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Il futuro della giustizia civile dopo la legislazione emergenziale covid-19

autore: C. Cecchella

Sommario: 1. La disciplina dell’emergenza nel processo civile: la trattazione scritta, “da remoto” e mista. - 2. Il consenso delle parti alla trattazione in deroga all’oralità del processo. - 3. La prospettiva di una disciplina ordinaria delle nuove forme di trattazione. - 4. L’oralità e l’art. 6 della C.e.d.u. - 5. Il principio dell’oralità nel dibattito della dottrina sul codice liberale del 1865 nei primi anni del Novecento e la sua eredità contemporanea.



1. La disciplina dell’emergenza nel processo civile: la trattazione scritta, “da remoto” e mista



È noto come l’insieme degli artt. 170 e 180 c.p.c., novellati dalla legge n. 80 del 2005, che è intervenuta nuovamente sull’assetto delle preclusioni e delle decadenze nella fase introduttiva del processo a cognizione piena di rito ordinario, abbia ridotto significativamente le occasioni di trattazione scritta, non essendo più il giudice abilitato alla concessione di termini per lo scambio di memorie scritte ed essendo astrattamente autorizzabili solo quelle previste dalla legge, in alcuni casi su istanza di parte (artt. 183, 6° comma, c.p.c. e 190 c.p.c., quest’ultimo da interpretare anche alla luce dell’art. 281-quinquies c.p.c., laddove è consentita la sostituzione della memoria di replica con una discussione orale; ugualmente, nel rito speciale di cognizione piena, l’art. 429, 2°comma, c.p.c.). Il principio è estremizzato nell’art. 180 cit. che declama in modo solenne: “La trattazione della causa è orale. Della trattazione della causa si redige processo verbale”. In questo contesto normativo l’attuale assetto, dovuto alla disciplina emergenziale introdotto con l’art. 221 della legge n. 77 del 2020, di conversione del c.d. decreto legge “rilancio”, n. 34 del 2020, ha introdotto delle significative novità, nell’intento di limitare la presenza dei difensori tecnici, del giudice e delle parti all’udienza. In particolare cinque modalità di trattazione alternative, modulate nei diversi momenti vissuti dal processo: la trattazione scritta dell’udienza nella quale è prevista la partecipazione dei soli difensori tecnici con il giudice (art. 221, 4° comma, cit.); la trattazione c.d. “da remoto”, nel caso in cui oltre ai difensori tecnici e al giudice, partecipa all’udienza anche la parte e il suo ausiliario (art. 221, 7° comma, cit.); la trattazione mista – perché presenti alcune parti con i loro difensori ed altre, su loro istanza, presenti “da remoto” (art. 221, 6° comma, cit.); la trattazione scritta dell’udienza fissata per l’incarico al consulente tecnico d’ufficio, ex art. 193 c.p.c., essendo consentita l’accettazione dell’incarico e l’ammonimento di bene e fedelmente adempiere alle funzioni al solo scopo di far conoscere al giudice la verità mediante atto telematico da parte dell’ausiliario (art. 221, 8° comma, cit.); infine, la previsione del verbale di conciliazione redatto con strumenti informatici, in occasione delle udienze di cui agli artt. 185 e 420 c.p.c., ove la sottoscrizione delle parti, dei difensori e del cancelliere, tiene luogo di apposita dichiarazione del giudice che tali soggetti, pienamente edotti del contenuto degli accordi, li hanno accettati, con conseguente possibilità di una conduzione della udienza “da remoto” (art. 3, comma 1°, lett. i), 1-bis, della legge n. 70 del 2020)1 . Quando la modalità della trattazione è “da remoto”, con collegamento telematico immediato e diretto, aggiunge il comma 6° dell’art. 221 cit. “la parte può partecipare all’udienza solo dalla medesima postazione da cui si collega il difensore”2 . Al giudice era inizialmente imposto il collegamento dall’ufficio giudiziario dall’art. 221 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, si rinviene ora nel comma 7 dell’art. 23 del d.l. n. 237 del 2020 (che “in deroga al disposto dell’articolo 221, comma 7, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, il giudice può partecipare all’udienza anche da un luogo diverso dall’ufficio giudiziario”. A tale regime di svolgimento delle udienze di trattazione nel processo civile, si è aggiunta un’ulteriore disciplina in ordine alle forme di perfezionamento della procura difensiva. In deroga all’art. 83 del codice di rito, l’art. 83, comma 20-ter, della legge n. 27 del 2020, ha consentito la sottoscrizione del mandato difensivo mediante firma della parte da remoto su documento cartaceo, trasmesso in scansione, unitamente a documento di identità, all’avvocato difensore, purché unito all’atto difensivo secondo le forme stabilite per la trasmissione telematica degli atti processuali. Tale norma è applicabile “sino alla cessazione delle misure di distanziamento previste dalla legislazione emergenziale in materia di prevenzione dal contagio”, in un assetto temporale incerto che dovrebbe essere anch’esso limitato al 30 aprile 2021. Sarebbe opportuno la soluzione fosse temporalmente collegata alla disciplina sulle modalità di svolgimento della trattazione nel processo o fosse, una volta per tutte, introdotta come regime ordinario, novellando l’art. 83 c.p.c. La normativa, per esclusione, consente di necessità la conduzione delle altre udienze mediante modalità tradizionale di presenza in conferenza personale del giudice, dei difensori tecnici, degli ausiliari, delle parti, dei consulenti tecnici o dei testimoni, all’interno dell’aula del tribunale. È perciò inevitabile la conduzione con modalità ordinaria dell’udienza dedicata alla prova testimoniale e per gli eventuali chiarimenti richiesti dalle parti o dal giudice al consulente o, qualora prevista, per rendere in forma orale la relazione del consulente e quindi tendenzialmente per l’udienza ai sensi dell’art. 184 c.p.c., dedicata all’assunzione dei mezzi di prova, nella versione della norma dovuta alla legge n. 80 del 2005. Il legislatore emergenziale, sempre in relazione alla prova, consente che le informazioni offerte dalla p.a. regolate nell’art. 213 c.p.c., siano offerte mediante forma modellata sulla udienza da remoto3 . È quindi necessario sottolineare sin d’ora che l’udienza di assunzione della prova liberamente valutabile, non deroga ai principi di immediatezza che vogliono la contestuale presenza del giudice, dei difensori tecnici ed eventualmente delle parti, in un rapporto diretto con il testimone e/o con il consulente. Al contrario, quando il mezzo di prova ha origine nelle dichiarazioni della parte (interrogatorio formale e giuramento) e normalmente fonda un mezzo di prova non liberamente apprezzabile da parte del giudice, ma i cui risultati sono legislativamente imposti nel giudizio finale di fatto, l’udienza può svolgersi con le modalità ipotizzate nel caso di presenza delle parti, ovvero “da remoto”. Ciò deve dirsi per tutte le ipotesi in cui, non solo nei procedimenti a cognizione piena, sulla base di opzioni discrezionali del giudice, oppure nei procedimenti a cognizione sommaria, cautelari o camerali, ove è il legislatore ad imporlo, la comparizione delle parti possa realizzarsi attraverso le forme del collegamento telematico “da remoto”. Esiste, tuttavia, il problema della presenza delle parti in alcuni procedimenti nei quali alla base della regolamentazione del rapporto controverso è un accordo tra le parti, recepito in vario modo dal giudice (omologa in sede di volontaria giurisdizione, sentenza o decreto in sede di rito contenzioso), in particolare nell’ambito dei procedimenti per separazione e divorzio, alla luce di una giurisprudenza del giudice di legittimità che qualifica come revoca del consenso la mancata conferma dell’accordo dalle parti, mediante comparizione personale all’udienza. Oggi l’art. 23, comma 6° della legge n. 176 del 2020, stabilisce che “il giudice può disporre che le udienze civili in materia di separazione consensuale di cui all’articolo 711 del codice di procedura civile e di divorzio congiunto, di cui all’articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, siano sostituite dal deposito telematico di note scritte di cui all’art. 221, comma 4… nel caso in cui tutte le parti che avrebbero il diritto a partecipare all’udienza vi rinuncino espressamente con comunicazione, depositata almeno quindici giorni prima dell’udienza, nella quale dichiarano di essere a conoscenza delle norme processuali che prevedono la partecipazione all’udienza, di avere aderito liberamente alla possibilità di rinunciare alla partecipazione all’udienza, di confermare le conclusioni rassegnate nel ricorso e, nei giudizi di separazione e divorzio, di non volersi conciliare”. 3 Art. 221, 7° comma, d.l. n. 34/2020 come modificato dalla legge n. 77/202.

La previsione normativa esplicita è di estrema importanza, poiché l’eventuale previsione all’interno delle linee guida del dirigente dell’ufficio non avrebbe avuto la forza di derogare ad una precisa norma di legge4 . Ne sono tuttavia rimasti esenti i ricorsi congiunti ex art. 337-bis c.c. o ex art. 337-quinquies c.c., dimenticando troppo spesso il legislatore la parallela esperienza dei riti camerali. Altra previsione è contenuta nel 9° comma dell’art. 23 del d.l. n. 137 del 2020 che conferma che le “deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi ed automatizzati del Ministero della giustizia”. La norma già contenuta nel comma 12-quinquies dell’art. 83 del decreto legge 18/2020, aveva perso efficacia il 31 luglio 2020, poiché non era stata inserita nell’art. 221 del decreto legge 34/2020. La inesorabile traccia elettronica delle riunioni del collegio, sensibilizzerà i giudici a tenere veramente le camere di consiglio collegialmente.



2. Il consenso delle parti alla trattazione in deroga all’oralità del processo



Il passaggio attraverso la disciplina emergenziale muove dall’art. 83 della legge n. 27 del 2020, che, nelle linee guida adottate dai dirigenti degli uffici, rendeva l’alternativa alla trattazione orale di cui all’art. 180 c.p.c. un potere discrezionale che il giudice imponeva alle parti, e conduce al diverso regime dell’art. 221 della legge n. 70 del 2020, commentato nel paragrafo che precede, ove è riconosciuta un’interlocuzione del giudice con le parti sulla modalità della trattazione. Infatti, l’art. 221, 4° comma, cit., sulla trattazione scritta, consente alle parti di esprimere, anche unilateralmente, una volontà contraria alla modalità di svolgimento della trattazione, anche se l’ultima parola resta affidata al giudice. Nell’applicazione della norma si è imposto alla parte di avviso contrario la necessità di motivare il suo dissenso, essendo in difetto inammissibile l’istanza, e si è comunque sancita la titolarità, in ultima analisi, di un potere discrezionale nel giudice di imporre la modalità per trattazione scritta (si intende con provvedimento motivato). La norma ha tuttavia il pregio di sancire un’interlocuzione tra le parti e il giudice sulle forme della trattazione e potrebbe essere, similmente a quanto previsto nell’art. 823, comma 1°, c.p.c. (in forza del quale la conferenza personale degli arbitri può essere richiesta da ciascun arbitro mediante espressa istanza agli altri), modificata nel senso di consentire comunque alla parte di optare per la trattazione in presenza. Di conseguenza a regime, la deroga alle forme di trattazione orale potrebbe avere la prospettiva di una trattazione scritta generalizzata, come modalità normale di svolgimento di alcune udienze nelle quali sono presenti il solo giudice e i difensori tecnici delle parti, salva istanza contraria di una delle parti stesse. Il legislatore, poi, procedimentalizza l’espressione della contrarietà alla trattazione scritta, prevedendo il termine di trenta giorni anteriori all’udienza per l’esercizio del potere discrezio nale del giudice con provvedimento comunicato alle parti e nei cinque giorni successivi alla comunicazione consente alle parti l’esercizio della facoltà di esprimersi in senso contrario. Il consenso ha invece un rilievo centrale nella modalità di svolgimento della trattazione integralmente “da remoto” o in forma mista, solo con la presenza di una o alcune delle parti, poiché in tali casi il giudice deve raccogliere preventivamente il consenso delle parti su tale forma (è da pensare all’udienza anteriore), mentre il consenso preventivo, nella modalità “mista”, discende dall’istanza della parte. Egualmente il consenso è necessario quando la comparizione delle parti nella separazione consensuale o nel divorzio condiviso è sostituita dal deposito telematico di note scritte. L’elasticità di un rito fondato sul consenso delle parti e sull’interlocuzione del giudice con le parti nella direzione di una modalità di trattazione non orale o in presenza, deve esser sottolineata nella prospettiva di una prosecuzione di tale esperienza nel futuro, potendone risultare un rito variabile, non sulla base di previsioni legislative tassative, ma sulle scelte del giudice e delle parti.



3. La prospettiva di una disciplina ordinaria delle nuove forme di trattazione



Esaurito il commento alle principali disposizioni dell’emergenza epidemiologica dedicate al processo civile, con già accennati alcuni problemi interpretativi e una non perfetta coerenza con principi di rango costituzionale, in particolare il principio del contraddittorio e la riserva di legge, è necessario misurarsi con la possibilità di un recupero della disciplina straordinaria nell’ambito della disciplina ordinaria del processo civile. Non si può qui nascondere come l’udienza orale in presenza si manifesti a volte un ramo secco, asfittico ed inutile in alcune ipotesi (e forse un lusso a cui non può declinare l’economicità del processo), sia perché le parti discutono oralmente rimettendosi agli atti scritti (molto spesso a ciò indotti dallo stesso giudice, per esigenze di tempo), sia perché il giudice, oberato da ruoli sovraccarichi, non giunge in udienza preparato sui temi della causa. Ciò è particolarmente evidente nelle udienze nelle quali intervengono solo i difensori tecnici, come la prima udienza di trattazione ex art. 183. 5° comma c.p.c. (potendo avere senso la partecipazione in presenza o da remoto della sola ulteriore udienza, a cui, con prassi non in linea con la legge che vorrebbe un’unica udienza di trattazione, ci ha abituati il processo civile, laddove si conduca una discussione sui nuovi temi difensivi indotti dal contraddittorio, dallo ius poenitendi e dalle istanze istruttorie); l’udienza di precisazione delle conclusioni, artt. 189 e 281-quinquies, 1° comma, c.p.c.; l’udienza di discussione nel rito speciale a cognizione piena, a seguito dello scambio di note difensive finali, ai sensi dell’art. 429, comma 2°, c.p.c.; l’udienza dedicata alla discussione sull’istanza di sospensiva dell’esecutività della sentenza di primo grado nel giudizio di appello, ai sensi dell’art. 351 c.p.c.; l’udienza di trattazione in appello, ai sensi dell’art. 350 o della precisazione delle conclusioni in appello, ai sensi dell’art. 352 c.p.c.; l’udienza destinata all’accettazione dell’incarico e all’ammonimento al consulente, ai sensi dell’art. 193 c.p.c.; l’udienza per l’acquisizione delle informazioni da parte della pubblica amministrazione ex art. 213 c.p.c.; le udienze che si tengono nei procedimenti esecutivi e fallimentari, fuori dalle opposizioni o i reclami. Per tutte queste udienze il dispendio di tempo e di energie che tengono occupate le parti e il giudice non ha senso alcuno. Come già si è evidenziato nell’esame della disciplina attualmente in vigore, deve porsi una distinzione tra udienze nelle quali vengono raccolte le prove liberamente apprezzabili dal giudice, dove l’oralità ha modo di esprimersi come principio di immediatezza, di chiovendiana memoria, sul cui profilo si ritornerà nel paragrafo conclusivo, le quali impongono il rapporto diretto del giudice con la prova, senza dimenticare la difficoltà di garantire ad esempio al testimone, o al terzo che interviene, l’uso dello strumento telematico e le udienze in cui sono raccolte invece prove non liberamente valutabili ma che condizionano ex lege il giudicante. Si tratta per lo più di prove precostituite documentali, dove la forma scritta e quindi anche telematica è evidente, oppure di una prova costituenda fondate sulla dichiarazione della parte (interrogatorio formale e giuramento), che possono essere anche rese da remoto, tenuto conto che qui l’immediatezza nella percezione della prova ai fini della sua valutazione, non ha alcun rilievo, trattandosi di prove legali. In tale ultimo caso la trattazione orale in presenza poterebbe essere sostituita dalla trattazione “da remoto”. Il sistema conosce però una modalità di acquisizione della prova testimoniale mediante forma scritta, art. 257-bis, c.p.c., i cui eccessivi formalismi hanno provocato una sostanziale abrogazione della norma, se si esclude la testimonianza che ha ad oggetto documenti di spesa già depositati dalle parti, resa mediante dichiarazione sottoscritta del testimone e trasmessa al difensore della parte (comma 7° dell’articolo citato). Se attraverso una diversa regolamentazione, novellando i contenuti della disposizione sulla testimonianza scritta, la norma dovesse avere effettiva applicazione, pur dovendo essere abbandonata alla volontà delle parti la diversa modalità di assunzione, non sarebbe difficile pensare ad una forma di trattazione scritta o “da remoto” anche dell’udienza relativa5 . Pure la comparizione delle parti ai fini dell’interrogatorio libero o per il tentativo di conciliazione, potrebbe eseguire opportunamente le forme dell’udienza “da remoto”, non rendendosi sempre necessario il rapporto diretto e in presenza delle parti con il giudice, anche se qui dubitativamente per gli effetti provocati dall’interrogatorio libero, nella pratica mezzo assai diffuso, che qualche volta può fornire elementi di convincimento al giudice, elementi che egli può trarre certamente dall’immediatezza e dalla presenza. Si deve qui pensare anche alla comparizione delle parti, indotta nei riti a cognizione sommaria, secondo le forme del processo cautelare o del rito camerale. Ugualmente quando il consulente viene invitato a render oralmente la sua perizia oppure a chiarire, pure verbalmente la relazione peritale agli atti.

Se questa evoluzione non pare affatto traumatica e anzi in linea con le esigenze di efficienza e celerità del processo, eliminando inutili attività e dispersione di tempo, deve sottolinearsi l’importanza del rispetto delle forme del contraddittorio nella modalità a trattazione scritta. Sarà necessario ancora una volta ripetere che, qualora la nota scritta non si attenga rigorosamente ai canoni di sintesi e chiarezza, che consentono esclusivamente istanze e conclusioni che sarebbero state rese sinteticamente a verbale, ed introduca difese nuove in fatto e in diritto, purché ancora esaminabili nella fase del processo in cui le note vengono versate in atti, pare necessario che il giudice conceda, a fronte dell’abuso del mezzo e della novità di contenuto difensivo, un termine alle altre parti per replica e che tale previsione debba esser riconosciuta a pena di nullità dal legislatore, come già avviene, ai sensi dell’art. 101, 2° comma, c.p.c., per le questioni rilevate d’ufficio. Termini e forme di esercizio del contraddittorio che non possono essere lasciate alla discrezionalità del giudice, ma devono essere disciplinate precisamente dal legislatore, anche con la previsione di sanzioni di nullità tipizzate, in ossequio al principio di riserva di legge, di cui all’art. 111, comma 1°, c.p.c.



4. L’oralità e l’art. 6 della C.e.d.u.



L’art. 6 C.e.d.u., in particolare, la prima parte del par. 1 della disposizione, riconosce il diritto di ogni persona “a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole”. L’udienza pubblica è una garanzia inderogabile della giurisdizione, sia penale che civile? È noto come alcune udienze del processo civile non sono pubbliche, come quelle istruttorie, oppure le udienze del processo camerale, sempre più diffuso nell’ambito della tutela dei diritti, e costituenti ormai la modalità ordinaria di conduzione del processo innanzi alla S.C. La trattazione scritta introduce un vulnus al principio sancito al massimo livello delle fonti? La risposta è negativa. Le deroghe sono ampiamente ammesse nel sistema, quando vi siano ragioni obiettive e razionali nel concreto procedimento in atto, che ne giustifichino una variazione, e non solo il regime straordinario imposto dall’emergenza sanitaria, ma anche quando la scelta si compia in funzione dei principi di economicità e di funzionalità ed efficienza del sistema. Perciò l’asfittica udienza in presenza, che comporta dispendio inutile di energie del giudice e del difensore delle parti, che potrebbero essere profuse piuttosto in note scritte e provvedimenti concisi trasmessi telematicamente, ben potrebbe essere sostituita da un’udienza con modalità scritta oppure “da remoto”.



5. Il principio dell’oralità nel dibattito della dottrina sul codice liberale del 1865 nei primi anni del novecento e la sua eredità contemporanea



Esiste un’ultima remora alla diffusione di forme di trattazione alternative alla oralità in presenza, costituite dalla teorizzazione, sempre presente nei tentativi di riforma del processo civile, di uno svolgimento orale del processo, a partire dalle riforme dei primi anni del 1900 e particolarmente dalla elaborazione dovuta ai fondamentali contributi di Chiovenda, sia come risultato del progetto di riforma del procedimento civile dovuto alla commissione istituita dopo la prima guerra mondiale, a partire dal 19186 e sia nel contributo successivo “Sul rapporto tra le forme del procedimento e la funzione della prova. L’oralità e la prova” (1924)7 . Vi è da rilevare che, nel più recente contributo, Chiovenda, nel dare atto del dibattito intercorso con Mortara8 , ne attenua significativamente i contrasti, rinvenendo nell’opera dello studioso contemporaneo, primo Presidente della Corte di cassazione, elementi non difformi dalla sua teorizzazione, che solo apparentemente avevano portato ad un contrasto tra la riforma del 1901 al codice del 1865, ispirata da Mortara, e la riforma influenzata da Chiovenda, suggerita dalla commissione del dopo guerra, che non ebbe sul piano legislativo la stessa fortuna9 . Nel scritto più recente del 1924 – che si ritiene opportuno esaminare per una più corretta valutazione dell’opinione di Chiovenda, il quale in esso si libera dalla adesione alle matrici storiche dell’idea, nell’opera di Jeremy Bentham e di Franz Klein, che aveva ispirato la riforma austriaca del processo civile, e dimostra maggiore sensibilità alla pratica del processo –, attenua il confronto con Mortara, nell’accentuare alcuni aspetti a favore dell’oralità di Mortara stesso, nel noto discorso al Senato del 1923 (“noi abbiamo d’oralità nel nostro processo una certa quantità, che potrà essere aumentata… senza bisogno di metter a soqquadro tutta l’architettura del nostro processo; rispettando le abitudini fondamentali della vita giudiziaria italiana e il tipo fondamentale del processo italiano… adottare tutti quei miglioramenti che sono necessari per abbreviarlo, per perfezionarlo, per concentrarlo, per introdurgli quel tanto di oralità che può servire a questo fine”). Precisa Chiovenda: “io, e quanti siamo propugnatori dell’oralità, intendiamo per processo orale quello in cui l’udienza è utilizzata per la trattazione della causa, cioè per lo svolgimento stesso dell’istruttoria, convenientemente predisposta in base a scritture preparatorie delle parti con provvedimenti ordinatori del magistrato” e prosegue nel dare concreta applicazione all’oralità: “un processo in cui l’udienza serva… al compimento dell’istruttoria seguita immediatamente dalla discussione dei suoi risultati”. Proseguendo nella lettura, il Maestro evidenzia e si dilunga sul rapporto tra oralità e prova, offrendo finalmente il nucleo essenziale della sua teoria, ormai matura negli anni 20, dopo decenni di riflessioni e polemiche: “conviene porre il maggior rilievo, il valore intimo dell’oralità, considerata in quello dei suoi poliedrici aspetti che si suol chiamare l’immediatezza. L’oralità intesa come immediatezza di rapporti tra il giudice che deve pronunciare la sentenza e gli elementi da cui deve trarre la sua convinzione (persone, oggetti, luoghi), è la condizione indispensabile per l’attuazione del principio della libera convinzione del giudice in opposizione al sistema della prova legale”. Dunque Chiovenda, nel saggio del 1924, traduce l’oralità nell’immediatezza della raccolta della prova libera, tanto che quando il processo si risolve in sole questioni di diritto oppure in questioni di fatto risolvibili mediante prove precostituite, il valore dell’oralità viene sminuito, necessario al contrario in caso di “prove diverse dalla documentale (interrogatorio, esame di testimoni, perizia, ispezione giudiziale)” e aggiunge: “la mancanza d’atti di istruzione da compiere in udienza renderà meno tangibili le differenze tra il processo scritto e l’orale”. L’evoluzione del principio di oralità nella concezione matura di Chiovenda si traduce dunque nel principio di immediatezza, che vuole la partecipazione “diretta ed in presenza” del giudice e delle parti, ovvero dei difensori, nell’assunzione delle prove libere all’udienza. Non si può, ancora una volta, non ricordare il pensiero di Mortara, massimo giudice italiano nei primi decenni del novecento, sino all’avvento del fascismo, ancora nel discorso al Senato del 1923: “il giudice dove sorge una questione di diritto da svolgere, ha bisogno di riflettere, di studiare: la meditazione sopra le memorie scritte degli avvocati e l’agio che così è concesso al giudice di consultare autori, di esaminare la giurisprudenza, lo mettono in grado non solo di coltivare il suo ingegno, ma anche di dare una sentenza cognita causa, ponderata, ben motivata”. Mortara nella sua viva esperienza di giudice, prima ancora di studioso del processo civile, coglie nel segno e Chiovenda muove dagli stessi spunti, nello scritto più recente. Il processo civile non può svolgersi d’impeto e ridursi alla discussione orale, come il processo penale, che è altra cosa, perché è un giudizio prevalentemente su fatti storici, condotte, atti od omissioni, che hanno rilevanza ai fini della sanzione e dunque dove il dibattimento nella raccolta della prova e la discussione immediata ha un senso assolutamente centrale. Il processo civile non può prescindere, per la prevalenza delle questioni giuridiche su quelle fattuali, da una pre-costituzione di atti scritti, ove il difensore tecnico “ha bisogno di riflettere, di studiare, di meditare”, per parafrasare le parole di Mortara. Pertanto, se le perplessità all’utilizzo di forme alternative a quelle dell’oralità dibattimentale hanno ragioni profonde nell’ambito del processo penale, diverso è il processo civile, nel quale è impossibile prescindere dalla precostituzione in forma scritta delle difese delle parti, domande, eccezioni, prove, questioni pregiudiziali di rito, questioni sulla individuazione, interpretazione e applicazione della regola giuridica e dove dunque una trattazione, anche in forma scritta, oppure senza la presenza delle parti immediata all’udienza, può ben giustificarsi, rimanendo insostituibile e inderogabile quell’accezione chiovendiana, e, potremmo oggi aggiungere, non avversata da Mortara, dell’oralità che è l’immediatezza nella raccolta della prova libera e probabilmente nell’assunzione dell’interrogatorio libero della parte, modalità che non potrà mai derogare ai principi di immediatezza ed oralità sanciti dalla presenza del testimone, del consulente o della parte in udienza. Tale eventualità non è esclusa dalla legislazione di emergenza, anzi è esplicitamente riconosciuta, ciò che rende quella legislazione, con gli aggiustamenti derivanti da forme adeguate allo svolgimento in contraddittorio delle parti delle questioni di fatto e di diritto, utilizzabile anche nel regime ordinario del processo civile.

NOTE

1 Vi è da aggiungere che il comma 20-bis, dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2020 e ancora modificato dalla legge n. 70 del 2020, ha previsto, come regime ordinario, la possibilità dello svolgimento degli incontri di mediazione da parte degli enti autorizzati mediante collegamento telematico da remoto. Il legislatore si è tuttavia dimenticato di prevedere la stessa modalità per quanto concerne la disciplina della parallela negoziazione assistita dagli avvocati, prevista dalla legge n. 162 del 2014.

2 Tale previsione appare invero incomprensibile, potendosi al massimo ipotizzare l’eventualità di una partecipazione dalla medesima postazione, quando la parte non sia munita di strumenti telematici idonei al collegamento. Peraltro con l’applicazione del regime di cui all’art. 156, 3° comma, c.p.c., è da ritenersi che l’eventuale collegamento da altra postazione della parte consenta egualmente il raggiungimento dello scopo e quindi non abbia il rilievo giuridico di nullità la violazione della norma. Il senso della previsione potrebbe essere quello della vicinanza fisica della parte al suo avvocato nel momento in cui deve rendere una dichiarazione rilevante, ma si deve trattare di una facoltà a cui la parte può rinunciare.

3 Art. 221, 7° comma, d.l. n. 34/2020 come modificato dalla legge n. 77/2020 di conversione.

4 Il profilo era stato da noi sollevato in occasione di un’audizione innanzi al Ministro della Giustizia, cfr. Intervento del Presidente dell’Osservatorio nazionale del diritto di famiglia (ONDiF), in occasione della consultazione del Ministro On. Alfonso Bonafede il 16 aprile 2020, in Osservatorio sul diritto di famiglia. Diritto e processo, 2020, 1, 103 ss., per buona sorte poi recepita.

5 Che la testimonianza in presenza all’udienza non sia più un principio inderogabile lo evidenzia anche piano nazionale di ripresa e resilienza, approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 gennaio 2021, in www.governo.it, ove si legge: “Nell’ambito della negoziazione assistita viene data la possibilità agli avvocati di anticipare, ove possibile e con procedure definite, una parte dell’attività istruttoria al fine di agevolare l’accertamento dei fatti prima dell’inizio del processo, di consentire alle parti di valutare meglio l’alea del giudizio e incoraggiare soluzioni transattive. Il vaglio di tale attività nell’eventuale successivo giudizio è rimesso alla valutazione del giudice”.

6 La relazione, risalente al 1919, è oggi pubblicata in G. Chiovenda, Saggi di diritto processuale civile (1894-1937), II, Milano, 1993, 1 ss., in particolare 17 ss. e 23 ss.

7 Il saggio, già pubblicato sulla Riv. dir. proc. civ., è oggi in Chiovenda, Saggi, cit., 197 ss.

8 Discorso tenuto da Mortara al Senato il 24 novembre 1923 (Atti del Senato, discussioni, 5580 e ss. e soprattutto nello scritto in Giur. it., 1923, IV, 136 ss.).

9 Secondo F. Cipriani, Storie di processualisti e oligarchi, Milano, 1991, 200 ss., per essere a partire dal giugno 1919, e per un anno, Ministro della Giustizia, proprio Ludovico Mortara, le cui sconfitte sul piano accademico sarebbero state succedute dai suoi trionfi sul piano giudiziario e politico. Ci penserà poi il ventennio a mettere a tacere i due massimi studiosi del processo civile del primo Novecento, aventi matrice liberale comune. L’uno perché firmatario del Manifesto di Croce (pubblicato su Il Mondo, 1° maggio 1925, v. F. Cipriani, Giuseppe Chiovenda, il manifesto di Croce e il fascismo, in Riv. dir. civ., 1995, II, 281 ss.), l’altro per la sua origine ebraica, figlio del rabbino di Mantova (cfr. S. Satta, Attualità di Lodovico Mortara, in Soliloqui e colloqui di un giurista, Padova, 1968, 459 ss. e soprattutto Mortara, Pagine autobiografiche (1933), in S. Satta, Quaderni del diritto e del processo civile, I, Padova, 1969, 39 ss.).