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Processo civile: forma orale o forma scritta?

autore: A. Consorti

Esiste una diffusa tendenza nel ritenere che il diritto costituisca una voluntas del potere supremo che cala dall’alto per indirizzare e guidare le azioni umane.

Tale concezione non è (quantomeno del tutto) esatta e Paolo Grossi giustamente ammonisce come le leggi non si identifichino con l’interezza del fenomeno giuridico “il quale, nella sua essenza, più che potere è coordinamento, è cioè la stessa società che si autoorganizza percependo certi valori storici e disegnando su di essi alcune regole e osservandole nella vita quotidiana”.

Si può quindi affermare che non è sempre il diritto a creare la prassi quotidiana ma avviene a volte semmai l’inverso e se ciò vale per il diritto sostanziale, lo stesso vale anche per il diritto processuale.

Da cui consegue che particolari contingenze possano creare esigenze pratiche a cui supplire con nuovi metodi di svolgimento della prassi tali da poter sfociare in provvedimenti che vantano inizialmente carattere di particolarità e/o eccezionalità ma possono poi rivelarsi, una volta superata la fase emergenziale, come base di partenza che adegui la norma anche processuale alle mutate condizioni storiche e alle mutate esigenze.

L’analisi di Claudio Cecchella è, sul punto, tanto chiara quanto esaustiva, prendendo in esame le varie alternative che possono costituire l’abbozzo di una riforma del procedimento civile che tenga appunto conto delle mutate esigenze e dalla prassi: analisi, si diceva, tanto chiara ed esaustiva da non necessitare di alcuna ulteriore osservazione.

Compito quindi di questa breve riflessione è cercare di analizzare, dal lato eminentemente pratico, quale possa apparire la migliore strada per una riforma, anche perché, ad avviso di chi scrive, troppe vie alternative solo apparentemente arricchiscono ma, a volte, possono in realtà complicare la vita all’operatore del diritto.

Anche perché Cecchella prende le mosse dalla recente “vicenda normativa epidemiologica”, legata cioè alle emergenze dettate dal Covid, ma è innegabile che anche già precedentemente vi fosse una situazione emergenziale non legata a problematiche sanitarie ma alla eccessiva durata dei procedimenti civili che addirittura, secondo alcuni osservatori, dissuaderebbe gli investitori stranieri (abituati a tempi celeri dei procedimenti civili nei loro paesi) ad indirizzare i loro capitali verso la penisola. Non per niente i vari procedimenti di mediazione, negoziazione, Ctu preventive, sono stati concepiti proprio come istituti tesi al c.d. “deflazionamento del contenzioso”.

Scusandoci della lunga (ma necessaria) premessa si cercherà adesso di esporre qualche considerazione dettata dalla quotidiana pratica forense, per valutare vantaggi e possibili inconvenienti delle varie soluzioni proposte.

Punto di partenza è senza dubbio l’art. 180 c.p.c. che prevede espressamente che “la trattazione della causa è orale”.

Tale postulato, come riassume correttamente Cecchella, risale ad una visione processuale alquanto remota e risalente ai primi anni del secolo scorso. Cecchella ricorda in proposito la posizione assunta dal Chiovenda a favore della oralità del processo civile, ribadita anche dalla relazione al Re del Guardasigilli Grandi in G.U. 28.10.1940 laddove si affermava che “il benefico effetto della oralità” poneva il Magistrato in più stretta e naturale relazione con i legali mentre la forma scritta “costringeva il Giudice in una situazione di isolamento psicologico”.

Le intenzioni erano quindi quelle di dare il maggior risalto possibile alla trattazione orale della causa ma non si tardò molto ad accorgersi della difficoltà di trasportare nella prassi le (sia pur lodevoli) intenzioni tanto che Calamandrei, già negli anni ’50, constatava una sorta di declino della oralità attribuibile, almeno in parte, all’eccessivo carico di lavoro gravante sui Giudici. L’oralità infatti richiede una buona conoscenza della causa da parte del Giudice, così da poter decidere le questioni poste dalle parti, chiedere i chiarimenti necessari e sollecitare il contraddittorio: e tutto ciò richiede inoltre una notevole quantità di tempo da dedicare alla udienza per un esaustivo e ordinato svolgimento della trattazione orale della stessa.

La situazione è risalente nel tempo e i colleghi che hanno, come chi scrive, i capelli bianchi, ben ricordano udienze quasi allucinanti dove gli avvocati, vigente la antica procedura, redigevano a mano lunghi verbali, a volte portandoli già scritti dallo studio, e a volte scrivendo (o replicando alle deduzioni avversarie) ulteriori verbalizzazioni, a volte illeggibili, con il Magistrato che, al termine delle produzioni ed istanze, normalmente si riservava di decidere (spesso sudando alquanto nel decifrare alcune grafie poco leggibili).

Di orale, quindi, vi era ben poco e le stesse successive riforme, con la introduzione delle memorie istruttorie, non hanno fatto che accentuare la forma preponderantemente scritta del procedimento. Né davvero quasi mai si è svolta quella “discussione orale della causa” prevista fin dal codice del quaranta fino all’odierno articolo 281-sexies e 281-quinquies secondo comma: ricordiamo tutti che, vigente l’antico ordinamento, la udienza di pretesa “discussione orale” si riduceva (salvo casi rarissimi) ad un inutile rito in cui i legali, indossata la toga dinanzi al Collegio, allorché veniva chiamata la loro causa pronunciavano il fatidico “a sentenza!”.

Né d’altronde appare ormai convincente ritenere che l’odierno Magistrato competente e preparato si senta “psicologicamente isolato” nel dover prendere decisioni sulla base degli atti scritti: sommessamente ritengo tutt’altro.

Tali considerazioni preliminari sembrano importanti al fine di individuare quale possa essere il futuro del procedimento civile.

Una prima osservazione: l’udienza, nota appunto come il luogo di contraddittorio orale tra le parti e il Magistrato, si è in realtà e da tempo svuotata in gran parte di tale funzione e assai spesso costituisce un notevole dispendio di tempo a cui devono dedicarsi Giudici, Avvocati e Cancellieri.

Pare legittimo perciò porsi una domanda, per quanto spietata possa apparire: l’udienza così come concepita e nata è ancora “sempre” utile? Oppure se ne può limitare l’uso strettamente ai casi in cui la stessa sia oggettivamente indispensabile?

Seconda osservazione: la prassi ha insegnato che molti Magistrati preferiscono valutare e decidere in base ad atti scritti dei legali (possibilmente chiari, analitici e non inutilmente ridondanti). È vero che nella pratica alcuni Giudici, ad esempio nella udienza di decisione circa la ammissione dei mezzi istruttori, preferiscono decidere sul momento ma questo comporterebbe la perfetta conoscenza da parte del Giudice della causa cosa non sempre frequente, altrimenti si verifica la fattispecie che la decisione, ad esempio, su lunghissimi capitolati di prova, venga assunta in maniera affrettata e senza un vero studio approfondito circa la rilevanza del capitolato anche perché un vero contraddittorio orale richiederebbe tempi assai lunghi.

Terza osservazione: l’emergenza pandemica ha ispirato norme “tampone” come la udienza telematica e l’udienza in forma scritta: debbono considerarsi esperimenti tampone perché, appunto, emergenziali o possono essere la base di partenza di un più ampio ragionamento su di una revisione del processo civile?

Poste quindi tali considerazioni generali vediamo adesso le varie alternative proposte dall’art. 221 del d.l. 34/2020 così come correttamente analizzate dal Cecchella, esaminandole da un punto di vista eminentemente pratico.

Tralascerei, per non appesantire troppo la disamina, la fattispecie di cui al sesto comma (ben definita da Cecchella come trattazione “mista”) e concentrerei l’attenzione sulle altre due alternative di svolgimento della udienza, vale a dire la trattazione scritta di cui al quarto comma e quella telematica (o “da remoto”) di cui al settimo comma.

Premettendo che niente vieta che i due modelli possano coesistere, è però opportuno svolgere alcune considerazioni, naturalmente del tutto personali, di mera pratica forense esaminando i pro e i contro delle due opzioni.

Preliminarmente è opportuno individuare i principali (non unici certamente perché questo modesto contributo non ha alcuna pretesa di esaustività) tipi di udienza previsti da un normale procedimento civile standard.

Innanzitutto va presa in esame la udienza prevista dall’art. 183 c.p.c. vale a dire quella che, nel linguaggio volgare, viene definita come “prima udienza”.

La stessa è deputata alla verifica d’ufficio della regolarità del contraddittorio, ed alla eventuale pronuncia dei provvedimenti previsti dall’art. 102 secondo comma (ordine di integrazione del contraddittorio), dall’art. 164 secondo, terzo e quinto comma (rinnovazione della citazione in caso di nullità della citazione e non costituzione del convenuto, fissazione di nuova udienza in caso di carenza dei termini e fissazione di termine per rinnovo della citazione o integrazione della domanda nel caso di nullità dei requisiti relativi alla determinazione della cosa oggetto della domanda o di mancata esposizione di fatto e di diritto), dall’art. 167 secondo e terzo comma (ulteriore termine per rinnovo della domanda riconvenzionale), dall’art. 182 (fissazione di termine per integrare il difetto di rappresentanza o di autorizzazione) e dall’art. 291 primo comma (altro rinnovo di citazione in caso di nullità della notificazione della citazione).

Ora, a ben vedere, la trattazione scritta della prima udienza non osta assolutamente con tutti gli adempimenti e/o provvedimenti che il Giudice può assumere anche senza la presenza fisica o telematica dei legali ma in base agli atti.

Rimane poi la richiesta di chiamata di terzo da parte del convenuto di cui al quinto comma sempre dell’art. 183 che tuttavia può anch’essa essere effettuata di ufficio su istanza del convenuto e sulla base di atti scritti, come pure la richiesta e la concessione dei termini per le memorie di cui al sesto comma del ridetto articolo.

Ed in effetti va osservato come, attualmente, da parte dei Magistrati vi sia una netta preferenza per la scelta della forma scritta per tale udienza.

Altra udienza tipica è quella di cui all’art. 184 c.p.c. laddove dovrebbe avvenire la “discussione” sui mezzi di prova: anche in questo caso, avendo avuto i legali a disposizione ben tre memorie con le quali produrre i documenti necessari, richiedere mezzi istruttori di ogni tipo tanto in prova quanto in controprova o prova contraria, uno scambio di opinioni “verbale” non appare del tutto indispensabile e oltretutto richiederebbe da parte del Giudice una conoscenza pressoché perfetta della materia del procedimento cosa che non sempre è possibile, tanto è vero che i casi di decisione immediata sulle prove o sono frutto di un preventivo studio del Giudice che sostanzialmente arriva in udienza con l’ordinanza di ammissione o rigetto già confezionata almeno nel suo pensiero o altrimenti si riduce ad una valutazione estemporanea, non meditata e quindi del tutto rischiosa.

Vi è poi la proposta di conciliazione del Giudice che l’art. 185-bis colloca alla prima udienza o prima della chiusura dell’istruzione: anche in questo caso nulla osta a che tale provvedimento possa essere emesso dal Magistrato con ordinanza fuori udienza.

Non diversamente può argomentarsi per i provvedimenti di cui agli artt. 186-bis e ter che possono ben essere emessi sulla base delle difese scritte delle parti.

Vi è infine l’udienza di precisazione delle conclusioni che si concilia perfettamente con la forma scritta tanto è vero che è ormai adottata dalla grande maggioranza dei Giudicanti.

Davvero non pare neppure il caso di soffermarsi troppo sulla “discussione orale” prevista dagli artt. 281-quinquies e sexies dal momento che la prassi insegna che si risolve nella mera lettura della sentenza.

Si è visto quindi come, in realtà, la “presenza” delle parti sia opportuna solamente nei casi in cui occorra svolgere delle prove principalmente per testimoni o per interrogatorio formale o di giuramento.

Visto quindi che non vi sono effettivi ostacoli alla adozione della “scrittura” nella maggior parte dei casi occorre anche verificare la valenza della trattazione “da remoto”.

È sicuramente opportuno non porsi pregiudizialmente in forma critica nei confronti delle innovazioni telematiche e informatiche in quanto sono ormai divenute pane quotidiano per gli operatori professionali.

Quindi non vi è dubbio che sarebbe possibile svolgere le udienze di cui sopra anche in detta forma.

Vi sono però alcune problematiche che non possono essere sottaciute.

Mentre la forma scritta può essere organizzata dai legali con ampio anticipo e quindi senza incorrere nei rischi di intoppi dell’ultima ora, altrettanto non può dirsi per l’udienza da remoto.

L’esperienza insegna che, specie quando più di una parte deve partecipare alla udienza, molto spesso qualche parte non riesce ad ottenere il collegamento per i motivi più diversi, a volte invece difetta l’audio o la visibilità: certo è chiaro che tutto può dipendere da una non perfetta padronanza degli strumenti telematici o da una ancora non perfetta fruibilità delle piattaforme: fatto sta però che, nella prassi, ciò avviene.

Ma anche al di là di tale considerazione veramente di carattere spicciolo, nella udienza da remoto si possono verificare problematiche che non dipendono dalla volontà dei partecipanti e, volendo esemplificare al massimo, basti pensare ad una momentanea interruzione della corrente elettrica nella zona da cui una delle parti deve collegarsi o da un banale guasto dell’impianto elettrico o dello stesso hardware, che renderebbero impossibile ad uno dei legali di partecipare, non per sua colpa, alla udienza telematica con pregiudizio irreparabile per la parte rappresentata. Per non parlare poi del problema che si verifica allorché il convenuto intenda costituirsi in cartaceo direttamente il giorno dell’udienza e non può quindi essere stato avvisato dello svolgimento in forma telematica della stessa (vero che potrebbe obiettarsi che quest’ ultima possibilità potrebbe verificarsi anche con la forma scritta ma in merito v. infra).

Scendendo ancora più alla pratica quotidiana va poi considerato che spesso le udienze si accavallano anche perché il tempo necessario a svolgere una udienza non è mai prevedibile e quindi come potrebbe fare un legale ancora in collegamento telematico in una causa a collegarsi per quella successiva? Verissimo che ciò è sempre avvenuto anche durante le udienze in presenza ma chiunque svolga pratica attiva forense sa benissimo che in tali casi il legale si assenta un attimo per pregare il Magistrato e le controparti della causa successiva di usare la cortesia di attenderlo o magari reperisce un collega che possa al momento sostituirlo.

Da ultimo, mentre la presenza fisica consente molto meglio lo scambio di opinioni, il collegamento telematico rimane inesorabilmente un qualche cosa di “freddo” che in qualche modo limita la esposizione esaustiva dei vari temi (peraltro, il più delle volte, la stessa rappresenta solo una duplicazione di quanto già scritto negli atti difensivi).

A livello pratico riterrei quindi sicuramente preferibile dare maggiore rilievo alla trattazione scritta del procedimento limitando quella in presenza ai casi in cui debba necessariamente comparire dinanzi al Giudice il teste o l’interrogando.

Tutto ciò però, a sommesso avviso di chi scrive, non esaurisce completamente la prospettiva di una revisione del meccanismo con cui possa svolgersi il procedimento civile in quanto forse potrebbe ipotizzarsi la possibilità non solo di modificare l’art. 180 c.p.c. formulandolo in maniera che il processo sia eminentemente in forma scritta ma addirittura ponendo in discussione l’utilizzazione delle udienze.

Mi rendo conto che si tratta di un qualche cosa di molto complesso per cui il ragionamento qui svolto non vuole altro essere se non uno stimolo alla riflessione, ma siamo davvero certi che sia necessario e indispensabile mantenere il “rosario” delle varie udienze attualmente previste dal codice di procedura civile o non si possa invece ridurlo lasciando in vita solamente quelle necessarie e indispensabili di cui si parlava poc’anzi?

In effetti un tentativo in tal senso è già avvenuto con la riforma del c.d. “processo societario” di cui al d.lgs. 5/2003, laddove non vi era una fissazione di prima udienza da parte dell’attore ma si prevedeva un preliminare scambio di atti difensivi tra le parti rimandando al Giudice la decisione sui mezzi istruttori dopo che i difensori avessero esaurito le reciproche notifiche delle memorie contenenti le deduzioni e le istanze di prove. Purtroppo tale procedimento non dette buoni frutti in quanto forse recava alcuni inconvenienti e cioè il fatto che venivano previsti scambi continui di memorie tra le parti ma che oltretutto, in caso di chiamate di causa a cascata, avveniva che i termini non coincidessero.

Tuttavia l’intenzione non era forse sbagliata e potrebbe essere ripresa magari con modifiche che rendano più agile e certa la trattazione, a tale scopo utilizzando sia l’impostazione del vecchio processo societario ma innestandovi le parti essenziali dell’attuale procedura civile.

A livello pratico si potrebbe ipotizzare lo scambio tra le parti di citazione, comparsa di risposta, chiamate di terzi in causa, fino al momento in cui vi sia la comparsa di costituzione definitiva che non rechi ulteriori chiamate ed a quel punto, su istanza della parte più diligente, il Magistrato potrebbe concedere i termini di cui all’art. 183 c.p.c. sesto comma deputandoli alle medesime incombenze di cui all’attuale norma e magari aggiungendo un ulteriore quarto termine di mere osservazioni qualora una delle parti inserisca artatamente produzioni o richieste di prova in maniera indebita in terza memoria.

Dopodiché il Giudice disporrebbe circa la assunzione dei mezzi di prova fissando l’unica udienza veramente indispensabile in presenza per la escussione dei testi, interrogatori formali o liberi e così via.

Terminata la fase istruttoria le parti potrebbero precisare per iscritto le proprie conclusioni con note da inserire in cancelleria telematica ed il Giudice provvedere in merito assegnando alle parti i termini per gli scritti conclusionali di cui all’art. 190 c.p.c.

Un mixer di tal tipo darebbe le più ampie garanzie difensive alle parti che avrebbero a disposizione gli atti iniziali (citazione e comparse di costituzione) per la illustrazione esaustiva delle reciproche domande ed eccezioni e le medesime memorie ex 183 c.p.c. per quanto alle stesse deputate.

In pratica il procedimento avverrebbe in forma scritta all’infuori dell’unica indispensabile udienza di assunzione delle prove.