inserisci una o più parole da cercare nel sito
ricerca avanzata - azzera

Evoluzione della tutela dei diritti degli animali nella legislazione italiana, con particolare riguardo alle situazioni di crisi del nucleo familiare

autore: M. Bertolozzi

Sommario: 1. Il codice civile: gli animali come beni mobili. - 2. Animali di affezione e da compagnia: evoluzione normativa del concetto e confronto con le pronunce giurisprudenziali dell’epoca. - 3. Norme europee. - 4. La tutela penale di cui alla legge 189/2004: verso il riconoscimento di una nuova soggettività all’animale quale essere vivente. - 5. Norme nazionali di settore. - 6. La sorte dell’animale di affezione nelle situazioni di crisi del nucleo familiare: vuoto normativo e precedenti giurisprudenziali. - 7. Riflessioni conclusive.



1. Il codice civile: gli animali come beni mobili



L’evoluzione normativa della tutela degli animali trae origine dal codice civile del 1942, il quale, coerentemente con la sensibilità sociale e le conoscenze scientifiche dell’epoca, all’art. 810 identifica indirettamente gli animali come “beni”, in quanto “possono formare oggetto di diritti”, idonei dunque a soddisfare una necessità dell’uomo, tant’è che all’art. 1496 c.c. viene poi disciplinata la vendita di animali e la relativa garanzia “per i vizi”. L’art. 812 del codice civile specifica ulteriormente tale definizione, per esclusione, descrivendo i beni immobili e qualificando come mobili “tutti gli altri beni”, dunque anche gli animali. Dagli anni ’90 il sistema giuridico italiano ha subito profonde modifiche in senso favorevole alla tutela degli animali, grazie ai principi giuridici di derivazione europea, ai nuovi interventi del legislatore ed alle relative applicazioni giurisprudenziali, basate sulla diversa concezione della relazione uomo-animale e su un approccio sicuramente più etico.



2. Animali di affezione e da compagnia: evoluzione normativa del concetto e confronto con le pronunce giurisprudenziali dell’epoca



Fondamentale, per il riconoscimento di misure minime di tutela degli animali quali esseri senzienti, è la legge-quadro n. 281 del 19911 in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo, la quale, disciplinando il “trattamento dei cani e di altri animali di affezione” (art. 2), si riferisce a tutti gli animali con i quali, sulla base delle loro caratteristiche etologiche, è possibile stabilire un legame affettivo: la legge 281/1991 individua certamente cani e gatti tra gli animali d’affezione, in quanto specie più diffuse tra la popolazione, ma lascia la categoria aperta, in previsione di una possibile, ulteriore crescita della sensibilità sociale, che porti a ricomprendervi anche altre specie, come poi effettivamente avvenuto. Con l’espressione “animali d’affezione” il legislatore ha per la prima volta introdotto la dimensione affettiva ed emotiva nella rappresentazione giuridica del concetto di animale. Successivamente, con l’Accordo 6 febbraio 2003 sul benessere degli animali da compagnia e pet-therapy, recepito con d.P.C.M. 28 febbraio 20032 , le Regioni e il Governo “si impegnano, ciascuno per le proprie competenze, a promuovere iniziative rivolte a favorire una corretta convivenza tra le persone e gli animali da compagnia, nel rispetto delle esigenze sanitarie, ambientali e del benessere degli animali” (art. 1). Tale Accordo definisce animale da compagnia “ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto, dall’uomo, per compagnia o affezione senza fini produttivi od alimentari, compresi quelli che svolgono attività utili all’uomo, come il cane per disabili, gli animali da pet-therapy, da riabilitazione, e impiegati nella pubblicità” (art. 2 lett. a). Viene, dunque, ripreso e ampliato il concetto di “affezione”: non potendosi individuare un momento preciso nel quale sorge il legame affettivo, viene introdotto il concetto di “compagnia”, identificato col momento nel quale un soggetto decide di prendersi cura di un animale, anche qualora il legame affettivo non sia già maturato. Purtroppo però, nelle pronunce di legittimità del periodo, l’animale d’affezione viene ancora trattato con accenti di noncuranza che non tengono conto della suddetta evoluzione normativa.

Due sentenze, per tutte, sono sufficienti a delineare il quadro. Nel decidere su una richiesta di risarcimento del danno esistenziale derivante dalla morte di un cavallo, nel 2007 la Suprema Corte sancisce sbrigativamente che essa va respinta in quanto la lesione va ad incidere su un rapporto sprovvisto di copertura costituzionale: “la perdita del cavallo in questione, come animale da affezione, non sembra riconducibile sotto una fattispecie di un danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente protetta”3 . L’anno successivo sul punto intervengono anche le Sezioni Unite con la sentenza 11 novembre 2008 n. 269724 : dopo aver inspiegabilmente accomunato tra loro figure chiaramente diverse, quali, da un lato, il danno da “morte dell’animale da affezione” o di “maltrattamento di animali” e, dall’altro, quelle di pregiudizio derivante dalla rottura del tacco della sposa e/o del mancato godimento della partita di calcio in tv; e dopo aver, altresì, raggruppato tutte quante le predette figure in tal modo accatastate sotto l’etichetta di fattispecie “fantasiose ed a volte risibili”, le Sezioni Unite concludono che il rapporto tra l’uomo e l’animale è “privo, nell’attuale assetto dell’ordinamento, di copertura costituzionale”. Perciò, in caso di morte dell’animale d’affezione, nessuna forma risarcitoria sarebbe dovuta.



3. Norme europee In questo contesto si inseriscono le norme europee.



La Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia firmata a Strasburgo il 13 novembre 19875 riconosce, nel preambolo, che “l’essere umano ha un dovere morale di rispettare tutte le creature viventi” e – “considerata l’importanza degli animali da compagnia per il loro contributo alla qualità della vita e quindi il loro valore per la società” – definisce animale da compagnia “ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto dall’uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e compagnia” (art. 1, comma 1): l’utilizzo dell’aggettivo “ogni” indica che non si fanno distinzioni di specie, ma si pone ancora una volta l’accento sul legame affettivo che si viene a creare tra l’animale e la sua famiglia umana adottiva.

Uno degli articoli più rilevanti della Costituzione è l’art. 10, che vieta “gli interventi chirurgici destinati a modificare l’aspetto di un animale da compagnia, o finalizzati ad altri scopi non terapeutici”, come il taglio della coda e delle orecchie. Tale convenzione è stata ratificata in Italia soltanto con la legge 201 del 4 novembre 20106 : nel periodo trascorso tra la firma della Convenzione da parte dell’Italia e la presentazione del disegno di ratifica, la legislazione nazionale (soprattutto con la legge 281/1991) e le relative norme regionali di recepimento hanno già in gran parte attuato le disposizioni della Convenzione, in molti casi superandone anche le previsioni minime di tutela, tant’è che la legge 201/2010 ha aumentato le pene previste per i reati che – come vedremo – sono stati nel frattempo introdotti dalla legge 189/2004 e delineato la nuova fattispecie penale del traffico illecito di animali da compagnia (art. 4). Il notevole lasso di tempo trascorso dalla firma della Convezione europea del 1987 si riflette a chiare lettere nella più moderna sensibilità di cui è espressione il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 20077 , ratificato in Italia con legge 130/20088 , il quale definisce gli animali per la prima volta come “esseri senzienti”, impegnando gli Stati membri a garantire loro una condizione di benessere che vada oltre le esigenze fisiologiche ed etologiche, comprendendo anche una dimensione morale: gli animali sono dotati di sensibilità e, come l’uomo, possono provare sofferenza e dolore. La svolta è epocale: si passa da una sorta di “antropocentrica” valorizzazione dell’animale in funzione del rapporto che esso può avere con l’uomo (“di affezione” o “da compagnia”), alla tutela dell’animale in sé, in quanto essere senziente, cioè capace di sentire. Ed è proprio in questo senso che la legislazione italiana continua, nel frattempo, ad evolvere.



4. La tutela penale di cui alla legge 189/2004: verso il riconoscimento di una nuova soggettività all’animale quale essere vivente



L’auspicato cambiamento di prospettiva si ha finalmente con l’emanazione della legge 20 luglio 2004, n. 1899 , che ha introdotto nel libro II del codice penale il titolo IX-bis dedicato ai “Delitti contro il sentimento per gli animali”. Prima della legge 189/2004, la norma di cui all’articolo 727 c.p. era l’unica che sanzionava comportamenti idonei a provocare sofferenza agli animali ed era rubricata “maltrattamento di animali”, mentre con l’intervento normativo del 2004 il reato di cui all’art. 727 c.p. è stato rubricato “abbandono di animali”10 ed il “maltrattamento” è stato ricondotto al nuovo art. 544-ter, che ha previsto un più grave regime sanzionatorio: il concetto di abbandono va collegato alla trascuratezza o al disinteresse verso l’animale, non invece all’incrudelimento nei suoi confronti o all’inflizione di sofferenze gratuite, atteggiamenti che sono puniti con il reato di maltrattamento. Sono stati, inoltre, introdotti i delitti di uccisione di animali (articolo 544-bis), organizzazione di spettacoli o manifestazioni che provochino sevizie per gli animali (articolo 544-quater) e organizzazione di combattimenti tra animali (articolo 544-quinquies). Il testo della nuova normativa considera gli animali in sé: non vi sono, in linea di principio, differenze tra animali d’affezione, domestici o selvatici; pertanto, chi compie un atto di crudeltà nei confronti di qualsiasi animale o lo uccide per divertimento, compie un reato e può essere punito. È stata, dunque, conferita una nuova soggettività all’animale quale essere vivente capace di soffrire, la normativa è diretta verso la sua tutela specifica. Molta strada è stata fatta da quando l’articolo 727 c.p. tutelava solo il sentimento etico-sociale di umanità verso gli animali, l’animale non era un soggetto di diritto, né di altri interessi giuridicamente riconosciuti, ma soltanto l’oggetto materiale, la res, su cui ricadeva la condotta del reo. Tuttavia l’animale viene formalmente tutelato non ancora in quanto tale, bensì in funzione del “sentimento” umano nei suoi confronti: nel titolo, resta traccia della visione antropocentrica precedente al Trattato di Lisbona. Nel febbraio 2019 è stato presentato a firma del Senatore Perrilli un disegno di legge finalizzato a intervenire sul titolo IX-bis del codice penale con l’intento di eliminare il riferimento al “sentimento per gli animali”, riconoscendo una volta per tutte l’animale come soggetto e, inteso giuridicamente come tale, meritevole di tutela penale direttamente, senza che vi sia un collegamento diretto con il “sentimento” umano. Di recente anche la Corte di Cassazione ha stabilito che gli animali devono essere riconosciuti come esseri senzienti: si veda, ad esempio, la sentenza n. 20934/201711 secondo cui la confisca prevista dall’art. 544-sexies c.p. non riguarda l’animale inteso come bene patrimoniale, produttivo di frutti, e neppure come “corpo di reato”, bensì come essere vivente, caratterizzato da una sua individualità e sensibilità, che il legislatore vuole allontanare in modo definitivo dall’autore della condotta e dai luoghi della sua sofferenza, per affidarlo ad altri soggetti e in contesti più adeguati. Ciò vuol dire che gli animali non devono essere collocati nell’area semantica delle “cose”, ma devono piuttosto essere considerati come membri della famiglia. A prescindere dal tenore letterale del titolo, la riforma introdotta dalla legge 189/2004 e la relativa giurisprudenza mirano, quindi, a tutelare l’animale in quanto tale, in qualità di essere senziente, meritevole di una diligenza simile a quella riservata a un minore: un polo di diritti in sé e per sé, oggetto di tutela a prescindere dai sentimenti umani nei confronti degli animali. La funzione dissuasiva di queste norme è diretta nei confronti di qualsiasi comportamento diretto a causare, o non impedire, una lesione fisica, psicologica, etologica o contraria alle peculiarità dell’animale in quanto individuo.



5. Norme nazionali di settore



La successiva legislazione italiana continua a muoversi nella direzione indicata dalla normativa europea, ma permane la valorizzazione del rapporto che l’animale ha con l’uomo. La legge 120/2010 di riforma del Codice della strada impone, in caso di incidente, l’obbligo di fermarsi a soccorrere gli animali “d’affezione, da reddito o protetti”12. Per quanto riguarda gli animali in condominio, la norma che ha segnato la più recente e drastica svolta è la legge 11 dicembre 2012, n. 22013, la quale ha modificato l’articolo 1138 del codice civile, con l’aggiunta della previsione in forza della quale “Le norme del regolamento (condominiale) non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”. Il Legislatore parla di animali “domestici” e non “da compagnia”, mostrando l’intenzione di includere un numero di specie maggiore rispetto al cane e al gatto, come ad esempio criceti, furetti e conigli. L’art. 514 del codice di procedura civile, a seguito della riforma introdotta dalla legge n. 221 del 2015 coi numeri 6-bis e 6-ter14, ribadisce i concetti di “affezione” e “compagnia”, valutando entrambi i legami meritevoli di tutela e determinando l’impignorabilità di tali animali: risulta, dunque, di nuovo oggetto di tutela da parte del nostro ordinamento la volontà di prendersi cura di un animale. La norma in questione si spinge però ancora oltre, estendendo la tutela a due specifici legami di compagnia e/o di affezione, ovvero quelli maturati a fini terapeutici o di assistenza, tanto tra l’animale e il debitore, quanto tra l’animale e i componenti del nucleo familiare di quest’ultimo.



6. La sorte dell’animale di affezione nelle situazioni di crisi del nucleo familiare: vuoto normativo e precedenti giurisprudenziali



Nel vuoto normativo attualmente esistente sul tema, sono stati i suddetti principi ad ispirare i provvedimenti in cui è stata decisa la sorte dell’animale d’affezione nei casi di separazione della coppia, anche di fatto: in questa materia, è stata la prevalente giurisprudenza di merito a superare il concetto dell’animale come puro bene patrimoniale, applicando per analogia agli animali domestici la disciplina sull’affido condiviso dei figli minori e ponendo, quindi, l’attenzione sull’interesse materiale, spirituale ed affettivo dell’animale.

I) Tribunale di Cremona sentenza 11 giugno 2008 Si tratta, per molti versi, di una sentenza rivoluzionaria, che ha rappresentato una vera e propria svolta nella giurisprudenza italiana: due coniugi avevano rinunciato alla separazione consensuale per discutere in Tribunale il diritto di ciascuno di tenere i due cani di famiglia. Il marito faceva valere la circostanza di essere l’intestatario del microchip, la moglie quella di essersi sempre occupata dei cani. Il Tribunale, in merito, ha deciso di equiparare gli animali domestici alla prole, con l’applicazione di tutte le garanzie previste per l’affido condiviso dei figli minorenni. Ha invitato, pertanto, i coniugi a trovare un accordo che garantisse la possibilità per entrambi di prendersi cura congiuntamente dei loro animali, con l’obbligo di ripartizione al 50% delle spese necessarie per il loro mantenimento. Il Tribunale ha omologato le condizioni stabilite dai coniugi, in maniera simile a quanto si verifica in tema di rapporti di filiazione ritenendone quindi, implicitamente, la meritevolezza di tutela in sé. II) Analoga una pronuncia del Tribunale di Foggia del 2008 che ha disposto l’affidamento del cane al marito indipendentemente dall’intestazione formale del cane15. III) Tribunale di Milano, decreto 13 marzo 201316. Nel regolare rapporti post-matrimoniali, il Tribunale ha preso atto di un accordo in cui, attraverso la tutela degli interessi della figlia minorenne, si disponeva dell’affidamento dei gatti di famiglia. Pertanto, ha ritenuto di poter accogliere, fra le clausole di una separazione consensuale, quella che prevedeva che gli animali domestici sarebbero rimasti “affidati” alla madre, presso cui era collocata la minore, che si impegnava a sostenere le spese ordinarie per i felini, mentre le spese straordinarie restavano a carico dei coniugi al 50% ciascuno. Il Tribunale ha motivato il provvedimento sostenendo che “una interpretazione evolutiva ed orientata delle norme vigenti – sia nazionali che europee – impone di ritenere che l’animale non possa essere più collocato nell’area semantica concettuale delle ‘cose’, ma debba essere riconosciuto come ‘essere senziente’”. Secondo questa impostazione, è, dunque, “legittima facoltà dei coniugi quella di regolarne la permanenza presso l’una o l’altra abitazione e le modalità che ciascuno dei proprietari deve seguire per il mantenimento dello stesso”. Spesso nel complesso dei valori affettivi del figlio minorenne rientra anche la sorte dell’animale domestico con cui il minore stesso ha sviluppato un saldo legame basato su un affetto incondizionato ed intimo, una vera e propria amicizia improntata sulla reciproca fiducia e fedeltà. Il rimanere insieme costituisce, pertanto, il perseguimento di un medesimo primario interesse, del minore e dell’animale. IV) Coerentemente con i principi suddetti si è, altresì, espresso il Tribunale di Roma con la sentenza n. 5322 del 15 marzo 201617 che ha applicato per la prima volta la disciplina del c.d. “affidamento condiviso” ad un cane conteso da due ex conviventi more uxorio. Il Tribunale, investito della questione, preliminarmente ha chiarito che, nel caso di specie, l’assenza di un dettato normativo imponeva al giudice di “creare un principio giuridico” attraverso l’applicazione analogica della disciplina dettata dal legislatore in tema di affidamento di figli minori, così come già avvenuto nei due precedenti giurisprudenziali, rispettivamente dei Tribunali di Foggia e Cremona, ritenendo che, alla luce dell’intervenuta equiparazione della tutela dei figli nati dentro e fuori del matrimonio, ben poteva essere applicata anche alla separazione di fatto di coppie non coniugate. Considerato che il regime giuridico in grado di tutelare meglio l’“interesse materiale-spirituale-affettivo dell’animale” contemperandolo, peraltro, con “l’interesse affettivo sia di parte attrice che di parte convenuta” fosse l’affido condiviso, il giudice capitolino ha disposto l’affidamento condiviso al 50%, con collocamento alternato, ogni 6 mesi, del cane e con “facoltà per la parte che nei sei mesi non l’avrà con sé, di vederlo e tenerlo due giorni la settimana, anche continuativi, notte compresa”, nonché la divisione al 50% delle spese per il suo mantenimento. La turnazione doveva iniziare favorendo la ex convivente, che per tre anni era stata privata del diritto di vedere il cane, con condanna del compagno a pagare le spese di lite, per aver privato la ex di “un affetto fortemente percepito e privandone lo stesso cane”. Il Magistrato ha sostenuto che l’affidamento condiviso doveva ritenersi “applicabile anche se le parti non erano sposate” alla luce dell’intervenuta equiparazione della tutela dei figli nati dentro e fuori del matrimonio e della proposta di legge da tempo pendente in parlamento, volta all’introduzione nel nostro ordinamento dell’art. 455-ter c.c. V) In un decreto del 3 febbraio 2016, dunque pressoché coevo rispetto al citato provvedimento del Tribunale di Roma, il Tribunale di Como18 ha invece aderito al tradizionale inquadramento dell’animale come res, equiparando gli animali da compagnia a “beni di interesse familiare” che richiedono spese di mantenimento, riconducendo gli aspetti relativi alla frequentazione con l’animale domestico ed alle responsabilità sullo stesso alla sfera delle obbligazioni in generale ed all’interesse anche non patrimoniale del creditore, ai sensi dell’art. 1174 codice civile. Il Tribunale di Como ha addirittura definito “improprio” l’utilizzo, a proposito del rapporto con l’animale, della stessa terminologia adottata in tema di “affidamento, collocazione e protocollo di visita dei figli minori”, definendo tale assimilazione “una caduta di stile sul piano culturale”.

È evidente che il Tribunale di Como si pone del tutto in controtendenza non solo con i precedenti giurisprudenziali richiamati sul punto, ma soprattutto con le suddette Convenzioni internazionali. VI) Il decreto del Presidente del Tribunale di Sciacca del 19 febbraio 201919 ha disciplinato l’affidamento dei due animali domestici degli ex coniugi, un cane e un gatto, nel corso di un procedimento di separazione, stabilendo che, rilevata la mancanza di accordi condivisi, il gatto doveva essere “assegnato” al marito che dall’istruttoria è risultato essere la scelta preferibile per assicurare il miglior sviluppo possibile dell’identità dell’animale, mentre il cane, indipendentemente dall’intestazione risultante dal microchip, poteva essere “assegnato” ad entrambe le parti, a settimane alterne, con spese veterinarie e straordinarie ripartite nella misura del 50%. Il giudice ha motivato il suo provvedimento “sul presupposto che il sentimento per gli animali costituisce un valore meritevole di tutela anche in relazione al benessere dell’animale stesso”. Sebbene, forse, il giudice abbia prestato poca attenzione alle vere esigenze dell’animale, disponendo lo spostamento del cane tra i coniugi da una settimana all’altra, il provvedimento ha sicuramente il merito di valorizzare l’affezione per gli animali domestici e il benessere animale quali criteri regolatori dei rapporti personali a seguito della crisi del matrimonio. VII) Da ultimo, merita rilievo la recentissima ordinanza pronunciata dal Tribunale di Lucca in data 24 gennaio 2020 in un procedimento ex art. 700 c.p.c., le cui ragioni di urgenza sono state ravvisate nell’età avanzata del cane, che non avrebbe potuto attendere i tempi della giustizia ordinaria, considerata la “natura non patrimoniale del pregiudizio derivante dalla mancata frequentazione, da parte dell’attore, del cane per cui è causa”. Il Tribunale ha avuto la sensibilità di aderire alla giurisprudenza più illuminata che si è pronunciata sul tema dell’affido degli animali da compagnia in caso di separazione, divorzio o cessazione della convivenza more uxorio: “Nel vuoto normativo, alla luce per un verso dell’importanza del legame affettivo fra persone e animali e, dall’altro, del rispetto dovuto a questi ultimi quali esseri senzienti, non c’è infatti dubbio che la normativa più vicina alla fattispecie sia quella relativa all’affido dei figli”, cosicché è stato disposto l’affido condiviso del cane ad entrambe le parti, la sua collocazione presso la convenuta “ed il diritto dell’attore di prelevare il cane nei giorni di martedì, giovedì e sabato dalle 15.00 alle 18.00, ferma ovviamente restando alle parti la possibilità di concordare, in proposito, tempi diversi”. Si tratta di un altro importante precedente giurisprudenziale che tiene conto di quanto sia progressivamente maturato, nella società civile, il sentimento verso gli “animali d’affezione”, in coerenza con gli sviluppi legislativi e giurisprudenziali succedutisi nel tempo. Nella disciplina sull’affido condiviso, oggetto di tutela è il figlio minore e soltanto di riflesso viene tutelato il genitore non collocatario, esattamente come nella fattispecie in questione oggetto principale di tutela è l’animale e soltanto di riflesso viene in rilievo il diritto del padrone non collocatario di mantenere uno stabile rapporto con quest’ultimo. È interessante ribadire che nelle pronunce sopra esaminate nessun giudice ha dato rilievo all’iscrizione dei cani contesi all’anagrafe canina: l’animale da compagnia non deve intendersi, neppure per le decisioni che lo parificano ad una “cosa”, quale “bene mobile registrato”, in quanto, sebbene intestato ad un membro della famiglia, ben potrebbe aver sviluppato una relazione affettiva particolare con un altro familiare. La ratio del microchip è, dunque, quella di poter risalire all’identità del “padrone” al fine di prevenire fenomeni di abbandono, ma tale concetto è da intendersi in senso lato quando un cane vive all’interno di un nucleo familiare, proprio perché l’animale è dotato di sensibilità, cioè “capacità di sentire”.



7. Riflessioni conclusive



Alla luce del suddetto excursus normativo e giurisprudenziale, possiamo concludere che, nonostante che gli animali siano ancora giuridicamente qualificati dal codice civile del 1942 come beni mobili, tale concezione ha subito una costante evoluzione, grazie a una presenza sempre più capillare degli animali come componenti effettivi dei nuclei familiari e al continuo progresso delle scienze etologiche e veterinarie: le più recenti norme di settore, tanto nazionali quanto europee, hanno arricchito la condizione giuridica dell’animale domestico, proponendo i concetti di animali d’affezione e da compagnia, così valorizzando l’importanza di tali animali per il contributo che essi danno alla qualità della vita umana; al di là del tenore letterale del titolo IX-bis dedicato ai “delitti contro il sentimento per gli animali”, nella normativa penale si può addirittura intravedere l’intento di riconoscere una nuova soggettività all’animale in sé, quale essere vivente e “senziente”. Ma il nostro sistema giuridico tradizionale rimane ancora alquanto contraddittorio nel modo in cui considera gli animali e questo implica non poche difficoltà, sia per l’interprete che per il comune cittadino. Considerando che il diritto è espressione della cultura che si sviluppa in una data epoca e in un dato luogo, e che subisce influenze filosofiche ma anche pressioni economiche e di altro tipo, lo sviluppo delle leggi di protezione degli animali non può avvenire se non esiste a monte un comune sentire etico e morale, che supporti un pensiero compassionevole ed empatico nei confronti degli animali.

Riguardo alle situazioni di crisi del nucleo familiare, negli ultimi anni sono state presentate diverse proposte di legge per colmare le lacune nel nostro ordinamento e disciplinare con chiarezza la questione degli affidi degli animali dopo una separazione, non solo in caso di matrimonio ma anche nelle convivenze di fatto (v., da ultimo, d.d.l. n. 76, presentato dai parlamentari De Petris, Gianmanco e Cirinnà, comunicato alla Presidenza del Senato il 13 marzo 2018)20. In particolare, nelle proposte è contenuto il principio secondo cui la proprietà dell’animale, desunta dalla documentazione anagrafica, è solo un criterio orientativo per il giudice che, in mancanza di un accordo tra le parti, deve attribuire l’affido esclusivo o condiviso dell’animale domestico alla parte con cui questo ha sviluppato una maggiore relazione affettiva e che, dunque, è in grado di garantirne il maggior benessere, indipendentemente dal fatto che ne sia l’intestatario. In caso di affido “congiunto” dell’animale, le parti devono provvedere al suo mantenimento in misura proporzionale al proprio reddito. È stato anche previsto che il giudice possa sentire i coniugi, i conviventi e la prole, e acquisire, se necessario, il parere degli esperti di comportamento animale. Le proposte di legge sono ancora in attesa di discussione e approvazione. Al riguardo, occorre un intervento risolutivo del Legislatore italiano, al fine di fare chiarezza in una materia che, come si è visto, finora è stata affidata alla sola interpretazione della giurisprudenza e, quindi, alla sensibilità del singolo giudice: proprio partendo dai concetti già sviluppati dai giudici di merito, c’è bisogno di una modifica legislativa che finalmente disciplini l’ipotesi dell’affidamento dell’animale d’affezione in caso di crisi del nucleo familiare, nel principale interesse dell’animale stesso e in coerenza con i principi europei, nonché con la più evoluta sensibilità della società civile contemporanea.

NOTE

1 Legge 14 agosto 1991, n. 281 legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 30 agosto 1991. Art. 1: “Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente”.

2 Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 febbraio 2003, Recepimento dell’accordo recante disposizioni in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy (GU n. 52 del 4 marzo 2003).

3 Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2007, n. 14846: “Pur ammettendo questa Corte (V. Cass. SS unite 14 marzo 2006 n. 6572 e Cass. 15 giugno 2005 n. 15022) la tutela di situazioni soggettive costituzionalmente protette o legislativamente protette come figure tipiche di danno non patrimoniale, rientranti sotto l’ambito dell’art. 2059 c.c., costituzionalmente orientato, la perdita del cavallo in questione, come animale da affezione, non sembra riconducibile sotto una fattispecie di un danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente protetta. La parte che domanda la tutela di tale danno, ha l’onere della prova sia per l’an che per il quantum debatur, e non appare sufficiente la deduzione di un danno in re ipsa, con il generico riferimento alla perdita delle qualità della vita. Inoltre la specifica deduzione del danno esistenziale impedisce di considerare la perdita, sotto un profilo diverso del danno patrimoniale (già risarcito) o del danno morale soggettivo e transeunte”.

4 Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, in Guida al diritto, 2008, 47 18, nota D. coMandé. Le altre tre sentenze emesse lo stesso giorno recano i numeri: 26973, 26974, 26975. Con tali importanti decisioni le Sezioni Unite della Cassazione hanno non solo composto i precedenti contrasti sulla risarcibilità del c.d. danno esistenziale, ma anche, più in generale, riesaminato approfonditamente i presupposti ed il contenuto della nozione di “danno non patrimoniale” di cui all’art. 2059 c.c., accantonando definitivamente la nozione di danno morale.

5 La Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia è stata firmata a Strasburgo il 13 novembre 1987 ed è in vigore dal 1° maggio 1992. La Convenzione si compone di un preambolo e di 23 articoli.

6 Legge 4 novembre 2010, n. 201, Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno (GU 3 dicembre 2010 n. 283), entrata in vigore il 4 dicembre 2010.

7 Il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (GU C 306 del 17 dicembre 2007), che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea, è entrato in vigore il 1° dicembre 2009, dopo essere stato ratificato da tutti gli Stati membri.

8 Legge 2 agosto 2008, n. 130, Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007 (G.U. 8 agosto 2008 n. 185).

9 Legge 20 luglio 2004, n. 189, Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate. (GU n. 178 del 31 luglio 2004), entrata in vigore il 1° agosto 2004.

10 Art. 727 c.p. (come sostituito dall’art. 1, comma 3, della l. 20 luglio 2004, n. 189, con decorrenza 1 agosto 2004), “Abbandono di animali”: “Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”.

11 Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 3 maggio 2017, n. 20934: “Ai fini della confisca di cui all’art. 544-sexies, c.p., l’animale rileva non come corpo del reato o cosa ad esso pertinente, né come bene produttivo, ma solo ed esclusivamente come essere vivente dotato, in quanto tale, di una propria sensibilità psico-fisica. Ne consegue che l’istituto ablatorio non può applicarsi ai figli nati in costanza di sequestro preventivo finalizzato alla confisca”.

12 Art. 189 comma 9-bis del decreto legislativo n. 285 del 30 aprile 1992 (“Codice della Strada”).

13 Legge 11 dicembre 2012, n. 220, G.U. 17 dicembre 2012 n. 293, “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”, in vigore dal 18 giugno 2013. 14 L’art. 77 della legge 28 dicembre 2015 n. 221, in vigore dal 2 febbraio 2016, ha aggiunto all’art. 514 c.p.c., in materia di cose mobili assolutamente impignorabili, i seguenti commi: “6-bis) gli animali di affezione o da compagnia tenuti presso la casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti, senza fini produttivi, alimentari o commerciali; 6-ter) gli animali impiegati ai fini terapeutici o di assistenza del debitore, del coniuge, del convivente o dei figli”.

15 Trib. Foggia del 2008, a quanto consta inedita, ma richiamata nel progetto di l. n. 795 del 18 aprile 2013, a firma Brambilla-Castiello, in www.camera.it, ove si riferisce che il giudice “ha affidato un cane al coniuge ritenuto maggiormente idoneo ad assicurare il miglior sviluppo possibile dell’identità dell’animale e ha riconosciuto contestualmente in favore dell’altro coniuge il diritto di prenderlo e portarlo con sé per alcune ore nel corso di ogni giornata o per giornate concordate dalle parti. In caso di affido condiviso, salvo diversi accordi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei detentori provvederà al mantenimento degli animali da compagnia in misura proporzionale al proprio reddito. In caso di affido esclusivo il mantenimento sarà a carico del detentore affidatario”.

16 Trib. Milano decreto 13 marzo 2013, in Rivista De Jure, 2013, 1005: “Ritenuto che l’animale di compagnia non può essere più collocato nell’area semantica concettuale delle ‘cose’, ma ormai nell’area degli esseri ‘senzienti’, i coniugi che procedono a separazione personale possono validamente stabilire, in seno agli accordi, che un animale da compagnia, nella specie un gatto, resti a vivere nell’ambiente dove permane la moglie, e dove è anche collocata la figlia minorenne della coppia; sulla moglie graveranno le spese ordinarie relative all’animale, mentre le spese straordinarie per il medesimo graveranno, in parti uguali, tra i coniugi”.

17 In www.dirittoegiustizia.it, e in Fam. dir., 2017, 460.

18 Tribunale Como, 3 febbraio 2016: “Ritenuto che l’assegnazione e la fre-

quenza con un animale domestico (nella fattispecie, un cane) non possono in alcun modo ed in ogni caso essere assimilate all’affidamento, alla frequenza ed al diritto di visita dei figli minori di coniugi che procedono a separazione personale legale, il giudice del procedimento non è legittimato ad intervenire qualora le parti hanno provveduto, con un accordo amichevole e del tutto valido, a regolare l’assegnazione dell’animale e la frequenza dei contatti di ciascuna delle parti con il medesimo”, in Diritto di Famiglia e delle Persone, 2016, II, 3, 820.

19 “Alla luce della necessaria protezione del sentimento di affezione per un animale come un gatto, quale valore meritevole di tutela, e tenuto conto altresì della necessità di assicurare il benessere e il miglior sviluppo della sua identità, si deve disporre l’assegnazione esclusiva di esso al coniuge che appare maggiormente in grado di far fronte a tali esigenze. Non ravvisandosi ragioni particolari che orientino in senso diverso, deve invece disporsi l’assegnazione condivisa, con collocazione alternata presso ciascuno dei coniugi, del cane, indipendentemente dall’eventuale intestazione risultante dal microchip”, in Diritto di Famiglia e delle Persone, 2019, 3, I, 1178.

20 Tra tutte, in seno al d.d.l. citato, l’art. 455-ter rubricato “Affido degli animali familiari in caso di separazione dei coniugi”): “In caso di separazione dei coniugi, proprietari di un animale familiare, il tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell’animale, sentiti i coniugi, i conviventi, la prole e, se del caso, esperti di comportamento animale, attribuisce l’affido esclusivo o condiviso dall’animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere. Il tribunale è competente a decidere in merito all’affido di cui al presente comma anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio”. In dottrina, per una sintesi, M. Pittalis, Separazione personale tra coniugi e “affido” dell’animale di affezione, in Fam. Dir., 2016, 12, 1163-1173.