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Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità: il bilanciamento tra favor veritatis e interesse del figlio (nota a Cass. Civ., Sez. I, ord., 24 febbraio 2020, n. 4791)

autore: M. Labriola

Benché, a prima vista, la pronuncia in commento sembri focalizzarsi sul bilanciamento tra interesse del minore e favor veritatis, si cela, tra le righe, anche il superamento delle tutele differenziate tra i figli definiti – ante riforma – “legittimi” e “naturali”. Da molto tempo, la giurisprudenza si andava interrogando sulla possibilità di eliminare la disuguaglianza, nelle azioni di status, tra figli nati fuori dal matrimonio e quelli matrimoniali. Con la approvazione della legge 10 dicembre 2012, n. 2191 , sembrava tutto risolto, tuttavia, su alcune questioni non irrilevanti, lo iato tra le due condizioni di figlio – naturale e legittimo – è rimasto2 .

Nel tentativo di superare le diversità che emergevano tra l’istituto del “disconoscimento di paternità” e quello di “azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità”3 , in passato, si è fatto, più di una volta, ricorso alla Corte Cost.4 che, però, sino a pochi anni fa, rigettava, con riferimento agli art. 2, 3, 30 e 31 cost., la q.l.c. dell’art. 263 c.c.5 sul presupposto che non vi fosse conflitto tra “favor veritatis e favor minoris”, in ragione del fatto che la verità dovesse sempre costituire “l’essenza stessa dell’interesse del minore, quale inviolabile diritto alla sua identità”, così individuando altri rimedi, quali l’adozione in casi particolari, per correre ai ripari di un cambio di status emotivamente destabilizzante. Di contro, a tutela del figlio legittimo, per evitare di turbare l’inviolabilità della famiglia matrimoniale, la giurisprudenza si è sempre uniformata ed è costantemente prevalso l’interesse del minore rispetto a quello alla verità, il c.d. favor legitimitatis6 . I profili di incostituzionalità, prima della riforma n. 154/2013, avevano il loro fondamento nella imprescrittibilità dell’azione d’impugnazione per difetto di veridicità a fronte dei termini prescrizionali previsti, nel caso di disconoscimento, per il figlio nato all’interno del matrimonio. Questa evidente disuguaglianza, ancorché la giurisprudenza avesse continuato a sostenere che il figlio “naturale” avesse un prevalente diritto a conoscere le proprie origini, emergeva, ancor più, atteso che il figlio “legittimo” aveva un prevalente diritto a mantenere un legame col padre o con la madre con cui aveva vissuto, dominando, così, la validità di una composizione familiare normocostituita. Solo il recente intervento della Corte delle leggi7 riusciva a mettere in risalto quanto l’essere nato come figlio naturale non potesse autorizzare una disparità di trattamento col figlio legittimo. Certo gli istituti sono rimasti separati sotto il profilo normativo nel senso che, per il figlio matrimoniale, l’automatismo della legittimità è legato alla unione coniugale – tanto che una delle ipotesi di legittimazione in precedenza era il matrimonio celebrato dopo la nascita – per il figlio non matrimoniale, la legittimazione avviene per effetto di una attività amministrativa operata, dopo la nascita, da parte del padre o della madre, con il riconoscimento.4

Ancora, sino a pochi anni fa, la S.C.8 ribadiva come l’interpretazione corretta delle norme sui disconoscimenti di paternità, conformemente alla previsione dell’art. 30 cost., andasse nel senso di prediligere i valori inerenti alla certezza e alla stabilità degli status, privilegiando la paternità legale rispetto a quella naturale. Infatti, la S.C.9 , sulla scia degli arresti antecedenti della Corte cost., continuava a sostenere come il “favor veritatis” – nel caso dei figli naturali – non si ponesse in conflitto con quello del “favor minoris”, nel senso che la verità biologica della procreazione costituiva una componente essenziale dell’interesse del minore, che si rendeva compatibile con l’esigenza di garantire un diritto alla identità personale, quale tutela di rango costituzionale. Tuttavia, un timido ripensamento, in termini di equiparazione tra i figli – legittimi e naturali – era contenuto nella pronuncia10 con cui gli Ermellini confermavano che “In tema di azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, stante la nuova disciplina introdotta dalle riforme del 2012 e 2013 in materia di filiazione, la prova della ‘assoluta impossibilità di concepimento’ non è diversa rispetto a quella che è necessario fornire per le altre azioni di stato, richiedendo il diritto vigente che sia il ‘favor veritatis’ ad orientare le valutazioni da compiere in tutti i casi di accertamento o disconoscimento della filiazione”. È indubbio che l’accertamento della verità sia ispirato al principio di ordine superiore e che ogni falsa appartenenza di stato deve cadere, in quanto, nel rapporto di filiazione, è individuato un valore necessariamente da tutelare, tuttavia, non va trascurato il concreto rischio che tale verità possa causare un pregiudizio. Il provvedimento in commento si discosta dai precedenti giurisprudenziali che erano di segno decisamente contrario. Partendo dal presupposto del possibile pregiudizio del minore, la giurisprudenza ha fatto, quindi, un passo avanti, superate le differenze accertative tra le azioni sullo status, ha iniziato ad interrogarsi sul bilanciamento tra favor veritatis ed interesse del minore. Infatti, emerge, dalla narrazione sulla vita del figlio, l’esigenza di un contemperamento, in quanto, il superamento della finalità, propria dell’originaria impostazione legislativa di preservare a tutti i costi lo status di figlio “legittimo”, coincide con la necessità di garantire che tutti gli accertamenti sulla paternità siano condotti col fondamentale coinvolgimento del figlio e nel suo interesse. Altro aspetto significativo, della sentenza commentata, è quello relativo ad un dato istruttorio: la madre e il figlio si erano sottratti alle prove genetiche senza una reale motivazione. Non va trascurato come, in materia di accertamenti relativi alla paternità e alla maternità, la giurisprudenza11 avesse, più volte, affermato che la consulenza tecnica immuno-ematologica costituiva lo strumento più idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l’acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione naturale data la particolare valenza di tale accertamento. Infatti, il rifiuto aprioristico ed ingiustificato di sottoporvisi, benché integrasse una scelta non coercibile, era suscettibile di esser valutata ai sensi dell’art. 116 c.p.c. in modo tendenzialmente coerente con il grado di efficacia probatoria dell’esame. A tale consolidato orientamento va eccepita la necessità di un’ulteriore indagine istruttoria, che parta dalla età del figlio, in quanto, la consapevolezza della propria identità è più radicata negli adolescenti rispetto ai bambini più piccoli. Il disvelarsi una verità ben potrebbe rappresentare trauma psicologico, oltre che l’eventuale disvalore sociale. Per questo, la S.C. non ha considerato il rifiuto del figlio, quindicenne al momento dell’instaurazione del giudizio, infondato atteso che “lo stesso è stato ritenuto dalla Corte non ingiustificato, in quanto, con riferimento al rifiuto opposto dal figlio, anche allorché era divenuto maggiorenne (in appello), correlato dall’intenzione di resistere ad un’azione ritenuta per lui fonte di particolare sofferenza”. Su questi presupposti, le Corti, dopo l’arresto della Corte Cost. sono state maggiormente attente ad orientare le decisioni verso la tutela del superiore interesse del minore, da considerarsi preminente rispetto all’esigenza di tutela della paternità biologica, anche alla luce della normativa internazionale. Si desume che, anche nelle azioni sullo status, l’ascolto del minore sia imprescindibile e obbligatorio. Sull’ascolto indispensabile del minore nei procedimenti che lo riguardano, a partire del dodicesimo anno d’età, va ribadito come sia importante assicurarsi che il minore abbia preventivamente ricevuto tutte le informazioni pertinenti, oltre che tenere in debito conto l’opinione da lui espressa. In tali procedure, infatti, è prevista la nomina del curatore speciale, il minore può ritenersi, altresì, parte del giudizio. Le modifiche importanti, dettate dal legislatore in termini di equiparazione della condizione di figlio, obbligano ad una necessaria comparazione degli interessi in gioco, alla luce della concreta situazione dei soggetti coinvolti e, in particolare, del minore, nel caso di specie destinatario degli esiti di un’azione giudiziaria alla cui proposizione è rimasto completamente estraneo, lasciando dei dubbi sul reale bisogno di questo ragazzo alla conoscenza della propria identità. È altresì, rilevante sottolineare l’assenza normativa di ogni automatismo nel cogliere l’interesse del minore rispetto al principio della verità biologica. I principî giuridici, talvolta contrastanti, di identità personale e di verità genetica hanno radici che attingono linfa vitale dai sentimenti che albergano nelle famiglie12. Quest’indagine sulla vita, le necessità ed i bisogni del figlio sono altresì più complesse nel corso di giudizi in cui non si controverta sul valore della positiva relazione genitoriale con il padre legale, né è possibile compiere alcuna valutazione negativa, aprioristica, in ordine al profilo del padre biologico13.

NOTE

1 Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali.

2 Si pensi, per esempio, alla differenza di riti processuali, la nuova previsione

dell’art. 38 disp. Att. Disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie recita: “Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all’articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario. Sono, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 251 e 317-bis del codice civile. Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni”. Peraltro, il permanere delle due diverse competenze in materia de potestate, comporta delle differenziazioni nella attività istruttoria, legata al tipo di tribunale, che non facilita l’interprete.

3 Tra le due ipotesi il fatto che, ante riforma, l’azione per impugnazione per difetto di veridicità fosse imprescrittibile per tutti i legittimati attivi e che, in linea di massima, la giurisprudenza considerasse più pregnante in concetto di favor veritatis nel caso di figlio non matrimoniale, rendeva nell’accertamento sulla paternità, tra i due istituti, ancor più divise le valutazioni tra i figli naturali e quelli legittimi.

4 Corte Cost., 22 aprile 1997, n. 112, in Fam. e dir., 1997, 411, nota di A. Figone, v. anche Corte Cost., 14 maggio 1999 n. 170 “Pur rilevandosi nella intervenuta riforma del diritto di famiglia uno spostamento d’accento dal favor legitimitatis al favor veritatis, si ritenne tuttavia che il legislatore, lasciando il termine di decadenza dell’azione del padre correlato alla conoscenza della nascita, avesse voluto porre al favor veritatis un limite giustificato dai pericoli e dagli inconvenienti di uno sconvolgimento di rapporti familiari protrattisi per lungo tempo, senza accordare ad esso il valore di un principio assoluto”, in Foro it. 2001, I, 1116.

5 “Nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minorenne per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all’interesse del minore stesso”.

6 Corte Cost., 30 dicembre 1987, n. 625 “Non è pertanto causa di contrasto se l’una, l’art. 253 del codice civile, è ispirata al favor per la stabilità della famiglia legittima – ed entro di essa dello stato di figlio legittimo o legittimato – e l’altra, l’art. 263 del codice civile, al favor per l’accertamento della verità biologica del rapporto di filiazione”, in Giur. cost. 1987, fasc. 12 e in Dir. fam., 1988, 662.

7 Corte Cost., 18 dicembre 2017, n. 272 “Il quadro normativo e ordinamentale attuale, sia interno sia internazionale, non impone, nelle azioni volte alla rimozione dello status filiationis, l’assoluta prevalenza dell’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo su tutti gli altri interessi coinvolti, ma evidenzia, in tutti i casi di possibile divergenza tra identità genetica e identità legale, la necessità di un bilanciamento tra esigenze di accertamento della verità e interesse concreto del minore. Il principio in base al quale l’interesse superiore del minore deve essere una considerazione preminente in tutte le decisioni relative ai fanciulli è enunciato nell’art. 3 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, nella Convenzione europea del 25 gennaio 1996 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, nelle linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore e nell’art. 24, 2° comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), pur in assenza di un’espressa base testuale, la garanzia dei best interests of the child è stata ricondotta, nell’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, sia all’art. 8 sia all’art. 14 CEDU. Ai fini dell’azione prevista dall’art. 263 c.c., il giudice è chiamato ad operare un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possono derivare sulla posizione giuridica del minore. Tra le variabili di cui deve tenere conto, oltre alla durata del rapporto instauratosi col minore e quindi alla condizione identitaria già acquisita dal medesimo, assumono particolare rilevanza, da un lato, le modalità del concepimento e della gestazione e, dall’altro, la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato, che, pur diverso da quello derivante dal riconoscimento, garantisca al minore una adeguata tutela. Nel silenzio della legge, nella valutazione comparativa rimessa al giudice rientra necessariamente anche la considerazione dell’elevato grado di disvalore che l’ordinamento italiano riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale”, in Riv. dir. int., 2018, 2, 632.

8 Cass. civ., sez. I, 3 aprile 2017, n. 8617 “pur a fronte di un accentuato favore per una conformità dello status alla realtà della procreazione – chiaramente espresso nel progressivo ampliamento in sede legislativa delle ipotesi di accertamento della verità biologica – il favor veritatis non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque, atteso che l’art. 30 Cost., non ha attribuito un valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella legale, ma, nel disporre al comma 4, che ‘la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità’, ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, nonché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima”, in Dir. giust., 2017, 4 aprile, nota di A. di lallo.

9 Cass. civ., sez. I, 15 febbraio 2017, n. 4020, in Foro it. 2017, 4, I, 1237, nota di G. CasaBuri.

10 Cassazione civile sez. I, 10 ottobre 2018, n. 18140, “non vi è dunque, più ragione di esigere che la prova in materia di impugnazione del riconoscimento debba essere diversa rispetto all’istituto affine, anch’esso volto alla rimozione dello status filiationis, del disconoscimento di paternità, dato che, in entrambe le ipotesi, si determina la privazione sopravvenuta di tale status per cause estranee alla sfera di volontà e responsabilità del soggetto destinato a subirne gli effetti, dovendo perciò concludersi che le valutazioni da compiere in tutti i casi di accertamento o disconoscimento della filiazione debbano essere orientate dal favor veritatis, come comprova il fatto che la riforma del 2012 e 2013 ha avvicinato le discipline e come può desumersi dalla sentenza n. 272 del 18 dicembre 2017 della Cort. Cost. che non lo ha ritenuto recessivo rispetto alla valutazione dell’interesse del minore, imposta da fonti interne e sovranazionali, alla conservazione dello status”, in Giust. civ. mass., 2018.

11 Cass. civ. sez. I, 17 febbraio 2006, n. 3563, in Giur. it. 2007, 8-9, 1914, Cass. civ., sez. I, 29 maggio 2008, n. 14462 in Dir. fam., 2009, 2, I, 529; Cass. civ., sez. I, 13 novembre 2015, n. 23290, in Foro it. 2016, 9, I, 2893, nota di G. CasaBuri; Cass. civ., sez. I, 27 luglio 2017, n. 18626, in Guida dir., 2017, 34, 28.

12 Filumena Marturano convinceva l’amante Don Mimì a riconoscere tutti e tre i figli, di cui due concepiti con altri uomini, non svelando l’identità dei padri. Filumena taceva perché non voleva che vi fossero favoritismi, lei era madre “a tutte e tre”, perché “’e figlie so’ ffiglie... e so’ tutte eguale...’e figlie nun se pagano”. Alla fine don Mimì accettava di riconoscere i tre figli, per non perdere la genitorialità sul proprio. Filumena Marturano è una commedia teatrale in tre atti scritta nel 1946 da Eduardo De Filippo e inserita dall’autore nella raccolta Cantata dei giorni dispari.

13 Cass. civ., sez. I, 15 febbraio 2017, n. 4020, in Ilfamiliarista.it 12 settembre 2017, nota di V. Mazzotta.