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Ascoltare il disagio del minore. Riflessioni ai tempi del Covid

autore: A. Curci - A. Bonvino

Sommario: 1. L’ascolto del minore: aspetti psicologici emergenti. - 2. La pandemia e il disagio socio-relazionale. - 3. L’ascolto del minore tra diritto e scienza psicologica. - 4. Ascolto e suggestionabilità nel contesto penale. - 5. L’ascolto dei figli contesi nelle dinamiche familiari disfunzionali. - 6. L’ascolto del minore e i sistemi alienanti. - 7. Conclusioni.



1. L’ascolto del minore: aspetti psicologici emergenti



L’emergenza Covid-19 ha creato uno scenario in cui la tutela del diritto alla salute rappresenta, inevitabilmente, l’obiettivo primario a livello mondiale. Occorre precisare, fin da subito, che il concetto di salute contempla non solo l’assenza di malattia ma uno stato di benessere fisico, mentale e sociale1 . Infatti, mentre sul piano strettamente medico-sanitario, i bambini e gli adolescenti che contraggono il virus sembrano manifestare sintomi meno gravi e tassi di mortalità più bassi rispetto ad altri gruppi di età2 , gli effetti psico-sociali a breve e a lungo termine del totale ed improvviso sconvolgimento della routine quotidiana e dell’isolamento non possono essere trascurati, specialmente nelle persone che si trovano nella delicata fase di sviluppo. Secondo l’approccio bio-psico-sociale, il comportamento è sempre il prodotto di un’interazione tra l’individuo e l’ambiente in cui è inserito in un determinato tempo. Perciò riteniamo opportuno soffermarci, innanzitutto, sull’analisi del contesto attuale, con particolare riguardo agli effetti che la pandemia e i provvedimenti che ne sono conseguiti hanno prodotto sui minori e sulle famiglie. A partire da questa riflessione sull’attualità, il discorso si allargherà al tema della tutela dell’interesse del minore in quelle situazioni relazionali, sociali e giuridiche che lo coinvolgono, ma che, come la gestione dell’emergenza, non sono progettate e attuate a misura di bambino e di adolescente. Infine, cercheremo di mostrare come un approccio scientifico empiricamente sostenuto imponga una certa cautela nella lettura dei segnali di disagio e nell’ascolto dei minori e, in generale, dei soggetti fragili, e che questa cautela sia necessaria per evitare pericolose ricadute sui procedimenti e sugli attori in essi coinvolti. Va preliminarmente ricordato che gli studi sullo sviluppo infantile suggeriscono un ruolo attivo del minore nell’incessante dialettica di reciproche influenze con l’ambiente in cui vive e si sviluppa. Anche da un punto di vista prettamente neurobiologico e neurofisiologico si osserva una predisposizione all’interazione reciproca tra esseri umani. Una delle caratteristiche del cervello umano, infatti, è la neuroplasticità, ovvero, la capacità dell’encefalo di adattarsi morfologicamente e fisiologicamente a stimoli interni o esterni. I meccanismi epigenetici, ad esempio, dimostrano come la quantità e qualità delle esperienze di vita, tra cui quelle stressanti, possono influenzare l’espressione genica dell’organismo modificandone, talvolta, anche la longevità3 . Dunque, l’isolamento forzato, la separazione prolungata da figure significative, la perdita del contatto diretto con i pari sono fattori che implicano un distress psicologico importante, soprattutto nei minori che vivono in contesti di fragilità e o in condizioni di svantaggio economico, educativo e socio-relazionale. Il disagio infantile e adolescenziale è un fenotipo complesso e multideterminato che richiede la capacità di analizzare e comprendere il mondo interno del minore senza mai trascurare il contesto in cui l’intrapsichico si sviluppa e da cui è sistematicamente influenzato e che a sua volta concorre ad influenzare. Tale capacità analitica è fondamentale nei procedimenti, civili e penali, in cui il bambino è il protagonista principale della vicenda ed anche il destinatario delle decisioni che ne scaturiranno. In particolare, riteniamo che le variabili contestuali e relazionali (accanto a quelle individuali) che ci apprestiamo a discutere siano di estrema importanza in ambito di ascolto del minore in quanto le sue dichiarazioni, nella prospettiva bio-psico-sociale, sono sempre il prodotto dell’interazione tra il suo mondo interno e quello esterno.



2. La pandemia e il disagio socio-relazionale



La tutela dei minori vittime di violenze e o maltrattamenti intrafamiliari rappresenta una problematica di estrema rilevanza in questo momento storico. Guardando al contesto attuale, non si può non considerare che le misure volte a ridurre i contagi e le dinamiche psicologiche da queste influenzate abbiano aumentato le possibilità di una maggior esposizione alla violenza domestica e assistita da parte dei figli minori. La comunità scientifica è unanime nel ritenere necessario ed indispensabile tutelare i soggetti fragili nel rispetto delle garanzie previste dagli artt. 13 e 32 della Costituzione. Tuttavia, sebbene l’obiettivo sia universalmente condiviso, le modalità di intervento hanno originato un dibattito tra professionisti e studiosi di psicologia. Di recente alcune associazioni, tra cui Agevolando, CNCA, CISMAI, Villaggi Sos, hanno richiesto al Governo l’individuazione di una task force e, persino, la proposta di uno specifico “decreto minori” per mettere in campo misure straordinarie di protezione durante l’emergenza sanitaria Covid-19. La richiesta è di estremo rilievo dal momento che i bambini che vivono in condizioni di degrado, maltrattamento e abuso grave sono impossibilitati a chiedere aiuto, essendo venuta meno, a causa dell’emergenza, la possibilità di accedere a figure di supporto nella rete scolastica o extrascolastica ed essendo privati di qualsiasi altro contatto sociale significativo. Tuttavia, questa presa di posizione ha generato preoccupazione in altri enti, associazioni e professionisti che a loro volta hanno segnalato al Governo il rischio di avviare una sorta di “caccia all’orco” con un potenziale aumento del tasso di arbitrarietà nella gestione dei minori appartenenti a famiglie disagiate. In questo senso si guarda con preoccupazione, infatti, all’utilizzo diffuso dell’art. 403 c.c. come strumento diretto di tutela affidato ai servizi sociali e non all’autorità giudiziaria. Nello specifico, la divergenza tra i modelli operativi suggeriti, si fonda, in primis, sulla consapevolezza che le misure restrittive in risposta all’emergenza avranno maggiori probabilità di influire sulle famiglie più fragili dal punto di vista delle risorse sociali, economiche e culturali. Inoltre, questa consapevolezza è alimentata dalla preoccupazione che determinati modelli interventistici di gestione del disagio, piuttosto che promuovere un piano di supporti socio-educativi ed economici alla genitorialità nelle condizioni di fragilità, puntino a sradicare i bambini da contesti ritenuti – spesso, purtroppo, arbitrariamente – inadeguati. Infatti, a fronte dell’emergenza Covid-19, le famiglie si sono trovate nella condizione di gestire la quotidianità dei propri figli senza più il supporto della scuola, dei servizi della prima infanzia, delle reti educative, degli operatori socio-sanitari, della comunità educante. Ciò ha richiesto una riorganizzazione repentina e massiccia della vita quotidiana, sia da un punto di vista pratico che emotivo. Non tutte le famiglie, però, dispongono delle risorse necessarie per affrontare i compiti evolutivi imposti dalla crisi, anzi le amiglie più fragili sperimentano maggiori difficoltà nel mettere in atto strategie tese a fronteggiarli. Porsi come attivatori di nuovi equilibri funzionali risulta essere particolarmente difficile per i sistemi più fragili affaticati e sopraffatti dalle povertà, non solo economica, ma anche emotiva, relazionale, educativa. Infine, esiste anche il rischio di confondere il disagio infantile di tipo emotivo o socio-relazionale con casi specifici di abuso o maltrattamento. L’equazione tra disagio giovanile e maltrattamento (o abuso) risulta tuttavia indimostrata a livello empirico. Ad oggi, le evidenze scientifiche e le casistiche cliniche mostrano che la risposta allo stress è aspecifica, sebbene la numerosità e intensità di fattori di rischio aumenti la probabilità che si verifichino conseguenze psicologiche dello stress4 . Prevedere quali e quante saranno le conseguenze è praticamente impossibile perché esse saranno condizionate dalle caratteristiche personologiche e del contesto in cui l’individuo cresce e si sviluppa5 . Per tutte queste ragioni, è chiaro che lo stato di emergenza ha delle implicazioni sulle applicazioni del diritto di famiglia e, in particolare, riguardo al tema della genitorialità. Il d.P.C.M. del 9 marzo 2020 ha reso l’intero territorio nazionale “zona rossa” e ha generato in poco tempo notevole agitazione, nei genitori separati ma anche negli operatori della giustizia in relazione alle conseguenze del divieto di spostamento sull’esercizio del diritto di visita da parte del genitore non collocatario della prole. In particolare, la giurisprudenza di merito, stante l’esigenza di bilanciare le misure restrittive conseguenti allo stato di emergenza con i diritti individuali tra cui anche il diritto alla salute, ha adottato posizioni diverse. Il primo a pronunciarsi in merito è stato il Tribunale di Milano che ha stabilito che gli spostamenti finalizzati a preservare il diritto di incontro fossero consentiti, anche tra un comune e l’altro6 . Di tutt’altro avviso, il Tribunale di Bari ha sottolineato la natura recessiva del diritto-dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi nel momento di emergenza, rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, legalmente stabilite per ragioni sanitarie, individuando nell’utilizzo della tecnologia l’alternativa alla frequentazione dal vivo7 . Il conflitto tra il diritto di minori alla bigenitorialità e il diritto alla salute (del minore, dei genitori e collettiva) è in verità apparente e deriva da una concezione di salute prettamente medico-organicistica, che sottostima il ruolo cruciale dei fattori psicologici e psicosociali nella promozione del benessere. L’emergenza Covid-19, nel tenere al centro dell’attenzione collettiva il tema della salute e della cura, ha lasciato nell’indeterminatezza la gestione del bisogno di socialità in particolare nelle situazioni familiari e relazionali più delicate e compromesse. La voce meno ascoltata è stata proprio la voce dei bambini e i loro bisogni sono stati spesso riscritti nel linguaggio delle nuove tecnologie, nella scuola come nella vita di relazione. Al giudice è stato lasciato il compito di bilanciare in modo razionale la molteplicità di fattori e istanze in essere nell’esercizio del diritto di famiglia ai tempi del Covid-19 e la tutela giuridica si è, a seconda dei casi, orientata a questa o quella parte dell’individuo complesso che la malattia ha posto in pericolo, la salute organica o la salute delle relazioni. Quello che rimane oggi, con il progressivo allentarsi del lockdown è la consapevolezza che il bisogno di relazione che tiene uniti i gruppi, da quello familiare a quelli più allargati, è un bisogno imprescindibile, umano e fondamentale. All’indomani dell’emergenza Covid-19 certi principi di tutela e ascolto della voce dei bambini, che già valevano prima della quarantena, sono più che mai irrinunciabili.



3. L’ascolto del minore tra diritto e scienza psicologica



In generale, l’utilizzo delle dichiarazioni del minore in sede penale e civile richiede la considerazione del livello di sviluppo da questo raggiunto, sul piano delle competenze cognitive, affettive, relazionali, allo scopo di comprendere quanto il minore sia in grado di svolgere efficacemente il suo ruolo nella vicenda processuale senza per questo venirne danneggiato. In secondo luogo, assume un ruolo rilevante nell’ascolto del minore la considerazione del suo livello di “suggestionabilità”, intesa come processo psichico che conduce l’individuo ad agire secondo suggerimenti esterni, provenienti da persone autorevoli o da situazioni ambientali particolarmente cariche di tensione emotiva, pur senza aver subìto alcuna costrizione manifesta. Questi elementi di valutazione riguardano l’ascolto del minore in qualsivoglia situazione formalizzata e, a maggior ragione, nel contesto giudiziario, sia esso penale o civile. Risulta necessario, quindi, che l’ascolto del minore, in ambito giudiziario, sia sempre eseguito nel rispetto delle raccomandazioni scientifiche più aggiornate e accreditate, in relazione al funzionamento della memoria, del linguaggio, del ragionamento e della motivazione nella particolare fase evolutiva8 . A tal riguardo, la Carta di Noto ed i suoi successivi aggiornamenti9 costituiscono, ormai da circa trenta anni, il protocollo di regole condivise che l’esperto deve mettere in atto per esaminare un minore in caso di abuso sessuale e di maltrattamento e, in generale, in tutte quelle condizioni di particolare vulnerabilità in cui il minore potrebbe essere coinvolto nei contesti giudiziari. Le linee guida contenute rappresentano suggerimenti diretti a garantire l’affidabilità delle metodologie utilizzate a partire dalla raccolta della testimonianza al fine di garantire la tutela dei diritti del minore e nel rispetto dei principi costituzionali del giusto processo e degli strumenti del diritto internazionale. Nelle pagine che seguono passeremo in rassegna questi concetti psicologici ancorandoli alle previsioni normative e alle prassi in uso nell’ambito dei procedimenti giudiziari in cui l’ascolto, nelle sue diverse forme e funzioni, è richiesto.



Il legislatore ha qualificato l’istituto dell’ascolto come “diritto” del minore, in grado di trovare attuazione in tutti i contesti, sostanziali e processuali, che possono riguardarlo, allineandosi a quanto già previsto, in merito, dagli strumenti internazionali ed europei. A livello pragmatico, l’ascolto del minore richiede l’inquadramento di molteplici variabili psicologiche entro specifiche coordinate sancite dal diritto. Occorre precisare che la finalità dell’ascolto è diversa a seconda del ruolo assunto dal minore nella vicenda giudiziaria (ad esempio se protagonista diretto o testimone della vicenda) e dell’ambito in cui avviene l’audizione (civile o penale). Talvolta, però, si assiste ad un’intersezione tra circuiti. Spesso, ad esempio, quando l’ascolto riguarda i figli coinvolti in casi di separazioni altamente conflittuali, la battaglia civile si estende al campo penale. La casistica rimarca come la complessità psicologica del minore (e più in generale dell’essere umano) si riversi in tutti i campi del diritto con effetti spesso concatenati. Nell’ambito penale il minore può essere coinvolto in un procedimento come testimone o vittima-testimone. In questo caso l’indagine psicologica permette di delineare i confini tra idoneità e non idoneità a rendere testimonianza sulla base di due indicatori: accuratezza e credibilità clinica. Il primo consiste nell’accertamento della capacità del minore testimone a recepire informazioni, di raccordarle con le altre, di ricordarle ed esprimerle in una visione più complessa; il secondo è diretto ad esaminare il modo in cui il testimone ha vissuto e rielaborato la vicenda in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna10. In ambito civile, invece, l’ascolto è rivolto a raccogliere le opinioni del minore, capace di discernimento, oltre che i suoi desideri e le emozioni. Questo ascolto non rappresenta una testimonianza o un altro atto istruttorio volto a ricostruire le vicende. La Cassazione precisa, a riguardo, che l’ascolto deve essere svolto in modo tale da garantire l’esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione, e quindi con tutte le cautele e le modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti11. Tanto in ambito penale quanto nel civile due limiti si pongono in tema di ascolto: il primo riguarda la capacità di discernimento e il secondo pertiene all’eventuale pregiudizio derivante al minore dall’ascolto stesso. La capacità di discernimento è la variabile che determina legittima e plausibile la scelta di considerare o meno le dichiarazioni minore in ambito giuridico. Può essere considerata, come una competenza specifica del bambino, strettamente legata alle sue capacità cognitive e relazionali. Nel caso in cui l’ascolto risulti in contrasto con l’interesse del minore, il giudice non procederà all’adempimento in quanto dovrà dar prevalenza alle esigenze di tutela del superiore interesse del bambino. Ad esempio, relativamente a questo punto, la Cassazione ritiene condivisa la decisione di non valorizzare le dichiarazioni del minore, quando “le sue dichiarazioni rappresentavano una conseguenza del comportamento di un genitore per screditare l’altro. Il clima di conflittualità genitoriale impedisce al minore di manifestare una volontà libera e non condizionata”12. In un caso come questo, quindi, l’ascolto rappresenta una ulteriore occasione di tensione per il bambino che è impossibilitato ad esprimersi liberamente e viene ancora più coinvolto nella spirale del conflitto genitoriale, con possibili ricadute sul suo benessere psicologico.



4. Ascolto e suggestionabilità nel contesto penale



Per quanto il nostro codice riconosca a tutti gli individui la capacità a rendere testimonianza, la letteratura scientifica e l’esperienza sul campo dicono che i bambini sono soggetti facilmente influenzabili e suggestionabili dall’adulto autorevole13. Tale condizione di vulnerabilità non è generalmente dovuta a limiti cognitivi ma è correlata ai normali stadi di sviluppo delle regioni anatomiche funzionali associate alla memoria e al controllo esecutivo14, che non possono essere ignorate soprattutto laddove si operi sulle dichiarazioni del minore. La proiezione del mondo esterno non viene rappresentata nel nostro cervello come un fotogramma. In un ricordo non c’è solo quella porzione di realtà che si registra al momento dell’esperienza, ma interviene in senso costitutivo la rielaborazione post-evento che si sviluppa sulla base delle caratteristiche temperamentali e personologiche, delle interazioni sociali e delle relazioni significative dell’individuo con tutto ciò che è altro da sé (gli altri significativi, il contesto di vita, le esperienze quotidiane, ecc.). A livello neurobiologico, la percezione del mondo esterno viene decomposta in una moltitudine di segnali elettrici distribuiti in gruppi di cellule nervose. In questo senso, ricordare significa ricostruire le tracce mnestiche e ricomporle secondo una forma coerente a partire dalla moltitudine di segnali nervosi che partono dalle nostre cellule. Il processo ha, quindi, una natura dinamica e ri-costruttiva, a cui partecipano fattori intra- e interpersonali per modellarne l’esito15. La parola, la conversazione e l’interazione con gli altri, come tutti gli stimoli ambientali, possono modificare i meccanismi della fisiologia cerebrale e i loro prodotti, tra cui il ricordo autobiografico di un’esperienza di vita. D’altra parte, occorre tenere ben presente quando si ascolta un minore che i bambini tendono generalmente a fidarsi degli altri, ed in modo particolare propendono ad assecondare l’adulto, specie se rivestito di una qualche forma di autorità, reale o supposta, o nel caso in cui si tratti di persone familiari a cui sono affettivamente legati. Risulta sperimentalmente dimostrato che un bambino, quando è incoraggiato e sollecitato a raccontare un episodio da persone che esercitano una certa influenza su di lui, tende a fornire risposte compiacenti, attese dall’interrogante16. Inoltre, i bambini risultano essere particolarmente vulnerabili alla suggestionabilità. La compiacenza è un’attitudine volontaria e consapevole di assecondare l’altro, mentre la suggestionabilità riguarda un meccanismo inconsapevole per cui l’individuo suggestionato si convince intimamente della bontà del proprio ricordo e ciò provoca modifiche talvolta irreversibili alla traccia mnestica originaria. La suggestionabilità detta interrogativa è un costrutto indagato soprattutto in ragione della sua rilevanza nei procedimenti penali, in cui la testimonianza assume un valore probatorio. In questo ambito, gli autori dimostrano come le domande suggestive possono influenzare negativamente la genuinità di una testimonianza17 e che la vulnerabilità alla suggestionabilità è inversamente proporzionale all’età, sicché i minori sono soggetti più suggestionabili degli adulti. I bambini piccoli hanno maggiori probabilità rispetto ai bambini più grandi e agli adulti di avere difficoltà a determinare se hanno ottenuto informazioni dalle proprie esperienze o da altre fonti18. La difficoltà nel riconoscere la fonte originaria dei propri ricordi porta l’individuo a non essere in grado di distinguere se un ricordo è stato esperito in prima persona o se è frutto di un racconto o una rielaborazione post-evento19. Il processo di controllo, definito monitoraggio della fonte, è strettamente associato alla vulnerabilità dei bambini alla suggestionabilità e rappresenta un importante fattore da tenere in considerazione quando si generano ipotesi riguardanti le informazioni fornite dal bambino durante un colloquio20. È, perciò, evidente che le diverse modalità di ascolto possono provocare influenze e distorsioni nel ricordo fino ad indurre ricordi di eventi che non sono mai accaduti. Ad esempio, una consistente mole di studi ha dimostrato che metodi terapeutici volti al recupero dei ricordi repressi possa originare ricordi di eventi mai accaduti21. Questo effetto non si verifica in modo univoco in chiunque, in quanto esistono soggetti più vulnerabili di altri in base a diverse variabili, tra cui l’età, il livello di funzionamento cognitivo, la condizione affettiva e temperamentale22. Kihlstrom (1993) definisce la “false memory sindrome” come una condizione nella quale l’identità e le relazioni interpersonali di un individuo sono costruite intorno al ricordo di un’esperienza traumatica che è oggettivamente falsa, ma nella quale l’individuo crede fermamente. L’esistenza di ricordi repressi è un tema estremamente controverso in psicologia. Oggi il concetto di amnesia dissociativa, contemplato nel DSM-5, ha sostituito quello di memoria repressa ma le problematiche forensi relative ai confini tra ricordi recuperati e falsi ricordi rimangono estremamente rilevanti23.

Non è questa la sede per esporre la complessità del dibattito scientifico sull’esistenza e la veridicità dei ricordi repressi. Piuttosto, occorre tener presente che il dato clinico ci mostra una difficoltà in cui spesso si trova l’operatore nel discriminare efficacemente un’esperienza originaria da elementi spuri, ricostruiti o inferiti nei ricordi di eventi ad alto contenuto emotivo e/o traumatico. Di qui scaturisce la necessità di utilizzare protocolli operativi scientificamente sostanziati in ambito forense che tutelino il minore e le esigenze di giustizia. A titolo esemplificativo, le tecniche spesso usate per recuperare i ricordi considerati “rimossi”, tra cui l’ipnosi o l’EMDR, nascono per scopi clinico-terapeutici e non sono state validate per consentirne un utilizzo come strumento di indagine su esperienze di natura traumatica in contesti psico-forensi24. Ove questo accade, il rischio è di confondere pericolosamente elementi provenienti da esperienze originarie con elementi spuri provenienti da fonti post-evento, con evidente pregiudizio per il procedimento giudiziario e il benessere dei soggetti coinvolti.



5. L’ascolto dei figli contesi nelle dinamiche familiari disfunzionali



La suggestionabilità interrogativa di cui si è sopra parlato non è una variabile rilevante solo in ambito penale ma si configura come un costrutto psicologico che incide, in misura variabile, sul funzionamento psichico individuale nelle situazioni di interazione formale minando la genuinità delle affermazioni e delle ricostruzioni di eventi di vita. Ciò vale evidentemente anche nel contesto di una procedura civile. Ad esempio, genitori confliggenti possono esporre i bambini a informazioni parziali o persino alterate, nel tentativo più o meno consapevole di influenzare la percezione dei figli degli eventi familiari e le relative dichiarazioni in una sede processuale25. I figli, dunque, possono ricevere direttamente o indirettamente informazioni negative da un genitore sull’altro, essere esposti ai conflitti genitoriali attraverso conversazioni telefoniche, osservare il disagio dei genitori durante le transizioni di custodia o essere interrogati ansiosamente da un genitore su cosa succede a casa dell’altro26. In questi scenari, spesso, i livelli di conflittualità tra i due genitori, notevolmente alti, favoriscono l’instaurarsi di dinamiche familiari complesse in grado di influire sul tipo e sulla qualità della relazione genitori-figli e sul modo in cui i figli se le rappresentano e le comunicano all’esterno. A volte nelle dichiarazioni dei minori coinvolti in dinamiche familiari altamente conflittuali si rilevano condizionamenti, più o meno inconsapevoli, da parte di un genitore a scapito dell’altro. Da questa prospettiva, l’ascolto di “un figlio conteso” può rivelarsi un terreno insidioso tanto quanto l’interrogatorio di un testimone svolto con tecniche suggestive27. Considerare la tendenza di un minore a lasciarsi influenzare o persino suggestionare nei conflitti familiari è, pertanto, un criterio qualitativo importante nelle valutazioni psicoforensi che riguardano ipotesi di alienazione parentale. Il concetto di alienazione parentale è stato definito per la prima volta da Gardner, nel 1985, ed è tuttora oggetto di un controverso dibattito a più voci circa sua effettiva validità scientifica. Ad oggi si ritiene improprio l’uso della parola sindrome in quanto non è sufficiente ricondurre il fenomeno ad un disturbo individuale del figlio, mentre è più opportuno spostare il focus sulla patologia relazionale che può verificarsi in un contesto familiare in disgregazione, a cui sono associati impatti devastanti sullo sviluppo psicofisico dei bambini28. Le dichiarazioni dei bambini “alienati” presentano delle peculiarità. Sono caratterizzate da un’ingiustificata campagna di denigrazione verso uno dei due genitori, solitamente quello non convivente o con il quale hanno rapporti meno frequenti. Le dichiarazioni sottendono una percezione assoluta e dicotomica delle figure parentali per cui un genitore è descritto totalmente buono e l’altro totalmente cattivo. I fatti riportati risultano “inquinati” dai cosiddetti scenari presi in prestito in cui prevalgono termini o espressioni tipiche di un linguaggio adulto. È evidente, quindi, quando si valutano le dichiarazioni di un minore nel quadro di una dinamica familiare conflittuale, prendere in considerazione non solo nel suo stadio di sviluppo e di funzionamento psichico individuale ma anche la più ampia dinamica relazionale in cui lo stesso è inserito. I teorici sistemici utilizzano, in questi casi, i costrutti di doppio legame, di famiglie invischiate e di triangolazioni perverse29. La triangolazione comporta la richiesta di alleanza da un genitore a un figlio contro l’altro genitore, facendo leva sulle emozioni e sul senso di lealtà del minore. Il figlio triangolato è incastrato nel conflitto tra i genitori e ciò mal si coniuga con traiettorie di sviluppo funzionali al benessere psicofisico dei più piccoli. Non è raro che i genitori in lotta fra loro inneschino dinamiche “triangolari” disfunzionali, coinvolgendo il bambino in dolorosi conflitti di lealtà, dove il minore è indotto a prendere parte attiva al conflitto genitoriale aderendo a ruoli che, seppur disfunzionali, rappresentano per lui pur sempre una strategia, anzi un tentativo di risolvere i problemi in atto30. È proprio la natura ricostruttiva della memoria che permette a questo virus relazionale di “riscrivere” da parte dell’individuo invischiato nel conflitto la propria storia, i propri affetti, le proprie emozioni. Il passato può venire cancellato e connotato di intenti malevoli attribuiti al genitore alienato. Si può arrivare ad assistere ad una vera e propria “ricostruzione” narrativa della propria storia basata su “falsi ricordi”, ovvero ricostruzioni fortemente distorte di eventi realmente accaduti o, addirittura, ricordi completamente falsi relativi a episodi che in realtà non si sono mai verificati e di cui non si è fatta esperienza31. Nei casi più gravi di alienazione parentale, il figlio può perfino diventare il portavoce di accuse penalmente rilevanti a carico del genitore alienato. A seguito dell’entrata in vigore della l. n. 54 del 2006, è stata osservata un’elevata frequenza di accuse penalmente rilevanti da parte di figli contesi ai danni di uno dei genitori – per lo più il padre – in casi di separazioni giudiziarie altamente conflittuali. La casistica di denunce di abuso sessuale scaturite nell’ambito di separazioni conflittuali riportata da uno studio abbastanza recente mostra che la denuncia di abuso si è rivelata confermata con condanna dell’imputato solo nel 5,6% dei casi, mentre per i restanti si è rivelata del tutto infondata32. Spesso le accuse si sono rivelate originate da dinamiche familiari gravemente disturbate piuttosto che da reali abusi o maltrattamenti subiti. Quando alla diatriba per l’affidamento dei figli si aggiunge una denuncia penale, il genitore destinatario della denuncia viene fortemente limitato nei suoi diritti dal Tribunale, con la motivazione di proteggere il minore da possibili ulteriori situazioni di abuso o minaccia, diminuendo, se non addirittura annullando, le possibilità di contatti con il proprio figlio in attesa dell’esito del procedimento penale. È proprio in un quadro di questo tipo che la pronuncia n. 372 del 10 gennaio 2014 della Sez. I Cass. Civ. ha supportato la decisione App. Roma in merito alla necessità di mantenere i rapporti tra padre e figlio senza attendere l’esito del procedimento penale, in quanto il rapporto sarebbe divenuto irrecuperabile a lungo termine e questo non avrebbe giovato al benessere del minore. Questa pronuncia si allinea alla necessità di tutelare i minori di fronte alla perdita di una figura genitoriale esclusivamente sulla base di una presunzione di colpevolezza. La CEDU ha condannato, più volte, l’Italia in tema di diritto alla bigenitorialità per non avere predisposto un sistema adeguato a tutela del diritto a mantenere relazioni genitore-figlio significative33. La più recente giurisprudenza nazionale ha mostrato una certa attenzione al tema disponendo, ad esempio, l’inversione del collocamento o l’affidamento esclusivo al genitore alienato e, talvolta, punendo il genitore alienante anche mediante sanzioni pecuniarie. Il Trib. Milano ha disposto, a seguito della CTU in cui erano emersi pesanti condizionamenti da parte della madre sulla figlia minore, l’immediata inversione di collocamento34. In alcuni casi, la gravità delle condotte osservate ha portato i giudici a disporre l’affido in via esclusiva al genitore “alienato”35. Il Trib. Roma ha disposto il risarcimento a favore di un padre “alienato” dal danno provocato dalla ex moglie “alienante” per “aver posto in essere una complessiva condotta produttiva di alienazione parentale a danno del convenuto”36. Il Trib. Cosenza ha accolto le richieste di un padre di diffidare l’ex moglie dal tenere condotte ostative agli incontri padre-figlio, condannando la stessa al risarcimento dei danni subiti dal coniuge e dal figlio, per aver gravemente e irrimediabilmente pregiudicato la relazione affettiva tra i due37.

Considerate le conseguenze psicologiche per i bambini di procedimenti innescati e focalizzati sulle dinamiche genitoriali conflittuali, appare imprescindibile anche nell’ambito civile la necessità di adoperare strumenti di ascolto del minore e di valutazione delle sue capacità di esprimere il disagio e rievocare esperienze di vita che tengano conto della delicata fase di sviluppo in cui si trova, con particolare cautela verso le peculiarità cognitive, affettive e relazionali del bambino o adolescente e verso la situazione in cui vive. La cautela si impone, ancora una volta, a tutela del superiore interesse del minore, che solo un approccio scientificamente valido e affidabile può evidentemente garantire.



6. L’ascolto del minore e i sistemi alienanti



La tutela dei minori è un campo delicato che a volte si scontra con dinamiche alienanti anche al di fuori dei sistemi familiari. L’ascolto del minore può avvenire, infatti, in diversi contesti “sociali”: familiare, giuridico, scolastico e socio-sanitario. Spesso accade che genitori, insegnanti, operatori sociali e sanitari, psicoterapeuti, pediatri possano essere interpellati per raccogliere notizie o informazioni pertinenti alla tutela dell’interesse del minore che potranno poi essere utilizzate anche in ambito giudiziario. Può succedere, però, che nel lodevole tentativo di tutelare i bambini si operi, ingenuamente e maldestramente, nella direzione opposta al loro reale interesse. Il caso “storico” dell’asilo McMartin ha messo in luce quanto un atteggiamento verificazionista e tecniche di intervista suggestive possano portare a clamorosi errori giudiziari e alla vittimizzazione secondaria delle presunte vittime. Il caso risale al 1983, quando i componenti di una famiglia che gestiva una scuola materna in California furono accusati di aver compiuto abusi rituali satanici sui bambini di cui si prendevano cura. Dalle rievocazioni ottenute durante gli interrogatori emergevano non solo bambini stuprati, costretti a partecipare a film pornografici e a farsi fotografare nudi ma anche la mutilazione e l’uccisione di animali, la partecipazione a rituali satanici, compreso l’omicidio rituale di bambini. I bambini avrebbero visto partecipare a questi riti anche degli attori famosi e uomini politici, sarebbero stati chiusi in una bara e calati in una fossa, sarebbero stati molestati in un mercato e in un autolavaggio. Ne seguì un lungo e costoso processo penale che terminò dopo sei anni con la caduta di tutte le accuse. Questo caso è l’esempio più citato dalla letteratura internazionale per illustrare come il minore, se reiteratamente sollecitato con inappropriati metodi di intervista che implicano la risposta o che trasmettano notizie, può a poco a poco incorporare nei suoi ricordi informazioni spurie, fino a radicare un falso ricordo autobiografico. Si tratta di processo non necessariamente patologico o derivante da una volontà consapevole di mentire, che può tuttavia avere conseguenze devastanti per il procedimento giudiziario e per la vita del minore stesso38. Al centro del caso McMartin c’erano interviste videoregistrate condotte da alcuni operatori dei servizi sociali. Ceci e Bruck39, nel 1995, hanno riportato e analizzato stralci di quelle interviste criticate, all’epoca, già dagli stessi giurati perché, a loro dire, “guidavano troppo le risposte”. I bimbi venivano coinvolti in dei veri e propri psicodrammi. In particolare, durante i colloqui con i minori venivano utilizzate delle bambole anatomiche e si chiedeva loro di rivivere, con la mediazione del gioco, lo stupro rituale che si supponeva avessero subito. Tuttavia, in più occasioni si è osservato che le risposte non venivano accettate fin quando non confermavano i sospetti degli adulti e sistematicamente il piccolo finiva per rispondere in modo da compiacere chi lo interrogava. In molti scambi, i bambini inizialmente rifiutavano in modo coerente le domande suggestive, ma con la ripetizione, arrivavano a cambiare le risposte40. Inoltre, dalla lettura delle trascrizioni, emergeva anche la tendenza ad utilizzare la presenza di co-testimoni per aumentare la pressione sui bambini interrogati e favorire risposte congrue con le aspettative di chi conduceva l’intervista41. Il caso McMartin e il suo esito non sono serviti da monito. Anche in Italia si sono verificati scenari simili. A titolo di esempio, Rignano Flaminio, alle porte di Roma, è la sede di una lunga storia giudiziaria che, iniziata nel 2006, per quasi dieci anni ha interessato la cronaca dei media nazionali. Anche in questo caso, i genitori di alcuni bambini di una scuola materna avevano denunciato ai carabinieri storie di abusi che i loro figli avrebbero subito. I racconti hanno seguito il copione già visto: atti sessuali e rituali bizzarri, stregoni che volano, ministri di Satana che bevono il sangue di animali, sacrifici umani e punizioni sadiche. L’inchiesta si è allargata a ventuno bambini, le maestre sono state arrestate. Solo dopo due processi, nel 2014, gli imputati sono stati assolti. I due casi citati presentano delle similitudini non solo relativamente ai contenuti (spesso bizzarri e surreali) riportati dai minori, ma anche nelle dinamiche pre-processuali e sulle modalità attraverso cui si è intervenuti sui minori e sui loro ascolti basati su modelli teorici per cui un avvenimento traumatico spiega ogni forma di disturbo. In entrambi i casi le dichiarazioni dei bambini appaiono essere state stimolate involontariamente dai genitori che, allarmati da comportamenti “strani” dei loro figli, ponevano domande di fatto in grado di inquinarne i ricordi. L’uniformità delle dichiarazioni dei bambini e dei genitori derivava in questi casi da una forma di contagio psichico definito “contagio dichiarativo”42. Tuttavia, oltre alle paure dei genitori, nella produzione di ricordi inquinati sono intervenute le modalità scorrette di conduzione degli ascolti da parte degli stessi professionisti incaricati dall’A.G. I danni di questa grave incuria metodologica hanno prodotto effetti devastanti sui procedimenti giudiziari e sui protagonisti della vicenda, in primis gli stessi bambini traumatizzati – e stavolta per davvero – dalla rievocazione di esperienze di abuso in verità mai accadute. In un recente passato, la Cassazione ha sanzionato l’imperizia di operatori dei Servizi Sociali che, sulla base di fragili ipotesi accusatorie, hanno operato l’allontanamento di una minore dalla famiglia per vari mesi. La Corte ha precisato che l’ente locale dovesse rispondere delle conseguenze della prassi adottata dai suoi dipendenti e pertanto fosse tenuto a risarcire ai genitori il danno biologico e morale causato dall’ingiusto allontanamento43.

Nonostante queste storie processuali dicano molto a proposito della necessità di dotarsi di supporti scientifici per l’attività investigativa e giudiziaria, ancora oggi vicende recenti dimostrano lacune significative nella conduzione di ascolti che coinvolgono minori in condizioni di vulnerabilità. In particolare, in un recente articolo, Mazzoni e Curci (2020) discutono dei limiti ideologici e culturali emersi in riferimento all’indagine psico-sociale che ha riguardato due casi noti al grande pubblico, verificatisi entrambi nella regione Emilia-Romagna, uno di cui si è chiesta la riapertura dopo più di venti anni (denominato dai media “Diavoli della Bassa” o “Veleno”), l’altro recentissimo emerso dalle intercettazioni degli operatori dei servizi sociali del Comune di Bibbiano. La lezione che si può trarre dall’analisi attenta di questi casi è che l’intervento delle scienze psicologiche nel processo richiede che l’operatore fornisca un supporto tecnico valido e affidabile alla decisione giudiziaria, che la scienza definisce come evidence-based (cioè supportato da evidenze scientifiche ottenute con metodi controllabili e riproducibili). Il ruolo che si richiede di assumere al consulente è di “ricercatore” di evidenze psicologiche e non di clinico orientato a trattare il disagio nelle forme in cui si manifesta. I limiti del suo lavoro sono nella scientificità dell’approccio, nel metodo e non nelle preferenze individuali, che spesso possono essere solo il frutto di scelte di opportunità o, persino, di “moda”44.



7. Conclusioni



Il rapporto tra la comunità scientifica e il mondo delle professioni è complesso ma assume una rilevanza imprescindibile quando le implicazioni riguardano l’applicazione nel contesto forense per i casi in cui sono coinvolti individui nella delicata fase dello sviluppo. In particolare, gli apporti scientifici hanno un ruolo cruciale nell’influenzare i cambiamenti, le procedure e le pratiche connesse alla tutela del minore e dei suoi diritti. In tema di ascolto, la scienza psicologica ci insegna a trattare le dichiarazioni di un individuo in età evolutiva con estrema cautela identificando una serie di buone prassi, protocolli e linee guida. Spesso, invece, in tema di ascolto, vengono applicate procedure “fai da te” oppure pratiche consolidate non necessariamente supportate da conoscenze valide ed affidabili sul funzionamento psichico umano. Inoltre, troppo spesso l’applicazione di tali procedure e pratiche appare pericolosamente svincolata dall’analisi del contesto di vita dell’individuo che, come si è visto, influisce sulla neurobiologia cerebrale e i relativi processi di memoria, apprendimento e comunicazione. Come già abbiamo indicato nell’incipit di questo articolo, l’esigenza di coniugare la tutela del minore con i contributi della psicologia scientifica assume una particolare rilevanza in questo particolare momento storico. Infatti, è importante che vengano considerate adeguate precauzioni a tutela del minore e dei soggetti più fragili che, a causa della pandemia e dei suoi risvolti sociali, potrebbero trovarsi in una situazione di estrema difficoltà, senza dimenticare i principi scientifici che impongono un’attenta analisi situazionale. Risulta, quindi, cruciale il supporto, nell’ambito dei procedimenti giudiziari, di professionisti con adeguata preparazione sulla psicologia cognitiva e dell’età evolutiva, preparati ad impiegare un metodo di indagine scientifico evidence-based, che tenga conto delle caratteristiche individuali, relazionali e contestuali della vita degli attori dei procedimenti. In tema di presunti abusi sessuali su minori, come ampiamente descritto, può, infatti, accadere che prevalga una tendenza sistematica a vedere maltrattamenti e abusi laddove, invece, spesso vi sono situazioni di disagio sociale o economico, povertà educativa o culturale, che richiedono interventi ben diversi da parte delle istituzioni. L’adozione di un approccio di indagine scientificamente supportato rifiuta qualsiasi interpretazione eziologica lineare e deterministica: quest’ultima mal si coniuga, al contrario di quanto purtroppo si è talvolta verificato, con la comprensione dell’essere umano e con le esigenze del giusto processo. I fatti di cronaca più o meno recenti dovrebbero almeno averci insegnato ad assumere una particolare cautela nell’interpretazione del disagio e nella valutazione dell’ascolto.

NOTE

1 World Health Organization. Constitution, in https://www.who.int, 1948.

2 P. ziMMerMann, N. curtis, Coronavirus Infections in Children Including

Covid-19: An Overview of the Epidemiology, Clinical Features, Diagnosis, Treatment and Prevention Options in Children, in Pediatr Infect Dis J., 2020, 355 ss.

3 P. sen, P.P. shah, R. nativio, S.L. Berger, Epigenetic Mechanisms of Longevity and Aging, in Cell., 2016, 833 ss.

4 H. selye, A syndrome produced by diverse nocuous agents, in Nature, 1936, 32 ss.; A.S. Masten, a.J. narayan, Child development in the context of disaster, war, and terrorism: pathways of risk and resilience, in Annu Rev Psychol., 2012, 23 ss.

5 B.s. Mcewen, Brain on Stress: How the Social Environment Gets under the Skin, in PNAS, 2012, 17183 ss.; K. zhang, Environmental stressor, stress response, and disease, in Environ Dis., 2018, 1 ss.

6 Trib. Milano, sez. IX civ., decr., 11 marzo 2020, n. 30544, in http://www. dirittoegiustizia.it/.

7 App. Bari, sez. Min. Fam., ord., 26 marzo 2020, in http://www.dirittoegiustizia.it/.

8 e. cannoni, a.s. BoMBi, Parlare ai bambini: a quale età e come?, in M. Malagoli togliatti, a. luBrano lavadera (a cura di), Bambini in tribunale: l’ascolto dei figli contesi, Milano, 2011, 77.

9 La Carta di Noto nasce dalla collaborazione interdisciplinare di magistrati, avvocati, psicologi, psichiatri, criminologi e medici legali, a seguito del convegno tenutosi a Noto il 9 giugno 1996 dal titolo: Abuso sessuale sui minori e processo penale. Nel corso degli anni, i contenuti del documento sono stati costantemente aggiornati (2002, 2011, 2017) sulla base dell’evoluzione delle conoscenze in materia di psicologia della testimonianza, e quindi in base agli aggiornamenti scientifici in tema di processi cognitivi, percettivi e mnestici, e in materia di psicologia dell’età evolutiva, relazionale e di psicopatologia dello sviluppo.

10 Cass. Pen. sez. III, sent., 3 ottobre 1997, n. 8962, in http://www.psicologiagiuridica.eu.

11 Cass. Civ. sez. I, sent., 26 marzo 2010, n. 7282, in http://www.tribmin. reggiocalabria.giustizia.it.

12 Cass. Civ. sez. I, sent., 17 maggio 2019, n. 13409, http://www.dirittoegiustizia.it/.

13 G. richardson, G.H. gudJonsson, T.P. Kelly, Interrogative suggestibility in an adolescent forensic population, in J. Adolesc, 1995, 211 ss.; G.H. gudJonsson, Psychological vulnerabilities during police interviews. Why are they important?, in Leg. Criminol. Psychol., 2010, 161 ss.

14 P.A. ornstein, L. BaKer-ward, B.N. gordon, K.A. Merritt, Children’s memory for medical experiences: Implications for testimony, in Appl. Cogn. Psychol., 1997, 87 ss.

15 E.R. Kandel, Y. dudai, M.R. MayFord, The molecular and systems biology of memory, in Cell., 2014, 163 ss.

16 S.J. ceci, E.F. loFtus, M.D. leichtMan, M. BrucK, The possible role of source misattributions in the creation of false beliefs among preschoolers, in IJCEH, 1994, 304 ss.; S. garven, J.M. wood, R.S. MalPass, J.S. shaw, More than suggestion: the effect of interviewing techniques from the McMartin preschool case, in J. Appl. Psychol., 1998, 347 ss.; G. gulotta, D. ercolin, La suggestionabilità dei bambini: uno studio empirico, in Psicologia e Giustizia, 2004, 1 ss.

17 G.H. gudJonsson, N.K. clarK, Suggestibility in police interrogation: A social psychological model, in Soc. Behav., 1986, 83 ss.

18 D.A. Poole, D.S. lindsay, Interviewing preschoolers: Effects of non suggestive techniques, parental coaching, and leading questions on reports of nonexperienced events, in J. Exp. Child Psychol., 1995, 129 ss.

19 g. Mazzoni, La testimonianza nei casi di abuso sessuale sui minori. La memoria, l’intervista e la validità della deposizione, Milano, 2000.

20 H.F.M. croMBag, W.A. wagenaar, P.J. van KoPPen, Crashing memories and problems of “Source Monitoring”, in Appl. Cogn. Psychol., 1996, 95 ss.

21 e.F. loFtus, The reality of repressed memories, in Am. Psychol., 1993, 518 ss.; S.J. ceci, E.F. loFtus, “Memory work”: A royal road to false memories?, in Appl. Cogn. Psychol, 1994, 351 ss.; D. davis, E.F. loFtus, Recovered memories and false memories, Oxford, 2019.

22 a. curci, a. Bianco, G.H. gudJonsson, Verbal ability, depression, and anxiety as correlates of interrogative suggestibility in children exposed to life adversities, in Psychol Crime Law., 2017, 445 ss.

23 H. otgaar, M.L. howe, L. Patihis, H. MercKelBach, S.J. lynn, S.O. lilienFeld,E.F.loFtus,TheReturnoftheRepressed:ThePersistentandProblematicClaims of Long-Forgotten Trauma, in Perspect Psychol Sci., 2019, 1072 ss.

24 g. Mazzoni, A. curci, A proposito di Bibbiano e casi simili ovvero alcune riflessioni critiche all’indomani del clamore mediatico, in https://www.giustiziainsieme. it, 2020.

25 M. BrucK, s.J. ceci, E. Francoeur, The accuracy of mothers’ memories of conversations with their preschool children, in J. Exp. Psychol. Appl., 1999, 89 ss.

26 J.B. Kelly, Children’s adjustment in conflicted marriage and divorce: a decade review of research, in J Am Acad Child Adolesc Psychiatry, 2000, 963 ss.

27 g. gulotta, a. cavedon, M. liBeratore, La sindrome da alienazione parentale (PAS) lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno dell’altro genitore, Milano,2008,170;F.Montecchi,Ifiglinelleseparazioniconflittualienella(cosiddetta) PAS (Sindrome di Alienazione Genitoriale). Massacro psicologico e possibilità di riparazione. Milano, 2016, 101.

28 M.c. verrocchio, D. Marchetti, Alienazione genitoriale: un inquadramento psicologico-clinico, in I. Petruccelli (a cura di), Elementi di psicologia giuridica e criminologica, Milano, 2017, 40.

29 s. Minuchin, Famiglie e terapia della famiglia, Roma, 1974; J.d. haley, Towards a theory of pathological systems, Palo Alto, 1969.

30 a. cavedon, T. Magro, Dalla separazione all’alienazione parentale. Come giungere a una valutazione peritale, Milano, 2010.

31 g. gulotta, a. cavedon, M. liBeratore, La sindrome da alienazione parentale (PAS) lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno dell’altro genitore, Milano, 2008, 170.

32 s. cesi, e. Masina, G.B caMerini, Vere e False denunce di abuso sessuale: studio di una casistica in separazioni conflittuali, Firenze, 2007.

33 CEDU, sez. II, sent., 29 gennaio 2013, Lombardo contro Italia, in http:// www.giustizia.it/; CEDU, sez. I, sent., 5 dicembre 2019, Luzi contro Italia, in http://www.giustizia.it/.

34 Trib. Milano, sez. IX civ., sent., 5 giugno 2019, n. 6665, in http://www. giustizia.it/.

35 Trib. Castrovillari, sent., 27 luglio 2018, n. 728, in https://www.alienazioneparentale.it; Trib. Brescia, sez. III civ., sent., 22 marzo 2019, n. 815, in https:// www.alienazioneparentale.it.

36 Trib. Roma, sez. I civ., sent., 18 settembre 2015, n. 18475, in https://www. alienazioneparentale.it.

37 Trib. Cosenza, sez. II civ., decr., 4 novembre 2019, n. 549, in https://www. alienazioneparentale.it.

38 M.l. howe, L.M. Knott, The fallibility of memory in judicial processes: Lessons from the past and their modern consequences, in Memory, 2015, 633 ss.

39 s.J. ceci, M. BrucK, Jeopardy in the courtroom: A scientific analysis of children’s testimony, Washington, 1995.

40 ceci, BrucK, op. cit., 122.

41 ceci, BrucK, op. cit., 149.

42 Cass. Pen., sez. III, sent., 18 settembre 2007, n. 13147, in https://www.

penale.it.

43 Cfr. Cass. civ. sez. III, sent. 16 ottobre 2015, n. 20928, in https://www.

dirittoegiustizia.it.

44 Cfr. la nota sent. Cozzini (Cass. Pen., sez. IV, sent., 17 settembre 2010, n. 43786), che recepisce ed integra i criteri della giurisprudenza americana, noti come standard Daubert, secondo cui: “Gli esperti dovranno essere chiamati non solo ad esprimere il loro personale seppur qualificato giudizio, ma anche a delineare lo scenario degli studi ed a fornire elementi che consentano al giudice di comprendere se, ponderate le diverse rappresentazioni scientifiche del problema, possa pervenirsi ad una ‘metateoria’ in grado di fondare affidabilmente la ricostruzione. Di tale complessa indagine il giudice è infine chiamato a dar conto in motivazione, esplicitando le informazioni scientifiche disponibili e fornendo razionale spiegazione, in modo completo e comprensibile a tutti, dell’apprezzamento compiuto”.