inserisci una o più parole da cercare nel sito
ricerca avanzata - azzera

Il coordinatore genitoriale, inedito attore sul palcoscenico familiare (nota a Trib. Verona, ord. 15 marzo 2020)

autore: C. Fossati

Sommario: 1. Premessa. - 2. La coordinazione genitoriale. - 3. Volontarietà vs. prescrizione. - 4. Il caso di Verona. - 5. Considerazioni conclusive.



1. Premessa L’ambito dei conflitti familiari è quello nel quale, più di ogni altro settore del diritto, si intrecciano numerose eterogenee esigenze, da quella tipica avente ad oggetto l’allentamento, o la dissoluzione del vincolo matrimoniale, a quelle ad esso collegate, ugualmente connotate da profili pubblicistici, riguardanti la tutela della prole e del coniuge debole, ad istanze diverse, cosiddette accessorie, che allargano il campo dell’indagine, quali le questioni patrimoniali, nonché la responsabilità genitoriale e i comportamenti dei genitori a vario titolo disfunzionali, con ricadute di non poco momento sul pianto della parcellizzazione delle tutele1 . Tra le questioni maggiormente ricorrenti, emerge la constatazione delle difficoltà di gestione del doppio ruolo genitoriale nell’esercizio dei diritti relazionali caratterizzati da biunivocità: i genitori, ove isolati singolarmente, paiono sufficientemente adeguati a condurre in autonomia il loro rapporto con i figli, mentre risultano insofferenti alla condivisione delle responsabilità, con esiti di conflittualità fra loro, talvolta marcata, in specie allorché il rapporto di coppia ha avuto un epilogo infelice2 . Di qui l’incapacità degli stessi di concordare le scelte da effettuarsi nell’interesse dei figli3 , ciò che in regime legale di affidamento condiviso costituisce uno dei principali doveri imposti ai genitori ai sensi dell’art. 337-ter c.c. Frequentemente a farne le spese, incolpevolmente, sono i figli4 , a favore dei quali, in virtù dell’ampliamento del catalogo dei diritti ad essi riconosciuti dall’art. 315-bis c.c., è stato attribuito un vero e proprio diritto agli affetti. Le specificità delle funzioni educative paterna e materna, la loro complementarietà, sono state riconosciute come fondamentali per lo sviluppo e la crescita equilibrata del bambino5 . La giurisprudenza, così come gli operatori pratici, da tempo si arrovellano sul tipo di intervento mettere in campo, auspicabilmente più efficace di quanto si sia finora sperimentato. Le prassi in uso presso i Tribunali per i Minorenni riportano per lo più scenari che richiamano l’intervento dei servizi del territorio, di rado percepiti dai diretti interessati in chiave di supporto ed aiuto, molto più frequentemente subiti come longa manus inquisitoria dell’autorità giudiziaria; interventi nei quali il fattore tempo e la ripetizione delle azioni, cosiddetta stereotipia, rischiano di divenire fonte di ulteriore ritardo e pregiudizio per tutti i soggetti coinvolti, anziché veicolo di soluzione. Uno strumento diffusamente applicato, dapprima dai Tribunali minorili, man mano allargatosi anche alle prassi in uso presso le sedi giudiziarie ordinarie, per affrontare situazioni di elevata conflittualità, con ricadute sul benessere psicofisico dei figli, è l’affidamento degli stessi ai servizi sociali del territorio. Trattasi però di misura che, oltre ad incidere in misura abnorme sul fondamentale diritto alla vita privata e familiare (art. 8 CEDU), risulta priva di un univoco sostegno normativo, essendo per lo più ricondotta alla previsione di cui all’art. 333 c.c., la quale richiama genericamente la possibilità per il giudice di assumere i provvedimenti convenienti, ovvero all’art. 337-ter c.c. che consente al giudice, nel disporre misure concernenti l’affidamento dei figli, di adottare ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l’affidamento familiare6 . Se poi si guarda al bilancio pluriennale di utilizzo di questa forma di delega funzionale, ne emergono tutti i numerosi limiti, non a caso oggetto di ricorrenti richiami e sanzioni da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo7 . Il Tribunale ordinario presenta inoltre una sempre più diffusa tendenza a dar luogo in ogni fase, da quella presidenziale alla fase istruttoria, fino al secondo grado di giudizio, alla somministrazione di consulenze tecniche disposte anche d’ufficio, non necessariamente a seguito di istanze di parte, basate su quesiti vieppiù ampi, talvolta sostitutivi persino delle competenze prettamente giudiziarie. Si assiste da anni ad una tendenziale attribuzione di elementi patologici alle caratteristiche di personalità dei genitori, la cui idoneità viene sottoposta alla lente d’ingrandimento di consulenti esperti. Ma un’indagine sulla capacità genitoriale, sui comportamenti dei genitori, sino al cosiddetto esame di personalità, in casi di “mera” difficoltà nella gestione delle responsabilità genitoriali, costituisce con tutta probabilità uno strumento d’indagine esorbitante rispetto agli obiettivi posti, introducendo elementi di analisi clinica che induce a valutare come corretto o deviante quel particolare funzionamento della famiglia data8 . Anche la mediazione familiare, come richiamata dall’art. 337-octies II co. c.c., costituisce una risorsa alla quale l’autorità giudiziaria può attingere, benché la sua concreta diffusione dipenda in larga parte dalla sua effettiva conoscenza, dalla sensibilità del singolo magistrato, dalla presenza sul territorio di centri di mediazione pubblici, ovvero “riconosciuti”, dalla capacità di tutti gli operatori di promuovere presso i diretti interessati una convinta adesione ad un percorso di elaborazione mediativa consapevole e volontaria. La già richiamata Corte EDU ricorda9 che è dovere dello Stato mettere in campo una serie di misure idonee a garantire il diritto di visita e a proteggere al tempo stesso il minore, e che sono appropriate allo scopo, oltre all’imposizione di sanzioni, il ricorso alla mediazione o comunque a strumenti atti a facilitare la collaborazione delle parti. Da qualche tempo10 una nuova figura si è affacciata sullo scenario della crisi familiare, quella del coordinatore genitoriale, in virtù di un fenomeno di tendenziale circolazione globale dei modelli11.



2. La coordinazione genitoriale



La coordinazione genitoriale, definita come un sistema di risoluzione alternativa delle controversie non riservato centrato sul minore12, ha le sue origini negli Stati Uniti, dove viene fatta rientrare fra le procedure alternative al contenzioso giudiziario, ADR, ovvero Alternative Dispute Resolution13. In questa ottica la coordinazione viene intesa come uno strumento volto a facilitare la risoluzione delle dispute tra genitori altamente conflittuali14, i quali non possano essere trattati attraverso lo strumento della mediazione familiare, a ridurre l’eccessivo ricorso ad azioni giudiziarie e a guidare le parti a negoziare ed accordarsi sul tempo da trascorrere e condividere con i figli, con conseguente riduzione degli effetti dannosi che il conflitto genitoriale provoca sul benessere psicofisico dei figli15. Nel primo caso affacciatosi nel panorama giuridico italiano, quello deciso dal Tribunale di Civitavecchia nel 201516, a svolgere funzioni di coordinazione genitoriale venne chiamato un assistente sociale in servizio presso l’azienda sanitaria pubblica, anche in funzione – così si esprimeva il magistrato – della “facilità di riconoscimento di comportamenti problematici della minore che richiedano una valutazione psicologica approfondita e un eventuale intervento psicologico di sostegno”17, con una duplice direzione di intervento: verso la coppia genitoriale e contestualmente in un’ottica di prevalente protezione del minore. Significativo anche il fatto che il provvedimento del Giudice di Civitavecchia dettagliasse specificamente le funzioni attribuite a questa nuova figura, avendo inviato i genitori all’assistente sociale con una serie di prescrizioni, più precisamente le seguenti: a) le parti devono fornire al coordinatore genitoriale copia integrale della consulenza tecnica; b) il coordinatore genitoriale può incontrare le parti e la minore insieme o separatamente; c) il coordinatore genitoriale ha i seguenti compiti: 1. guidare, coordinare ed assistere i genitori nello sviluppo e nell’implementazione del Piano Genitoriale condiviso, dagli stessi elaborato e costruito; 2. facilitare la risoluzione delle dispute riguardanti l’attuazione ed implementazione del Piano Genitoriale; 3. suggerire ai genitori modifiche al Piano Genitoriale necessarie nel superiore interesse della minore e funzionali ad esprimere una genitorialità atta a minimizzare i conflitti; 4. segnalare le modifiche necessarie al giudice; 5. aiutare i genitori a comunicare e negoziare con l’altro e con la propria figlia; 6. aiutare i genitori a identificare le fonti del conflitto; 7. valutare il momento in cui orientare i genitori ad un intervento di mediazione familiare; 8. aiutare i genitori a regolare il ruolo e la funzione dei rispettivi partner e ad organizzare le relazioni tra le due famiglie ricostituite anche al fine di stabilire rapporti di collaborazione pure con i nuovi compagni. Come si può constatare da quanto sopra riportato, si tratta di un ambito di intervento assai ampio, al tempo stesso coerente con la necessità di operare un intervento incisivo a scopo concretamente deflattivo. Esso sconta però l’assenza di una cornice normativa di riferimento, potendo contare per ora solo su Linee Guida traslate da quelle adottate nel sistema americano18. La coordinazione genitoriale rappresenta l’ultima risorsa in ordine di tempo apparsa nel panorama giuridico italiano degli strumenti utili alla deflazione del contenzioso giudiziario in ambito familiare. In alcuni casi nei quali è stata disposta, si sottolinea lo scopo preventivo e protettivo nei confronti della prole19; in altri si rimarca la necessità di fornire soluzioni all’annoso problema dell’attuazione dei provvedimenti del giudice della famiglia20; talvolta il lavoro del coordinatore genitoriale è funzionale alla corretta attuazione di un piano genitoriale che presuppone la sua elaborazione da parte dei genitori, ovvero da parte dei loro consulenti tecnici. La figura del coordinatore risponde alla sentita esigenza, spesso nei fatti frustrata, afferente la fase esecutiva, ovvero attuativa, dei provvedimenti in materia di famiglia. Il problema talvolta si pone in quanto il provvedimento giudiziario non arriva a precisare nei più minuti dettagli le modalità attraverso le quali operare il passaggio dei figli da un genitore all’altro, le possibili interferenze di terzi, talvolta i nuovi compagni, le decisioni più importanti attinenti la responsabilità genitoriale e tutto ciò può costituire motivo del ripetersi di domande rivolte all’autorità giudiziaria, con un evidente effetto escalation del conflitto permanente.

Nella sua migliore espressione la coordinazione deve essere intesa come un processo ad adesione volontaria da parte dei diretti interessati21, supportati dai rispettivi consulenti legali o tecnici, grazie al quale il mandato conferito al professionista individuato può essere confezionato secondo le prerogative più confacenti alle esigenze dello specifico nucleo familiare. Del resto l’interazione avvocato-coordinatore è fondamentale per la migliore riuscita di questo tipo di intervento: si è detto che il ruolo degli avvocati in questo metodo è centrale, in quanto essi diventano garanti dell’impegno dei rispettivi clienti e per converso sono costantemente informati dell’andamento del percorso, integrandosi con il coordinatore, attivando proficui confronti atti a superare possibili empasse su tematiche specifiche22. In quest’ottica assume particolare significato la possibilità di inserimento di questa figura professionale nell’ambito delle procedure di negoziazione volontaria delle crisi familiari, quali la negoziazione assistita da avvocati di cui alla legge 10 novembre 2014 n. 162, attraverso il fondamentale snodo della convenzione di negoziazione di cui all’art. 2, ovvero nell’ambito del cosiddetto accordo di partecipazione in uso nella prassi e nelle linee guida della pratica collaborativa.



3. Volontarietà vs. prescrizione



Si gioca sul crinale della prescrittibilità la scelta fra intervento terapeutico ovvero educativo per le coppie genitoriali altamente conflittuali. Per la Corte di Cassazione la prescrizione ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e ad un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire congiuntamente è lesiva del diritto alla libertà personale costituzionalmente garantito e alla disposizione che vieta l’imposizione, se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari23. Più refrattaria a questo orientamento della Suprema Corte si pone la giurisprudenza di merito, la quale più volte ha indicato nei percorsi di sostegno psicoterapeutici individuali il passaggio necessario ai fini del recupero della idoneità genitoriale. Si è talora sostenuto che allorché la condizione dei figli sia di profonda sofferenza e disagio ed il genitore mostri evidenti deficit di capacità genitoriale, il percorso di sostegno alla genitorialità, così come il percorso di mediazione per la coppia, possono essere disposti dal giudice del conflitto familiare24. Talaltra si è utilizzato l’endiade di “prescrizioni su base volontaria”, la quale mostra all’evidenza tutta l’intrinseca contraddittorietà delle due opposte direzioni, corrispondendo ad un vero e proprio ossimoro. Più recentemente si legge che, ai fini del recupero della genitorialità, il tribunale può prescrivere, ma su base volontaria, un percorso psicoterapeutico individuale e di coppia per far sì che, col tempo, la funzione genitoriale sia condivisa e si raggiunga una maggiore consapevolezza soggettiva. Parent training, mediazione familiare o il ricorso al coordinatore genitoriale rappresentano i molteplici interventi sulla genitorialità25, che attestano le concrete difficoltà degli organi di giustizia ad apprestare rimedi efficaci, utili da un lato ad una effettiva protezione dei minori, dall’altra ad evitare le ricadute sul sistema giudiziario di un continuo ricorso alla tutela anticipatoria, di merito, ovvero soprattutto attuativa. Nell’ambito degli interventi di coordinazione si criticano, da parte di taluni26, i modelli applicativi in cui la coordinazione genitoriale viene disposta dal giudice e si svolge nel processo, preferendo viceversa ricondurla ad un metodo di gestione del conflitto alternativo alla giurisdizione, rispetto alla quale dovrebbe essere emancipata. Rispetto ad altri tipi di intervento (si pensi a percorsi di sostegno alla genitorialità variamente denominati ed intesi), quello di coordinazione genitoriale ha l’indubbio vantaggio di presentarsi come un percorso di attuazione delle direttive dell’autorità giudiziaria, adottabile anche da parte di quest’ultima, in quanto svincolato dai caratteri dell’intervento terapeutico, i cui limiti sono dati dalla mancata spontanea adesione degli interessati e dalla sua imprescrittibilità.



4. Il caso di Verona



Poche invero le direttrici che si possono rinvenire nel provvedimento in commento in merito alla suggerita coordinazione genitoriale, se non quelle che la stessa dovrà svolgersi con incontri a cadenza mensile, che il coordinatore dovrà essere nominato dalle parti con l’ausilio dei consulenti tecnici di parte e nell’ambito di un percorso che potrà essere oggetto di sorveglianza da parte del Giudice Tutelare27. Quanto agli obiettivi dell’intervento di coordinazione si osserva come il Giudice disponente richiami per relationem quanto suggerito dal CTU28, il quale peraltro era stato chiamato ad un supplemento di consulenza, proprio al fine di monitorare la complessiva situazione familiare, sulla base di un quesito assai sintetico che chiedeva: “un controllo dell’andamento della situazione familiare dopo che è iniziato il nuovo regime della organizzazione della vita di _____” [figlia, ndr]. Assai sintetico si era mostrato anche il consulente d’ufficio, il quale si era limitato a riferire, nelle conclusioni della sua relazione integrativa, che la richiesta della madre di ampliare la frequentazione con la figlia “parrebbe finalizzata a placare ansie interne attraverso agiti nel mondo esterno”, mentre “per quanto riguarda le altre difficoltà riferite dai genitori, la loro attenuazione è collegata in gran parte a modifiche nei loro atteggiamenti nei confronti della figlia, per cui – riferisce ancora il Ctu – appoggio la proposta del Dott. ____ [ctp] di una figura che li aiuti sia a coordinarsi sulle questioni pratiche sia a intendere correttamente le verbalizzazioni della figlia”. Finisce per essere decisamente sintetico anche l’ambito dell’intervento affidato al professionista chiamato al ruolo di coordinatore, il quale dovrà offrire alla coppia genitoriale “un supporto con direttive concrete ad affrontare i problemi legati alla gestione della figlia”. All’auspicata convergenza del lavoro dei consulenti tecnici di parte è affidato il compito di definire meglio l’ambito d’intervento del coordinatore, affinché le sue funzioni possano essere dettagliatamente recepite in un accordo tra le parti.



5. Considerazioni conclusive



Si è osservato29 come nell’esperienza americana i compiti del coordinatore siano specificamente fissati in un contratto o accordo di servizio che ha proprio l’obiettivo di definirne ruolo e funzioni. Nell’esperienza italiana si pone pertanto un profilo problematico rispetto alla natura prescrittiva dell’incarico conferito con provvedimento del giudice: vale a dire se l’accesso delle parti al coordinatore debba intendersi come volontario, analogamente a quanto predicato per la mediazione familiare30, ovvero se sia possibile attribuire alla coordinazione genitoriale una funzione in qualche modo sostitutiva dei compiti di attuazione dei provvedimenti, noto anello debole del sistema di tutela giurisdizionale nelle controversie familiari31. Di qui l’opportunità che l’incarico conferito al coordinatore sia quanto più dettagliato possibile, sia esso di nomina giudiziaria, ovvero esito di accordi volontariamente assunti dalle parti. Nel caso di nomina giudiziaria esso potrà assolvere a funzioni che si sovrappongono o sostituiscono almeno in parte a quelle tipicamente attribuite all’autorità giudiziaria32: dalla funzione attuativa o esecutiva che dir si voglia, a quella decisoria rispetto alla soluzione delle controversie di cui all’art. 337-ter III co. c.c., sino alla pur controversa funzione di vigilanza attribuita dalla legge al giudice tutelare dal 337 c.c., ma anche rispetto all’intervento dei servizi del territorio33. In quest’ottica non si esclude che i servizi sociali del territorio, ove opportunamente inseriti in un percorso di adeguata formazione, possano costituire risorsa alla quale attingere ai fini di un ben più proficuo, rispetto all’attualità, compito di supporto alla genitorialità, svincolato dalla persistente pendenza di un procedimento giudiziario. Da un lato l’istituto risponde ad un’esigenza di prevenzione rispetto al possibile reiterarsi di istanze successive di modifica, ovvero di soluzione delle controversie ex art. 709-ter c.p.c., derivanti dalla incapacità delle parti di esercitare una sana condivisione della genitorialità34.

D’altro lato, in caso di nomina su accordo delle parti, si caratterizzerà marcatamente per l’autonomia del procedimento e per l’analogia con procedure alternative al contenzioso giudiziario – le c.d. ADR – e in questa direzione se ne auspica una sua più vasta ed attenta applicazione.

NOTE

1 Di estrema frammentazione dei riti della disciplina del processo della famiglia riferisce C. cecchella, in Diritto e processo nelle controversia familiari e minorili, Bologna, 2018, 109 ss.

2 Tribunale di Mantova, 5 maggio 2017, in IlFamiliarista, 13 novembre 2017, secondo il quale: “sia il Servizio Sociale incaricato dell’indagine, sia il consulente tecnico hanno potuto verificare che entrambi i genitori sono in grado di gestire singolarmente i figli e che le difficoltà nelle relazioni dipendono esclusivamente dalla mai sopita conflittualità”, di talché: “in conformità con quanto prospettato dal c.t.u., va disposto che l’andamento dei rapporti familiari venga monitorato da una figura esterna (c.d. coordinatore genitoriale o educatore professionale)”, la quale avrà il compito di “i) monitorare l’andamento dei rapporti genitori/figli, fornendo le opportune indicazioni eventualmente correttive dei comportamenti disfunzionali dei genitori, intervenendo a sostegno di essi in funzione di mediazione; ii) di coadiuvare i genitori nelle scelte formative dei figli, vigilando in particolare sulla osservanza del calendario delle visite previsto per il padre ed assumendo al riguardo le opportune decisioni (nell’interesse dei figli) in caso di disaccordo; iii) di redigere relazione informativa sull’attività svolta, da trasmettere al Giudice Tutelare [...]”.

3 Nella recente pronuncia del Tribunale di Pavia, 16 aprile 2020 in Dejure, si legge: “Il collegio ritiene preferibile evitare l’affido ai Servizi per non compromettere ulteriormente la fiducia dei minori verso i due genitori, con l’auspicio che questi ultimi, dichiaratisi provati dalla lotta che li ha contrapposti sinora e “stupiti della possibilità di dialogare”, sappiano coltivare il loro “intimo desiderio di appianare i contrasti... reinventandosi come persone capaci di relazioni affettive”.

4 Per G.B. caMerini, s. Pezzuolo, Manuale psicoforense dell’età evolutiva, Milano, 2018, 953: “le separazioni conflittuali rappresentano un fenomeno molto dannoso per la salute psicofisica sia dei genitori che dei figli minorenni e non di rado generano difficoltà relazionali tra figlio e genitori con conseguenze a distanza anche gravi, in primis, costituendo una condizione di stress cronico”.

5 caMerini, Pezzuolo, op. cit., 938.

6 M. velletti, Affidamento a terzi, in IlFamiliarista, 1 gennaio 2017.

7 V. CEDU, 5 dicembre 2019, Luzi c. Italia, in www.osservatoriofamiglia.it.

8 g.B. caMerini, r. di cori, u. saBatello, g. sergio, Manuale psicoforense

dell’età evolutiva, Milano, 2018, 925 ss.

9 CEDU, 2 novembre 2010 Piazzi c. Italia; CEDU 29 gennaio 2013, Lom-

bardo c. Italia; CEDU 17 dicembre 2013 Santilli c. Italia; CEDU, 15 settembre 2016 Giorgioni c. Italia.

10 A cominciare dalla pronuncia del Tribunale di Civitavecchia 20 maggio 2015, in Foro it., 2016, 5, I, 1655 con nota di G. casaBuri; nonché Ilfamiliarista. it, 19 settembre 2016 con nota di M. Botton.

11 F.novello,Ilcoordinatoregenitoriale:unnuovoistitutonelpanoramagiuridico italiano?, in Familia, 2018, 3, 365.

12 F. Pisano, E. giudice, La coordinazione genitoriale nel sistema italiano, in IlFamiliarista, Focus 26 novembre 2019.

13 L’acronimoèstatoresoancheinterminidiAppropriateDisputeResolution.

14 D.K. carter, S. Mazzoni, Coordinazione genitoriale. Una guida pratica per i professionisti del diritto di famiglia, Milano, 2014, 272.

15 c. Piccinelli, in La coordinazione genitoriale nella definizione delle Linee guida internazionali, in IlFamiliarista, 22 gennaio 2008, ricorda che “Negli USA, in alcuni Stati, lo strumento della coordinazione genitoriale è normato da leggi che possono prevederne l’obbligatorietà al verificarsi di determinate condizioni, quali la sussistenza dell’elevata conflittualità parentale e la motivazione del superiore interesse del minore, ma in questo caso il coordinatore non sarà investito anche dell’autorità di assumere decisioni”.

16 Citato in nota 2.

17 La particolarità del caso consiste nello scopo preventivo della misura: “la minore al momento non manifesta alcun problema perché i fattori di rischio cui è stata esposta sono stati moderati da fattori di protezione. Ciò non esclude la possibilità che nel prossimo futuro o addirittura in adolescenza non inizi a manifestare gli esiti dell’esposizione al conflitto fra i genitori”, Tribunale di Civitavecchia, cit. in nota 8.

18 Dalla Association of Family and Conciliation Courts (AFCC), Task Force on Parenting, Coordination, Guidelines for Parenting Coordination, in Family Court Review, 2006, 44, 164-181, tradotte da c. Piccinelli, in Diritto della Famiglia e dei Minori, 18 maggio 2015, http://www.ilcaso.it/articoli/800.pdf.

19 Tribunale di Pordenone, 30 maggio 2019, in IlFamiliarista, 6 novembre 2019, con nota di C. loda, caso nel quale il Tribunale ritiene necessaria la nomina di una “figura di mediazione in qualità di assistente del Giudice che supporti le parti ogni qualvolta si verifichino situazioni di contrasto nella gestione familiare”.

20 Tribunale di Milano, 29 luglio 2016, in Famiglia e Dir., 8 settembre 2017, 793, con nota di F. danovi. Nel decreto in questione si prevede che “le parti dovranno peraltro provvedere alla formalizzazione dell’incarico al coordinatore genitoriale individuato concordemente con il loro consenso entro 45 giorni dalla comunicazione del presente provvedimento”.

21 Piccinelli, in La coordinazione genitoriale, cit.

22 Pisano, giudice, op. cit.

23 Cass. civ. sez. I, ord., 5 luglio 2019, n. 18222, in www.osservatoriofamiglia.

it, https://urly.it/36nsq; in senso conforme Cassazione, I sezione, 1^ luglio 2015 n. 13506, in osservatoriofamiglia.it; https://urly.it/36nsa.

24 Tribunale di Brescia, 7 maggio 2017, in www.osservatoriofamiglia.it, https:// urly.it/36ntb.

25 Trib. Roma, sez. I, 7 maggio 2020, n. 6964, in www.osservatoriofamiglia. it, https://urly.it/36w9g.

26 Pisano, giudice, op. cit.

27 Si è parlato di un ruolo, tuttora controverso, di vigilanza attiva attribuito

dall’art. 337 c.c. al giudice tutelare, v. Tribunale di Milano, 7 giugno 2018 con nota di F. Mazzoleni, IlFamiliarista, 13 febbraio 2019.

28 È considerata una distorsione la prassi, seguita anche nel presente caso, di nomina del coordinatore su impulso del CTU, ripresa dal Giudice e fatta propria, ma coercitivamente, dalle parti, in Pisano, giudice, op. cit.

29 novello, op. cit., 368.

30 Il disegno di legge c.d. Pillon n. 735 “Norme in materia di affido condivi-

so, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”, da più parti osteggiato, aveva previsto l’obbligatorietà della mediazione familiare.

31 Sembra andare in questa direzione il recente provvedimento del Tribunale di Pavia, 16 aprile 2020, cit., nel quale il Tribunale ritiene di non disporre l’affidamento ai Servizi Sociali territorialmente competenti proprio confidando nell’attività della coordinatrice genitoriale. L’intervento adottato dal giudice pavese è assai ampio, dal momento che vien stabilito che: “La coordinatrice dovrà seguire ogni aspetto della vita dei ragazzi (es.: medico, scolastico, educativo) e intervenire nel caso in cui i genitori non trovino soluzioni condivise”.

32 Sempre nel caso citato del Tribunale di Pavia, 16 aprile 2020, la prescrittività è evidente, disponendosi che la coordinatrice genitoriale continui a seguire i genitori in sedute congiunte e individuali al fine di favorire la comunicazione e la collaborazione genitoriale; in caso di contrasti insuperabili su singole scelte, riguardanti ogni aspetto della vita dei ragazzi (es.: medico, scolastico, educativo), la coordinatrice dovrà fornire ai genitori proprie indicazioni nell’interesse dei minori affinché le parti le recepiscano o, in difetto, possano essere adottate dal giudice su istanza ex art. 709-ter c.p.c. di una delle parti stesse.

33 Tanto che il Tribunale di Bologna, 20 dicembre 2018, in Fam. Dir., 2020, 2, 159, con nota di S. caPPuccio, in un caso nel quale la nomina del coordinatore era stata suggerita dal CTU, non l’ha accolta, ritenendola inopportuna, precisando che tale figura non è prevista normativamente, e rilevando come andrebbe a sovrapporsi ai Servizi affidatari, duplicando i centri decisionali aumentando le possibilità di contrasti.

34 “La questione è particolarmente delicata quando si tratta di attuare, ed eventualmente adattare alla mutevolezza della vita, il calendario di incontri tra il genitore che non vive con il minore”; R. russo, Il coordinatore genitoriale: terzo genitore o mediatore?, in IlFamiliarista, 11 luglio 2017.