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A margine di Cass. Pen., sez. III, ord., 24 gennaio 2020, n. 2888: brevi note sull’abuso di autorità dell’insegnante privato in prospettiva storica

autore: A. Grillone

Sommario: 1. La prospettiva d’indagine e l’ordinanza de qua. - 2. Il mondo greco: la pederastia (παιδεραστία) istituzionalizzata. - 3. Il mondo romano: la protezione dell’integrità psico-fisica del fanciullo e il ruolo dei paedagogi. - 4. Conclusioni.



1. La prospettiva d’indagine e l’ordinanza de qua



Non è mia intenzione, attraverso il presente contributo, sostituirmi, in sede di commento, al giurista positivo. Si tratta, invece, di portare all’interno di un dibattito in corso un elemento ulteriore di riflessione interpretativa in chiave storica, non soltanto prettamente giuridico, ma sociologico e di costume. Interrogarsi sul mutato ruolo dell’insegnante privato nel mondo romano rispetto a quello che ebbe a rivestire nell’educazione del fanciullo in contesto ellenico, significa porsi a contatto con la coscienza sociale che ispirò la prima legislazione a protezione della sessualità del giovane infra-diciassettenne nella tradizione giuridica occidentale1 . E non si tratta di un esercizio erudito, ma di ripercorrere un cambio di mentalità, che, nelle forme in cui è espresso dalle fonti letterarie e giuridiche romane, può ancora oggi segnare la corretta strada interpretativa riguardo alla nozione di abuso di autorità, che compare nella lettera dell’art. 609-bis, comma 1, c.p., rubricato alla Violenza sessuale, e che è l’oggetto, in Cass., n. 2888 del 20202 , di perduranti dubbi circa la sua reale portata applicativa. Ma principiamo dall’arresto in questione. Con l’ordinanza 4 ottobre 2019, depositata in data 24 gennaio 2020, n. 2888, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione: “se, in tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità di cui all’art. 609-bis c.p., comma 1, presupponga nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico o, invece, possa riferirsi anche a poteri di supremazia di natura privata di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali”.

Come è noto, l’abuso di autorità, oggetto del soprariportato quesito, costituisce, al pari della violenza e della minaccia, una delle modalità di consumazione del reato di violenza sessuale, di cui all’art. 609-bis, comma 1, c.p.3 . Con detta ordinanza, pertanto, la Terza Penale ha inteso dare impulso alle Sezioni Unite, al fine di sciogliere l’annoso ius controversum riguardo al corretto significato da attribuire alla suddetta locuzione; se, in particolare, la stessa debba reputarsi confinata alle ipotesi di abuso di potere formale di tipo pubblicistico ovvero possa estendersi fino a ricomprendere anche una supremazia di natura diversa, come, nel caso in esame, quella di un insegnante privato nei confronti dei propri alunni. La questione, come si diceva, è stata lungamente dibattuta in dottrina e in giurisprudenza. Un primo indirizzo, sovente appellato come “tesi pubblicistica o restrittiva”4 e incidentalmente avallato nella pronuncia delle Sezioni Unite, n. 13 del 20005 , ha ritenuto che l’abuso di autorità presupponesse necessariamente, nell’agente, una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico. In base a questa opinione, infatti, solo un rapporto di tale natura, tra autore e vittima, sarebbe stato idoneo a ingenerare, oltre ad una soggezione psicologica, un affidamento del soggetto passivo, in ragione del pubblico ufficio ricoperto dal reus. In una simile prospettiva, sarebbe proprio questo affidamento ad essere sfruttato dall’agente pubblico per costringere il privato al compimento di atti sessuali. La tesi in esame, per altro, sembrerebbe anche corroborata dal dato storico, se è vero che la fattispecie di cui all’art. 609-bis, comma 1, c.p., ha sostituito l’abrogato art. 520 c.p., ove si faceva esplicito riferimento al pubblico ufficiale. Chi invece ha sostenuto, con la dottrina maggioritaria, la “tesi privatistica o estensiva”, include nel concetto di abuso di autorità, di cui all’art. 609-bis c.p., l’esercizio illecito di qualsivoglia potere di supremazia, anche di natura privata, che l’agente metta a frutto per costringere il soggetto passivo del reato a compiere o a subire atti sessuali. In tale ottica, e con alcune sfumature peculiari, che qui non è il luogo di approfondire, è parso ai più sufficiente che il soggetto attivo eserciti una forma di influenza o suggestione su quello passivo, al fine di coartarne la volontà o condizionarne il comportamento. Una soluzione questa che, più recentemente, è sembrata farsi largo anche nella stessa giurisprudenza di legittimità6 . Tornando al caso di specie, si era discusso, di fronte al giudice di prime cure e in grado di appello, della condotta di un insegnante, che, impartendo lezioni private, era accusato di aver abusato della propria autorità, al fine di costringere due alunne minori di anni quattordici a compiere e a subire atti sessuali. In primo grado il fatto è stato qualificato come reato di atti sessuali con minorenne, ai sensi dell’art. 609-quater, c.p., mentre in Corte d’appello si era optato per ridefinirlo quale violenza sessuale ai sensi dell’art. 609-bis c.p., peraltro aggravata, ai sensi dell’art. 609-ter, n. 1, c.p., che nella formulazione allora vigente sanzionava i fatti commessi nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici. L’imputato ha adito la Corte di Cassazione, lamentando l’erronea applicazione della legge, per essere la corretta qualificazione del fatto quella operata dal tribunale di primo grado, come reato di atti sessuali con minorenne ex art. 609-quater, c.p. In seguito, come detto, la Corte ha rimesso la questione interpretativa alle Sezioni Unite, rinvenendo un contrasto giurisprudenziale fra i due orientamenti sopraesposti. L’aspetto interessante, per noi, è quello di individuare, in una prospettiva storica, il germe di questa autorità, che anche l’insegnante privato può esercitare sui propri discepoli, rilevando poi come proprio la legislazione romana in materia di protezione sessuale dei pueri liberi praetextati, cioè dei giovani nati liberi infra-diciassettenni, e delle virgines, delle donne non ancora sposate, facesse degli insegnanti, degli educatori e degli accompagnatori il primo baluardo della loro integrità sessuale7 .



2. Il mondo greco: la pederastia (παιδεραστία) istituzionalizzata



Nel mondo greco, la pedofilia (παιδοϕιλέω), da παῖς (fanciullo) e ϕιλέω (amare), indicava una forma lecita e naturale di propensione dell’adulto verso il fanciullo da esplicarsi in chiave educativa o pedagogica, che non includeva, necessariamente, un’attrazione erotica del primo nei confronti del secondo. La pederastia, dal greco παιδεραστία, παῖς (fanciullo) e ἐραστής (amante), ebbe a Sparta e ad Atene la sua massima diffusione tra il VI e il IV secolo a.C.: essa sì, consisteva nell’attrazione erotica, carnale, di un maschio adulto per un adolescente, all’interno di una più ampia esperienza spirituale e pedagogica, per mezzo della quale, insieme alle conoscenze sessuali, egli trasmetteva al giovane le virtù del cittadino8 . La prima forma regolamentata di pederastia, detta militare o dorica, è documentata a Sparta, a Creta, a Tebe e in altri centri minori della Grecia9 . Come Platone tramanda nel Simposio, in ognuna di queste comunità il rapporto fra un adulto e un giovane viene regolamentato dalle leggi, in funzione della sua formazione militare e politica10. Narra Strabone che a Creta le leggi della città prevedevano il compito per gli uomini adulti di rapire un adolescente, condurlo in segregazione lontano dalla città e tenerlo presso di sé per due mesi, intrattenendo con lui rapporti minutamente regolati. La legge stessa prevedeva i reciproci diritti e doveri all’interno di queste unioni, sciolte le quali, l’adulto doveva regalare al giovane l’armatura, cioè l’instrumentum indispensabile per il suo ingresso nella comunità degli adulti11. A Sparta, dove la pederastia faceva parte integrante del sistema educativo ideato da Licurgo, secondo la testimonianza delle Vite Parallele di Plutarco12, i ragazzi di dodici anni dovevano sottomettersi a uomini adulti, da cui avrebbero appreso quella totale abnegazione tanto utile al buon funzionamento del sistema militare oplitico. A Tebe, Plutarco, nella vita di Pelopida, spiega che, nel IV secolo a.C., fu persino costituita una legione d’élite composta esclusivamente da coppie di amanti13. Lo scopo di queste unioni era abituare il giovane a sottostare all’autorità militare, che lo avrebbe guidato per tutta la vita, ad assolvere ai suoi doveri, a sopportare il dolore. In società guerriere o, comunque, fortemente militarizzate, i riti iniziatici dovevano contribuire a sviluppare nel giovane le virtù dell’obbedienza e della disponibilità al sacrificio e si ritenevano formative proprio nella misura in cui, attraverso queste sofferenze, avessero fatto di un ragazzo un vero uomo. Il coinvolgimento nel fenomeno sociale di molti maestri della filosofia greca, tra cui Socrate e Platone, così come le attestazioni contenute nelle poesie di Alceo e Anacreonte, rendono disponibile una ben maggiore mole di fonti sulla pederastia che, convenzionalmente, si suole definire classica. Una categoria, questa, che, a dir del vero, comprende esperienze molteplici, notevolmente distanti fra loro nello spazio e nel tempo, accomunate, per lo più in contrapposizione con la pederastia militare o dorica, dal carattere politico della virtù cui tende l’educazione ad esse sottesa. Le prime testimonianze a tal riguardo sono, come si diceva, quelle, numerose, provenienti dai componimenti poetici relativi all’eros omosessuale14. Di Alceo, oltre all’amore per Saffo15, Cicerone ricorda che ebbe passione anche per molti giovani16, tra cui spiccava un certo Menone17; la giovinezza era pure la dote comune delle compagne della poetessa di Lesbo, ma, certamente, le testimonianze più copiose si trovano nelle poesie erotiche di Anacreonte18. Si tratta, in questi casi, di passioni in buona misura disinteressate, in cui sugli amanti non incombono reciproci diritti e doveri, né formativi da parte dell’adulto, né sessuali da parte del fanciullo. La situazione muta completamente quando si vada a osservare il fenomeno nell’Atene del V-IV secolo a.C. Il rapporto pederastico a finalità educativa, che lì si diffonde, si connota proprio nella misura in cui ciascuno dei due dispone della risposta adeguata al bisogno dell’altro, uno cederà il proprio corpo, l’altro la propria sapienza. Il giovane, tramite la compagnia del maestro, sente di elevarsi verso quella posizione sociale che agogna e in cambio accetterà di servirlo sessualmente, nella convinzione – fallace o veritiera che sia, non interessa – che solo attraverso quel rapporto, potrà raggiungere la collocazione nel mondo che veramente brama. È lo stesso Platone nel Simposio a contestualizzare normativamente e a livello etico questo legame (cfr. 184 b-e). Per la legge ateniese, spiega, se un ragazzo vuole servire un adulto sessualmente, convinto che per mezzo di costui diventerà migliore in sapienza o virtù, questa servitù volontaria non è da considerarsi spregevole e neppure è un atto di adulazione. Non si potrà invece dire lo stesso di chi abbia dato il proprio corpo per altre ragioni: per la brama di ricchezza o in ragione del potere politico che l’altro eserciti. Patologico, inoltre, sarebbe da reputarsi il caso in cui l’amato corrispondesse l’amante nella sfera dell’eros e, in ragione di ciò, lo compiacesse a livello sessuale, non potendo per natura trarsi nessun piacere dall’essere sottomesso ad altri19. Da quanto detto, mi pare, allora, emerga incontrovertibilmente come la pederastia, in questo contesto storico e sociologico, avesse trovato una fonte di legittimazione, giustificando la passività cui condannava l’adolescente, proprio nella misura in cui l’interpretazione del ruolo sessuale servente diveniva rappresentazione dei rapporti di potere che attraversavano la società: il sapiente soggiogava, per mezzo della scienza e della virtù, che era intento a trasmettere, il ragazzo amato all’obbedienza sessuale, pur non esercitando formalmente su di lui alcun potere sostanziale20.



3. Il mondo romano: la protezione dell’integrità psico-fisica del fanciullo e il ruolo dei paedagogi



Il diritto romano rifiuta completamente a livello normativo il modello greco. La legislazione romana in materia di abusi sessuali si espande progressivamente a partire dal III secolo a.C. Anzitutto, in un arco temporale che va dalla fine del III secolo a.C. alla metà del I secolo a.C. – non abbiamo notizie più precise a riguardo – viene approvata la lex Scatinia o Scantinia, destinata a tutelare i pueri liberi praetextati, cioè i ragazzi nati liberi (ingenui) che vestivano la praetexta, ovvero una tunica di rosso bordata, che ne indicava la loro condizione di infra-diciassettenni, non reclutabili alle armi21. La concezione romana della tutela del giovane maschio, destinato, in un proseguo di tempo, a divenire un legionario, si muove in una direzione completamente opposta rispetto a quella ritenuta formativa nel sistema educazionale greco, in particolare cretese e spartano22: il futuro guerriero, sin dalla sua fanciullezza, dovrà abituarsi ad essere il soggiogatore del mondo, imparare a desiderare, a prendere e dominare tutto quello che vuole, purché questa sua brama non intacchi la libertà di un altro maschio, libero e cittadino romano. Non c’è spazio, almeno alla luce del sole, per nessuna attitudine remissiva, passiva, che sottenda, anche sessualmente, sottomissione23. Il contenuto precettivo della lex Scantinia, secondo la dottrina, dovrebbe ricostruirsi a partire dall’episodio, narrato da Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia, 6.1.7, che dette l’occasione per la sua approvazione. Il tribuno della plebe Scantinio Capitolino aveva adescato il figlio minorenne dell’edile curule Claudio Marcello, venendo processato per questo atto di fronte al popolo, senza che esistesse – lo consentiva il sistema costituzionale romano della media età repubblicana – una tipizzata fattispecie criminosa a riguardo. Di lì a poco, un membro dello stesso nucleo familiare – ovvero della gens Scantinia – fece così approvare questa legge per lavare l’onta di quell’oltraggio dalla memoria collettiva del populus24. Per quel che sappiamo, l’unico dato certo a riguardo è che la lex Scantinia punisse lo stuprum cum puero, per cui si origina lo scambio di reciproche accuse tra Cicerone e i suoi rivali politici, che attestano Ad familiares, 8.12.3 e 8.14.4, e l’acclarata assunzione di un’attitudine passiva in un rapporto omossessuale, come sembra desumersi dall’invettiva di Giovenale contro i sodomiti, contenuta nella Satira, II, 36-48, con una multa di 10.000 sesterzi, secondo quanto riferito da Quintiliano, Institutio Oratoria, 4.2.69 e 7.4.4225. La legislazione romana in tema di abusi sessuali viene integrata da un successivo editto del pretore, il de adtemptata pudicitia, e da una serie di leges Iuliae augustee. Per questo, sunteggiando un’evoluzione plurisecolare in materia, un passo delle Institutiones giustinianee aiuta a comprendere il concetto di stuprum, già valido per la lex Scantinia e adottato, in generale, per tutta la produzione normativa romana sul tema. In Inst., IV.18.426, i tempi sono ormai mutati e le sanzioni, inasprite, non sono realmente attribuibili alla lex Iulia de adulteriis, ma al pensiero dei compilatori27, nondimeno, il concetto di stuprum è rimasto invariato. Il passo rammenta la pena capitale irrogabile nei confronti degli adulteri e di coloro che perpetrino tra uomini unioni carnali omosessuali e quella della confisca di metà dei beni, cui poteva incorrere chi stuprasse con violenza, ovvero stuprasse una vergine o una vedova anche sine vi28. Il punto, interessantissimo per noi, è che, in relazione a determinate categorie protette, che scontano una particolare sudditanza di fronte all’autorità del maschio adulto, costituisce stupro qualsiasi unione carnale anche se priva del carattere della violenza. A differenza del sistema attuale, l’“abuso di posizione dominante”, addirittura, viene presunto nei riguardi di tutte le unioni carnali in cui un uomo adulto intrattenga rapporti sessuali fuori dal matrimonio legittimo con una vergine – cioè una giovane non ancora sposata – ma, pure, con un ragazzo infra-diciassettenne, secondo la chiara attestazione di Modestino (Libro I, Regularum), contenuta in D. 48.5.35 (34)29. L’editto de adtemptata pudicitia, come si accennava, aveva poi contribuito a rafforzare questo apparato di tutele nei confronti delle suddette categorie di soggetti deboli, stabilendo che, se qualcuno avesse tentato di sedurre una vergine, vestita come si conviene ad una donna onesta e non come una meretrice30, un giovane o una giovane praetextati31, ovvero, altresì, avesse cercato pretestuosamente di allontanarne gli accompagnatori (detti comites), accostandoli per la via pubblica32, avrebbe potuto agirsi contro di lui con l’actio iniurarum aestimatória.

Si trattava di una tutela particolarmente stringente, la cui intenzione era quella di prevenire, piuttosto che sanzionare ex post le violenze consumate; qualcosa, insomma, di latamente somigliante al moderno reato di stalking33. Quello che tuttavia qui maggiormente interessa è la posizione di garanzia rivestita dai comites, gli accompagnatori, tra cui figurano pure i paedagogi, cioè i precettori34, maestri privati, cui il pater familias soleva affidare la propria prole nell’età della formazione e che, a quanto l’editto attesta, avevano anche la funzione di proteggere, in occasione delle uscite pubbliche, i giovani a loro affidati. Una funzione protettiva, questa, che è confermata anche da Svetonio nel De vita Caesarum, quando, narrando della riforma augustea relativa all’assegnazione dei posti nei circhi e teatri, rammenta come egli avesse imposto ai praetextati di sedersi nel settore a fianco ai loro precettori e come le persone di bassa condizione sociale non potessero sedersi nelle file eventualmente restate vuote nel mezzo35. Se è vero che costoro ricoprivano una funzione di garanzia nei confronti dei loro discepoli, lo stesso ius li avrebbe vincolati, a maggior ragione, in prima persona, a non intessere relazioni ambigue con i giovani che educavano. Siamo, ormai, distantissimi dal mito greco dell’educazione pederastica. Nel De amicitia, Cicerone mette in guardia dalle relazioni amicali troppo strette che si possano instaurare con nutrici e paedagogi36: quando il carattere del fanciullo non sia ancora formato e l’età non matura, perfino l’amicizia con costoro potrebbe reputarsi sconveniente. È normale, afferma il celebre Oratore, che nutrici e pedagoghi pretendano per sé il più grande affetto, ma tale affetto non dovrebbe definirsi amicizia; sebbene non siano da trascurarsi, si dovrebbero tuttavia stimare in altro modo37. Come si diceva, la lex Scantinia e la successiva legislazione augustea, che riguardava le unioni carnali eterosessuali, ponevano i giovani maschi infra-diciassettenni, le fanciulle non ancora sposate, nonché le vedove in una categoria comune di soggetti a rischio nei confronti dei quali lo stuprum si commetteva semplicemente intrattenendo con costoro relazioni sessuali anche se vi avessero prestato assenso. È come dire – non potrebbe avere altro senso una tale scelta normativa – che si individuava in loro una necessaria e pericolosa tendenza alla sottomissione nei confronti del volere dell’adulto. Pur restando l’individuazione soggettiva dell’agente del tutto indifferente per il diritto romano in materia di protezione di minori dagli abusi sessuali, è innegabile – e il punto interessa strettamente l’indagine che qui ci si è proposti di affrontare – che tra gli adulti a più stretto contatto con filii et filiae familias fossero proprio i loro maestri privati, dei quali, per altro, le nostre fonti non mettono mai in dubbio l’evidente autorità sui giovani sottoposti alla loro cura. Era, in primo luogo, il pater a delegargliela38. Lo attesta, tra l’altro, l’incipit quintilianeo dell’Institutio Oratoria, 1.1.1-7, secondo il quale il pedagogo è solo un rimedio ai casi in cui costui non avesse tempo o competenze lui stesso per dare un’adeguata formazione ai figli. Lo attestano, poi, fattualmente, le riflessioni dello stesso Quintiliano sulla scarsa efficacia delle punizioni corporali inflitte dal maestro ai propri discepoli nel capitolo terzo del medesimo libro dell’opera. Siamo, in conclusione, all’apice della nostra riflessione. Quintiliano disapprova la pratica comune di percuotere i discepoli. Anzitutto, perché essa deforma il ruolo dell’insegnante ed equipara il giovane ad uno schiavo. In secondo luogo, perché chi è insensibile ai rimproveri diverrà pure insensibile alle percosse. In terzo luogo, perché l’assidua vigilanza sul giovane, ed il consiglio più dell’aggressione, potranno renderlo consapevole dell’importanza dei suoi studi39. È un metodo, dunque, quello che talvolta sfocia nella violenza, che il Retore rifiuta; eppure, il fatto stesso che ne discuta attesta che è nelle facoltà del pedagogo esercitare la propria coercizione sul giovane fino alle estreme conseguenze. Quintiliano, contro la precedente opinione di Crisippo, ne tratta, sconsigliando di adottare questo approccio, in quanto, evidentemente, ancora alla sua epoca, risultava una facoltà riconosciuta socialmente al maestro, facente parte della sua autorità e, pertanto, non perseguibile dalla legge. Prosegue poi lo stesso40, e qui il discorso diventa davvero aderente al nostro tema, evidenziando come, quando i fanciulli sono sottoposti a simili atti coercitivi, per timore o per dolore siano disposti a tenere qualsiasi condotta anche la più sconveniente e vergognosa per sottrarvisi; perdono il coraggio e per viltà si sottomettono all’autorità. Inoltre, qui il pudore di Quintiliano spinge la sua dissertazione ad essere allusiva – lo afferma lui stesso, si vergogna a discuterne (pudet dicere) – la scelta di maestri con poco riguardo per i loro costumi porta questa ignobile gente ad abusare del proprio diritto per altre infamità (in quae probra nefandi homines isto caedendi iure abutantur) per le quali, senza dubbio, fornisce un’occasione il timore della coercizione. Non mi soffermerò su questo punto – dice – in quanto s’intende quale ne sia il significato: non morabor in parte hac; nimium est quod intellegitur. Per questi motivi – chiude – mi sia consentito protestare, affinché a nessuno sia permesso di prendersi troppe libertà su un’età così debole ed esposta per natura all’iniuria. Emerge, dunque, dal passo, lo si percepisce distintamente, tutto il timore del Retore per il pericolo che l’esercizio delle legittime facoltà coercitive, da sempre riconosciute a qualsiasi insegnante per indurre l’allievo all’attenzione, possa tradursi, contro i buoni costumi, in abusi d’autorità a sfondo sessuale, anche in considerazione della condizione di minorità, che, già di per sé, espone il fanciullo ad essere soggetto privilegiato dei delitti contro la persona e il suo onore.



4. Conclusioni



In una prospettiva storica, a fondamento della tradizione giuridica europea, anche in questo ambito del diritto, possono rappresentare un punto di riferimento importante, sebbene non esaustivo, le scelte del legislatore romano riguardo alla protezione dei minori infra-diciassettenni dagli abusi a sfondo sessuale. Alcune considerazioni sociali e di costume potranno, infine, arricchire i risultati di questa indagine. Il problema di qualificare giuridicamente l’abuso di autorità, oggetto dell’ordinanza in commento, è, in effetti, sconosciuto al diritto romano, nella misura in cui, in tema, aveva optato per una chiara scelta di campo, prevedendo che lo stuprum si integrasse alternativamente, o mediante la modalità per vim di consumazione del crimine o, direttamente (e in certa misura presuntivamente), intessendo una relazione sessuale con specifiche categorie protette di soggetti: vedove, vergini e giovani infra-diciassettenni, che, proprio in considerazione della loro preesistente condizione psico-fisica, si trovavano per natura subordinati ai desideri degli altri consociati. Nell’ambito dell’edictum de adtemptata pudicitia, al fine di proteggere il minore da eventuali aggressioni pubbliche alla sua castità, nondimeno, si individuava una posizione peculiare di garanzia, nei suoi confronti, in capo ai precettori e ad altre categorie di accompagnatori privati. Da un punto di vista sociologico, inoltre, è emerso – credo – dalle parole di Cicerone, ma più ancora dall’ampia trattazione quintilianea, il particolare timore che, in un simile quadro normativo, circondava il rapporto tra paedagogi e discepoli, per la possibilità che quell’autorità qualificata, esercitata anche attraverso l’uso di specifici strumenti coercitivi, potesse sfociare in una condotta abusiva, pure, talvolta, connotata da interessi di natura sessuale o comunque contrari al buon costume. Che la posizione di autorità di un maestro privato debba essere oggetto di attenta ponderazione nel nostro Ordinamento, nonché possibile oggetto di inclusione all’interno della nozione per la cui definizione oggi l’ordinanza n. 2888 del 2020 rimette la questione interpretativa alle Sezioni Unite, sembra, dunque, conclusivamente, a chi scrive, un dato acclarato anche adottando una prospettiva storica d’indagine, per le pregnanti, possibili, ricadute che la stessa potrebbe avere sulla coercizione della volontà del minore al compimento di atti sessuali. Il susseguirsi di pronunce recenti che vanno in questa direzione, suggerisce che, nonostante la perdurante attesa, la strada sia segnata.

NOTE

1 A. Petrucci, Breves consideraciones sobre las uniones personales distintas del matrimonio legítimo en el derecho romano, in Revista de Investigaciones Juridicas, 2015, 39, 678 ss.; poi, nello stesso senso, in id., Manuale di diritto privato romano, Torino, 2019, 28 ss.

2 Cass. pen., 24 gennaio 2020, n. 2888, in www.leggiditalia.it.

3 Art. 609-bis, comma 1: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”. Come molti altri legislatori a livello europeo, il legislatore italiano non ha ritenuto opportuno adottare un modello di tipizzazione basato sulla centralità normativa del consenso della vittima sulla falsariga dei principali ordinamenti di Common Law: C. Pavarani, Il mero dissenso della vittima nella violenza sessuale: profili di diritto italiano e anglosassone, in Ind. pen., 2002, II, 771 ss. eF.Macrì,Laviolenzasessuale(art.609-bisc.p.)nellagiurisprudenzadellaSuprema Corte del 2015. Analisi di 110 sentenze di inammissibilità e rigetto tra orientamenti esegetici di legittimità e opzioni sanzionatorie di merito, in DPC, 2016, I, https:// dpc-rivista-trimestrale.criminaljusticenetwork.eu/pdf/macri_1_16.pdf, 167.

4 Cass. pen., 19 gennaio 2012, n. 6982, in CED Cassazione, 2012; Cass. pen., 11 ottobre 2011, n. 2681, in CED Cassazione, 2011; Cass. pen., 19 giugno 2002, n. 32513, in Cass. pen., 2003, 3844. In dottrina, tra gli altri: A. Pecoraro alBani, Violenza sessuale e arbitrio del legislatore, Napoli, 1997, 91; G. BalBi, Violenza sessuale, in Enc. giur., agg. VII, Roma, 1999, 46; B. roMano, Delitti contro la sfera sessuale della persona, Milano, 2007, 105 ss.

5 Cass. pen., Sez. un., 31 maggio 2000, n. 13, in Riv. Pen., 2000, 785; c’è chi in dottrina, a seguito di questo arresto, riteneva in buona misura chiusa la questione – cfr. C. Parziale, D. Bartolucci, La violenza sessuale, Milano, 2012, 12 – poco prima che nuove sentenze di legittimità, tutto sommato costanti, offrissero una nuova interpretazione della locuzione, in tutt’altra direzione.

6 Il lemma autorità dovrebbe intendersi, a prescindere dall’esistenza di poteri coercitivi dell’autore del fatto, in senso fattuale e non pubblicistico, secondo E. Bonessi, Sub artt. 609-bis-609-decies, in Commentario al Codice penale, diretto da G. Marini, M. la Monica, L. Mazza, Torino, 2002, IV, 2959; secondo altri, all’autorità pubblica dovrebbe essere equiparata quella parentale, lavorativa, tutoria, educativa, curativa: cfr. la dottrina prevalente, M. vessichelli, Con l’aumento del minimo edittale a cinque anni, ora è più difficile la strada del “patteggiamento”, in Guida al diritto, 1996, 9; G. aMBrosini, Le nuove norme sulla violenza sessuale, Torino, 1997, 23; G. Fiandaca, voce Violenza sessuale, in Enc. dir., XLVI, Milano, 2000, 1153 ss.; A. cadoPPi, Commento all’art. 609-bis c.p., in Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, Padova, 2006, 511, purché la posizione di preminenza sia in qualche modo attribuita dalla legge: F. Mantovani, Diritto penale. Parte Speciale, Delitti contro la persona, I, Padova, 2005, 358 ss. Seguendo questo orientamento, in giurisprudenza, sono state ricomprese nell’abuso di autorità situazioni quali la convivenza dell’imputato con la madre del minore persona offesa (Cass. pen., 3 dicembre 2008, n. 2119, in CED Cassazione, 2009); il potere di soggezione dell’imputato sulla cognata minore destinataria degli atti sessuali (Cass. pen., 22 maggio 2012, n. 19419, in CED Cassazione, 2012); la qualità di istruttore di arti marziali esercitata dall’imputato nei confronti dei suoi allievi minorenni (Cass. pen., 10 aprile 2013, n. 37135, in CED Cassazione, 2013); la qualità di datore di lavoro (Cass. pen., 27 marzo 2014, n. 36704, in www.leggiditalia.it e Cass. pen., 30 aprile 2014, n. 49990, in www.leggiditalia.it); la qualità di insegnante nei confronti di una ex alunna (Cass. pen., 8 marzo 2016, n. 3304, in www.leggiditalia.it); la posizione di cappellano del carcere nei confronti dei detenuti (Cass. pen., 17 maggio 2016, n. 33049, in www.leggiditalia.it).

7 S.F. Bonner, Educations in Ancien Rome, London, 1977, 46 ss. ed E. cantarella,Lavitadelledonne,inStoriadiRoma.Caratteriemorfologie,IV,Roma,1989, 557 ss. Era costume degli esponenti dei ceti elevati che donne e giovani non uscissero per strada se non accompagnati da un servo, che spesso ne era anche l’insegnante, o da un familiare, si trattava di “un vero e proprio scudo protettivo del loro onore”, ha detto con locuzione suggestiva: S. Fusco, Edictum de adtemptata pudicitia, in Diritto@Storia, IX, 2010, http://www.dirittoestoria.it/9/Tradizione-Romana/Fusco-Edictum-adtemptata-pudicitia.htm, 11.

8 È curioso sottolineare come l’infatuazione degli antichisti per il mondo greco avesse condotto, per moltissimo tempo, fino a tutto il XIX secolo, a negare che la pederastia fosse un fenomeno autoctono e a coprire con un velo di silenzio questo capitolo dell’educazione ellenica. Ancora all’inizio del nuovo secolo, E. Bethe, Die dorische Knabenliebe, ihre Ethik, in Rhein. Mus., n. f. 62, 1907, 438 ss., riteneva che i greci l’avessero derivata dai Dori e solo lo studio di H.I. Marrou, Histoire de l’éducation dans l’antiquité, Paris, 1948, trad. it. Storia dell’educazione nell’antichità, Roma, 1978, 54 ss., contribuì in maniera decisiva a squarciare il velo d’ipocrisia che attorno all’argomento si era ingenerato. Lo testimoniano i poemi omerici e alcuni riscontri documentali dell’epoca tribale, fin dalle più remote origini della loro cultura: “per un Greco quello era il modo normale, la tecnica tipica di ogni educazione: la paideia si realizza nella paiderastèia [...]. Per il Greco l’educazione, paideia, risiedeva essenzialmente nei rapporti stretti e profondi che univano personalmente un giovane spirito ad un uomo adulto, che era nello stesso tempo il suo modello, la sua guida e il suo iniziatore; questi rapporti erano illuminati dal torbido e dal caldo riflesso di una fiammata passionale”.

9 E. cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Roma, 1988, 12 ss.; più di recente, si vedano anche S. FurFaro, La pedofilia. Un fenomeno giuridico e sociologico, in ADIR. L’altro diritto, 2004, http://www.adir.unifi.it/rivista/2004/ furfaro/cap3.htm#h1, III.1, 2 ss. e F.P. Barone, Educazione e pederastia nell’Atene di Platone, in Pedagogia e Vita, 2009, 3-4, 158.

10 Simp., 178d-179b.

11 Strab., Geog., 10.4.21.

12 Plut., Lyc. 17.1 e 18.8-9, su cui specificamente cfr. U. iriarte asarta, La

pederastia institucionalizada en la sociedad espartana, in Construyendo la antigüedad. Actas del III Congreso Internacional de Jóvenes Investigadores del Mundo Antiguo, Murcia, 2017, 234 ss.

13 Plut., Pel. 18.1, su cui, più diffusamente, D. leitao, The Legend of Sacred Band, in The Sleep of Reason. Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient Greece and Rome, a cura di M.C. nussBauM, J. sihvola, Chicago-London, 2002, 143 ss., nt. 13.

14 K. dover, Greek Homosexuality, London, 1978, trad. it., L’omosessualità nella Grecia antica, Torino, 1985, 178 ss.; B. gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Roma-Bari, 1995, 117 ss.; E. cantarella, Secondo natura, cit., 28 ss. e F.P. Barone, Educazione e pederastia nell’Atene di Platone, cit., 158 s.

15 Cfr. fr. 384, in E. loBel, D.L. Page, Poetarum Lesbiorum Fragmenta, Oxford, 1955 [nel seguito, LP].

16 Cic., Tusc. 4.71.

17 Cfr. fr. 386, in LP.

18 Cfr. fr. 5; 26; 43; 71; 148, in LP.

19 dover, L’omosessualità nella Grecia antica, cit., 54 e, più di recente, Barone, Educazione e pederastia nell’Atene di Platone, cit., 163 s. Sul diverso approccio della legislazione nei confronti di chi si fosse venduto per soldi o avesse assunto il ruolo di mantenuto: cantarella, Secondo natura, cit., 28 ss.

20 Sul rapporto tra la capacità dell’amante di influenzare il giovane tramite la propria auctoritas, la fiducia che quest’ultimo in lui ripone e l’assenza di qualsivoglia potestas riconosciuta: Plat., Alc., I, 124 a-d.

21 Cfr. D. dalla, ‘Ubi venus mutatur’. Omossessualità e diritto nel mondo romano, Milano, 1987, 86 ss., 94 ss.; cantarella, Secondo natura, cit., 141 ss.; C.A. williaMs, Roman Homosexuality. Ideologies of Masculinity in Classical Antiquity, Oxford, 1999, 119 ss.; C. Fayer, La Familia Romana. Aspetti giuridici ed antiquari. Concubinato. Divorzio. Adulterio, III, Roma, 2005, 220 s., nt. 119; G. dell’orto, I comportamenti omossessuali e il diritto occidentale prima della rivoluzione francese, in Le unioni tra persone dello stesso sesso: profili di diritto civile, comunitario e comparato, a cura di F. Bilotta, Milano, 2008, 20; L. sandirocco, Cur vir nubit in feminam, in RDR, IX, 2009, https://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/allegati/ dirittoromano09Sandirocco.pdf, 5 s.; A. Petrucci, Breves consideraciones sobre las uniones personales, cit., 678 s. e id., In tema di unioni omosessuali maschili nel diritto romano tardorepubblicano e del principato. A proposito di un recente saggio, in SDHI, 84, 2018, 380 ss.

22 Cfr. supra §. 2.

23 Si vedano: williaMs, Roman Homosexuality, cit., 109 ss.; FurFaro, La pe-

dofilia, cit., 4 ss.; sandirocco, Cur vir nubit in feminam, cit., 4 s. e, ancora, M. crisaFi, E. trunFio, L. BellissiMo, Pedofilia. Disciplina, tutele e strategie di contrasto, Milano, 2010, 3 s., 6 s.

24 Da ultimo, diffusamente, A. Petrucci, In tema di unioni omosessuali maschili, cit., 380 s., nt. 12, a critica della diversa ricostruzione dei fatti recentemente offerta da C. de cristoFaro, Riflessioni in tema di rilevanza giuridica del legame omosessuale nell’antica Roma, in Il corpo in Roma Antica, II, a cura di L. garoFalo, Pisa, 2017, 169 s., e, in precedenza, si vedano: dalla, ‘Ubi venus mutatur’, cit., 87 ss. e cantarella, Secondo natura, cit., 138 s.

25 A fronte delle incertezze suscitate in passato dalle fonti, la lettura è stata accettata dalla manualistica più recente: M. Brutti, Il diritto privato nell’antica Roma2, Torino, 2011, 233 s. e Petrucci, Manuale di diritto privato romano, cit., 29 s.

26 Item lex Iulia de adulteriis coercendis, quae non solum temeratores alienarum nuptiarum gladio punit, sed etiam eos qui cum masculis infandam libidinem exercere audent. Sed eadem lege Iulia etiam stupri flagitium punitur, cum quis sine vi vel virginem vel viduam honeste viventem stupraverit. Poenam autem eadem lex irrogat peccatoribus, si honesti sunt, publicationem partis dimidiae, bonorum, si humiles, corporis coercitionem cum relegatione.

27 Che dovettero adeguare in tal senso la disciplina, forse a partire dal testo delle Pauli Sententiae e d’interventi normativi tardo-antichi ad opera degli imperatori Teodosio I e II: cfr. Petrucci, Breves consideraciones sobre las uniones personales, cit., 680, ma, pure, precedentemente, Fayer, La Familia Romana, cit., 219 s., nt. 116 e sandirocco, “Cur vir nubit in feminam”, cit., 9, nt. 37.

28 Cfr. dalla, ‘Ubi venus mutatur’, cit., 101 s.; cantarella, Secondo natura, cit., 182 s.; ead., La causa d’onore dalla lex Iulia al codice Rocco, in Testimonium amicitiae F. Pastori, Milano, 1992, 73; Fayer, La Familia Romana, cit., 216 s., nt. 110, 219 s., nt. 116.

29 Adulterium in nupta admittitur: stuprum in vidua vel virgine vel puero committitur.

30 Ulp. 77 ad ed. D. 47.10.15.15: Si quis virgines appellasset, si tamen ancillari veste vestitas, minus peccare videtur: multo minus, si meretricia veste feminae, non matrum familiarum vestitae fuissent. Si igitur non matronali habitu femina fuerit et quis eam appellavit vel ei comitem abduxit, iniuriarum tenetur.

31 Secondo quanto risulta non esplicitamente dal commentario ulpianeo citato alla nota precedente, ma, invece, dalle Istituzioni di Gaio, 3.220: Iniuria autem committitur... quis mater familias aut praetextatum adsectatus fuerit. Ancora su chi dovesse intendersi per praetextatus, cfr. Livio, Ab urbe condita, 22.57.9: Dilectu edicto iuniores ab annis septedecim et quosdam praetextatos scribunt e 34.7.2: ... liberi nostri praetextis purpura togis utentur, nonché Macrobio nei suoi Saturnalia, I, 6: ... Acta igitur obsecratio est pueris ingenuis itemque libertinis, sed et virginibus patrimis matrimisque pronuntiantibus carmen: ex quo concessum ut libertinorum quoque filii, qui ex iusta dumtaxat matre familias nati fuissent, togam praetextam et lorum in collo pro bullae decore gestarent. A tal riguardo, qui rinvio a D. de laPuerta Montoya, El elemento subjetivo en el ‘edictum de adtemptata pudicitia’: la contravención de los ‘boni mores’ como réquisito esencial para la existencia de responsabilidad, in Anuario da Facultade de Dereito da Universidade da Coruña, 1998, II, 237 ss.; C. Fayer, La Familia Romana. Aspetti giuridici ed antiquari. Sponsalia. Matrimonio. Dote, II, Roma, 2005, 476 e S. Fusco, Edictum de adtemptata pudicitia, cit., 8.

32 Si chiudeva, infatti, con vel ei comitem abduxit, iniuriarum tenetur, Ulp. 77 ad ed. D. 47.10.15.15, mentre i §§. 17-18: Abduxisse videtur, ut Labeo ait, non qui abducere comitem coepit, sed qui perfecit, ut comes cum eo non esset. Abduxisse autem non tantum is videtur, qui per vim abduxit, verum is quoque, qui persuasit comiti, ut eam desereret, specificavano la portata del precetto; precisando che, nell’attività di allontanare gli accompagnatori, rilevasse non il modus ma il risultato ottenuto da chi, anche senza violenza, avesse indotto il comes ad abbandonare colui che gli era stato affidato. Sul punto, si vedano Cfr. R. ziMMerMann, The Law of Obligations. Roman Foundation of the Civilian Tradition, Oxford, 1996, 1054 s.; M.J. Bravo Bosch, Algunas consideraciones sobre el Edictum de adtemptata pudicitia, in Dereito. Revista Xurídica da Universidade de Santiago de Compostela, V, 2, 1996, 41 ss.; Fusco, Edictum de adtemptata pudicitia, cit., 10 ss. e, ancora, Petrucci, Breves consideraciones sobre las uniones personales, cit., 679.

33 Si vedano: R. langland, Sexual Morality in Ancient Rome, Cambridge, 2006, 22 ss. e A. PasQualini, Femminicidio e stalking nell’antica Roma, in Donne nell’antichità: figlie, mogli, sorelle, madri, streghe, sante, “Forma Vrbis”, 2015, XX, 3, 29.

34 Cfr. Ulp. 77 ad ed. D. 47.10.15.16: Comitem accipere debemus eum... qui frequentandi cuiusque causa ut sequeretur destinatus in publico privatove abductus fuerit. Inter comites utique et paedagogi erunt.

35 Cfr. Svet., Aug. 44: ... assignavit, praetextatis cuneum suum, et proximum paedagogis, sanxitque ne quis pullatorum media cavea sederet.

36 Il cui ruolo educativo è descritto esaustivamente da Quintiliano in Inst. Orat., 1.1.7-22.

37 Cic., De amicit., 74: Omnino amicitiae corroboratis iam confirmatisque et ingeniis et aetatibus iudicandae sunt... Isto enim modo nutrices et paedagogi iure vetustatis plurimum benevolentiae postulabunt; qui neglegendi quidem non sunt sed alio quodam modo aestimandi.

38 Sugli officia connessi all’educazione dei figli e sui contenuti anche coercitivi della sua potestas, rinvio ai recenti contributi di L. caPogrossi colognesi, La famiglia romana, la sua storia e la sua storiografia, in Itinera. Pagine scelte di L. Capogrossi Colognesi, Lecce, 2017, 159 ss. e G. rizzelli, La potestas paterna fra leges, mores e natura, in Anatomie della paternità. Padri e famiglia nella cultura romana, Lecce, 2019, 89 ss.

39 Inst. Orat., 1.3.14: Caedi vero discentis, quamlibet id receptum sit et Chrysippus non improbet, minime velim, primum quia deforme atque servile est et certe (quod convenit si aetatem mutes) iniuria: deinde quod, si cui tam est mens inliberalis ut obiurgatione non corrigatur, is etiam ad plagas ut pessima quaeque mancipia durabitur: postremo quod ne opus erit quidem hac castigatione si adsiduus studiorum exactor adstiterit...

40 Inst. Orat., 1.3.16-17: Adde quod multa vapulantibus dictu deformia et mox verecundiae futura saepe dolore vel metu acciderunt, qui pudor frangit animum et abicit atque ipsius lucis fugam et taedium dictat. Iam si minor in eligendis custodum et praeceptorum moribus fuit cura, pudet dicere in quae probra nefandi homines isto caedendi iure abutantur, quam det aliis quoque nonnumquam occasionem hic miserorum metus. Non morabor in parte hac: nimium est quod intellegitur. Quare hoc dixisse satis est: in aetatem infirmam et iniuriae obnoxiam nemini debet nimium licere.