività esclusivamente interna, mentre i consorzi con attività esterna partecipano al carattere imprenditoriale delle società dell’attività esercitata e realizzano attraverso tale società un interesse economico dei partecipanti.

La diversificazione va dunque cercata nello scopo egoistico programmato e perseguito, che nelle società è la produzione di utili da distribuire fra i soci, mentre nei consorzi è la produzione di beni e servizi necessari alle imprese consorziate, tendenzialmente destinati ad essere assorbiti dai soci.

Detto in altri termini, la società “è caratterizzata dall’esercizio in comune di un’attività economica per la realizzazione di un lucro in capo al gruppo dei soci o all’ente personificato che ne è l’espressione unitaria e per la sua successiva ripartizione tra essi in proporzione ai conferimenti effettuati; laddove il consorzio crea un vincolo associativo attraverso il quale e in virtù del quale gli imprenditori consorziati acquistano nella loro sfera aziendale determinati benefici, proporzionali all’uso che essi fanno dello strumento consortile. La causa della società è direttamente lucrativa, quella del consorzio lo è solo indirettamente”28.

Con riferimento ai consorzi valgono le stesse considerazioni fatte in merito alle società: occorre prendere in considerazione il fil rouge che lega il socio e l’attività di impresa, che nei consorzi è dilatato dall’esigenza di difendere l’identità dell’impresa consortile, che non potrà assumere il carattere di una nuova impresa, svincolata dal legame strumentale e ausiliario con l’attività dei singoli consorziati.

Se si prende a riferimento la società a responsabilità limitata (modello questo privilegiato nel settore delle piccole e medie imprese) è acclarato che questa privilegia le persone dei soci ed i loro rapporti personali: queste stesse logiche varranno in riferimento ai consorzi, dotati anch’essi del beneficio della responsabilità limitata, ai sensi dell’art. 2615 c.c., nonché di una caratterizzazione soggettiva dei partecipanti, evidenziata dalle norme che ne disciplinano l’organizzazione e il funzionamento, tra cui:

– l’art. 2603 c.c., in cui è previsto che il contratto consortile debba indicare le condizioni di ammissione dei nuovi consorziati, le condizioni di recesso e di esclusione;

– l’art. 2606 c.c., che dispone che le deliberazioni consortili sono prese col voto favorevole della maggioranza dei consorziati;

– l’art. 2607 c.c., che stabilisce che, se non diversamente convenuto, il contratto consortile non può essere modificato senza il consenso di tutti i consorziati.

Queste norme esaltano la figura e la persona del consorziato, come consorziato-impresa, ma anche e soprattutto del socio imprenditore, che tale impresa rappresenta.

La quota di partecipazione al consorzio rappresenta il mezzo tecnico per esprimere la misura (quantità) dei diritti e degli obblighi che spettano a un singolo consorziato ed è sulla base di tale quota che si commisura la posizione del consorziato nel consorzio (ad esempio in relazione alla misura dei suoi contributi, alla sua partecipazione al fondo consortile nei consorzi ad attività esterna, ecc.), che non può essere svincolata dalla natura imprenditoriale dei contraenti, con la conseguenza che la partecipazione ai consorzi, come la partecipazione alla s.r.l., non può considerarsi oggettivamente non strumentale all’attività dell’impresa e quindi oggetto, non di comunione immediata, ma di comunione de residuo.

10. Partecipazioni sociali sottoscritte con il conferimento di un immobile donato ad un coniuge in regime di comunione legale

Occorre prendere in esame le conseguenze derivanti dall’uso di danaro o di beni in natura frutto di donazione di un genitore al figlio sottoscrittore, coniugato in regime di comunione legale, per la liberazione delle azioni o delle quote sottoscritte tanto in sede costitutiva quanto di aumento a pagamento del capitale sociale.

Si ipotizzi un facoltoso genitore che doni alla figlia, coniugata in regime di comunione legale, una somma di danaro o un fabbricato di un certo pregio commerciale. Successivamente, la stessa utilizza l’importo o il bene ricevuto per la costituzione (o l’aumento a pagamento) di una s.p.a., nella quale acquisisce una rilevante porzione delle azioni sociali. Questo pacchetto societario rientra o no nella comunione legale corrente fra la stessa ed il marito?

L’innesto della disciplina delle donazioni all’interno del quesito in bilico fra la disciplina della comunione legale e quella societaria, complica il meccanismo.

Se consideriamo le società di persone come soggetti di diritto e persone giuridiche in grado di essere titolari di obbligazioni, diritti, e beni propri, si potrebbe riflettere in ordine all’oggetto dell’originaria donazione dal genitore alla figlia in comunione legale, che andrà a sottoscrivere le partecipazioni sociali.

Poniamo che questa donazione sia stato un bene immobile, vi è stata certamente la perfettibilità fra il genitore donante e la figlia donataria di un negozio in forma pubblica. Pertanto, nel successivo atto costitutivo di società o all’interno del verbale con il quale si deliberi l’aumento a pagamento del capitale sociale, la sottoscrizione e l’immediata liberazione con conferimento in natura, il notaio nel ricevere la volontà del sottoscrittore, dovrà redigere con accortezza la clausola che individua la provenienza del bene conferito in società. Quest’ultima, insomma, avrebbe una fondamentale importanza: precluderebbe l’immediata ricaduta all’interno della comunione legale delle partecipazioni all’interno delle società di capitali e disinnescherebbe una futura caduta all’interno della comunione de residuo delle quote di partecipazione alle società personali. Questa conclusione, infatti, muove dall’ormai acquisita consapevolezza che ai conferimenti può essere assegnata un’efficacia traslativa e, quindi, comporta un’utilizzazione pratica delle clausole che normalmente connotano il contratto di vendita (ivi inclusa, quindi, la clausola sulla provenienza immobiliare): al marito, insomma, non spetterebbe partecipazione alcuna sul pacchetto societario acquisito dalla moglie perché si integrerebbero gli estremi del bene personale di cui all’art. 179 c.c.29. In tale caso, poi, non trattandosi di un bene di cui all’art. 179, co. 2, c.c., ma di azioni o quote societarie, sarà esclusivamente sufficiente la dichiarazione del coniuge sottoscrittore della provenienza del conferimento da suoi beni personali. Riprendendo l’originario esempio, nell’ipotesi in cui oggetto di donazione dal padre donante alla figlia donataria fosse stata una somma di danaro, bisogna fare alcune precisazioni in più. Nonostante l’art. 783, co. 1, c.c. riconosca la validità della donazione basata sulla traditio rei della cosa mobile, la necessità dell’atto pubblico discende direttamente dalle condizioni economiche del donante e non del donatario.

Ora, nella misura in cui ci sia stata l’apposita stipula di un negozio donativo in forma pubblica fra il padre e la figlia, si possono ribadire le considerazioni sopra esposte in relazione all’eventualità che, oggetto di donazione, fosse stato un immobile. Anche in questo caso, a fronte di apposita dichiarazione del sottoscrivente la partecipazione sociale, da ricevere debitamente all’interno del rogito notarile, la disciplina sulla donazione prevarrà sulle concorrenti: il marito, insomma, non avrà diritto alcuno sulle azioni o quote nel portafoglio della moglie.

È più comune assistere a trasferimenti di somme di danaro senza atto pubblico: nel caso in cui il donatario di tale somma di danaro voglia, in sede di costituzione societaria o di aumento di capitale, impedire la caduta dell’acquisto all’interno dell’immediata comunione legale o all’interno dell’eventuale comunione de residuo, il notaio quanto meno a fini prudenziali ritengo debba ricevere la dichiarazione del sottoscrivente in ordine alla provenienza della somma impiegata per la liberazione.

Più semplice è il caso in cui, il padre interviene in atto – ovviamente, previa autorizzazione dei consociati – e libera le azioni e le quote acquisite dalla figlia: applicando in maniera analogica l’orientamento della Cassazione in tema di adempimento del terzo in sede di acquisto di beni immobili, sono escluse, a mio avviso, le partecipazioni dalla comunione legale30. Si integrerebbe, infatti, una forma di donazione indiretta, la quale avrebbe ad oggetto danaro (rectius, direttamente le azioni e le quote sociali al valore nominale relativo).

11. Cenni comparatistici sul regime patrimoniale della famiglia ed acquisto di partecipazione sociale in regime di comunione in Francia, Germania e Inghilterra

Per la complessità del tema, ci si soffermerà sinteticamente, sull’acquisto della partecipazione sociale in regime di comunione legale dei beni in alcuni Paesi europei.

In Francia31 vige il regime della comunione dei beni, introdotto dalla legge 13 luglio 1965 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1966, e che coesiste con la precedente communautè des meubles et acquets, ancora vigente tra le persone coniugate

anteriormente alla suddetta data e che non abbiano optato per il nuovo regime, e attualmente disciplinato all’art. 1400 code civil. Come è possibile constatare, il nostro ordinamento ha mutuato il sistema da quello francese.

In Francia, esiste la comunione degli acquisti composta dagli acquisti fatti dai coniugi insieme o separatamente, durante il matrimonio, compresi i redditi ed i frutti dei beni personali (art. 1401 code civil), in virtù di una presunzione di comunione prevista dall’art. 1402 c.c., che fa salva la prova contraria. Ma ciascuno dei coniugi può disporre liberamente dei propri guadagni (art. 224, 1 co., c.c.), anche se i beni acquistati con detti guadagni cadono in comunione. Le norme di cui agli artt. 1404, 1405, 1406 e 1407 code civil, contengono l’elencazione dei beni personali, alla stessa stregua di cui all’art. 179 del codice civile italiano. L’unica differenza è che non è richiesto l’intervento in atto dell’altro coniuge, anche se l’art. 1434 code civil prevede un’espressa dichiarazione in atto del coniuge acquirente.

Per quel che riguarda la disciplina delle partecipazioni sociali acquistate durante il matrimonio da un coniuge in regime di comunione, il sistema francese ha espressamente previsto e disciplinato, a differenza del nostro ordinamento, la fattispecie in esame. Infatti, l’art. 1404 code civil include fra i beni personali, le partecipazioni sociali. Quindi, le quote di società di persone, di società a responsabilità limitata e di società civili non cadono in comunione, salvo il credito del coniuge alla metà del valore della quota stessa.

In Germania il regime patrimoniale legale dei coniugi è, partire dal 1° luglio 1958, quello della partecipazione agli acquisti (Zugewinngemeinschaft) disciplinato dai §§ 1363 e seguenti del BGB: ciascun coniuge ha la proprietà esclusiva e la facoltà di disposizione dei beni dallo stesso acquistati manente matrimonio (§§ 1363, 2 comma, e 1364 BGB); pertanto, durante il funzionamento del regime lo stesso equivale di massima a quello di separazione dei beni. Per le coppie il cui matrimonio era stato celebrato fino al 30 giugno 1958, il regime patrimoniale legale era quello della separazione dei beni, peraltro anche per tali coppie il regime patrimoniale legale è divenuto quello della partecipazione agli acquisti, e salva la possibilità che i coniugi avevano di optare per il mantenimento del regime di separazione dei beni entro la suddetta data del 30 giugno 1958. I coniugi che, anteriormente a detta data, avessero optato per il regime convenzionale di comunione agli acquisti, rimangono soggetti a tale regime. Tuttavia, sono previste limitazioni al potere di disposizione (§ 1365 BGB), per cui un coniuge non può disporre dell’insieme del suo patrimonio senza il consenso dell’altro coniuge, e secondo l’opinione giurisprudenziale, anche un atto che abbia ad oggetto l’80-85% del patrimonio rientra nella disposizione in esame, applicandosi anche nel caso in cui l’oggetto dell’atto sia un unico bene (mobile o immobile). In mancanza del suddetto consenso il contratto stipulato da un coniuge è inefficace, fino ad eventuale ratifica (§§1366, 1 comma, BGB); sarebbe preferibile, quindi, che negli atti di disposizione da parte di un coniuge è opportuno che lo stesso dichiari, sotto la sua responsabilità, che l’oggetto dell’atto non rappresenta l’insieme del suo patrimonio.

Si ritiene che debbano essere ricompresi ricompresi nel divieto in esame (§§ 1365 BGB) la costituzione di ipoteca, di pegno, la costituzione di usufrutto, la cessione di azienda e delle partecipazioni societarie.

Infine, nella legislazione inglese32, pur non sussistendo l’istituto del regime patrimoniale, nell’accezione propria degli ordinamenti di derivazione romanistica, il principio generale è l’ininfluenza del matrimonio sulla proprietà, e quindi, sostanzialmente, il regime ivi vigente può definirsi come separazione dei beni (Married Women’s Property Act 1882; sez. 2 del Law Reform; Married Women Tortfeasers Act 1935).

In ogni caso, i poteri di gestione e di disposizione spettano esclusivamente al coniuge proprietario formale. Tuttavia, se delle somme di denaro sono fornite alla moglie dal marito per le spese del menàge, le economie effettuate, ed i beni acquistati con tali risparmi, sono considerati, salvo contraria convenzione, di proprietà comune dei coniugi (sez. 1 del Married Women’s Property Act 1964). Sebbene non sussista in diritto inglese un istituto paragonabile al regime patrimoniale, sono ammesse le convenzioni matrimoniali, con cui i coniugi possono liberamente disporre in ordine ai loro rapporti patrimoniali, ad esempio costituendo dei beni in trust.

Il problema, quindi, della caduta o meno in comunione legale dei beni dell’acquisto della partecipazione societaria non si pone nel diritto inglese, per cui è facile dedurre che l’acquisto della stessa sarà bene personale.

NOTE

1 S. MaSuCCi, Comunione legale e partecipazioni sociali, Napoli, 2000, 18 ss.

2 C. trinChillo, Partecipazioni sociali e comunione legale dei beni, in Riv. not.,

2002, 851 ss.

3 G. Gabrielli, Regime patrimoniale della famiglia, in Dig. disc. priv., sez. XVI, Torino, 1997, 335 ss., secondo cui le caratteristiche del regime patrimoniale della famiglia, funzionali a soddisfare esigenze più alte e distanti rispetto agli interessi meramente patrimoniali, spingono a qualificare come speciali le regole che informano detto regime.

4 Numerosi i contributi della dottrina sull’argomento, in particolare: nel diritto previgente: F.D. buSnelli, voce Comunione dei beni fra coniugi, in Enc. dir., Milano, 1961, 264 ss.; G. tedeSChi, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1956; id., voce Comunione dei beni tra coniugi, in Noviss. dig. it., Torino, 1959, 889 ss.; nel diritto vigente: t. auletta, Il diritto di famiglia, Torino, 1992; aa.vv., La comunione legale, a cura di M.C. bianCa, I, Milano, 1989; l. barbiera, La comunione legale, in Trattato di diritto privato, diretto da P. reSCiGno, Torino, 1982; L. bellantoni, F. pontorieri, La riforma del diritto di famiglia, Napoli, 1976; M. beSSone, G. alpa, a. d’anGelo, G. Ferrando, La famiglia nel nuovo diritto, Bologna, 1978; G. buCCiante,

La comunione legale, in Quaderni C.S.M., 1994, 76, 35; V. buonoCore, Comunione legale tra coniugi e partecipazione a società per azioni e a società cooperative, in Riv. not., 1977, 1146; F. buSnelli, La comunione legale nel diritto di famiglia riformato, in Riv. not., 1976, I, 40; R. CaravaGlioS, La comunione legale, vol. I e II, Milano, 1995; P. Cendon, Comunione tra coniugi e alienazioni immobiliari, Padova, 1979; G. Cian, A. villani, La comunione dei beni tra coniugi, in Riv. dir. civ., 1980, I, 393 ss.; id., voce Comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale) in Noviss. dig. it., appendice, Torino, 1980, 157 ss.; F. CorSi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, I rapporti patrimoniali tra coniugi in generale, La comunione legale, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. CiCu e F. MeSSineo e continuato da L. MenGoni, IV, I, 1, Milano, 1979; V. de paola, A. MaCrì, Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1991.

5 CorSi, op. cit., 23 ss.

6 M. detti, Oggetto, natura, amministrazione, della comunione legale dei coniugi, in Riv. not., 1976, 1176 ss.; G. di tranSo, Comunione legale, Napoli, 1992, 15 ss.

7 l. Gatti, G. SCardaCCione, Titolarità delle partecipazioni sociali in regime di comunione legale, in Vita not., 1978, 227 ss. In quest’ordine di idee si è posta da ultima Cass., sez. II, 2 febbraio 2009, n. 2569, con nota di C. parodi, in Le Società, 2010, 176 ss.

8 Cass., sez. I, 1° febbraio 1996, n. 875, in Giur. it. Mass., 1996; in Giust. civ., 1996, I; in Fam. e dir., 1996, 369, con nota di P. SChleSinGer, in Le Società, 1996, 661, con nota di A. Fiale.

9 Cfr. Cass., sez. V, 24 febbraio 2001, n. 2736, in Giur. it., 2001, 2183.

10 Cfr. Trib. Milano 26 settembre 1994, in Fam e dir., 1995, 52, con nota di P.

SChleSinGer; L. GenGhini, La volontaria giurisdizione, Padova, 2006, 323.

11 In dottrina, P. MarChetti, Società e comunione legale, in Famiglia Comunione e separazione dei beni, I, Milano, 1977, 164 ss.; G. baraliS, Comunione coniugale legale e titolarità di partecipazioni sociali, in Riv. not., 1977, 301; V. de paola, A. MaCrì, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978, 113 ss.

12 Trib. Milano 26 settembre 1994, in Fam. e dir., 1995, 52, con nota di P. SChleSinGer.

13 trinChillo, Partecipazioni sociali e comunione legale dei beni, cit., 851 ss.

14 l. GenGhini, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Padova, 2010, 450 ss.

15 p.G. JaeGer, Problemi sui rapporti tra gli istituti commercialistici ed il nuovo diritto di famiglia, in aa.vv., Il nuovo diritto di famiglia, Milano, 1976, 89 ss.

16 Sul contratto di società, si veda G.F. CaMpobaSSo, Diritto commerciale, 3; T. aSCarelli, Il contratto plurilaterale, in Saggi giuridici, Milano, 1949, 270 ss.

17 È questa la tesi sposata da SChleSinGer, Del regime patrimoniale della famiglia, cit., 146; GenGhini, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, cit., 451.

18 r. CoSti, Lavoro e impresa nel nuovo diritto di famiglia, Torino, 1990, 49 ss.; V. de paola, Il diritto patrimoniale della famiglia nel sistema del diritto privato, Milano, 2002, 482; A. pavone la roSa, Comunione coniugale e partecipazioni sociali, in Vita not., 1979, 49; P. MarChetti, Comunione e società, in aa.vv., Il regime patrimoniale della famiglia a dieci anni dalla riforma, Milano, 1988, 152; P. di Martino, La comunione legale tra coniugi: l’oggetto, Tr. B.C., II, Torino, 1997, 129 che parla di “figura sui generis ex lege d’impresa collettiva non societaria”; in giurisprudenza Trib. Catania 21 gennaio 1983, in Dir. fall., 1984, 364.

19 M. GionFrida daino, La posizione dei creditori nella comunione legale dei beni tra coniugi, Padova, 1986, 128; F. GalGano, voce “Società (diritto privato)”, in Enc. dir., vol. XLII, Milano, 1990, 869 ss.; F. SantoSuoSSo, Beni ed attività economica della famiglia, in Giur. sist. civ. comm. Bigiavi, Torino, 1995, 324; G.F.CaMpobaSSo, Diritto commerciale, 2, Torino, 2009, 37.

20 Conformi de paola, Il diritto patrimoniale della famiglia nel sistema del diritto privato, cit., 496, il quale così testualmente in riferimento tuttavia a qualsiasi tipo di società: “La disciplina dell’azienda coniugale, dato il suo carattere imperativo, non può essere elusa, pertanto la costituzione di qualsiasi tipo di società fra coniugi è vietata per frode alla legge (art. 1344 cod. civ.) ed è quindi nulla. Detto in altri termini, la nullità di una società fra coniugi in regime di comunione legale dipende dal fatto che con la creazione della società si configura una elusione delle disposizioni relative alla comunione legale, le quali inderogabilmente devono applicarsi ai beni appartenenti al patrimonio coniugale”.

21 SChleSinGer, Del regime patrimoniale della famiglia, cit., 129 ss.; triMarChi, Le imprese dei coniugi, cit., 248 ss.; A. FinoCChiaro, M. FinoCChiaro, La riforma del diritto di famiglia, 473; T. auletta, Impresa coniugale quale società, Milano, 1987, 33; F. CorSi, Azienda coniugale, comunione legale e società, in Giur. comm., 1975, I, 615; in giurisprudenza Trib. Roma 16 settembre 1999, in Fam. e dir., 2, 2000, 183, con nota di P. SChleSinGer.

22 a. pavone la roSa, Comunione coniugale e partecipazioni sociali, in Riv. soc., 1979, 12, che afferma che, in caso di alienazione del diritto d’opzione, il ricavato deve essere assoggettato al regime della comunione de residuo.

23 In giurisprudenza, Cass., 23 settembre 1997, n. 9355, cit., ha affermato che “se il conferimento dei mezzi economici necessari per la sottoscrizione dei nuovi titoli proviene da persona coniugata in regime di comunione legale, e se il coniuge sottoscrittore non dichiara la provenienza del conferimento stesso da suoi beni ‘personali’ [...], l’acquisto entra immediatamente nella comunione [salva l’ipotesi [...] di un possibile diritto del coniuge sottoscrittore al rimborso ex art. 192, 3 co., cod. civ., all’atto dello scioglimento della comunione legale, dell’eventuale valore venale del diritto di opzione impiegato nell’investimento di beni divenuti comuni]”; cfr. Trib. Cassino, 1 settembre 1998, in Notariato, 1998, 335, con nota di D. Zappone.

24 p. SChleSinGer, Del regime patrimoniale della famiglia, in Comm. dir. it. fam., sub art. 177, diretto da G. Cian, G. oppo, a. trabuCChi, III, Padova, 1992, 111, il quale parla in senso atecnico di rimborso; nonché G. Gabrielli, Comunione legale e investimento in titoli, Milano, 1979, 40, nota 77, il quale non condivide l’opinione di Schlesinger nella misura in cui questa soluzione sarebbe valida tout court.

25 M. MiStretta, Partecipazioni sociali e comunione legale dei beni: l’interpretazione come governo della complessità, Milano, 2004, 326 ss., per il quale “in questa direzione soccorrono indici esterni come l’assunzione da parte del coniuge della qualifica di amministratore o la titolarità di una partecipazione di controllo o di riferimento”; per l’A. in questo modo si recupera il criterio della strumentalità mediante, tuttavia, l’utilizzo di parametri obiettivi.

26 a. ruotolo, Comunione legale e proventi dell’attività separata dei coniugi, nota a Cass. 23 settembre 1997, n. 9355, in Riv. not., 1999, 681.

27 Sono rimaste marginali sia la tesi secondo cui nessuna partecipazione sociale rientra nella comunione legale, sia la tesi secondo cui cadono in comunione solo i titoli azionari (affermata da Cass. 1° febbraio 1996, n. 875, in Vita not., 1996, 1454).

28 G. Cottino, Le Società, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1999, 41.

29 Secondo Cass., 23 settembre 1997, n. 9355, cit., 317 ss.: “Non ponendosi in dubbio che il diritto di opzione, sebbene sorto dopo il matrimonio, spetti in via esclusiva al coniuge titolare delle azioni originarie, deve tuttavia rilevarsi che il carattere personale del diritto all’acquisto non si riflette automaticamente sull’oggetto acquistato”, ma soprattutto “se il conferimento dei mezzi economici necessari per la sottoscrizione dei nuovi titoli proviene da persona coniugata in regime di comunione legale e se il coniuge sottoscrittore non dichiara la provenienza del conferimento stesso da suoi beni personali, l’acquisto entra immediatamente nella comunione. [...] Si fa comunque salvo un eventuale diritto del coniuge sottoscrittore, all’atto dello scioglimento della comunione esistente, dell’eventuale valore venale del diritto di opzione impiegato nell’investimento di beni divenuti comuni”. Cfr. altresì, M. tanZi, Comunione legale e partecipazione a società lucrative, in La comunione legale, a cura di M.C. bianCa, Milano, 1989, I, 337 ss.

30 Cass., 14 dicembre 2000, n. 15778, in Vita not., 2001, 1253 ss., con nota di A. buSani, Donazioni indirette e comunione legale fra i coniugi (nel caso di specie, in applicazione di tale principio, la suprema Corte ha escluso che fosse ricompreso nel regime di comunione legale l’immobile acquisito successivamente al matrimonio da uno dei coniugi, in relazione al quale era stato documentalmente provato il diretto versamento di somme alla cooperativa, da parte del genitore di questo, all’atto dell’assegnazione dell’immobile stesso, senza che possa assumere rilievo la circostanza, risultante dall’atto pubblico di assegnazione, e ritenuta invece dai giudici di merito ostativa alla configurabilità di una donazione indiretta, che il restante maggior prezzo dovesse essere versato dall’intestatario del bene mediante accollo della quota di mutuo di pertinenza dell’immobile, avuto riguardo al comprovato versamento, da parte del genitore, delle relative rate).

31 Per una bibliografia essenziale si vedano: J. durand, a. ardillier, G. baranGer, p. pelletier, M. roux, p. thery, France, in Régimes matrimoniaux, successions et liberalités, I, a cura di M. verwilGhen, Neuchatel, 1979, 895 ss.; a. ColoMer, Le nouveau régime matrimonial légal en France, in Revue internazionale de droit comparé, 1966, 61 ss.; a. rieG, Le régime juridique des biens destinés a l’usage commun des époux, in Reveu internationale de droit comparé, 1990, 1215 ss.; F. terrè, p. SiMler, Les régimes matrimoniaux, Paris, 1989.

32 C. bellini, Common law Marriage, in Matrimonio, matrimonii, Milano, 2000, 219 ss.; E. Cooke, Family law, London-Edinburgh-Dublin, 1999; C. Crowdy, Family law, London, 1992; O. khan-Freund, Matrimonial property law in England, in Matrimonial property law, a cura di W. FriedMann, London, 1955, 267 ss.