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La giurisprudenza di merito continua a promuovere la figura del coordinatore genitoriale (nota a Trib. Genova, 1° luglio 2019)

autore: B. Lanza

Sommario: 1. Premessa. - 2. Gli strumenti di risoluzione del conflitto adottati nel nostro ordinamento: dalla mediazione alla negoziazione. - 3. Gli strumenti, coattivi, di risoluzione del conflitto adottati nel nostro ordinamento, la consulenza tecnica e cenni sull’affidamento dei minori al servizio socio-sanitario. - 4. Il coordinatore genitoriale attraverso le differenti pronunce di merito. - 5. Il percorso seguito dal Tribunale di Genova, la nomina di un coordinatore genitoriale come alternativa del curatore speciale nominato in atti. - 6. I compiti attribuiti al coordinatore genitoriale. - 7. Le norme di comportamento e la deontologia del coordinatore genitoriale affidatari. - 8. Il rischio di sovrapposizione tra le funzioni del coordinatore genitoriale e quelle dei servizi affidatari. - 9. Conclusioni.



1. Premessa



L’articolata ordinanza del Tribunale di Genova consente, oltre il caso concreto, una riflessione sulle modalità di risoluzione del conflitto nel processo di famiglia ed in particolare sul coordinatore genitoriale. Il provvedimento, infatti, presenta un originale percorso adottato per legittimare questo nuovo protagonista del processo di famiglia, diversificandosi da altre pronunce giurisprudenziali che si sono in argomento variamente orientate. Infatti, l’aumento della conflittualità nei rapporti familiari, e la loro continua proiezione nei procedimenti giudiziari, ha indotto gli operatori alla ricerca di strumenti capaci di comporre i contenziosi pendenti, con uno sguardo a quelli futuri in funzione marcatamente preventiva. Una ricerca dettata dalla consapevolezza che in alcune relazioni familiari disfunzionali il processo rappresenta il perpetuarsi di una relazione affettiva che le parti, inconsciamente e patologicamente, non vogliono definire: la sopravvivenza, quindi, di un rapporto affettivo alterato, in questo modo, viene simbolicamente mantenuta vitale. Il coordinatore genitoriale è, dunque, l’ultimo strumento a cui si è fatto ricorso per calmierare le tempeste emotive dei genitori e che, rispetto alle modalità di intervento, sino ad oggi adottate, presenta importanti elementi di novità. Per comprenderne, quindi, la portata è necessario individuarne i tratti anche attraverso un serrato confronto con altri modelli che, con finalità talvolta simili, hanno affrontato la famiglia in crisi.



2. Gli strumenti di risoluzione del conflitto adottati nel nostro ordinamento: dalla mediazione alla negoziazione



Per contenere la litigiosità nell’ambito del diritto di famiglia, appare, intorno al 1987, la mediazione familiare1 mutuata dagli ordinamenti di common law. In modo progressivo, ed anche piuttosto lento, questo strumento è entrato a far parte del nostro sistema giudiziario; a differenza di quanto accade per il coordinatore genitoriale, la mediazione è riconosciuta nel nostro ordinamento anche se le fonti normative si limitano a prevederne l’applicazione o indicarne il fallimento, come ad esempio nella negoziazione assistita2 . Il mediatore familiare, nel linguaggio giuridico e non, è descritto come colui che aiuta la coppia genitoriale a raggiungere soluzioni concordate tentando di riattivare i canali di comunicazione, fisiologicamente affaticati in un contesto separativo. In Italia la mediazione familiare può essere pratica da operatori giuridici e non, non ha un proprio albo, né una disciplina normativa che stabilisca i requisiti per esercitarla; si tratta, prevalentemente, di un percorso preliminare al contenzioso ed a carico delle parti3 . Tuttavia, per accedervi alla mediazione è necessario che i due genitori non siano afflitti da un elevato livello di conflittualità e siano disposti ad una riflessione critica, in chiave costruttiva, per la riorganizzazione del nuovo assetto familiare; al contrario, il coordinatore genitoriale è il risultato finale di un conflitto irrisolto, in cui le parti sono incapaci di prendere decisioni anche di natura molto concreta. Il setting operativo, quindi, è molto diverso posto che al mediatore non verrà conferito un potere decisionale che, seppur guidato, rimane dei genitori artefici delle decisioni adottate; il coordinatore potrà, comunque, utilizzare tecniche mediative nella gestione del conflitto, ed avrà un compito dirimente dinnanzi all’impossibilità di accedere ad una soluzione condivisa. In tempi abbastanza recenti è stata, altresì, introdotta nel nostro ordinamento con il d.l. n. 132 del 2014 convertito in l. n. 162 del 2014, la procedura di negoziazione assistita che, unitamente alla mediazione, rientra nell’ambito dei sistemi di ADR (Alternative Dispute Resolution), con finalità deflattiva del sistema giudiziario. La negoziazione tenta di risolvere le controversie tra due parti attraverso una comunicazione orientata al raggiungimento di un accordo, individuando gli interessi comuni ed altri in contrasto tra loro4 e concludendosi in un’intesa di natura privatistica; le due modalità non sono da considerarsi alternative l’una all’altra, bensì destinate a convivere e, talvolta, ad operare nell’ambito della medesima controversia poiché ciò che le accomuna è un basso livello di conflittualità tra i genitori. La mediazione, tuttavia, si distingue dalla negoziazione per la presenza di un soggetto esterno, terzo, estraneo alla vicenda ed imparziale, chiamato ad agevolare il dialogo tra le parti, ripristinandone la comunicazione e facilitando il raggiungimento di un accordo. La negoziazione, invece, è sostanzialmente praticata dagli stessi avvocati, al di fuori del processo, e come la prima, è a carico delle parti; a nessuno viene rimesso un potere decisionale, ma gli stessi genitori vengono accompagnati a prendere le migliori decisioni per il nuovo assetto familiare. Tratti questi che le distinguono in modo evidente ed immediato anche dalla coordinazione genitoriale.



3. Gli strumenti coattivi di risoluzione del conflitto adottati nel nostro ordinamento: la CTU e l’affidamento ai servizi socio-sanitari



L’esperienza insegna che la conflittualità tra genitori può essere di natura tale da compromettere il rapporto con i figli, incidendo sull’accessibilità e pregiudicando seriamente l’equilibrio psicofisico della prole. L’autorità giudiziaria in questi casi può svolgere un’indagine che richiede competenze scientifiche volte alla valutazione delle capacità genitoriali ricorrendo, ai sensi dell’art. 191 c.p.c., alla consulenza tecnica. In questo caso il consenso delle parti non è necessario poiché, anche se non sollecitata dai difensori delle parti, la CTU può essere disposta dall’autorità giudiziaria che ricorre alle conoscenze di esperti tecnici finalizzate all’accertamento di cui sopra. La differenza, quindi, con la mediazione è evidente anche nel caso in cui il consulente tecnico attraverso il supporto dei periti di parte, elabori proposte per l’esercizio condiviso della genitorialità o promuova percorsi terapeutici, familiari o individuali, accettate dai soggetti coinvolti. La consulenza, infatti, implica un percorso valutativo, componente questa totalmente estranea alla mediazione, alla negoziazione e, come avremo modo di vedere, anche alla coordinazione genitoriale5.

Una volta accertata la disfunzionalità della coppia da parte di un consulente tecnico, il procedimento giudiziario potrebbe arrivare all’adozione di una misura che non va confusa con l’istituto che qui si analizza, sebbene ad un’indagine sommaria presenti tratti simili, ossia l’affidamento al servizio socio-sanitario della prole6 , e dal quale, invece, deve essere tenuta ben distinta. Detto istituto presuppone l’accertamento di un significativo deterioramento delle capacità genitoriali oppure la compromissione dell’accessibilità che, inderogabilmente, deve riservarsi all’altro genitore. Il servizio sociale, normalmente del Comune o delle aziende socio-sanitarie delegate, chiamato ad applicare i provvedimenti disposti dall’autorità giudiziaria, svolge una funzione di aiuto, di sostegno ma soprattutto di controllo del nucleo familiare. In genere gli operatori, dopo aver svolto anche una propria ricognizione sui meccanismi che hanno condotto a quella particolare situazione familiare, elaborano un progetto di intervento coinvolgendo l’intero nucleo e relazionando periodicamente il giudice della famiglia o il giudice tutelare. Gli operatori socio-sanitari vigilano, altresì, sul rispetto di eventuali percorsi terapeutici individuali o familiari; funzione questa che, come si avrà modo di vedere, sembrerebbe poter esercitare anche il coordinatore con il rischio di accomunare, però, figure con compiti molto diversi tra loro.



4. Il coordinatore genitoriale attraverso le differenti pronunce di merito



Il coordinatore genitoriale è entrato a far parte del nostro ordinamento in quanto frutto di un pensiero che non apparteneva tecnicamente al mondo giuridico, ma a quello psicologico; con questi presupposti ha attraversato la giurisprudenza italiana e suggerito una nuova modalità di risoluzione del conflitto formandosi, letteralmente, attraverso i diversi provvedimenti ove gli sono stati attribuiti compiti e funzioni non sempre omogenei tra loro. La nostra giurisprudenza di merito ha mutuato questa nuova figura dall’esperienza degli Stati Uniti nel contesto delle ADR7 : si tratta di un professionista che agisce al di fuori del procedimento giudiziario, è retribuito dai genitori e li sostiene nel risolvere, pacificamente, le questioni inerenti la gestione della prole, dando piena attuazione alle decisioni giudiziarie che riguardano il regime di affidamento8 .

La pronuncia con la quale si è aperto il dibattito sul coordinatore genitoriale è quella del Tribunale di Civitavecchia dell’anno 20159 ; i giudici di merito hanno accolto il suggerimento del consulente tecnico che aveva elaborato, all’interno del proprio lavoro, un progetto condiviso in cui il coordinatore avrebbe guidato i genitori nella sua applicazione pratica. Il decreto aveva confermato l’indicazione del professionista e, indicando questa nuova figura come tratta dall’esperienza positiva praticata da altri ordinamenti, ed accettata dagli stessi genitori, gli ha conferito la funzione di prevenire e ridurre gli effetti dannosi di un conflitto genitoriale permanente, prodromico al continuo ricorso al contenzioso10. L’autorità giudiziaria sembrerebbe in questo caso aver avallato la scelta dei genitori di rivolgersi ad un coordinatore genitoriale, anziché attribuire all’istituto in modo autonomo e svincolato dalle decisioni delle parti, un riconoscimento all’interno dell’ordinamento italiano11. Sulla scorta di questa pronuncia segue l’articolata decisione del tribunale di Milano dell’anno 2016, ove i giudici hanno definito questo professionista un soggetto qualificato cui viene demandato il compito di prevenire il ricorso a procedimenti giudiziali; una sorta di facilitatore della risoluzione delle dispute tra genitori altamente conflittuali. È stato ribadito che il coordinatore non avrebbe avuto poteri processuali, atteso che le sue funzioni erano di risolvere il contrasto al di fuori del processo, con un ruolo vicario e di supporto in attuazione di un piano genitoriale elaborato, ancora una volta, in sede di consulenza tecnica ed accolto da entrambi i genitori. In questo contesto si sono delineati, in modo marcato, i suoi compiti verificando anche l’attuazione degli interventi di natura terapeutica disposti a favore delle parti e della prole. Al coordinatore, al quale è riconosciuta una funzione di raccordo con gli operatori che avrebbero seguito il nucleo familiare, è stato conferito persino un potere correttivo nei confronti dei genitori qualora vengano ravvisate condotte tali da incidere sul progetto di crescita, di autonomizzazione, nonché di distacco del minore dalle figure dei genitori. Questo specifico potere di intervento non si sostituisce a loro, ma li orienta nelle scelte da effettuarsi per la prole di tipo sanitario compresa l’individuazione del professionista e dei trattamenti da seguire, educativo, scolastico e formativo ed anche fornendo raccomandazioni rispetto all’osservanza del calendario di visita da parte del genitore non collocatario e aiutando entrambi nelle riflessioni sull’opportunità o meno di apportare modifiche o deroghe alle modalità di frequentazione12. Questo provvedimento, in sostanza, ha conferito al coordinatore un articolato dettaglio dei suoi compiti e la possibilità di segnalare con urgenza all’autorità giudiziaria minorile ogni condizione di concreto pregiudizio psicofisico del minore13. Il tribunale di Mantova ha percorso il solco tracciato dai colleghi milanesi e, in una vicenda altamente conflittuale in cui erano intervenuti i servizi socio-sanitari e, in seguito, il consulente tecnico, sulla scorta di quanto suggerito da quest’ultimo, ha disposto che l’andamento dei rapporti familiari fosse monitorato da una figura esterna o, altrimenti definita, educatore professionale14. L’elemento di novità del provvedimento è la nomina di un professionista che non è il frutto di una decisione delle parti, ma del consulente tecnico la cui indicazione è stata accolta e recepita dai giudici15. E’, quindi, possibile concludere che, secondo tale giurisprudenza, si è legittimata questa figura a cui è stata attribuita una specifica serie di funzioni. Infatti, seppur limitatamente nel tempo, il coordinatore avrebbe avuto il compito di monitorare l’andamento dei rapporti tra i genitori ed i figli, di coadiuvarli nelle scelte formative dei figli, vigilando in particolare sull’osservanza del calendario delle visite previsto per il genitore non collocatario assumendo al riguardo le opportune decisioni in caso di disaccordo. Il coordinatore, nel caso in esame, avrebbe dovuto informare il Giudice Tutelare che avrebbe vigilato sull’andamento delle relazioni tra le parti. Nel complesso compito affidato di fatto alla giurisprudenza di merito nel delineare questo singolare ruolo, va segnalata l’originalità, di un soggetto nominato dal tribunale di Roma16. I giudici, nella propria ampia motivazione, danno atto di aver autorizzato il consulente tecnico alla nomina di un pedagogista di prossimità, con il compito di rendere non stereotipati i provvedimenti in materia di relazioni genitori e figli. Tuttavia, nonostante questa figura venga collocata, nella motivazione del provvedimento, all’interno del più ampio intervento della coordinazione genitoriale e presenti decisi e positivi elementi di novità, ricopre funzioni che si coniugano più con il sistema valutativo della consulenza tecnica e con la natura di ausiliario del consulente medesimo, posto che il suo obiettivo è di aiutare i genitori altamente conflittuali /disfunzionali a sviluppare/ implementare le proprie capacità nel contesto strutturato di valutazione e risoluzione delle dispute che si delineano. Il pedagogista di prossimità sembra, quindi, una figura diversa dal coordinatore genitoriale la cui nomina avviene prevalentemente alla conclusione di un processo valutativo e non all’interno e durante lo stesso; il primo si differenzia dal coordinatore, fornendo anche elementi valutativi di cui il consulente tecnico avrebbe potuto tener conto nell’elaborazione finale del suo incarico. Quanto esposto consente, altresì, di escludere che la legittimazione normativa del coordinatore possa ricondursi nell’alveo degli ausiliari di cui all’art 68 c.p.c. e non solo perché trattasi di soggetti per i quali non è previsto obbligatoriamente il giuramento17, ma soprattutto perché questi ultimi operano esclusivamente all’interno di un procedimento giudiziario dal quale dipendono18. Il coordinatore, invece, si colloca prevalentemente al di fuori di tale contesto, in chiave marcatamente preventiva rispetto ai possibili giudizi esito della permanente conflittualità tra due genitori. In ordine di tempo segue la decisione del tribunale di Pordenone il quale, assumendo come presupposto l’esistenza di un difficile rapporto all’interno della coppia genitoriale, constatava come ogni questione relativa alla prole scatenasse tra le parti un conflitto; questa situazione, tale da non permettere di comprendere come soddisfare i bisogni della prole, aveva reso necessaria la nomina di un coordinatore genitoriale a prescindere da qualunque sollecitazione fornita in proposito dalle parti, da un consulente tecnico o da un servizio. A questo professionista è stata attribuita la qualità di assistente del giudice, affinché supportasse i genitori in caso di contrasto nella gestione dei contenuti logistici dell’affido19 conferendogli il potere di dirimerlo attuando una mediazione per il suo superamento; qualora il dissidio tra le parti non si fosse composto, il coordinatore avrebbe preso le migliori decisioni nell’interesse della prole anche in assenza dell’accordo dei genitori oppure investito il tribunale per dirimere il contrasto. Il provvedimento si presta ad essere variamente considerato e, nonostante la sinteticità, offre due spunti di riflessione: è stato rafforzato il principio per cui la nomina del coordinatore, a prescindere da un intervento normativo in proposito, è una facoltà del giudice della famiglia, ed è stato ampliato il bacino dei professionisti cui attingere nominando, nel caso di specie, un avvocato. Desta, tuttavia, qualche perplessità l’ampiezza dei poteri attribuiti a questo professionista, al quale è stato dato anche un potere decisionale senza precisi e definiti ambiti di applicazione; il rischio correlato è di attribuirgli funzioni di natura tale da incidere sulla capacità genitoriale delle parti, limitandone l’esercizio e prospettandosi come una decisione latamente sospensiva di detta capacità. Se i compiti del coordinatore divengono troppo estesi gli si attribuiscono poteri che appartengono più ad un servizio socio-sanitario affidatario che non ad un facilitatore del rapporto di comunicazione tra due genitori. Anche il Tribunale di Verona ha ritenuto ammissibile la nomina del coordinatore genitoriale20, a prescindere dal consenso delle parti e dalla segnalazione del consulente tecnico, all’interno di un procedimento giudiziario non definito; detta pronuncia contribuisce con altra giurisprudenza, a dare forma e legittimazione ad una figura che appare, tra alterne vicende, come l’estrema ratio cui ricorrere prima di approdare all’affidamento del minore ai servizi socio-sanitari. Riassuntivamente, quindi, si può concludere che la giurisprudenza di merito, in linea di massima, ha legittimato l’esistenza di questo professionista, ancorché prevalentemente, scaturisca da un’intesa tra le parti ed esito di un percorso valutativo21.



5. Il percorso seguito dal Tribunale di Genova, la nomina di un coordinatore genitoriale come alternativa del curatore speciale nominato in atti



In questo eterogeneo panorama di pronunce, si inserisce l’ordinanza del tribunale di Genova in commento che si distingue per estensione della motivazione, e soprattutto, per l’originalità del percorso seguito nell’approdare alla nomina del coordinatore. Il provvedimento, coerente con la giurisprudenza di merito maggioritaria che subordina detta nomina alla comune volontà dei genitori, ha assunto come presupposto una conflittualità protratta tra due genitori che richiedevano entrambi la domiciliazione delle minori. Le parti, pur ritenute dotate di buone capacità genitoriali, facevano ragionevolmente prevedere che nel futuro non sarebbero mancati elementi di dissenso22; quindi il tribunale le ha invitate a valutare la possibilità di nominare uno psicologo come coordinatore genitoriale cui demandare il compito di dirimere i loro contrasti. La richiesta, che solo apparentemente assumeva il carattere dell’auspicio, è dotata di una certa coercitività, posto che i legali delle parti avrebbero dovuto informare il giudice istruttore nel prosieguo del giudizio dell’eventuale nomina. Nel contempo, tuttavia, si è prevista anticipatamente l’ipotesi che i due genitori eludessero l’invito o non raggiungessero l’accordo sul professionista, valutando questo come un conflitto di interessi tale da rendere necessaria la nomina di un curatore speciale per rappresentare la prole dal punto di vista processuale23; conflitto di interessi ravvisato nelle antitetiche prospettazioni sulle migliori soluzioni da adottare per la prole e valutato come un momento ostativo all’adozione, da parte del tribunale dei migliori provvedimenti da assumere anche in via provvisoria. Il curatore speciale, che a differenza del coordinatore ha la rappresentanza processuale del minore, è stato espressamente considerato come un soggetto istituzionale terzo che avrebbe dovuto formare un proprio punto di vista, dopo aver incontrato i genitori ed i minori, anche avvalendosi dell’apporto di uno psicologo di fiducia. Ad esito di questo ascolto il curatore avrebbe dovuto prospettare al giudice istruttore le migliori soluzioni di collocazione e frequentazione nell’esclusivo interesse della prole. Tale figura sarebbe venuta meno nel momento in cui le parti avessero deciso, insieme, di nominare un coordinatore genitoriale. A prescindere dalla valutazione se nel caso di specie la scelta sia stata o meno appropriata, occorre soffermarsi sulla logica del percorso argomentativo adottato dall’autorità giudiziaria per la nomina del coordinatore e sulle possibili conseguenze che l’adozione di un simile provvedimento in corso di causa potrebbe produrre. Il percorso adottato, infatti, ha utilizzato una figura processuale certa, come il curatore del minore, che di concerto con professionisti accreditati in materia psicologica, è in grado di ascoltare il minore in modo qualificato e di rappresentarne in giudizio la volontà. In questo modo si sono utilizzati strumenti processuali previsti dall’ordinamento e riconosciuti a livello nazionale e sovranazionale: la nomina del curatore speciale, infatti, rientra tra i poteri dell’autorità giudiziaria, e prescinde dal consenso delle parti. I genitori potranno, però, evitare la triangolazione processuale, ossia madre, padre e prole, nominando un coordinatore genitoriale, ossia un soggetto terzo che, al di fuori delle maglie processuali, li aiuti nel recupero di un accettabile livello di comunicazione ed individuazione degli oggettivi bisogni dei minori. Secondo questo orientamento parrebbe potersi concludere che il conflitto permanente che ha originato la nomina del curatore, venga meno per un gesto di responsabilità dei genitori che, riservando uno spazio critico alla propria modalità di gestione delle responsabilità genitoriali, fanno metaforicamente una battuta d’arresto affidandosi alla guida di un terzo soggetto. La modalità di nomina adottata, coerente con la maggioritaria giurisprudenza di merito che esclude la possibilità per il giudice di procedervi con atto autonomo24, ha sicuramente individuato un percorso argomentativo e giuridico interessante. Tuttavia, applicare l’istituto della coordinazione genitoriale all’interno di un procedimento e non quale esito dello stesso, presenta dei profili di criticità di cui è necessario tener conto e relativo all’utilizzo in giudizio di quanto raccolto da questo professionista. Infatti, l’istituto in esame non è stato utilizzato dalla giurisprudenza genovese come elemento funzionale alla prevenzione di futuri conflitti e applicato con il provvedimento finale per sostenere i genitori nella sua pratica applicazione, ma sembra far parte del processo valutativo che condurrà l’autorità giudiziaria ad assumere una certa decisione. In questo caso, però, poiché il coordinatore genitoriale non riveste la qualifica di ausiliario del giudice, ex art. 68 c.p.c., e rimane nell’alveo del principio dispositivo delle parti, viene da chiedersi quale sarà la sorte delle eventuali informazioni da lui raccolte e se queste potranno, o meno, essere utilizzate nel corso del processo. A parere di chi scrive, se il consenso dei genitori è la conditio sine qua non per la sua nomina si dovrà concludere che quanto raccolto potrà utilizzarsi in giudizio solo con il consenso dei genitori e non potrà divenire parte del processo decisionale dell’autorità giudiziaria. Il giudice istruttore potrà al limite, ex art 116 c.p.c., trarre elementi di convincimento dall’eventuale diniego qualora uno dei due genitori non autorizzi l’utilizzo delle informazioni raccolte. Diverso in questa prospettiva è anche il potere attribuito al coordinatore dall’autorità giudiziaria di relazionare il Giudice Tutelare, una volta definito il procedimento, atteso che questo specifico compito non incide sul contenuto del provvedimento in sé; infatti il controllo del giudice del tutelare si esplica nella sorveglianza di decisioni già adottate e non concorre alla formazione di una pronuncia in ordine all’esercizio della genitorialità. La nomina, quindi, in corso di causa si presenta, come si avrà modo di vedere nel paragrafo successivo, non sembrerebbe del tutto coerente con compiti e attribuzioni che a questa figura sono state attribuiti attraverso il descritto percorso.



6. I compiti attribuiti al coordinatore genitoriale



Dalla disamina dei provvedimenti emerge come il coordinatore abbia funzioni di tipo concreto, organizzativo, correttivo e, in alcuni casi, addirittura decisionale. Il suo ruolo riassume in sé poteri che possono qualificarsi come gestori, organizzativi e, in senso lato e raramente, decisionali25 ed è finalizzato a salvaguardare e preservare la relazione dei genitori con i figli intervenendo nelle relazioni e offrendo le opportune indicazioni26. Indicazioni che escludono che agli atti prodotti dal coordinatore possa attribuirsi la natura di atto giudiziario con tutte le conseguenze che potrebbero profilarsi in tema di vincolatività, impugnazione o modifica degli stessi27. Nella sfera dei poteri a lui conferiti, il coordinatore potrà segnalare comportamenti inadeguati dei genitori che non osservano le prescrizioni e tali da essere pregiudizievoli per il minore medesimo; egli, dunque, sollecita un mero potere di controllo28. Deve essere, invece, approfondita la questione se tra i suoi compiti, dettagliatamente descritti, nei provvedimenti giudiziari possa rinvenirsi il potere del coordinatore di verificare anche la regolare frequenza dei percorsi terapeutici suggeriti, se non prescritti, ai componenti del nucleo familiare. Ebbene, nonostante alcuni autori ritengano che questa funzione di contratto attribuita dal Giudice, rientri tra i compiti del coordinatore, quale garante della concreta attuazione della rete di protezione e di sostegno individuata nell’interesse della prole, non sembra, a chi scrive, che questo compito sia possibile. Infatti, per capire come si svolga un potere di vigilanza dovrebbe essere fatto un preliminare distinguo tra i vari trattamenti, lato sensu, suggeriti. Si pensi, ad esempio, al percorso di sostegno alla genitorialità, la cui invasività rispetto alla coppia genitoriale è molto differente da un percorso terapeutico individuale che, maggiormente strutturato e complesso, implica un’autentica adesione interiore da parte del singolo29 ed esclude una componente in sé valutativa dell’operatore psicologico. La verifica dell’espletamento del supporto individuale potrebbe rientrare, in modo più pertinente, nei poteri di sorveglianza e controllo del servizio sociosanitario affidatario ove la tipologia di intervento presuppone già una diagnosi non del tutto infausta in tema di capacità genitoriale, peraltro, a monte già limitata. Analogamente dovrebbe concludersi in tema di terapia familiare o supporti terapeutici individuali per gli adolescenti. Rientrerebbe, invece, in un generico potere di controllo la verifica da parte del coordinatore di un percorso di psicomotricità30 atteso che per le caratteristiche non si presenta particolarmente invasivo; potere di controllo che, per le stesse ragioni, potrebbe estendersi alla partecipazione dei minori ai nuovi e recenti gruppi di parola per loro organizzati. Le funzioni, quindi, che riassuntivamente il coordinatore genitoriale è chiamato ad assolvere sono quelle in senso lato di supporto ai genitori, di aiuto nel reperire le soluzioni, le decisioni e le scelte concrete inerenti la vita quotidiana del minore, in particolare in ambito sanitario, educativo e, più in generale, di formazione e crescita; l’effetto “terapeutico” del suo operato è essenzialmente indiretto e potrebbe coesistere con un percorso di sostegno alla genitorialità ove il raccordo tra professionisti coinvolti appare più semplice.



7. Le norme di comportamento e la deontologia del coordinatore genitoriale



Come si è avuto modo di precisare, questa figura non ha nell’ordinamento giuridico italiano un riconoscimento normativo; sono state, tuttavia, variamente tradotte delle linee guida elaborate dall’Association of family and Conciliation Courts da autori italiani31. Tali indicazioni richiedono che il coordinatore sia qualificato, istruito e formato con specifiche competenze nella mediazione familiare ed abbia grande esperienza pratica nell’esercizio professionale con i genitori in conflitto. Viene richiamato il suo dovere di terzietà, di astenersi e ritirarsi, nel processo di coordinazione nel caso di conflitto di interessi qualora insorga. Tuttavia, dalla lettura delle diverse traduzioni in tema, si rinvengono aspetti tra loro contrastanti: in taluni casi l’interpretazione di alcune linee guida, ad esempio in tema di competenza, riporta contenuti diversi tra loro. Il che non implica, semplicemente, una sfumatura diversa ma conduce a conclusioni, opposte: infatti, secondo alcuni autori sembrerebbe quasi che al coordinatore genitoriale sia affidato un compito anche valutativo tale da incidere addirittura su eventuali conclusioni del CTU, mentre per altri tale compito sembrerebbe escluso32. Questo incide significativamente sui poteri conferiti al coordinatore, e, conseguentemente, sulle figure chiamate a svolgere tale funzione. In attesa di una organica e diversa disciplina ciascun professionista sarà chiamato, esclusivamente ma inderogabilmente, al rigoroso rispetto delle norme deontologiche del proprio ordinamento professionale che si ritiene possano, in questa continua fase di sperimentazione concreta, essere sufficientemente tutelanti nei confronti degli utenti atteso che pressoché tutti i codici deontologici fanno riferimento ad alcuni principi comuni: la competenza, l’aggiornamento, la terzietà e l’obbligo di astensione ove vi sia un conflitto di interessi. Rimarrebbe da affrontare il problema di una nomina affidata ad un pedagogista, o educatore professionale, trattandosi di una categoria di soggetti priva di un ordine di riferimento33. La legge n. 4 del 2013 prevede, infatti, per loro la possibilità, e non l’obbligatorietà, di riunirsi in associazioni di natura privatistica in quanto privi di albo. Tuttavia, per il pedagogista non è previsto alcun obbligo di partecipazione all’associazione, la cui finalità sarebbe quella di promuovere l’autoregolamentazione volontaria e il raggiungimento di standard professionali qualificati. Ora poiché si tratta di un associazionismo essenzialmente privato, la nomina di un pedagogista come coordinatore genitoriale, quale esito finale di una consulenza tecnica porrebbe problemi di controllo sul soggetto a cui questo compito, così, viene conferito. Ebbene, potrebbe forse porsi un distinguo tra una nomina frutto di autonoma decisione del Giudice, il quale dovrebbe comunque preferibilmente attingere da un albo professionale, da quella che è stata rimessa alla volontà delle parti che, in tal modo, se ne assumono anche la responsabilità. Profili di problematicità che verranno meno nel momento in cui sarà possibile ricorrere, all’interno dei tribunali, alla formazione di un albo, dei coordinatori genitoriali al pari di quanto accade per i curatori speciali dei minori.



8. Il rischio di sovrapposizione tra le funzioni del coordinatore genitoriale e quelle dei servizi affidatari



Dalla disamina delle varie pronunce, potrebbe sembrare che la figura del coordinatore genitoriale sia in qualche misura assimilabile all’affidamento dei minori ai servizi socio-sanitari e, quindi, rappresenti una sorta di duplicazione di strumenti già presenti nel nostro ordinamento. È necessario, quindi, per evitare sovrapposizioni o confusioni, dedicare un maggior approfondimento alla loro specifica identità. In realtà, come più sopra anticipato, si tratta di percorsi diversi tra di loro anche se una parte delle funzioni concrete sembrerebbero coincidere. Infatti, per distinguerne i loro ruoli non è possibile ricorrere al solo diverso riconoscimento normativo, ma anche al grado di conflittualità accertata tra i due genitori che determina il ricorso all’una o all’altra di queste due figure. Nel caso di affidamento ai servizi socio-sanitari la capacità di entrambi i genitori risulta gravemente compromessa al punto da essere latamente sospesa perché le parti non riescono a gestire senza supporto l’interesse della prole; questo provoca una reazione dell’autorità giudiziaria, unica titolata a disporre tale tipologia di affidamento prodromica, nei casi più gravi, a provvedimenti ablativi della responsabilità genitoriale. Il conflitto, invece, che conduce alla nomina del coordinatore genitoriale è più legato alla difficoltà di due genitori di gestire aspetti concreti della vita quotidiana come, ad esempio, il rispetto degli orari di visita, la scelta della attività formative (in taluni casi persino del parrucchiere) ed è, secondo la giurisprudenza di merito prevalente, una scelta condivisa da entrambi i genitori che l’autorità giudiziaria, nella maggior parte dei casi, si limita a ratificare. L’affidamento dei minori al servizio una volta disposto, in genere ad esito di una consulenza tecnica, presuppone da parte degli stessi operatori una valutazione preliminare della coppia genitoriale proprio per il tipo di funzioni che al servizio vengono ordinariamente riconosciute34 tra cui quella di assistenza all’utente. Tanto è vero che alcuni protocolli, proprio per dirimere in anticipo il potenziale conflitto tra la valutazione del consulente tecnico e quella dei servizi, con immaginabili conseguenze anche in tema di operatività hanno ritenuto, nello specifico, di affrontare la questione prevedendo, in questo caso, che a dirimere il conflitto sia l’autorità giudiziaria35. La valutazione preliminare delle parti è esclusa, invece, dall’incarico del coordinatore che assume come presupposto quella già effettuata, eventualmente, dal consulente tecnico o dai servizi sociali coinvolti nelle sommarie informazioni. Questione di non secondaria importanza atteso che, l’esclusione del momento valutativo, consente di affidare l’incarico anche ad un operatore giuridico. Ne consegue, quindi, che il carattere essenzialmente privatistico della figura del coordinatore lo pone su di un piano nettamente differente da quello del servizio socio-sanitario, considerato che questo non è scelto dalle parti e da esse retribuito ed è investito di un proprio potere di segnalazione all’autorità giudiziaria di situazioni disfunzionali; il coordinatore genitoriale, invece, riceve questa investitura direttamente dall’autorità giudiziaria che gli consentirà di informare, prevalentemente, il giudice tutelare rispetto a situazioni pregiudizievoli per i minori36. L’unico elemento che, tuttavia, accomuna questi due percorsi, potrebbe essere l’ampiezza dei compiti loro attribuiti dall’autorità attraverso il proprio provvedimento. Si tratta di una vexata questio per gli stessi operatori del diritto ossia l’estensione dei poteri da attribuirsi al servizio sociosanitario: in alcuni casi particolarmente dettagliata al punto da limitarne fortemente la capacità di intervento; in altri casi così generica da disorientare operatori e genitori sulle concrete possibilità di azione. Ebbene, è il medesimo rischio che corre il coordinatore genitoriale, come si è potuto evincere dall’analisi di alcuni provvedimenti, alcuni molto dettagliati, altri invece basati su di un generico compito di coordinamento. Dunque, talvolta per delineare le funzioni blande di questa nuova figura il coordinatore genitoriale, nel corrente linguaggio giuridico è stato definito come un facilitatore o educatore all’interno del rapporto genitoriale. Dovrebbe, quindi, auspicarsi, in relazione al caso concreto ed al grado di conflittualità, l’attribuzione di compiti specifici per evitare un rischio ancor più grave, ossia di attribuire all’istituto della coordinazione genitoriale compiti e funzioni tipiche dell’affidamento al servizio sociosanitario della prole, che presuppongono a monte una capacità genitoriale decisamente compromessa.



9. Conclusioni



Da quanto sopra descritto, si può concludere come questa nuova forma di ADS vada man mano delineandosi nel nostro ordinamento giudiziario anche attraverso il confronto con altri strumenti di risoluzione del conflitto; in questo modo le caratteristiche del coordinatore genitoriale italiano, si delineano attraverso una descrizione in negativo; escludendo poteri e funzioni si arriva ad una definizione in positivo della sua operatività. Rimane, invece, sullo sfondo l’interrogativo sulla categoria professionale più indicata a svolgere questo incarico. Secondo la recente, ma ancora isolata pronuncia, quella del Tribunale Pordenone del maggio 2019, questo compito potrebbe essere assunto anche da un legale, ossia una figura che manca di competenze valutative in senso stretto. Ebbene per quanto sin qui esposto non sembra che sia possibile escludere il professionista legale dal novero di coloro che potrebbero essere nominati37. Infatti, l’assenza della citata competenza, appannaggio degli operatori non giuridici, non impedisce l’assunzione di questo ruolo a quanti abbiano maturato nell’ambito del diritto di famiglia una significativa esperienza, coniugata ad adeguati corsi formativi. In detto contesto, va rivolta una riflessione positiva, nonostante il complesso contesto economico, anche al costo sostenuto dalle parti per il coordinatore. Va preliminarmente detto che la litigiosità dei genitori non ha mai spaventato gli stessi a tale punto da moltiplicare le iniziative giudiziarie in una crescente prova di forza al cui fascino, talvolta, anche i legali non si sono sottratti. Tuttavia, affidare una funzione per così dire correttiva ad un operatore retribuito restituisce all’utente il valore della prestazione che in quel momento viene somministrata, concorrendo ad un cammino, anche concretamente costoso, di maturazione forzata. Simbolicamente il costo, oltre al tempo dedicato, diviene la misura del sacrificio e dell’impegno cui ciascun genitore è tenuto, sottraendo al procedimento giudiziario l’immagine di un teatro che continua la rappresentazione affettiva della famiglia patologica.

NOTE

1 Nel 1974 ad Atlanta in Georgia si apre il primo centro privato di mediazione per le famiglie grazie all’intervento di un avvocato e di uno psicologo statunitense. L’obiettivo era ridurre il conflitto durante la separazione, intesa in senso lato, della coppia genitoriale: affidamento dei figli, modalità di visita dell’altro coniuge, separazione dei rispettivi patrimoni ed eventuale assegno di mantenimento; così I. PuPolizio, in La mediazione familiare in Italia, Torino, 2007 16 ss.; si veda anche lo Statuto della società italiana di mediatori familiari (S.I.Me.F.), art 1, in base al quale in un contesto strutturato il mediatore si adopera, come terzo neutrale, e con formazione specifica, sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale in autonomia in ambito giudiziario, affinché i genitori elaborino in prima persona un programma di separazione sufficiente per sé ed i figli in cui possano esercitare la comune responsabilità genitoriale in http://www. simef.net//STATUTO-S.I.Me ult. acc. 17 maggio 2020.

2 Le fonti normative che riconoscono la mediazione come strumento di risoluzione del conflitto l’art. 28 del d.P.R 448/1988, in ambito giudiziario minorile che, pur non facendo cenno al termine di “mediazione”, prevede che il giudice abbia facoltà di impartire al minore, sottoposto alla messa alla prova, “prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e promuovere la conciliazione del minore con la persona offesa”. L’art 342-ter c.c. della l. 154/2001, contenente “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari” recanti la disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi familiari, con prevede che l’Autorità Giudiziaria possa disporre l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un Centro di Mediazione Familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati”. L’art 155-sexies c.c. della l. 54/2006 secondo il quale “il giudice qualora ne ravvisi l’opportunità, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter c.c. per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”. L’art 6 della l. 162/2014 sulla negoziazione assistita precisa che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la Mediazione Familiare; l’art 1, com. 25, l. 76/2016 estende la Mediazione Familiare alle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso che prevede l’applicazione della legge n. 162 del 2014

3 G.B. CaMerini, M. Mariotti, G. Sergio, G. Vaccaro, in Manuale psicoforense dell’età evolutiva, Milano, 2018, 913 ss. secondo gli autori, la scarsa diffusione d’Italia di una cultura della mediazione, sarebbe alimentata da una concezione paternalistica per cui la coppia genitoriale che si separa potrebbe essere educata ad una gestione più corretta della controversia giudiziaria imponendo, ma con ciò snaturando, il percorso meditavo. Si veda anche J.M. Haynes, I. Buzzi, Introduzione alla mediazione familiare, principi fondamentali e sua applicazione, Milano, 1996; C. Marzotto, La mediazione familiare, in Il diritto di famiglia, Torino, 2007.

4 R. Fisher, W. Ury, B. Patton, in L’arte del negoziato, Milano 2012.

5 La coordinazione genitoriale, inoltre, nulla ha a che vedere con la consu-

lenza, per i compiti diversi che gli sono attributi e sebbene, come si avrà modo di vedere, entrambi possano essere nominati dall’autorità giudiziaria solo il primo è investito di una funzione pubblicistica resa evidente da un giuramento cui non è tenuto il coordinatore.

6 Il regio decreto legge n. 1404 del 20 luglio 1934: “Istituzione e funzionamento del Tribunale per i minorenni” prevedeva l’affidamento al servizio sociale come uno strumento di rieducazione per i minorenni. In seguito, da strumento correttivo per i minori, si è trasformato in strumento correttivo dei genitori considerati non adeguati a svolgere le funzioni genitoriali, ed utilizzato dai Tribunali ordinari in presenza di elementi di alta conflittualità tra i due genitori o in caso di gravi inadempienze. I servizi sociali hanno reso operativi i provvedimenti disposti dall’Autorità giudiziaria, svolgendo una funzione di aiuto, di sostegno, e di controllo dei minori coinvolti ma soprattutto dei genitori. In genere gli operatori titolari del Comune o di altro ente delegato, dopo aver svolto un’approfondita indagine sociale, elaborano un progetto di intervento, preferibilmente con il coinvolgimento della famiglia e del minore, e relazionano periodicamente al giudice. L’affidamento al servizio socio sanitario non implica la decadenza o la sospensione della responsabilità genitoriale, ma di fatto l’affievolisce.

7 C. Piccinelli, G. IacoBino, La coordinazione genitoriale, il coordinatore l’avvocato, in www.osservatoriofamiglia.it; secondo gli autori anche se la realtà socio-giuridica è diversa da quella statunitense, si rinviene un tratto comune ossia i bisogni delle famiglie connotate da una forte conflittualità tale da pregiudicare l’equilibrio dei minori.

8 R. Ardone, M. Cialdella, S. Mazzoni, in Coordinazione genitoriale, una guida pratica per il professionista del diritto di famiglia, Padova, 2014, 13 ss.

9 Trib. Civitavecchia, del 20 maggio 2015, in De Jure; M. Botton, Responsabilità genitoriale: la nomina di un coordinatore genitoriale per dirimere le controversie future tra genitori, in Il Familiarista, 19 settembre 2016; si veda anche F. CasaBuri, in Foro It., 2016, 5 I, 1655, secondo il quale i giudici si sarebbero limitati ad evocare esperienze straniere, ritenendo di avvalersi del potere di conformare elasticamente le statuizioni relative ai minori ai sensi degli articoli 336 o 337-ter c.c.

10 I giudici laziali hanno puntualizzato che la coordinazione genitoriale è uno strumento già conosciuto in altri ordinamenti, volto a facilitare la risoluzione delle dispute tra genitori altamente conflittuali temporaneamente non trattabili tramite la mediazione familiare; lo scopo sarebbe ridurre l’eccessivo ricorso ad azioni giudiziarie e guidare le parti a negoziare ed accordarsi sul tempo da trascorrere e condividere con i figli, con conseguente riduzione degli effetti dannosi che il conflitto genitoriale provoca sul benessere psicofisico dei figli.

11 A distanza di un mese, anche un altro tribunale avverte l’esigenza di comporre un insanabile conflitto tra i genitori tale da escludere la capacità in capo a padre e madre di assumere le decisioni di maggiore importanza per il figlio – in specie, affetto da autismo. Il Tribunale, pur disponendo l’affidamento condiviso, può designare, ai sensi dell’art. 337-ter c.c., in favore della prole, una figura alternativa cui rimettere le decisioni di maggior rilievo in ordine al fanciullo sino al conseguimento della maggiore età (nel caso di specie, il Tribunale ha rimesso al servizio pubblico specialistico locale di assumere le decisioni sulla salute del minore). Sebbene per le caratteristiche formali il professionista si avvicini alla figura del coordinatore, va segnalato che l’incarico affidato ad un servizio pubblico lo pone in una condizione molto diversa da quella che in questa sede andrà a delinearsi; così Trib. Reggio Emilia, 11 giugno 2015, in Il Caso.it, ult. acc. 5 giugno 2020.

12 Trib. Milano, 29 luglio 2016, in De Iure, Milano, 19 aprile 2020.

13 C. Mangano, in La figura del coordinatore genitoriale nella crisi della famiglia, tra inadeguatezza del processo civile e ostacolo alla diffusione di tale rimedio, in www. magistraturaindipendente.it, ult. accesso 29 aprile 2020. L’autrice rimarca che il coordinatore dovrà limitarsi a segnalare agli Uffici Giudiziari competenti gli aspetti disfunzionali della coppia, in quanto privo di legittimazione processuale diretta che non sarebbe compatibile con un incarico che, per quanto di matrice giurisdizionale, rimane pur sempre privato.

14 Trib. Mantova, 5 maggio 2017, in Il Caso. it, ult. acc. 2 maggio 2020; anche i giudici di secondo grado della corte d’appello di Venezia mostrano una certa riluttanza nell’utilizzo dell’espressione coordinatore genitoriale utilizzando nella parte motiva del proprio dispositivo l’espressione facilitatore espressione forse di una certa resistenza nel mutuare incondizionatamente figure provenienti da differenti ordinamenti.

15 In senso contrario F. Danovi, Il coordinatore genitoriale; una nuova risorsa nella crisi della famiglia, in Famiglia e Diritto, 2017 p. 801 il quale apprezza la novità della figura del coordinatore genitoriale, atteso che il suo intervento è destinato ad evitare il cronicizzarsi di forme di conflittualità esasperata e il rischio di giudizi di modifica inutili quando non addirittura emulativi; l’autore ritiene tuttavia, che la sua nomina sia comunque il frutto di una scelta condivisa dalle parti che il giudice non può imporre. Analogamente Trib. Milano, 29 luglio 2016, in Fam. Dir., 2017, 793, ove i giudici di merito indicano che le parti dovranno formalizzare la nomina del coordinatore genitoriale individuato con il loro consenso.

16 Trib. Roma, 4 maggio 2018, in www.osservatoriofamiglia.it, ult. acc. 23 maggio 2020.

17 F. CarPi, M. TaruFFo, art. 68, in Commentario breve al codice di procedura civile, Milano, 2020.

18 F.Novello,Ilcoordinatoregenitoriale:unnuovoistitutonelpanoramagiuridico italiano?, in Familia, 2018, 369-370. Secondo l’autrice il coordinatore genitoriale potrebbe pensarsi come un ausiliario del giudice privo di poteri decisionali, con la possibilità di emanare raccomandazioni non vincolanti che dovranno essere vagliate dal Giudice. La posizione, tuttavia, non convince proprio perché i poteri del giudice della famiglia, nell’ampio istituto della coordinazione genitoriale, nomina questo professionista ad esito ed a conclusione di un percorso, salvo il controllo del giudice tutelare, ex 337 c.c. che non ha alcun poter di intervento ma di mera vigilanza.

19 Trib. Pordenone, 30 maggio 2019, in De Jure, ult. acc. 2 maggio 2020.

20 Trib. Verona, ord., 15 marzo 2020, in Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia, con nota di C. Fossati.

21 Nel senso citato: Trib. Brescia, 26 ottobre 2019, n. 2889 in De Jure; Trib. Monza, 17 dicembre 2019, in De Jure; Trib. Monza, 29 novembre 2019, n. 2646 ove il collegio invita addirittura le parti a recepire le indicazioni del coordinatore genitoriale che suggeriva alle stesse di intraprendere un percorso di terapia familiare; Contra Trib. Monza, 14 febbraio 2020, n. 351 ove, il tribunale non accoglie il suggerimento degli operatori socio sanitari del Comune che segnalavano l’opportunità di un percorso psicologico di entrambi i genitori e l’ausilio di un coordinatore genitoriale; Trib. Roma, 8 settembre 2017, n. 16802, in De Jure ove il collegio, nonostante la richiesta di uno dei genitori di proseguire il lavoro avviato nel corso del procedimento con un coordinatore genitoriale, ritiene di non poter imporre tale ausilio in quanto questa figura presuppone una partecipazione su base volontaria dei genitori per la proficua riuscita dell’intervento; inoltre trattandosi di un professionista privato, non vi sarebbe la possibilità, se venisse meno il rapporto fiduciario da parte di uno dei due, di imporlo ritenendo, invece, più adeguato il monitoraggio dei servizi socio sanitari. Trib. Modena, 7 febbraio 2020, in De Iure, ove il collegio ritiene che in assenza di accordo tra i genitori e tenuto conto dell’elevato livello di conflittualità non si possa procedere alla nomina del coordinatore genitoriale, figura ritenuta estranea al nostro ordinamento, e che presuppone, per la buona riuscita del percorso, l’adesione di entrambe le parti non essendo dotato di poteri prescrittivi. Trib. Bologna, 20 dicembre 2018, in Fam. Dir., 2020 con nota di S. CaPuccio, Conflitto familiare e tutela del minore il coordinatore genitoriale; i giudici bolognesi non accolgono la richiesta del CTU che, suggerito l’affidamento ai servizi socio-sanitari proponeva che fosse lo stesso servizio a nominare un coordinatore genitoriale.

22 Trib. Genova, 1 luglio 2019, in www.osservatorio.it.

23 Ai sensi dell’art. 78 c.p.c., Il curatore speciale può essere designato quando appaia necessario che sia una terza persona a rappresentare il minore, per la temporanea inadeguatezza dei genitori a salvaguardare l’interesse primario del figlio e con un livello di conflitto che li renda incapaci di un esame obiettivo della realtà. La nomina del curatore speciale prescinde da un’istanza di parte e può essere disposta d’ufficio dal giudice, posto l’art. 9 della Convenzione europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei fanciulli del 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 20 marzo 2003 n. 77. Si veda a tal proposito: Trib. Milano, 15 maggio 2014, in Il Caso.it ult. acc. 23 maggio 2020; la giurisprudenza aveva espresso questo principio, individuando nell’art. 78 c.p.c. una norma generale, che autorizza il giudice a procedere d’ufficio alla nomina del curatore speciale tutte le volte in cui ravvisi un potenziale conflitto di interesse del figlio con i genitori (Cass. civ. 21 ottobre 2009, n. 22238, Cass. civ. 15 maggio 2013 n. 11687, Cass. civ. 11 dicembre 2013 n. 27729). È da segnalare, inoltre, che la nomina di un rappresentante del minore è stata resa obbligatoria nei procedimenti de potestate, dalla legge n. 149 del 2001 – entrata in vigore solo nel luglio 2007 – che ha modificato l’art. 336 c.c. prevedendo l’assistenza di un difensore sia per i genitori che per i figli, nel giudizio di decadenza o affievolimento della potestà.

24 Trib. Bologna, 11 dicembre 2018, cit. ove collegio non ritiene opportuna la nomina di un coordinatore genitoriale. Invero tale figura non è prevista normativamente e andrebbe a sovrapporsi ai servizi affidatari, duplicando i centri decisionali e di fatto aumentando la possibilità di contrasti. Contra Trib. Roma, 4 maggio 2018 con nota di A. Scalera, Ammissibile il ricorso alla coordinazione genitoriale come strumento di gestione del conflitto, in Il Quotidiano giuridico.

25 Piccinelli, Le linee guida sulla coordinazione genitoriale, cit.

26 Danovi, Il coordinatore genitoriale una nuova risorsa nella crisi della famiglia,

cit. Mangano, op. cit.

27 In proposito si veda Novello, Il coordinatore genitoriale: un nuovo istituto nel panorama giuridico italiano?, cit. Da qui le perplessità sull’utilizzo giudiziale di quanto raccolto dal coordinatore genitoriale, nominato in corso di causa.

28 Danovi, Il coordinatore genitoriale, cit., 803, a questo proposito l’autore segnala che sarebbe da escludere una legittimazione processuale diretta da in capo al coordinatore genitoriale, e questo perché la stessa risulti porrebbe una riserva di legge e non potrebbe essere attribuita in un’ipotesi di incarico che, per quanto di matrice giurisdizionale, rimane pur sempre privato. Il coordinatore genitoriale, quindi, non disporrebbe di poteri processuali autonomi atteso che il suo scopo è quello di risolvere il conflitto

29 La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che prescrivere un percorso di psicoterapia individuale, o di sostegno alla genitorialità, comporti un condizionamento tale da violare l’art. 32, comma secondo, della Costituzione ed è estranea al giudizio essendo rimessa da esclusivamente al diritto della parte di auto determinarsi; in questo senso CaMerini, Mariotti, Sergio, vaccaro, in op. cit., 924; si veda anche F. Danovi, L’ordine di effettuare i percorsi di sostegno: i poteri del giudice travalicano davvero la libertà delle parti?, in Fam. Dir., 2016 n. 6, 554. A questo proposito tra giurisprudenza di merito e di legittimità si rinviene una costante tensione: tutelare i minori dal conflitto anche con l’applicazione di misure prescrittive concrete come un percorso di sostegno alla genitorialità, ed i principi dedotti dalle sezioni unite della Corte di Cassazione che hanno ribadito che il presupposto di ogni trattamento sanitario risiede nella scelta libera e consapevole della persona che a quel trattamento si sottopone così Cass., n. 13506, del 1 luglio 2015, in De Jure. La contraddizione, tuttavia, a parere di chi scrive è soltanto apparente; poiché i giudici di merito nel prescrivere questi strumenti di sostegno non obbligano nel concreto i due genitori ad effettuarlo divenendo, comunque, un oggettivo strumento di valutazione, quale condotta ostativa alla corretta crescita del figlio. È però altrettanto innegabile che in tema di relazioni familiari la libertà di un genitore subisce profonde trasformazioni per effetto dei doversi connessi a questo nuovo status e che incontrano, nello status del figlio, un limite oggettivo. Pertanto, se nessun Giudice, e conseguente nessuna struttura socio-sanitaria, coarterà il genitore a sottoporsi al citato percorso, l’autorità giudiziaria nell’esercizio delle sue funzioni discrezionali avrà il diritto-dovere di tenerne conto.



30 La psicomotricità si pratica dagli otto mesi di vita agli otto anni circa e forma un itinerario di maturazione per aiutare il bambino a rielaborare progressivamente le proprie emozioni e a maturare, a livello cognitivo e corporeo. Tale pratica attraverso il gioco, inteso non come pratica fine a se stessa, ma come uno spazio fisico e mentale del bambino che entra in contatto con le sue emozioni, le sue esperienze, i suoi desideri, le sue problematiche e i suoi limiti.

31 Rimanendo al di fuori del processo, Linee guida per la coordinazione genitoriale, traduzione a cura di D. Messale, per l’associazione italiana coordinazione genitoriale in www.coordinazionegenitoriale.eu ult. acc. 5 maggio 2020; C. Piccinelli in Dir. Fam. Min., Le linee guida sulla coordinazione genitoriale, contestualizzazione e traduzione in italiano, 2015.

32 Gli autori citati nella precedente nota, attribuiscono alle linee guida differenti conclusioni e non solo per una diversa collocazione numerica all’interno del testo tradotto, quanto per estensione dei poteri attribuiti al coordinatore genitoriale; infatti, secondo la traduzione di Diego Messale nel definire ruoli e funzioni del coordinatore gli si attribuisce un ruolo di analisi e di raccolta dei dati sino a quel momento acquisiti; per Stefania Piccinelli, gli viene attribuito uno specifico potere valutativo, alla linea guida VI, tale da rivedere, addirittura, la valutazione del consulente tecnico.

33 Gli psicopedagogisti, come già espresso in altre sedi, non sono organizzati in un ordine professionale rientrando nelle organizzazioni riconosciute dalla legge 4 del 2013 la normativa di riferimento in materia di ‘professioni non organizzate in ordini o collegi’, o anche ‘professioni associative’ e che prevede la possibilità di formare associazioni di natura privatistica per le professioni senza albo. Attualmente l’associazione più risalente nel tempo, costituita nel 1990, è l’ANPE Associazione nazionale pedagogisti italiani; trattasi di un’associazione scientifico-professionale non a scopo di lucro alla quale possono aderire i laureati in Pedagogia o Scienze dell’Educazione con titolo quadriennale o specialistico/ magistrale. Tra i suoi obiettivi rientrano quelli di promuovere il ruolo e la professionalità del pedagogista, come specialista dell’educazione, nell’ambito delle Amministrazioni pubbliche e private, in www.anpe.it, ult. acc. 30 maggio 2020. Segue Apei, l’associazione pedagogisti educatori italiani, fondata nel 2007, con finalità di attività di tutela politico-sindacale della categoria, promozione della libera professione dei pedagogisti e gli educatori, attività di approfondimento e ricerca scientifica in materia di istruzione, formazione ed educazione e tutela dei consumatori e garanzia di trasparenza del mercato dei servizi professionali, in www.portaleapei.net, ult. acc. 30 maggio 2020. L’ultima fondata nel 2018 Co.N.P.Ed ossia Coordinamento Nazionale Pedagogisti e Educatori (Co.N.P.Ed.) è un’associazione di categoria professionale che si prefigge come scopo la promozione e la tutela del Pedagogista e dell’Educatore professionale socio-pedagogico (art. 1 legge 205/2017 comma 595) in ambito nazionale, europeo e internazionale costituita nel 2018, ossia coordinamento nazionale pedagogisti ed educatori in wwwconped.it, ult. acc. 30 maggio 2020.

34 I servizi socio sanitari operano in senso lato nel campo della solidarietà sociale, dell’assistenza, della riabilitazione e della prevenzione; hanno tra i propri scopi quello di assicurare l’erogazione dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza previsti dal Piano Sanitario Nazionale ma anche di realizzare le finalità del Servizio Socio-Sanitario Regionale nel proprio ambito territoriale, impiegando le risorse assegnatale secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità.

35 Art. 10 Protocollo sulla CTU, 3 dicembre 2018 in www.osservatoriofamiglia. it, ult. acc. 23 maggio 2020 ove i servizi ritengano opportuni interventi differenti da quelli indicati dal C.T.U., o non li ritengano praticabili, proporranno motivata comunicazione al Giudice indicando eventuali soluzioni alternative. In tal caso i servizi continueranno a svolgere la loro attività, o i loro interventi, solo su mandato del Giudice. Il giudice, sentite le parti ed eventualmente i servizi e il C.T.U., adotterà i provvedimenti opportuni.

36 La segnalazione al giudice minorile, allo stato, risulta essere stata indicata con la pronuncia del 2016 solo dal Trib. Milano; la prevalente giurisprudenza di merito indica come figura di controllo e sorveglianza solo il Giudice tutelare, apparendo, in questo modo più coerente con le funzioni tipiche del coordinatore genitoriale.

37 Linee guida AICOGE formazione sul tema della coordinazione genitoriale in http://coordinazionegenitoriale.eu/ LINEE-GUIDA-FORMAIZONE-COGE-, ult. acc. 23 maggio 2020.