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L’attribuzione del cognome materno al figlio di genitori non coniugati, tra tradizione e (auspicabili) prospettive di riforma (nota a Trib. Napoli, decr. 27 marzo 2020)

autore: G. Piccardo

Sommario: 1. Il caso e le questioni affrontate. - 2. Il diritto al nome e all’identità personale: cenni generali e tutele. - 3. L’attribuzione del cognome al figlio di genitori non coniugati: evoluzione storica, attuale assetto normativo e principi giurisprudenziali. - 4. Gli strumenti di tutela dei diritti del minore: l’art. 709-ter c.p.c. - 5. Il disegno di legge n. 1025/2019. - 6. La pronuncia in commento nel panorama dottrinale e giurisprudenziale. - Conclusioni.



1. Il caso e le questioni affrontate



Il decreto in commento trae origine da un giudizio introdotto con ricorso ex art. 337-ter c.c., dalla madre (non coniugata) di un minore, innanzi al Tribunale di Napoli, al fine di ottenere l’adozione dei provvedimenti necessari ed opportuni affinché il padre del bambino prestasse il consenso all’aggiunta del cognome materno. La ricorrente esponeva, tra l’altro, che con ricorso depositato in data 27 giugno 2019 il Tribunale di Napoli aveva disposto l’affidamento condiviso del minore, nonché il versamento di una somma a carico del padre, a titolo di mantenimento del figlio. Nonostante con decreto del 27 maggio 2019, il Tribunale avesse modificato le modalità di visita, consentendo al padre di tenere con sé il bambino in giorni ed orari prestabiliti, il resistente si era rifiutato di svolgere un percorso di mediazione familiare, nonché, stante la forte conflittualità con la madre, di prestare il consenso all’aggiunta del cognome materno al figlio minore. Il Tribunale di Napoli, in accoglimento del ricorso, autorizzava la ricorrente a richiedere alle autorità competenti l’aggiunta del proprio cognome a quello paterno, anche in assenza di consenso da parte del padre, con dichiarazione di irripetibilità delle spese processuali.

I Giudici addivenivano alle conclusioni sopra riportate in forza della premessa secondo la quale il mutamento del cognome del minore, coinvolgendo un diritto fondamentale della persona riferito all’identità personale di ciascuno, va ricompreso tra le decisioni di maggiore interesse per le quali, nell’esercizio della responsabilità genitoriale, è necessario l’accordo di entrambi dei genitori. Tuttavia, proprio al fine di rendere concreta l’attuazione dei diritti fondamentali del figlio, in assenza di consenso da parte di un genitore all’aggiunta del cognome dell’altro, spetta al Giudice, ai sensi del disposto dell’articolo 337-ter c.c., previa valutazione, in concreto, dell’interesse del minore, adottare tutte le iniziative idonee affinché quest’ultimo possa conservare integro il diritto all’identità personale, mediante il mantenimento del cognome originario o, in alternativa, mediante l’aggiunta o la sostituzione del cognome con quello materno, in luogo di quello paterno. Nel caso in commento, siffatta valutazione positiva, è avvenuta in forza dell’età pre-adolescenziale del minore (cinque anni) e della non negativa reputazione della ricorrente, con esclusione, quindi, di conseguente pregiudizievoli per il bambino e la sussistenza dell’interesse del minore all’aggiunta del cognome materno.



2. Il diritto al nome e all’identità personale: cenni generali e tutele



Il diritto al nome assurge a diritto autonomo e giuridicamente rilevante solamente con l’entrata in vigore del codice del 1942. L’articolo 6, infatti, al primo comma enuncia con chiarezza il principio secondo cui ogni persona ha diritto al nome che le è attribuito per legge. Nel successivo comma, la citata disposizione di legge precisa che il nome è comprensivo di prenome e cognome, mentre nel terzo, ed ultimo comma, viene prevista un’esplicita riserva di legge relativamente alla possibilità ed alle modalità di cambiamento, rettifica e aggiunta del nome. Con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il diritto al nome, nell’accezione ampia di diritto al prenome ed al cognome, ha assunto, a pieno titolo, la qualifica di diritto primario della personalità che caratterizza l’individuo, rientrante nella previsione dell’articolo 2 della legge fondamentale dello Stato, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali attraverso le quali si esplica la sua personalità. Prima del 1948, la dottrina era divisa tra chi riteneva l’esistenza di un unico diritto della personalità1 e chi considerava sussistenti una pluralità di diritti della personalità fondata su una molteplicità di leggi a tutela dei diritti medesimi2 . Con riferimento al cambio di impostazione dogmatica relativamente alla questione della natura ed alla tutela dei diritti della personalità, successivamente all’entrata in vigore della Costituzione, autorevole dottrina ha osservato che si dovrebbe parlare non più di diritti, quanto di “interessi” assoluti, indisponibili ed imprescrittibili, riconosciuti ai singoli a prescindere da un espresso provvedimento legislativo che li riconosca espressamente, assimilandoli a interessi che si potrebbero definire “naturali”3 . La tutela del diritto al nome avviene, ai sensi dell’articolo 7 c.c., sotto un duplice profilo: con riferimento al diritto al suo uso esclusivo e, dunque, contro l’uso illegittimo dello stesso, nonché in relazione all’uso indebito del nome da parte di terzi. Nel primo caso, la forma di tutela consiste nell’azione di reclamo, nell’ipotesi da ultimo indicata, invece, nell’azione di usurpazione. La differenza sostanziale tra le due azioni, oltre che nella diversa finalità, consiste nel presupposto. Infatti, mentre l’azione di reclamo non richiede alcun pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale, né la malafede da parte di chi utilizza indebitamente il nome, l’azione di usurpazione può essere esperita vittoriosamente solamente nel caso in cui venga dimostrato un effettivo pregiudizio economico e morale, derivante dall’utilizzo non autorizzato del nome, da parte di soggetti terzi. Infine, si ritiene, per completezza, di dare conto della tesi di autorevole dottrina4 , secondo la quale le due azioni a tutela del nome possono essere esperite anche da chi, seppur non titolare del nome contestato o utilizzato in modo indebito, abbia necessità di tutelare interessi di natura familiare ai sensi dell’articolo 8 c.c., secondo un’accezione più ampia del diritto protetto dall’articolo 6 c.c., comprensiva delle relazioni familiari, della reputazione sociale e delle tradizioni familiari. Alle due azioni sopra citate, autorevole dottrina ne aggiunge due ulteriori, e precisamente le azioni di accertamento e di rettifica, in un’ottica di strumentalità della tutela del diritto al nome, in correlazione al più ampio diritto all’esplicazione della propria personalità5.



3. L’attribuzione del cognome al figlio di genitori non coniugati: evoluzione storica, attuale assetto normativo e principi giurisprudenziali



Il vigente sistema normativo di attribuzione del cognome deriva, storicamente, dal diritto romano, dal quale discende l’attribuzione, al figlio, del nome della gens di appartenenza del pater familias. Nei secoli successivi, seppur con sfumature diverse, tale principio si è perpetuato con l’affermazione di un sistema di attribuzione del cognome da padre a figlio primogenito maschio6 . Il suddetto principio è rimasto sostanzialmente immutato sino, almeno, all’entrata in vigore dell’attuale codice civile il quale ha mantenuto la trasmissione del cognome in linea paterna, quale regola generale, così come per il figlio nato nel matrimonio, in continuità con la tradizione sociale sino ad allora mai mutata7 . Con la riforma del diritto di famiglia del 1975, al fine di riconoscere una maggiore ed effettiva parità tra i genitori, l’assunzione del cognome paterno veniva riferito al riconoscimento contestuale di entrambi, con prevalenza, in caso contrario, della priorità del riconoscimento; fatto salvo il limite oggettivo secondo il quale nel caso in cui il riconoscimento successivo fosse stato quello del padre, il figlio maggiorenne avrebbe potuto decidere di assumere il cognome paterno, aggiungendolo o sostituendolo a quello materno. Nell’ipotesi di figlio minorenne, la valutazione circa l’interesse del minore a tale aggiunta o sostituzione era attribuita, in via esclusiva, al tribunale per i minorenni8 .

Tale assetto normativo era destinato, a seguito dell’evoluzione del costume sociale, alla repentina inadeguatezza, tanto da essere dichiarato incostituzionale, in relazione all’articolo 2 Cost., nella parte in cui non prevedeva il diritto del figlio a mantenere il cognome attribuitogli precedentemente, in aggiunta a quello del genitore che lo aveva riconosciuto per primo, ove tale cognome fosse divenuto autonomo segno distintivo di identità personale9 . Di primaria importanza è, nella sentenza, il richiamo alla relazione tra cognome e identità personale, in quanto segno di un irreversibile cambiamento di prospettiva, nell’ottica personalistica del diritto al nome, da parte della giurisprudenza costituzionale, che ne svilupperà, nel tempo, le ulteriori declinazioni. Negli anni successivi, la Corte Costituzionale è stata chiamata più volte a pronunciarsi sulla legittimità della formulazione dell’articolo 262 c.c. Con la sentenza 16 febbraio 2006 n. 6110, la Corte Costituzionale, a seguito di questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento agli articoli 2, 3 e 29 co. 2 Cost., in relazione agli articoli 143-bis, 236, 237 comma 2, 262, 299 comma 3, 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000 n. 396 (normativa in materia di stato civile, esecutiva della normativa civilistica), in relazione all’impossibilità per il figlio di acquisire un cognome diverso da quello del padre anche in caso di diverso accordo tra i genitori (coniugati), ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto relativo a questione che necessita, per la sua soluzione, di intervento del legislatore. Successivamente, il Giudice delle Leggi è stato chiamato ad intervenire in relazione ad una questione di legittimità costituzionale dell’articolo 262, comma 1, secondo periodo, sollevata con ordinanza del Tribunale di Bolzano11. La Corte Costituzionale, pur avendo dichiarato, ancora una volta, l’inammissibilità della questione sollevata, in forza della motivazione secondo la quale l’eventuale suo accoglimento avrebbe comportato un intervento manipolativo, esorbitante dai propri poteri, con la sentenza in esame non ha perso l’occasione di sollecitare un intervento del legislatore in punto attribuzione del cognome dei figli, evidenziando:

a) la necessità di adeguamento della legislazione in materia di cognome del figlio (allora) naturale, alla disciplina di diritto internazionale, e precisamente:

– all’art. 16, lettera g), della Convenzione di New York 18 dicembre 1979, ratificata con legge 14 marzo 1985 n. 132, che obbliga i firmatari a garantire la parità di diritti ai coniugi, anche con riferimento alla scelta del cognome (alla quale è seguita la Convenzione ONU dei diritti del Fanciullo del 20 novembre 1989 la quale, all’articolo 18, assicura al minore il diritto all’educazione, allo sviluppo della sua personalità e alla tutela del suo supremo interesse, come diritti autonomi ed assoluti rispetto a quello dei genitori).

– alle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa n. 1271/1995 e 1362/1998, nonché la Risoluzione 37/1978, tutte relative all’uguaglianza tra genitori con riferimento all’attribuzione del cognome ai figli12;

b) alla necessità di modificare integralmente la normativa vigente in materia di attribuzione del cognome dei figli, con unificazione dello status dei medesimi.

I richiami della Corte Costituzionale non sono rimasti del tutto inascoltati. Infatti, qualche anno dopo, e precisamente nel 2012, il legislatore ha introdotto nell’ordinamento una novella legislativa che è andata nella direzione indicata dalla Consulta, e precisamente la legge 10 dicembre 2012 n. 219, rubricata “Disposizioni in materia di riconoscimento di figli naturali” e il successivo decreto di attuazione 28 dicembre 2013 n. 154, con lo scolpo di superare la ormai anacronistica distinzione tra figli legittimi e figli naturali e dare, quindi, lo stesso status giuridico a tutti i figli, a prescindere dalla nascita all’interno o al di fuori del matrimonio13. La legge è intervenuta, tra l’altro, sul disposto dell’articolo 262 c.c., esclusivamente in relazione alla eliminazione dell’attributo “naturale” riferito ai figli, lasciando, sostanzialmente, invariato, l’impianto generale della disciplina relativa all’attribuzione del cognome ai figli, fatta eccezione per lievi e pressoché irrilevanti modifiche testuali, in forza delle quali il figlio può assumere il cognome paterno, in caso di riconoscimento successivo da parte del padre, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre. Il comma 2-bis dell’articolo 262, è il risultato dell’elaborazione del principio statuito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 145 del 2007, sopra citata, nella parte in cui attribuisce al figlio il diritto di mantenere il cognome originario, qualora sia divenuto elemento autonomo di identità personale, con possibilità di aggiungerlo, anteporlo o sostituirlo a quello del genitore che per primo lo ha riconosciuto, ovvero al cognome dei genitori, qualora entrambi lo abbiano riconosciuto. Qualora il figlio sia minorenne, secondo quanto dispone il novellato terzo comma dell’articolo 262 c.c., la decisione circa il cognome da attribuirgli spetta al Giudice, ed in particolare al Tribunale, ai sensi del novellato articolo 38 dip. att. c.c., previo ascolto del minore medesimo purché abbia compiuto gli anni 12 o, se di età inferiore, capace di discernimento, con decreto assunto secondo le disposizioni di cui agli articoli 737 ss. c.p.c. (c.d. rito camerale), reclamabile in Corte d’Appello e ricorribile in Cassazione, in quanto provvedimento che incide su diritti soggettivi inviolabili del minore14. La legge 219/2012, infine, ha modificato l’articolo 35 del d.P.R. 3 novembre 2000 n. 396, relativo alla disciplina dell’ordinamento di stato civile; attualmente, quindi, a prescindere dalla filiazione all’interno o fuori dal matrimonio, al minore deve essere attribuito un nome corrispondente al sesso, sino ad un massimo di tre nomi15. I tentativi di adeguamento della normativa in materia di cognome dei figli al contesto sociale sono proseguiti anche successivamente all’entrata in vigore della legge 219/2012 sopra citata e del successivo decreto di attuazione; nel 2014, infatti, si assiste ad un ulteriore intervento giurisprudenziale. Il riferimento è all’importante sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo c. Italia16, la quale, pur riferendosi a fattispecie relativa a filiazione all’interno del matrimonio, ha ritenuto la sussistenza della violazione del diritto al rispetto della vita privata e di discriminazione tra uomo e donna, con riferimento agli articoli 8 e 14 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, in relazione al divieto che la normativa italiana pone circa la trasmissione del cognome materno al figlio nato da coppia sposata, nonostante il diverso accordo dei genitori. Il caso trae origine dal ricorso di due coniugi italiani, genitori di una bambina alla quale avrebbero voluto attribuire il cognome materno, manifestando tale concorde volontà innanzi all’ufficiale dello stato civile del Comune; richiesta motivata ai sensi dell’articolo 262, comma 1 c.c. I coniugi vedevano respinto il loro ricorso a livello interno sulla base delle medesime motivazioni espresse dalla Corte Costituzionale con la sentenza 16 febbraio 2006 n. 6117. La CEDU, ritenendo fondate le motivazioni addotte dai ricorrenti, riconosciuto il cognome mezzo determinante di identificazione personale e di esplicazione della propria vita privata e familiare, dichiaravano la normativa italiana sull’automaticità della trasmissione del patronimico in contrasto con il diritto comunitario, in quanto non solo lesiva del diritto all’identificazione personale e della vita privata per la minore, ma anche discriminatoria nei confronti della madre, alla quale veniva (e viene tutt’ora, come si vedrà meglio infra) impedito di poter trasmettere il proprio cognome alla figlia sin dalla nascita18.

La sentenza CEDU in oggetto è particolarmente interessante, oltre che per i principi sopra riportati, anche per un profilo ulteriore, relativo alla questione inerente la fonte normativa di imposizione del patronimico ai figli19: al riguardo, la CEDU, conformemente a quanto già affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 6 febbraio 2006 n. 61, ritiene che tale regola non trovi, in realtà, fondamento in una norma di legge o, comunque, in un precetto giuridico, bensì sia desumibile dalla lettura sistematica dagli articoli 143-bis c.c. (cognome del coniuge), 262, ampiamente citato e 299 c.c. (cognome dell’adottato); orientamento opposto ritiene, invece, che la regola derivi da una consuetudine sociale consolidata20. Successivamente, con un ulteriore intervento, la Corte Costituzionale è tornata ad occuparsi, suo malgrado, della questione del cognome dei figli nati al di fuori del matrimonio, con la sentenza 21 dicembre 2016 n. 286, stante l’inadempimento del legislatore a quanto indicato dalla medesima in precedenti pronunce e dalla Corte di Strasburgo nel 200421. Con la sentenza suddetta, richiamata espressamente dal decreto del Tribunale di Napoli in commento, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale della norma che prevede l’attribuzione automatica del cognome paterno, con riferimento agli articoli 2, 3 e 29 comma 2 Cost; norma non espressamente formulata in specifiche disposizioni di legge, bensì desunta dagli articoli 237 c.c. (fatti costitutivi del possesso di stato), 262 c.c., più volte citato, 299 c.c. (cognome dell’adottato), 27 del r.d. 9 luglio 1939 n. 1238 (ordinamento dello stato civile) e 33 e 34 del d.P.R. 396/2000 (regolamento per la revisione e la semplificazione dello stato civile), nonché il divieto di attribuzione al figlio dello stesso nome del padre vivente), con adesione, quindi, alla tesi secondo la quale l’automatismo dell’attribuzione del patronimico non deriverebbe da una consuetudine consolidata nel tempo o da una tradizione storica, come già affermata negli anni ottanta del secolo scorso da autorevole dottrina, ma da principi desumibili dal diritto positivo22. La questione sottoposta all’attenzione della Consulta è molto simile a quella già oggetto di giudizio in sede CEDU, di cui si è dato conto precedentemente, tanto che la Corte Costituzionale, nel motivare la propria decisione, richiama espressamente la sentenza della Corte di Strasburgo del 2014, confermandone pienamente l’impostazione ed i principi affermati. Ancora una volta, e da ultimo proprio con questa importante decisione della Consulta, occorre rilevare che le aperture sempre maggiori ad una sostanziale revisione generale della disciplina in materia di cognome dei figli è legata ad una interpretazione più aperta della seconda parte dell’articolo 29, comma 2 Cost, con riferimento alla garanzia dell’unità familiare correlata all’uguaglianza dei coniugi, che prima di questa, più evoluta interpretazione, ha costituito lo strumento interpretativo utilizzato per limitare l’adeguamento della normativa sulla trasmissione del cognome materno ai figli al mutamento del contesto sociale23.



4. Gli strumenti di tutela dei diritti del minore: l’art. 709-ter c.p.c.



L’articolo 709-ter c.p.c. è stato introdotto nel codice di rito dall’articolo 2 della legge 8 febbraio 2006 n. 54, relativa all’affidamento condiviso dei minori e si inserisce all’interno delle tutele previste dal legislatore al fine di garantire, concretamente, in via esecutiva, l’attuazione dell’interesse del minore in relazione ai doveri nascenti dalla responsabilità genitoriale24. La norma, pertanto, va letta in combinato disposto con gli articoli 315-bis c.p.c. e 337-bis c.p.c. La disposizione prevede che in presenza di contrasti relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale, o alle modalità di affidamento del minore, il genitore, nell’interesse del figlio minore, possa rivolgersi all’autorità giudiziaria al fine di risolvere il conflitto con una pronuncia che individui misure coercitive all’adempimento, idonee a tutelare i diritti dei figli previsti dall’ordinamento. Le sanzioni previste in caso di inottemperanza ai doveri genitoriali sono l’ammonizione, il risarcimento del danno nei confronti del minore e dell’altro genitore e, infine, una sanzione amministrativa di importo variabile, a favore della Cassa delle ammende. La direzione intrapresa dal legislatore, dunque, è stata quella della c.d. esecuzione processuale indiretta, da attuare mediante un sistema di misure coercitive aventi lo scopo finale dell’induzione all’adempimento, secondo due regole processuali volte a differenziare l’attuazione del provvedimento giudiziale a tutela dell’interesse del minore dalla comune tutela esecutiva. Sotto il profilo della competenza, l’adozione dei provvedimenti ex art. 709-ter c.p.c. spetta al Giudice del procedimento pendente, e precisamente al Giudice istruttore se il procedimento si trova in fase di istruzione/trattazione; al Collegio se il procedimento si trova in fase decisionale; Giudice di appello se la causa pende in tale grado. Qualora, invece, non sia più pendente il giudizio di merito, sia perché esaurito un grado di giudizio, o perché non sia stato introdotto il grado successivo, o il provvedimento sia passato in giudicato, il legislatore sposta il baricentro degli strumenti di tutela sull’articolo 710 c.p.c., relativo al giudizio di modifica delle condizioni di separazione o divorzio, da proporre nel luogo di residenza del minore e non, come il procedimento di separazione e divorzio, nel luogo di ultima residenza dei coniugi ovvero, in mancanza, nel luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio, sempre che non si ritenga che la difficoltà di esecuzione del provvedimento del Giudice non costituisca evento sopravvenuto, come tale rientrante nella competenza del Giudice Tutelare, ex art. 337 c.c. (salvo si pensi che a quest’ultimo non possa essere affidato il compito di comminazione e applicazione delle misure coercitive di cui all’articolo 709-ter c.p.c., non potendogli attribuire il ruolo di giudice di merito, né ampi poteri attuativi dei provvedimenti giurisdizionali)25. Le regole ulteriori individuate dal secondo comma dell’articolo 709-ter c.p.c., per coerenza di sistema non possono che assumere carattere punitivo e sanzionatorio; in tale prospettiva, ciò che rileva è il mero inadempimento, a prescindere dagli elementi oggettivi e soggettivi tipici della responsabilità civile, così come individuati dall’articolo 2043 c.c. In tal senso, peraltro, è orientata sia parte autorevole della dottrina che la prevalente giurisprudenza. Inoltre, il procedimento ex art. 709 c.p.c. è autonomo, incidentale, officioso26 e successivo all’avvenuta inottemperanza al provvedimento del giudice, eventualmente reiterata. E ciò, distingue il provvedimento ex art 709-ter c.p.c. dalla tutela prevista dall’articolo 614-bis c.p.c., che rappresenta una misura preventiva volta ad evitare l’inottemperanza al provvedimento del giudice, una sorta di condanna in futuro, finalizzata ad evitare di adire l’autorità giudiziaria, ad ogni inadempienza, anche successivamente ad azione giudiziale proposta ai sensi dell’articolo 709 c.p.c.27. Circa la forma dei provvedimenti del Giudice, nei procedimenti di separazione e/o divorzio essa avrà la forma dell’ordinanza, ai sensi del quarto comma, se la causa è in fase istruttoria o di trattazione, della sentenza nel caso in cui la causa sia in fase decisionale28. Con riferimento all’impugnazione dei provvedimenti ex art. 709-ter c.p.c. la norma dispone che la stessa debba essere effettuata con le forme di legge. Tuttavia, non del tutto chiara risulta la modalità di gravame dei provvedimenti emessi dal Giudice Istruttore, stante la non reclamabilità delle ordinanze interinali del g.i. ai sensi degli articoli 708 c.p.c. e 669-terdecies29; inoltre, rimane aperta la questione della ricorribilità in Cassazione dei provvedimenti interinali che, seppur non definitivi, incidano sui diritti fondamentali della persona, in particolare del minore30. Nel caso di specie, il Tribunale ha utilizzato l’art. 709-ter per tutelare ed attuare concretamente l’interesse del minore all’attribuzione del cognome materno contro l’ingiustificato rifiuto del padre in tal senso, utilizzando la disposizione normativa in oggetto nel modo più appropriato, nell’ottica sanzionatoria e di attuazione dei diritti sopra meglio evidenziata considerato che l’attribuzione del cognome è decisione di maggiore importanza che richiede il consenso di entrambi i genitori.



5. Il disegno di legge n. 1025/2019



Il percorso di adeguamento dei principi in materia di trasmissione del cognome è ripreso, dopo un lungo intervallo, nel 2019, con la presentazione, in Senato, di un disegno di legge, da parte dei senatori Maiorino e Dessì, comunicato alla Presidenza in data 28 gennaio 201931. Nella premessa illustrativa del lavoro, i senatori proponenti, dopo aver citato espressamente la sentenza della Corte Costituzionale 21 dicembre 2016 n. 286 e della sentenza CEDU 7 gennaio 2014 Cusan e Fazzo c. Italia, danno atto, in modo esplicito dell’attuale vuoto legislativo32. In coerenza con la premessa illustrativa di cui sopra, il disegno di legge, prevede, all’articolo 1, l’aggiunta dell’articolo 143-bis c.c., secondo cui, in particolare, ciascun coniuge mantiene il proprio cognome e può trasmetterlo al proprio figlio. L’articolo 2 disciplina il caso del cognome del figlio di genitori coniugati e prevede, espressamente, che il figlio, in tal caso, assuma il cognome di uno o di entrambi i genitori, affiancati secondo l’ordine scelto dai genitori stessi, previa esibizione all’ufficiale di stato civile di un documento comprovante tale accordo, come nel sistema francese. In caso di disaccordo, il cognome del figlio è quello di entrambi i genitori, in ordine alfabetico, così come per i figli nati successivamente, purché riconosciuto contemporaneamente da entrambi. Di particolare importanza l’articolo 3, relativo alla modifica dell’articolo 262 c.c., secondo cui nel caso in cui il riconoscimento sia stato effettuato da entrambi i genitori contemporaneamente, si applica quanto previsto dall’articolo 143-bis c.c., di cui sopra. Il figlio infraquattordicenne può altresì chiedere di assumere il cognome del genitore che lo abbia riconosciuto per secondo, a prescindere dal sesso, sia aggiungendolo, sia anteponendolo, sia posponendolo a quello del genitore che per primo ha operato il riconoscimento. Infine, il successivo articolo 4 propone la modifica dell’articolo 299 c.c. nel senso di consentire all’adottato con due cognomi di indicare quale dei due intenda mantenere mentre l’articolo 5 prevede l’emanazione di un regolamento di modifica delle disposizioni in materia di stato civile, al fine di adeguare tale sistema a quanto previsto dal disegno di legge.



6. La pronuncia in commento nel panorama dottrinale e giurisprudenziale. Conclusioni



La sentenza del Tribunale di Napoli, oggetto di disamina, rappresenta l’ultimo tassello di un mosaico giurisprudenziale che nel corso del tempo è andata a colmare un profondo vuoto legislativo in tema di trasmissione del cognome materno, nonostante i diversi inviti dei massimi consessi giurisdizionali nazionali e sovranazionali, oltre che della dottrina a porre rimedio a tale situazione. Infatti, se si scorrono i repertori giurisprudenziali, senza nessuna difficoltà si troveranno contributi dottrinali e pronunce che, pur in assenza di norme giuridiche di riferimento adeguate ai tempi e conformi all’evoluzione del costume sociale, ribadiscono i principi che il Tribunale di Napoli ha, nuovamente, riproposto all’attenzione del legislatore e degli operatori del diritto33.

Peraltro, l’adeguamento della normativa italiana relativa al cognome dei figli ai principi costituzionali e di diritto sovranazionale, si rendono necessari anche al fine di addivenire ad una sua necessaria armonizzazione con la disciplina delle unioni civili (legge 20 maggio 2016 n. 76), ed in particolare con l’articolo 1, comma 10, che prevede espressamente la facoltà, per gli uniti civilmente, di poter scegliere un cognome comune, con evidente disparità di trattamento rispetto alle coppie eterosessuali. Lo scrivente, pertanto, auspica un sollecito intervento del legislatore, seppur consapevole che l’attuale momento storico non consentirà tempi di discussione e di approvazione del disegno di legge, del quale si è dato conto nei precedenti paragrafi, in tempi brevi.

NOTE

1 In questo senso, cfr. g. giaMPiccolo, La tutela giuridica della persona umana e il c.d. diritto alla riservatezza, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1958, 466; G.B. Ferri, in Rivista di diritto commerciale, 1982, I, 85.

2 Così a. di MaJo, Profili dei diritti della personalità, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1962, 69.

3 La tesi è sostenuta da F. gazzoni, Manuale di diritto privato, XIX edizione, Napoli, 2019, 179 ss., tesi assimilabile, in linea di principio, a quella riferita allanota1.Indottrina,aderisceaquestatesiancheF.astiggiano,Assunzionedel cognome paterno e valutazione dell’interesse del minore, nota a Cass. 27 febbraio 2009 n. 4819, in Famiglia e diritto, n. 8-9/2009, 793.

4 Il riferimento è a gazzoni, op cit.

5 Sul diritto al nome e sulle tutele previste dal codice civile v. in dottrina, tra i molti contributi: A. de cuPis, I diritti della personalità, Milano, 1982; C.M. Bianca, Diritto civile, 1, La norma giuridica. I soggetti, Milano, 2002, 190; M.C. caMPagnoli, Diritto al nome, in Responsabilità civile. Principi generali e situazioni protette, in Trattato, diretto da P. cendon, vol. I, Torino, 2017, 613 ss.; gazzoni, op. cit.; circa le azioni di accertamento e rettifica v. G. alPa, A. ansaldo, Le persone fisiche, in Commentario al codice civile, fondato da A. cicu e F. Messineo e continuato da P. schlesinger, sub. Artt. 1-10, Milano, 1996.

6 Per una breve, ma efficace ricostruzione storica dall’angolo visuale dei principi di fondo patriarcali dell’attribuzione del cognome per motivi, essenzialmente, patrimoniali, v. V. carBone, I conflitti sul cognome del minore in carenza di un intervento legislativo e l’emergere del diritto all’identità personale, in Famiglia e diritto, 2006, 5, 477; A. Beccu, Il cognome del figlio naturale dinanzi alla Corte Costituzionale, fra istanze di uguaglianza e prospettive di riforme, nota a Corte Cost. 27 aprile 2007, n. 145, in Famiglia, Persone e Successioni, 2008, 107 ss.

7 L’articolo 262, comma 1 c.c., nella versione originaria, prevedeva, infatti, che “Il figlio naturale assume il cognome che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio naturale assume il cognome del padre”.

8 L’articolo 262, comma 2 c.c., nella versione post riforma del diritto di famiglia, era il seguente: “Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente all’attribuzione del cognome da parte della madre, il figlio naturale può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre”. Il successivo comma 4, era, invece, il seguente: “Nel caso di minore età del figlio, il giudice decide circa l’assunzione del cognome del padre”.

9 Corte Cost. 18 luglio 1996 n. 297, in Giurisprudenza Costituzionale, 1996, 2475.

10 La sentenza è reperibile in Giustizia civile, 2006, 6, 1124.

11 Corte Cost. 27 aprile 2007 n. 145, pubblicata, tra l’altro, in Famiglia, Per-

sone e Successioni, 2008, 107 ss.

12 Alle fonti sovranazionali citate si è aggiunto a il Trattato di Lisbona del 11 dicembre 2009 che, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea afferma il diritto alla “non discriminazione fondata in particolare sul sesso” (art. 21).

13 I contributi dottrinali di commento della legge 10 dicembre 2012 n. 219 e del successivo regolamento di attuazione sono molto numerosi e variegati: senza pretesa di esaustività, si veda: C.M. Bianca (a cura di), La riforma del diritto alla filiazione, in Le Nuove leggi civili commentate, 2013, 437 ss.; C.M Bianca, Diritto civile 2.1., La famiglia, 4 ed., Milano, 2014, 325 ss.; M. dossetti, M. Moretti, C. Moretti, La riforma della filiazione. Aspetti personali, successori e processuali. L. 10 dicembre 2012 n. 219, Bologna, 2013; R. rossi, Filiazione: cosa cambia, collana Officina del diritto. Il civilista, Milano, 2014; A. Figone, La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale, Torino, 2014; G. Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, VI edizione, Torino, 2014; A. Palazzo, La filiazione, in Trattato di diritto civile e commerciale, II ed., fondato da A. cicu e F. Messineo e continuato da P. schlesinger, Milano 2013; G.F. Basini, La filiazione fuori del matrimonio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, Torino, 2016, 3555; M. dogliotti, Nuova filiazione: la delega al governo, in Famiglia e diritto, 2013, 3, 251; G. Ferrando, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali, in Corriere Giuridico, 2013, 525; B. de FiliPPis, La nuova legge sulla filiazione: una prima lettura, in Famiglia e Diritto, 2013, 3, 291; F. toMMaseo, La nuova legge sulla filiazione: i profili processuali, in Famiglia e Diritto, 2013, 3, 251; A. graziosi, Una buona novella di fine legislatura: tutti i “figli” hanno eguali diritti, dinnanzi al tribunale ordinario, in Famiglia e Diritto, 2013, 3, 363; F. danovi, Nobili intenti e tecniche approssimative nei nuovi procedimenti per i figli (non più) naturali, in Corriere Giuridico, 2013, 4, 537; M. sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Famiglia e Diritto, 2013, 3, 231; V. carBone, Riforma della famiglia; considerazioni introduttive, in Famiglia e Diritto, 2013, 225; G. e M. Finocchiaro, La nuova legge sul riconoscimento dei figli naturali completa l’equiparazione personale e patrimoniale, in Guida al diritto, 2013, 5, 42 ss.; L. lenti, La sedicente riforma della filiazione, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2013, 4, 301; G. casaBuri, La disciplina della filiazione: gli obiettivi e le prospettive (specie inaspettate) future, in Corriere del merito, 2013, 8-9, 2017; M. triMarchi, Il cognome dei figli; un’occasione perduta della riforma, in Famiglia e Diritto, 2013, 3, 243.

14 In questo senso, ex multis, v. Cass. 5 febbraio 2008 n 2751, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2008, 9, I, 1070, annotata da G. villani; Cass. 27 giugno 2013 n. 16271, in Famiglia e Diritto, 2013, 10, 924, secondo cui “In tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio naturale riconosciuto non contestualmente dai genitori, poiché i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, la scelta del giudice non può essere condizionata né dal favor per il patronimico, né dall’esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall’art. 262, che presiedono all’attribuzione del cognome al figlio legittimo”.

15 “Art. 35 Nome Il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso e può essere composto da uno o da più elementi onomastici, anche separati, non superiori a tre. In quest’ultimo caso, tutti gli elementi del prenome dovranno essere riportati negli estratti e nei certificati rilasciati dall’ufficiale dello stato civile e dall’ufficiale di anagrafe”.

16 La sentenza è pubblicata, tra l’altro, in Famiglia e Diritto, 2014, 3, 205, con nota di V. carBone; in La Nuova giurisprudenza civile commentata, 2014, I, 515, con nota di S. winKler.

17 V. nota n. 10.

18 La sentenza richiama la propria giurisprudenza consolidata in punto

identità personale e attribuzione di nome e cognome; v. in particolare, di recente, ex plurimis: Corte Eur. Dr. Uomo 6 maggio 2008, ric. 31745/02, HeideckerTiemann v. Germania; Corte Eur. Dr. Uomo 21 ottobre 2008, ric. 37483/02, Guzel Erdagoz v. Turchia; sull’importanza del cognome quale segno distintivo dell’identità del soggetto, v. Corte Eur. Dr. Uomo 1 luglio 2008, ric. 44378/05, Daroczy v. Ungheria; Corte Eur. tutte reperibili sul sito http://hudoc.echr.coe.int.

19 V. nota n. 10.

20 In dottrina, per la tesi che ritiene la trasmissione del patronimico desumibile dal sistema normativo v. de cuPis, op. cit.; tesi avallata, come si vedrà meglio oltre, dalla Corte Costituzionale con la sentenza 21 dicembre 2016 n. 286; in senso contrario, per la tesi della derivazione consuetudinaria dell’attribuzione del cognome paterno v. F.R. Fantetti, Nessuna automaticità o privilegio al patronimico, in Famiglia, Persone e Successioni, 2012, 179 ss., nota a Cass. 15 dicembre 2011 n. 27069.

21 Pubblicata, tra l’altro, in Il Corriere Giuridico, 207, 2, 165, con nota di V. carBone; in Famiglia e Diritto, 2017, 3, 213, con nota di E. al Mureden.

22 Circa il dibattito in relazione alla natura dell’attribuzione del cognome paterno v. in particolare nota n. 21; per la tesi avallata dalla Consulta v. in dottrina, de cuPis, op cit. alle note n. 5 e n. 21.

23 É necessario rilevare che la riforma della filiazione di cui alla legge 28 dicembre 2012 n. 219, sarebbe stata una occasione appropriata per procedere ad una revisione complessiva della disciplina della materia, ma ciò non è avvenuto, come rilevato in dottrina (v. in particolare, in senso critico M. triMarchi, Il cognome dei figli; un’occasione perduta della riforma, cit. A tale critica lo scrivente aderisce pienamente evidenziando che, ancora una volta, la giurisprudenza ha dovuto colmare i vuoti normativi che l’inezia del legislatore ha creato (e continua a creare).

24 La bibliografia relativa all’articolo 709-ter c.p.c. è molto vasta. Senza pretesa di esaustività, si segnala, in dottrina: A. graziosi, L’esecuzione forzata dei provvedimenti in materia di famiglia, in Diritto processuale della famiglia, Torino, 2016; F. danovi, in Trattato di diritto di famiglia, a cura di G. Bonilini, vol. III, Torino, 2016, 3191; F.P. luiso, Diritto processuale civile, IX ed., IV, Milano, 2017; C. cecchella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, Bologna, 2018; M.A. luPoi, sub. art. 709-ter c.p.c., in Commentario al codice di procedura civile, a cura di F. carPi, M. taruFFo, IX ed., Padova, 2018, 2841; R. donzelli, I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709-ter c.p.c., Torino, 2018; B. Ficcarelli, Misure coercitive e diritto-dovere di visita del genitore non collocatario, in Famiglia e Diritto, 2020, 4, 335, nota a Cass. 6 marzo 2020 n. 6471; E. vullo, in Commentario breve al diritto di famiglia, collana Breviaria Iuris fondato da G. cian, A. traBucchi, a cura di A. zaccaria, sub. Art. 709-ter, Milano, 2020; Per la dottrina meno recente, si veda: M. Paladini, Misure sanzionatorie e preventive per l’attuazione dei provvedimenti riguardo ai figli, tra responsabilità civile, punitive damages e astreinte, in Famiglia e Diritto, 2012, 853; M. sesta (a cura di), La responsabilità nelle relazioni familiari, Torino, 2008; A. carratta, sub art. 709ter c.p.c., in Le recenti riforme del processo civile, diretto da S. chiarloni, II ed., Bologna, 2007; M. dogliotti, La separazione giudiziale, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, G. cattaneo, Il diritto di famiglia, Torino, 2007, 1. Famiglia e matrimonio; G. oBerto, I rimedi dell’inadempimento degli obblighi di mantenimento nell’ambito della crisi della famiglia, in Famiglia e Diritto, 2008, 77; G. contiero, L’affidamento dei minori, Milano, 2009; G. Ferrando, M. Fortino, F. ruscello, Famiglia e matrimonio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. zatti, II ed., I, 2, Milano, 2011, 1861; B. de FiliPPis, Separazione e divorzio, Milano, 2015.

25 Così cecchella, op. cit. alla nota n. 26.

26 In senso difforme, tuttavia, in dottrina, v. graziosi, op. cit. nota n. 26; parzialmente contrari, F. toMMaseo, Le nuove sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, in Famiglia e Diritto, 2006, 190; M.A. luPoi, Aspetti processuali della normativa sull’affidamento condiviso, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2006, 1063, i quali limitano all’intervento d’ufficio del Giudice ai casi indicati nei numeri da 1 a 4.

27 Al riguardo si segnala, incidentalmente, per l’interesse dell’argomento e per la recentissima sentenza Cass. 6 marzo 2020 n. 6471, pubblicata in Famiglia e Diritto, 2020, 4, con nota di B. Ficcarelli, op cit. alla nota n. 26, alla quale si rimanda per gli ampi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, che discostandosi dall’orientamento nettamente consolidato in dottrina e giurisprudenza ritiene insuscettibile di coercibilità indiretta la mancata ottemperanza al diritto di visita da parte del genitore, trattandosi di un potere-dovere non rientrante negli obblighi coercibili con lo strumento dell’articolo 709-ter c.p.c., delineando una sorta di regime autonomo del diritto di famiglia rispetto al sistema delle tutele esecutive previste dal codice di rito. Si segnala, in dottrina, la tesi di E. vullo, Commentario al codice di procedura civile, diretto da C. consolo, sub. art. 614-bis c.p.c., VI ed., Milano, 2018, il quale ritiene cumulabile le tutele ex art. 709-ter n. 2-3 c.p.c. e ex art. 614-bis c.p.c., pronunciata ab origine al fine dell’esecuzione del provvedimento di condanna, con riferimento al quale è stata instaurata una controversia ex art. 709-ter c.p.c.

28 In assenza di indicazioni normative specifiche, la giurisprudenza prevalente, sul punto, è consolidata nel senso indicato nel testo; v. ex multis, Trib. Pisa 19 dicembre 2007, in Foro Italiano, 2008, I, 1689; Trib. Modena 29 gennaio 2007, in Famiglia e Diritto, 2009, 47; in dottrina, tra gli altri: carratta, op. cit. alla nota 26; G. casaBuri, La nuova legge sull’affidamento condiviso (ovvero, forse: tanto rumore per nulla), in Il Corriere del merito, 2006, 572; Poliseno, op. cit., nota 30.

29 Il reclamo ex art. 708 c.p.c. è ammesso da autorevole dottrina; v. graziosi, op. cit., nota 26; R. danovi, Le misure sanzionatorie a tutela dell’affidamento (art. 709-ter c.p.c.), in Rivista di diritto e procedura civile, 2008, 614; non si sono rinvenuti precedenti giurisprudenziali favorevoli alla tesi.

30 Per la tesi favorevole, in giurisprudenza, v. Cass. 8 agosto 2013 n. 18977, reperibile in Il diritto della famiglia e delle persone, 2014, 137; Cass. 25 febbraio 2015 n. 3810, in Giurisprudenza Italiana, 2015, I, 1, 2859; in senso contrario v. Cass. 22 ottobre 2010 n. 21718, in Famiglia e diritto, 2011, con nota di F. astiggiano.

31 Il disegno di legge è reperibile sul sito /http://www.senato.it/service/PDF/ PDFServer/DF/342820.pdf.

32 L’ultimo disegno di legge presentato alle Camere è stato il numero 1230 del 8 gennaio 2014 e non ha mai terminato il proprio iter parlamentare, a seguito della fine della XVII legislatura. La circolare citata nel disegno di legge attualmente giacente in Senato, recepisce le indicazioni espresse della Corte Costituzionale nella più volte citata sentenza n. 286/2016, consentendo l’aggiunta del cognome materno a quello paterno, al figlio nato al di fuori del matrimonio, con l’accordo di entrambi i genitori. La circolare è reperibile sul sito https://dait. interno.gov.it/servizi-demografici/circolari/circolare-n1-del-19-gennaio-2017.

33 Tra le sentenze più significative, in continuità con l’orientamento della sentenza in commento, si citano: Cass. 22 settembre 2008 n. 22934, Corte. Giust. Grande Sezione, 14 ottobre 2008 n. C-353/06 e C.A. Palermo, decr. 14 novembre 2008, tutte pubblicate in Il Corriere Giuridico, 2009, 4, 489 con nota di G. autorino stanzione, R. conti; Cass. 15 dicembre 2011 n. 27069, pubblicata in Famiglia, persone e successioni, 2012, 179 ss., con nota di F.R. Fantetti; Cass. 26 maggio 2006 e Cass. 17 aprile 2006 n. 16093, entrambe pubblicate in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2007, I, 308, con nota di R. villani; Cass. 5 febbraio 2008 n. 2751, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2008, I, 1070; Trib. Lucca 1 ottobre 1984, in Giustizia civile, 1985, I, 1878; App. Milano 4 giugno 2002, in Famiglia e diritto, 2003, 175, con nota di A. Figone. Infine, si ricordano Cass. 20 settembre 1997 n. 9339, in Famiglia e Diritto, 1998, 2, 180; Cass. 18 giugno 2015 n. 12640, in Famiglia e Diritto, 2015, 12, 1098; Cass. 16 gennaio 2020 n. 772, in Quotidiano giuridico, 2020 (queste ultime tre pronunce sono espressamente richiamate dal Tribunale di Napoli nella sentenza in commento). In dottrina, oltre agli autori ed ai contributi citati nella precedente nota e nelle note 13 e 26, v. citati nella precedente nota, nella nota 13 e nella nota 26, si segnalano, altresì: M. costanza, Filiazione. Filiazione naturale, in Enciclopedia del diritto, XIV, Roma, 1989, 6; G. Ferrando, Il rapporto di filiazione naturale, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, G. cattaneo, vol. III, Torino, 1997, 98-99; V. carBone, Sub art. 262, in Commentario del codice civile, diretto da E. gaBrielli, Della Famiglia, a cura di L. Balestra, Torino, 2010.