inserisci una o più parole da cercare nel sito
ricerca avanzata - azzera

Domanda di modifica delle condizioni di separazione in pendenza di divorzio (nota a Cass. Civ., Sez. I, sent., 23 ottobre 2019, n. 27205)

autore: G. Vecchio

In pendenza di un giudizio di divorzio una parte promuove un autonomo giudizio di modifica delle condizioni di separazione chiedendo la cessazione dell’assegno di mantenimento al coniuge e la riduzione per quello del figlio minorenne. Il giudice di primo grado dichiarava il ricorso inammissibile, in virtù del fatto che nel giudizio di divorzio, precedentemente instaurato dalla controparte, erano state proposte le stesse domande in ordine ai criteri di mantenimento sia del coniuge che del figlio, domande precluse in base al principio del ne bis in idem. Impugnata la decisione davanti la Corte d’appello, quest’ultima rigettava il reclamo confermando la motivazione del giudice di primo grado. Il tema trattato nella sentenza in commento riguarda i rapporti tra giudizio di separazione e divorzio ed in particolare alla “durata” dell’assegno di mantenimento nella separazione laddove sia introdotto il giudizio di divorzio. La problematica nasce dal fatto che verrebbe da pensare, anche istintivamente, che introdotto il giudizio di divorzio venga meno l’interesse a introdurre e/o proseguire il giudizio in cui si sta discutendo della debenza o del quantum dell’assegno di mantenimento concesso in sede di giudizio di separazione. È infatti comunemente riconosciuto che con l’introduzione del giudizio di divorzio non vi potrebbe più ricorrere o perseguire il giudizio ex art. 710 c.p.c. in quanto l’ordinanza presidenziale (del giudizio di divorzio) risolverebbe a monte la problematica1 . Giustamente però si osservava2 come occorresse fare delle distinzioni in quanto i provvedimenti presidenziali nel processo di divorzio incidono anche sugli interessi dei minori con precetti in ordine all’affidamento ed al diritto di visita. In quest’ultimo caso nulla questio; radicato il giudizio di divorzio a questo giudice spetta in modo esclusivo la competenza a decidere dei provvedimenti relativi ai figli minori anche se pendente tra le stesse parti un giudizio ex art. 710 c.p.c. avente ad oggetto la richiesta di modifica proprio delle disposizioni dei minori. Piuttosto, in questo particolare caso, si è disquisito in giurisprudenza in ordine alle conseguenze che dal punto di vista processuale si avrebbero sul pendente giudizio di modifica delle condizioni di separazione; per cui da un lato è stata sostenuta la tesi della necessità di una pronuncia di inammissibilità3 del giudizio ex art. 710 c.p.c., ovvero di cessazione della materia del contendere4 , e dall’altro invece si è ricorso al meccanismo del regime di connessione ex art. 40 c.p.c. (in particolare art. 40, comma 3, c.p.c. con prevalenza del rito ordinario su quello speciale5 ), ovvero della riunione ex art. 273 e 274 c.p.c.6 . In relazione invece ai rapporti patrimoniali tra i coniugi la soluzione non può essere la stessa dei provvedimenti relativi alla prole in quanto tra assegno di mantenimento ed assegno divorzile vi è una diversità proprio dal punto di vista di normativa sostanziale. Mentre l’assegno di mantenimento nella separazione è disciplinato dall’art. 158 c.c. e mira a mantenere, in favore del coniuge più debole economicamente, lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio, per l’assegno divorzile si applica l’art. 5, comma 6, della legge 898/70 con i criteri oggi stabiliti alla luce della ormai arcinota sentenza della Corte di Cassazione sez. Unite 18287/2018. La ripercussione dal punto di vista processuale di tale differenza fa sì che tra la domanda di modifica delle condizioni della separazione ex art. 710 c.p.c. e la domanda di divorzio vi sia una diversità di oggetto e causa petendi7 . Interviene con la sentenza in commento la Suprema Corte che stabilisce l’ammissibilità, nel corso del giudizio di divorzio, della domanda di modifica delle condizioni della separazione (relativa all’assegno di mantenimento del coniuge8 ), la cui debenza trova il proprio limite temporale nel passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, la quale fa venir meno il vincolo matrimoniale che è il presupposto separativo. Pertanto la proposizione della domanda di modifica delle condizioni della separazione personale dei coniugi è ammissibile anche qualora risulti pendente il giudizio di divorzio, a meno che il giudice del divorzio non abbia adottato provvedimenti temporanei e urgenti nella fase presidenziale o istruttoria9 . Questa sentenza, che vede comunque dei precedenti altre pronunce della Suprema Corte10, cerca di fare chiarezza su un tema molto delicato proprio dal punto di vista processuale in ordine ai rapporti tra statuizioni del giudizio di separazione e la instaurazione, del giudizio di divorzio11.

Nel caso di specie sia il Tribunale prima, ed in sede di impugnazione innanzi alla Corte d’Appello poi, avevano dichiarato il ricorso (ex art. 710 c.p.c.) inammissibile, in base al principio del ne bis in idem, rilevando che pendeva tra le parti il giudizio di divorzio, nel quale entrambe le parti avevano comunque proposto le medesime richieste12. Nella sentenza in commento i giudici danno come ius receptum l’ammissibilità, nel corso del giudizio di divorzio, della proposizione della domanda di modifica delle condizioni della separazione. Infatti la sentenza di divorzio (definitiva o non definitiva che sia), operando ex nunc, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale che sia iniziato anteriormente e sia tuttora in corso, ove esista l’interesse di una delle parti all’operatività della pronuncia di separazione e dei conseguenti provvedimenti patrimoniali. Unico caso in cui la domanda di modifica delle condizioni della separazione debba ritenersi preclusa, in pendenza del giudizio di divorzio, dal divieto del ne bis in idem, sarebbe quello in cui si richiedano entrambi gli assegni (di mantenimento e divorzile in favore del coniuge) per lo stesso periodo, ovviamente sempre che il giudice del divorzio non abbia provveduto diversamente, adottando provvedimenti temporanei ed urgenti nella fase presidenziale o istruttoria nel quale caso vi sarebbe una impropria sovrapposizione tra provvedimenti incompatibili riguardanti lo stesso periodo temporale, seppure a titolo diverso. Si segnala sul punto un’altra sentenza13 della Suprema Corte secondo cui i mutamenti reddittuali verificatisi in pendenza del giudizio di divorzio resterebbero oggetto di valutazione del giudice investito della domanda di modifica delle condizioni di separazione, essendo queste ultime destinate alla perdurante vigenza fino all’introduzione di un nuovo regolamento patrimoniale per effetto della sentenza di divorzio. Ci si è posti il problema del rapporto tra il procedimento di modifica ed il giudizio di divorzio, ai fini di una eventuale attrazione tra gli stessi. Per la giurisprudenza tra il giudizio di divorzio e quello di modifica delle condizioni della separazione personale, pendenti dinanzi a giudici diversi, non ricorrerebbero i requisiti dell’identità di petitum e di causa petendi che costituiscono, insieme con l’identità dei soggetti, presupposti indispensabili perché possa ravvisarsi l’identità di causa ai sensi dell’art. 39 c.p.c.14. Si tratta, per contro, di procedimenti del tutto autonomi, sia per la diversa struttura, finalità e natura dell’assegno di divorzio rispetto a quella di separazione, sia perché per effetto della pronunzia di divorzio perde efficacia il regolamento economico stabilito in sede di separazione. Si trova però un precedente giurisprudenziale apparentemente opposto secondo cui è stata ritenuta ammissibile nell’ambito del processo di divorzio la domanda riconvenzionale volta ad ottenere da parte del coniuge l’adeguamento dell’assegno di separazione e questo proprio per garantire il simultaneus processus innanzi allo stesso giudice per la definizione di questioni patrimoniali indubbiamente connesse15, con l’unico limite naturale del divieto di duplicazione dei due assegni e di preclusione della revisione dell’assegno di separazione ove l’ordinanza presidenziale o del giudice istruttore di cui alla l. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4, comma 8, contenga già disposizioni sui rapporti economici tra i coniugi. Nemmeno la mancata proposizione della domanda di determinazione dell’assegno divorzile comporta infatti la rinuncia al riconoscimento dell’assegno di mantenimento, trattandosi di emolumenti ben distinti per finalità e presupposti, nonché dovuti, rispettivamente, per il periodo anteriore e per quello successivo alla cessazione del vincolo coniugale. Anche la riunione dei procedimenti uno sulla domanda di revisione dell’assegno di separazione coeva e l’altra di divorzio non trova applicazione16. Si tratta infatti di procedimenti con caratteri e finalità diverse, nonché distinzioni anche temporali: si ripete quanto detto sopra e cioè che il regime della modifica di condizioni verrà meno con la pronuncia di divorzio. La pronuncia di scioglimento del matrimonio, operando ex nunc, al momento del passaggio in giudicato, non comporta la cessazione dalla materia del contendere nel giudizio di modifica delle condizioni della separazione iniziato anteriormente e tuttora pendente, ove ne permanga l’interesse di una delle parti. Non si deve dimenticare che è astrattamente configurabile l’interesse di una delle parti all’operatività della pronuncia di separazione e dei conseguenti provvedimenti patrimoniali, il cui limite temporale di efficacia è rappresentato proprio dal passaggio in giudicato della sentenza che determina il venir meno del vincolo coniugale17. Tale principio, costantemente ribadito da questa Corte, trova applicazione anche all’assegno dovuto per il mantenimento del coniuge, essendo il relativo obbligo destinato a cessare, in assenza di circostanze sopravvenute, soltanto a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, dal quale decorre l’obbligo di corrispondere l’eventuale assegno divorzile, salvo che, nell’esercizio del potere discrezionale attribuitogli dalla l. n. 898 del 1970, art. 4, comma 13 il tribunale non disponga che tale obbligo produca effetti fin dal momento della proposizione della domanda18. Alla luce di tali indicazioni giurisprudenziali e seguendo il dettato normativo l’assegno di mantenimento della separazione è destinato a produrre effetto dalla data di proposizione della domanda di separazione e fino a quella del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, salvo l’eccezione di cui al comma 13 dell’art. 4 della legge 898/70; pertanto in questo arco temporale vi è astrattamente interesse a che una parte possa promuovere una azione volta alla modifica delle condizioni di separazione.

NOTE

1 Su tutti F. toMMaseo, La disciplina processuale del divorzio, in G. Bonilini, F. toMMaseo, Lo scioglimento del matrimonio, in Commentario Schlesinger, II, Milano, 2004, 389; Cipriani, La nuova disciplina processuale, in F. ciPriani, E. Quadri, La nuova legge sul divorzio, II, Napoli, 1988, 279.

2 E. de roMa, art. 710 c.p.c., in Codice della famiglia, a cura di A. zaccaria, Milano, 2020, 2688.

3 Trib. Napoli, 29 ottobre 2004, G. Nap. 04, 464.

4 B. de FiliPPis, G. casaBuri, Separazione e divorzio nella dottrina e

giurisprudenza, III, Padova, 2007, 510.

5 G. de Marzo, C. cortesi, A. liuzzi, La tutela del coniuge e della prole nella crisi familiare, Milano, 2007, 270.

6 E. vullo, art. 710 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, a cura di C. consolo, Milano, 2010, 1112.

7 Ibidem.

8 Questo perché si ritiene in modo pacifico che una volta promossa domanda

di divorzio, questo giudice sia l’unico competente ad assumere i provvedimenti sulla prole, anche se già pendente giudizio di revisione ex art. 710 c.p.c. (Cass. 19 luglio 1982 n. 4238 DEP 1983, 5). Differenze si ravvisano poi sulle modalità con cui si arriva q questo risultato ed infatti si passa dalla dichiarazione di inammissibilità del procedimento ex art. 710.c.p.c., o di cessazione della materia del contendere, alla disciplina della connessione ex art. 40 c.p.c., o della riunione ex artt. 273 e 274 c.p.c., ed infine per la regola sulla continenza ex art. 39 c.p.c. Sulla ricostruzione vullo, art. 710 c.p.c, cit., 1112.

9 Così anche successivamente Cass. civ. se. I, 27 marzo 2020, n. 7547.

10 Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2017, n. 5062; Cass. civ., sez. VI, 22 luglio 2013, n. 17825; Cass. civ., sez. I, 28 ottobre 2015, n. 21091.

11 Ovviamente in relazione anche alla normativa sul divorzio breve, dove si segnala il commento F. danovi, Al via il “divorzio breve”: tempi ridotti ma manca il coordinamento con la separazione, in Famiglia e Diritto, 2015, 6, 607, secondo cui la riduzione dei termini tra separazione e divorzio comporterà nella prassi una sensibile erosione (se non una pressoché integrale elisione) dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione. Ed invero, anche se l’art. 710 c.p.c. non viene direttamente inciso dalla riforma, e con esso rimane pertanto astrattamente sempre ammissibile la proposizione della domanda di modifica delle condizioni della separazione, all’atto pratico le tempistiche particolarmente ridotte per il divorzio finiranno per ridurre la possibilità di utilizzo del procedimento di modifica a quei casi in cui nessuno dei coniugi intenda addivenire allo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

12 Incorrendo in una errata interpretazione di altra sentenza Cass. civ., sez. I, 10 dicembre 2008, n. 28990, in Famiglia e Diritto, 2009, 694 che appunto disponeva per l’inammissibilità per violazione del principio del ne bis in idem della domanda di modifica, ma per il semplice fatto che nel caso di specie si richiedevano entrambi gli assegni (di mantenimento e divorzile in favore del coniuge) per lo stesso periodo.

13 Cass. civ., sez. I, sent., 8 febbraio 2012, n. 1779.

14 Diversamente da quanto previsto per i provvedimenti relativi alla prole

come da nota 1.

15 Cass. 24 agosto 1994 n. 7488 in GC, I, 2753. Per Cass. civ., sez. I, sent. (ud. 24 maggio 2011) 22 luglio 2011, n. 16127 tale fattispecie si verifica anche se il coniuge, che tale adeguamento richiede, non si opponga alla pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e richieda, contestualmente, la corresponsione dell’assegno di divorzio ai sensi della l. n. 898 del 1970, art. 5 e sempre che non si richieda, per lo stesso periodo, la concessione di entrambi gli assegni.

16 Cass. civ. sez. VI-1, ord. (ud. 7 ottobre 2014) 9 febbraio 2015, n. 2437; Cass. 17825/2013.

17 Cass., sez. I, 26 agosto 2013, n. 19555; 28 ottobre 2005, n. 21091; Cass., sez. 6, 22 luglio 2013, n. 17825.

18 Cass. civ., sez. I, sent. (ud. 1 dicembre 2016) 28 febbraio 2017, n. 5062.