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Il protagonismo senza poteri della vittima nel sistema penale italiano

autore: T. Pagliaro

Sommario: 1. La storia della vittima nel sistema penale. - 2. L’emancipazione della vittima nelle direttive europee. - 3. Le tutele apprestate dal diritto interno alla persona offesa del reato. Premesse e considerazioni. - 3a. Il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212. Art. 90-bis c.p.p. - 3b. Art. 90-ter c.p.p. modificato dall’art. 15, legge n. 69/2019. - 3c. Art. 90-quater c.p.p. - 4. Le modifiche intervenute con la legge n. 103/2017. - 5. Conclusioni ed aspetti critici.



1. La storia della vittima nel sistema penale



Il diritto ed il processo penale, nascono e si sviluppano dall’istanza di risposta della vittima per l’ingiustizia subita, fin dalle primordiali codificazioni delle condotte illecite e delle relative condanne. Basti ricordare il codice Hammurabi del XVIII secolo a.C., la legge del taglione: occhio per occhio dente per dente, che ha introdotto il principio proporzionale tra offesa e pena. Come anche, la statuizione di epoca regia, fatta risalire a Numa Pompilio (715-673 a.C.), prevedeva che l’omicidio volontario di un uomo libero era punito con l’uccisione del reo da parte del gruppo dell’offeso, sotto il diretto controllo dei quaestores parricidii, sottoponendo così la vendetta al controllo pubblico1 . Nell’Atene del IV secolo a.C. lo Stato interveniva per la punizione del reo, pur considerando le esigenze e le richieste della persona offesa. Infatti, l’omicidio era ritenuto un delitto contro la persona che lo subiva e non contro la collettività. Il processo non aveva una rilevanza pubblicistica, ma era rimesso all’iniziativa dei parenti dell’assassinato come azione obbligatoria, diversamente dal concetto odierno di obbligatorietà dell’azione penale. In età medievale, la vittima assume ancora un ruolo fondamentale nella reazione alla violazione della regola posta all’interno della comunità di appartenenza, il potere pubblico non aveva ancora permeato in modo significativo l’amministrazione del diritto privato, invero, la vittima e la sua famiglia godevano della possibilità di compiere vendetta da soli, senza richiedere il coinvolgimento dei poteri pubblici. Pur avendo una dimensione privata, la vendetta non era una pratica anarchica e antisociale, al contrario era regolamentata nell’istituto della faida2 . La faida non veniva indetta per punire il crimine compiuto: il delitto era considerato come un’offesa, un’ingiuria ed era proprio questa a dover essere lavata; per la vittima e la sua famiglia diveniva dunque mandatorio riparare l’onore leso3 .

La centralità della vittima nel processo di accertamento della violazione e della punizione del reo ha subito un ridimensionamento allorquando il controllo dell’ordine pubblico è stato concentrato nei poteri del sovrano (Stati Generali), assumendo il reato una rilevanza diversa, quale violazione dell’ordine pubblico precostituito, di cui il Sovrano era il garante e non più come offesa alla vittima in quanto tale. Possiamo affermare che la socializzazione della risposta al reato ha comportato uno spostamento di prospettiva, con un ruolo della vittima sempre più marginale. I protagonisti duali del processo da questo momento in poi, saranno il sovrano o chi rappresenta lo Stato e l’imputato. La trasformazione riguarderà anche la modalità di inflizione della pena al reo non più corporale, ma come contenzione carceraria, lontana dalla diretta percezione e soddisfazione della persona offesa4 . Nella mutata modalità di accertamento del reato ed erogazione della pena, emerge un’evidente sproporzione tra chi detiene il potere di punizione e chi è sottoposto allo stesso, ponendo il reo in una posizione di minorità, assoggettato a prevaricazioni e violenze. Di conseguenza, d’ora in poi, lo studio del diritto penale e del processo fino ai nostri giorni sarà improntato all’affermazione dei principi di legalità e delle garanzie processuali dell’imputato, della sua sottrazione alla vendetta privata e dell’attribuzione del potere sanzionatorio in via diretta ed esclusiva allo Stato. Contemporaneamente, il luogo e le forme dell’accertamento di responsabilità si proiettano nel processo, presidiato da specifiche garanzie per l’imputato e all’attribuzione della decisione a un giudice terzo ed imparziale5 . Alla luce dei suddetti presupposti, la vittima lentamente viene eclissata nella vicenda processuale, cedendo il posto alla persona offesa dal reato, relegata ad avere un ruolo solo ai fini risarcitori da poter far valere a seguito di una volontaria e formale costituzione nel processo. A tal proposito la dottrina anglosassone, ha definito la vittima del reato, con un’espressione evocativa forgotten man6 , ovvero un soggetto dimenticato, in un ambito volto esclusivamente a soddisfare esigenze adeguate di tutela al solo imputato7 . Negli ultimi anni, si è sviluppata una nuova sensibilità ed attenzione verso la vittima del reato, timidamente percepita dalla scuola positiva, cresciuta poi diffusamente in seno alle nuove scienze vittimologiche. Il percorso di civiltà volto al riconoscimento delle istanze di attenzione e cura reclamate dalla persona offesa dal reato ha condotto verso un’idea di umanizzazione del processo, non solo indirizzato alla tutela dell’interesse collettivo e al perseguimento dell’autore del reato, ma anche all’interesse individuale della vittima all’accertamento della responsabilità nonché alla sua integrità psicofisica8 . In merito, la dottrina ha individuato un rafforzamento del protagonismo della vittima nel sistema penale, sia attraverso dei poteri di impulso, racchiusi metaforicamente nel concetto di spada, sia attraverso degli strumenti di protezione, da ricondurre allegoricamente al concetto di scudo9 , al fine di ottenere una reale giustizia che risulti “ristorativa” o “riparativa” del grave danno subito. Assistiamo ad un’evoluzione riformatrice del processo penale verso un modello teso a rendere effettivi i diritti dell’offeso, senza che ciò si traduca in un deficit di protezione per la collettività o per il reo stesso, in un’ottica consapevole del fatto che un processo può essere davvero considerato garantista solo se si configura come luogo di attenzione dei diritti di tutti i suoi protagonisti10. I diritti rivendicati da parte dell’offeso sono collocabili nel contesto dei diritti fondamentali della persona. Le sollecitazioni della dottrina sono state recepite dal legislatore comunitario, che ergendosi a interprete di questa ritrovata sensibilità giuridica e sociale, attraverso la dir. 2012/29/UE, ha inteso predisporre una tutela della vittima di reato “globale” e per standard minimi11e non semplici suggerimenti12, in materia di diritti, assistenza e protezione, restituendo al soggetto leso un nuovo protagonismo all’interno del processo13. Preso atto del contributo incisivo delle fonti sovranazionali, purtroppo bisogna rilevare che il legislatore italiano ha recepito le vincolanti indicazioni provenienti dalle direttive europee, senza sedimentare un’autonoma presa di coscienza. La tutela della vittima quale soggetto debole trova pieno riconoscimento anche nella nostra Carta Costituzionale, che è un complesso di norme evidentemente ispirate ai principi di solidarietà ed uguaglianza, in particolare nel precetto dell’art. 3 della Costituzione, che promuove la tutela dei soggetti svantaggiati relativamente ai diversi ambiti d’interesse, imponendo al legislatore di riconoscerne la condizione di debolezza e la necessità di difesa, attraverso il riconoscimento agli stessi di un patrimonio di diritti14. Tra le categorie dei soggetti svantaggiati, non possiamo non collocarci anche la vittima, che rappresenta tutti coloro che sono stati colpiti da un evento illecito e/o dannoso, tale da produrre non solo un danno patrimoniale, ma anche un’offesa alla propria dignità di persona. In conclusione, se la nostra carta costituzionale sollecita attenzione ai diritti dei soggetti svantaggiati, e quindi anche alle vittime in quanto tali, tuttavia è nell’ambito del diritto e del processo penale che la loro esistenza assume particolare visibilità, divenendo la sede privilegiata per soddisfare l’esigenza di tutela fortemente domandata da diversi anni a questa parte.



2. L’emancipazione della vittima nelle direttive europee



Come già affermato nel precedente paragrafo, il rivitalizzato ruolo della persona offesa dal reato che ritroviamo nel nuovo assetto normativo italiano, non è frutto di un’autonoma elaborazione del nostro legislatore, ma è il risultato delle vincolanti indicazioni provenienti dal diritto sovranazionale. Tra i provvedimenti legislativi del diritto comunitario a protezione dei soggetti fragili, di particolare importanza è la direttiva 2012/29/UE del Parlamento e del Consiglio Europeo del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. La direttiva 2012/29/UE ha sostanzialmente sostituito la decisione quadro 2001/220/GAI15, che fino ad allora ha rappresentato la normativa principale sulla posizione della vittima nel processo penale. Tanto è vero che la direttiva non ha istituito principi prima d’allora sconosciuti, piuttosto ha rivisto ed integrato quelli enunciati nella suddetta decisione quadro, al fine di rafforzare il livello di tutela delle vittime nei procedimenti penali in tutta l’Unione Europea con efficacia diretta, rispetto alla precedente, nel diritto interno degli Stati membri. Anche se è da menzionare, un caso eccezionale, quale quello Pupino16, in cui la giurisprudenza elaborata dalla Corte di Giustizia riunita in Grande sezione (16 giugno 2005), ha sottolineato che nonostante le disposizioni della decisione quadro 2011/220/GAI, non fossero dotate di effetto diretto, il giudice nazionale era tenuto ad interpretare le disposizioni nazionali in modo conforme al diritto comunitario alla decisone 2011/220/GAI17. La direttiva del 2012 si differenzia dalla decisione quadro del 2001, in quanto presenta un contenuto più ampio e sostanziale, articolato ed organico, affermandosi con maggiore cognizione, quale frutto di maturata ed acquisita esperienza in tema di tutela della vittima da parte delle istituzioni europee, rispondendo all’esigenza di offrire uno strumento complessivo di garanzia già prefigurato nel Programma di Stoccolma, da mettere a disposizione della vittima nell’ambito del procedimento penale. Si evidenzia che gli articoli della direttiva, relativi agli obblighi di protezione della vittima nel processo penale, sono in rapporto di spesies a genus con le disposizioni contenute nel capo IV della Convenzione d’Istanbul, in merito alla cooperazione penale tra gli Stati, in materia di violenza di genere. Appunto la Convenzione al capitolo VI, art. 49, prevede diritti della vittima, a partire dalle indagini, durante il procedimento penale e fino alle misure protettive. La tutela apprestata si sviluppa attraverso tre direttive, rubricate in tre capi: informazione e sostegno; partecipazione al procedimento; protezione generale e specifica. Il percorso sviluppatosi in ambito europeo, completandosi nella direttiva 2012/29/UE ha contribuito: a) all’individuazione di misure pratiche di tutela; b) ad uniformare gli istituti processuali degli Stati membri; c) alla predisposizione di reti europee18. La prima grande novità è la considerazione del reato come offesa ai diritti fondamentali riconosciuti in capo a ciascun soggetto. Dunque la vittima, prima ancora di essere tale, è titolare di diritti che la condotta delittuosa lede, ponendo la stessa in una condizione di vulnerabilità. Assistiamo ad una emancipazione dell’offeso dal reato, riconoscendo tutela ai suoi diritti in quanto persona, oltre a quella posizione di mero strumento processuale utilizzabile ai fini dell’accertamento dei fatti. La tutela della vittima inizia un momento prima del processo che la riguarda, ovvero attraverso un efficace sistema d’informazione, diretto a renderla consapevole dei diritti di cui è titolare, condizione necessaria per rivendicarne il rispetto all’interno del sistema processuale e ristoro nell’inevitabile processo di vittimizzazione secondaria. È disposto che le comunicazioni dovranno essere esplicate in un linguaggio, orale o scritto, di facile comprensione, tenendo conto delle personali caratteristiche della vittima (art. 3, direttiva 2012/29/UE). Questa ha diritto ad avere cognizione particolareggiata, fin dal primo contatto con l’autorità competente, di tutta una serie di informazioni necessarie all’ottenimento dei diritti che le sono riconosciuti, nell’ambito del procedimento (art. 4, direttiva 2012/29/UE). Il primo contatto con un’autorità è quello in cui la vittima sporge denuncia, momento iniziale che rientra nell’ambito del procedimento penale, ma può essere anche il momento in cui le autorità si azionino d’ufficio (art. 5, direttiva 2012/29/UE). Altro diritto riconosciuto alla vittima è quello di ottenere sul proprio caso senza ritardo, le seguenti informazioni: sulla decisione circa il mancato esercizio dell’azione penale e relative motivazioni, quando e dove si terrà il processo e sui capi di imputazione formulati, sull’eventuale sentenza definitiva e relative motivazioni, sullo stato del procedimento, sulla scarcerazione o sull’evasione del soggetto indagato o imputato o condannato e sulle misure adottate a sua tutela (art. 6, direttiva 2012/29/UE). Nel caso in cui la vittima è una, le informazioni possono essere recapitate all’ultimo indirizzo postale conosciuto o all’indirizzo di posta elettronica fornito dalla stessa all’autorità competente, mentre nel caso in cui si ha un numero elevato di vittime si può ricorrere al mezzo della stampa o al sito web ufficiale dell’autorità competente. Qualora la vittima non comprenda o non parli la lingua utilizzata nell’ambito del procedimento che la riguarda, le è riconosciuto il diritto all’interpretazione e alla traduzione, ottenendo un interprete durante le fasi in cui dovrà essere sentita o in quelle in cui partecipa alle udienze, senza oneri penale e fino alle misure protettive. La tutela apprestata si sviluppa attraverso tre direttive, rubricate in tre capi: informazione e sostegno; partecipazione al procedimento; protezione generale e specifica. Il percorso sviluppatosi in ambito europeo, completandosi nella direttiva 2012/29/UE ha contribuito: a) all’individuazione di misure pratiche di tutela; b) ad uniformare gli istituti processuali degli Stati membri; c) alla predisposizione di reti europee18. La prima grande novità è la considerazione del reato come offesa ai diritti fondamentali riconosciuti in capo a ciascun soggetto. Dunque la vittima, prima ancora di essere tale, è titolare di diritti che la condotta delittuosa lede, ponendo la stessa in una condizione di vulnerabilità. Assistiamo ad una emancipazione dell’offeso dal reato, riconoscendo tutela ai suoi diritti in quanto persona, oltre a quella posizione di mero strumento processuale utilizzabile ai fini dell’accertamento dei fatti. La tutela della vittima inizia un momento prima del processo che la riguarda, ovvero attraverso un efficace sistema d’informazione, diretto a renderla consapevole dei diritti di cui è titolare, condizione necessaria per rivendicarne il rispetto all’interno del sistema processuale e ristoro nell’inevitabile processo di vittimizzazione secondaria. È disposto che le comunicazioni dovranno essere esplicate in un linguaggio, orale o scritto, di facile comprensione, tenendo conto delle personali caratteristiche della vittima (art. 3, direttiva 2012/29/UE). Questa ha diritto ad avere cognizione particolareggiata, fin dal primo contatto con l’autorità competente, di tutta una serie di informazioni necessarie all’ottenimento dei diritti che le sono riconosciuti, nell’ambito del procedimento (art. 4, direttiva 2012/29/UE). Il primo contatto con un’autorità è quello in cui la vittima sporge denuncia, momento iniziale che rientra nell’ambito del procedimento penale, ma può essere anche il momento in cui le autorità si azionino d’ufficio (art. 5, direttiva 2012/29/UE). Altro diritto riconosciuto alla vittima è quello di ottenere sul proprio caso senza ritardo, le seguenti informazioni: sulla decisione circa il mancato esercizio dell’azione penale e relative motivazioni, quando e dove si terrà il processo e sui capi di imputazione formulati, sull’eventuale sentenza definitiva e relative motivazioni, sullo stato del procedimento, sulla scarcerazione o sull’evasione del soggetto indagato o imputato o condannato e sulle misure adottate a sua tutela (art. 6, direttiva 2012/29/UE). Nel caso in cui la vittima è una, le informazioni possono essere recapitate all’ultimo indirizzo postale conosciuto o all’indirizzo di posta elettronica fornito dalla stessa all’autorità competente, mentre nel caso in cui si ha un numero elevato di vittime si può ricorrere al mezzo della stampa o al sito web ufficiale dell’autorità competente. Qualora la vittima non comprenda o non parli la lingua utilizzata nell’ambito del procedimento che la riguarda, le è riconosciuto il diritto all’interpretazione e alla traduzione, ottenendo un interprete durante le fasi in cui dovrà essere sentita o in quelle in cui partecipa alle udienze, senza oneri economici. Idem per la traduzione delle informazioni essenziali per l’esercizio dei diritti, in particolare per quelle inerenti alla data e al luogo del processo, alla decisione che esaurisce il procedimento e alla relativa motivazione. Se un documento è considerato fondamentale per la tutela della vittima, questa può presentare richiesta motivata affinché lo stesso venga tradotto (art. 7, direttiva 2012/29/UE). Il diritto alla partecipazione della vittima alle dinamiche processuali, sancito dalla direttiva, trae la sua origine proprio dal pregiudizio subito dal reato e si esplica con l’audizione, a cui possono essere sottoposti anche i minori vittime di reato. La regolamentazione delle modalità dell’audizione e la sua possibilità di fornire mezzi di prova è delegata al legislatore nazionale (art. 10, direttiva 2012/29/UE). Può affermarsi che nel momento in cui alla vittima venga permesso di rendere dichiarazioni o fornire spiegazioni per iscritto, il diritto alla partecipazione è in buona parte garantito19. La vittima, nel caso in cui l’ufficio giudiziario ritenga di non esercitare l’azione penale nei confronti dell’autore del reato, può presentare le proprie riserve avverso la suddetta decisione, chiedendone un riesame. Anche per questo è prescritta nella norma la tempestiva informazione della vittima nel ricevere le informazioni sufficienti, al fine di renderla edotta in tempo utile per valutare un’eventuale richiesta di riesame. Ovvio che quest’ultima non può essere avanzata se la vittima aderisce ad una composizione extragiudiziale, qualora contemplata dall’ordinamento interno dello Stato appartenente all’Unione (art. 11, direttiva 2012/29/UE). Allorché l’ordinamento interno non dovesse prevedere nessuna facoltà alla vittima in caso di mancato esercizio dell’azione penale, dovrà almeno essere garantita la richiesta di riesame per i reati gravi, oltre all’opportunità che a decidere il riesame fosse un soggetto diverso da quello che ha adottato la decisione impugnata, eccetto il caso in cui a decidere sia stata la massima autorità responsabile dell’azione penale. Si rimanda il tema della giustizia ripartiva, prevista dalla direttiva europea, quale ipotesi alternativa al processo e finalizzata alla risoluzione della questione in maniera bonaria, attraverso l’instaurarsi del contatto tra vittima e autore, con l’ausilio di una persona terza e imparziale, visto che questa sede è dedicata al ruolo della vittima nel processo, pure se l’approfondimento di tale alternativa riveste un grande interesse (art. 12, direttiva 2012/29/UE). Altri diritti riconosciuti alla vittima sono: l’accesso al patrocinio a spese dello Stato, dove ne ricorrano le condizioni (art. 13, direttiva 2012/29/UE); il rimborso delle spese affrontate per la sua partecipazione al processo penale (art. 14, direttiva 2012/29/UE); la restituzione dei beni personali, di cui l’autorità giudiziaria può disporre il sequestro, le procedure relative alle modalità di restituzione sono delegate ai singoli ordinamenti, sottoposti alla sola regola della celerità, eccetto che non sia il procedimento ad esigere diversamente (art. 15, direttiva 2012/29/UE). Alla vittima è riconosciuta la possibilità nell’ambito del procedimento penale di richiedere un provvedimento per ottenere un congruo risarcimento da parte dell’autore del reato (art. 16, direttiva 2012/29/UE). L’articolo 17 della direttiva, indica la possibilità per la vittima di presentare denuncia presso l’autorità competente dello Stato di residenza, qualora non sia stata in grado di farlo nello Stato membro in cui il reato è stato commesso, o nel caso in cui non abbia ritenuto opportuno farlo per la gravità del reato (art. 17, direttiva 2012/29/UE). L’adozione delle succitate misure è finalizzata a ridurre le difficoltà derivanti dal fatto che la vittima possa risiedere in uno Stato membro diverso da quello in cui il reato è stato commesso20. L’informazione della vittima è fondamentale affinché la stessa sia consapevolmente partecipe al processo penale che la riguarda, tuttavia è indispensabile anche l’azione di protezione nei suoi confronti, diretta ad evitare un ulteriore stress, dall’impatto negativo del processo, dovuto alla rievocazione del delitto subito. Sono individuabili due tipi di effetti subiti dalla vittima, i cosiddetti diretti, ovvero derivanti dalle caratteristiche del reato stesso e quelli cosiddetti indiretti, in quanto conseguenze della partecipazione della vittima al processo. I primi si definiscono di vittimizzazione primaria e i secondi di vittimizzazione secondaria. In proposito, la direttiva richiede agli Stati membri una valutazione individuale e tempestiva delle vittime al fine di fornire una protezione che non sia generica, ma corrispondente alle caratteristiche personali e alle precipue esigenze di protezione di ogni singolo offeso, individuandone le misure più idonee (art. 18, direttiva 2012/29/UE). Pertanto, il giudice deve tener conto di una serie di fattori: le caratteristiche personali; il tipo di reato subito e le circostanze dello stesso; il danno notevole o il danno apparente subito dalla vittima; la gravità del reato; l’eventuale discriminazione o pregiudizio che ha fornito il movente alla condotta criminosa; la relazione o la dipendenza tra vittima e reo; il contesto in cui il reato si è consumato (tratta di esseri umani, criminalità organizzata, violenza di genere, terrorismo). Una adeguata valutazione individuale può raggiungersi solo con la partecipazione della vittima. Nel corso del processo qualora la medesima si trovi in particolari condizioni di vulnerabilità, è prevista l’adozione di misure speciali (art. 22, direttiva 2012/29/UE). La protezione della vittima durante la fase delle indagini comporta necessariamente la limitazione dell’audizioni ai soli casi strettamente necessari ai fini delle indagini, inoltre le suddette misure per venire incontro alle esigenze specifiche di talune vittime, devono essere compiute da personale specializzato e per quanto possibile, sempre dalle stesse persone e dello stesso sesso della vittima qualora, trattasi di reati di violenza di genere. Un altro aspetto importante è rivestito dalla riservatezza propriamente fisica, ovvero dalla predisposizione di appositi spazi riservati alle attività di ascolto in ogni sede di Tribunale. Infatti, la vittima ha diritto a non avere contatti con l’autore del reato, per evitare impatti psicologici che aggraverebbero la sua vulnerabilità. È prescritta la riduzione al minimo indispensabile dei contatti tra i due ed anche eventualmente con i familiari dell’offeso, nei posti in cui si svolge il procedimento penale, eccetto che non sia lo stesso procedimento ad imporlo. Per soddisfare tale necessità, i locali giudiziari dovrebbero essere muniti di zone riservate alle vittime e quindi rendere possibile l’audizione della stessa senza che questa sia fisicamente presente, attraverso l’utilizzo di strumenti per la comunicazione a distanza. Altro imperativo, è quello di evitare all’offeso domande riguardanti la sfera personale che non abbiano attinenza con il reato per cui si procede (art. 23, direttiva 2012/29/UE), poiché la pubblicità del processo penale potrebbe causare non poche difficoltà alla difesa della privacy della persona offesa, considerato che nell’ambito della valutazione individuale, sono acquisiti i dati personali, le immagini e le informazioni che ne permettono l’identificazione, specialmente quando trattasi di vittima minorenne. Per la vittima minorenne sono previste delle ulteriori misure dovute a presunte e specifiche esigenze di protezione correlate alla vulnerabilità insita nella giovane età, ad esempio durante le indagini le audizioni del minore possono essere registrate e tali registrazioni formano prove all’interno del processo, le autorità competenti nominano un rappresentante speciale qualora gli esercenti la potestà genitoriale si trovino in conflitto di interesse, nei casi in cui il minore è separato dalla famiglia, gode del diritto di consulenze e di rappresentanza legale (art. 24, direttiva 2012/29/UE). Avremo modo di verificare nel prossimo paragrafo che il diritto interno ha optato per una norma autonoma relativa all’accertamento dello status di soggetto vulnerabile, a prescindere dall’età.



3. Le tutele apprestate dal diritto interno alla persona offesa dal reato.



Premesse e considerazioni Il provvedimento sovranazionale, sebbene persegua l’obiettivo dichiarato di consolidare specifici diritti per le vittime, come dettagliatamente esposto sopra: informazione, assistenza, protezione e partecipazione, principalmente, seppur indirettamente, postula che alla persona offesa venga assegnato un chiaro ruolo nel sistema di giustizia nazionale. L’Italia ha attuato la direttiva con il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212. In questa nostra disamina verificheremo come il legislatore italiano ha recepito gli innovativi indirizzi minimi sovranazionali, tentando di favorire un modello triangolare del processo penale, il riconoscimento alla vittima della tutela dell’interesse individuale all’accertamento della responsabilità penale e quella alla propria integrità psicofisica21. Il riconoscimento delle suddette tutele sul fronte vittimale, allo stato non hanno inciso sull’architettura pubblicistica del processo, che continua a fondarsi sulla partecipazione necessaria del pubblico ministero, rappresentante dell’interesse collettivo, e dell’accusato, parte privata necessaria. Si evidenzia che alla vittima si riconosce la facoltà, ma non l’obbligo, di partecipare al processo. L’offeso rimane “soggetto” eventuale, infatti sono assenti disposizioni finalizzate a regolare la nomina di un difensore d’ufficio, nel caso in cui l’offeso sia, per qualunque ragione, assente.

Va osservato che la terminologia usata dal legislatore europeo nel nuovo sistema processuale sia volta ad un rafforzamento della posizione del soggetto leso attraverso l’estensione soggettiva della nozione di “vittima”, con la quale s’indica una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono state causate direttamente da un reato”22. Il diritto ha preso in prestito tale definizione dagli studi criminologici che hanno definito il profilo della vittima del reato come: qualsiasi soggetto danneggiato o che abbia subito un torto da altri, il quale percepisce se stesso come vittima, che chiede aiuto, assistenza e riparazione ed è riconosciuto come tale, ricevendo presumibilmente assistenza da agenzie/strutture pubbliche, private o collettive23. Una definizione quella europea della vittima, con caratteristiche umanistiche e verso prospettive empatiche, che tende ad abbandonare la sterilizzazione emotiva nella rappresentazione soggettiva della stessa24. Viceversa, il legislatore italiano, è rimasto ancorato tuttora al tradizionale termine di “persona offesa del reato” menzionando quello di “vittima”, solo nella nuova formulazione dell’art. 498, comma 4-ter, c.p.p. Infatti, il legislatore interno rimane legato al secolare dualismo fra persona offesa, quale titolare dell’interesse protetto dalla norma penale violata, e parte civile, che subisce le conseguenze patrimoniali e/o morali del reato25. Al primo è riconosciuto il ruolo di soggetto processuale e non di parte, a cui spettano diritti e facoltà finalizzati ad assicurare una partecipazione al procedimento e all’esercizio di attività di sollecitazione e di impulso probatorio, ma non possiede la titolarità alla prova, elemento caratterizzante la parte. Mentre, al solo danneggiato sono conferiti tutti i diritti e i poteri di una vera e propria parte processuale, ma solo dopo la sua formale costituzione di parte civile26. Il legislatore nell’attuazione della normativa ha compiuto una scelta lessicale ed ha preferito conservare un concetto più tecnico dell’offeso, forse nel timore di rendere il processo meno razionale e penetrabile sotto l’aspetto emozionale. Certamente gli aspetti emotivi della vicenda sottostante al processo, non possono sparire del tutto, anche se vengono posti necessariamente ai margini, ove inevitabilmente si applicano le regole di giudizio in una prospettiva di logica formale. Appunto per questo, essendo la vittima del reato l’immagine plastica proprio di quegli aspetti emotivi, viene percepita solo per quel contributo di conoscenza che può offrire all’accertamento dei fatti, al contrario le emozioni, il dolore, la frustrazione di cui è portatrice vengono avvertite come elementi di disturbo in un procedimento di ricostruzioni logico-sistematica. Sembra che i professionisti del processo si sentono minacciati dalla sfera emotiva, sia della vittima che dell’imputato, per due ordini di ragioni: uno, perché gli aspetti emotivi possono contaminare, consapevolmente o meno, la ricostruzione dei fatti, obiettivo del processo penale, inquinando i ricordi della vittima e dei testimoni; due, riguarda l’ipotetico condizionamento dello stato emotivo dei due protagonisti del processo sul corretto svolgersi e decidersi dello stesso. Ormai, per fortuna, solo una parte minoritaria di studiosi additano alle emozioni la forza di alterare la conformazione del ragionamento logico-giuridico, preferendo celare negli atti del processo la dimensione emotiva della vittima e lasciando spazio esclusivamente al contributo di accertamento dei fatti27. Il processo penale italiano ancora non riesce a contemplare al suo interno, la vittima nella sua interezza, quale fulcro di sentimenti dolorosi e frustranti da tutelare, oltre che ausilio nella ricerca della verità dei fatti, insomma un luogo ancora da realizzare, ove si coniughi una regia armonica di dialogo tra umanizzazione e neutralismo del diritto28.



3a. D.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212. Art. 90-bis c.p.p.



Detto quanto in premessa, passiamo ad esaminare nel dettaglio, il decreto legislativo n. 212/2015, attuativo della direttiva 2012/29/UE, che ha modificato otto articoli del codice di rito penale (artt. 90, 134, 190-bis, 351, 362, 392, 398 e 498 c.p.p.), ha aggiunto quattro nuovi articoli codicistici (artt. 90- bis, 90-ter, 90-quater, 143-bis c.p.p.) e due norme di attuazione (artt. 107-ter e 108-ter disp. att. c.p.p.) e le modifiche successive apportate dalla legge. n. 103 del 23 giugno 2017 (c.d. legge Orlando) e dalla legge n. 69 del 19 luglio 2019 (c.d. Codice Rosso). L’art. 90 c.p.p. è stato modificato con l’introduzione al suo interno di un nuovo comma 2-bis, che innesta la presunzione sulla minore età, soltanto ai fini dell’applicazione delle disposizioni processuali e quando permangono dubbi sull’età del minore, anche dopo una perizia disposta d’ufficio dal giudice. Inoltre, alla persona offesa minorenne, interdetta o inabilitata, devono subentrare i soggetti di cui agli artt. 120 e 121 c.p. nell’esercizio delle facoltà e dei diritti riconosciuti alla stessa. Anche il terzo comma della suddetta disposizione è stato modificato, ora prevede, in ottemperanza all’art. 2, par. 1, lett. b) della direttiva, che – in caso di morte dell’offeso – i poteri processuali possano essere riconosciuti ai conviventi more uxorio. La novella legislativa nel recepire quanto prescritto dal legislatore europeo, con l’art. 90-bis c.p.p. ha collocato all’interno del nostro sistema normativo quella che è stata definita come la nuova carta dei diritti della vittima29.

Quest’ultimo ha recepito sostanzialmente tutte le indicazioni dell’art. 4 della direttiva n. 29 del 2012, infatti contiene un elenco apparentemente esaustivo delle facoltà riconosciute alla persona offesa che fin dal primo contatto con l’autorità procedente, ha diritto a ricevere, nella lingua a lei comprensibile una serie di informazioni inerenti l’attività processuale. La lettera a) dell’art. 90-bis co. 1 c.p.p., riguarda le informazioni da fornire alla persona offesa, nella lingua di sua conoscenza, in ordine alle modalità di presentazione della denuncia o querela e alle conseguenze procedimentali ad essa connesse. Attività di particolare importanza, considerato che la proposizione della denuncia è la premessa fondamentale da assicurare all’offeso per accedere all’intero sistema partecipativo del processo. Il testo prosegue enunciando una serie di diritti di notifica in capo alla persona offesa: del capo di imputazione, della data d’udienza, nonché, se costituita parte civile, della decisione finale, anche solo per estratto. Disposizione che si coniuga con l’art. 101 c.p.p. che già prevedeva l’avviso per la persona offesa della facoltà di nominare un difensore al momento della acquisizione della notizia di reato. Per cui, il pubblico ministero ha l’obbligo non solo di effettuare l’avviso previsto dall’art. 101c.p.p., ma anche quello di fornire tutte le comunicazioni previste dall’art. 90-bis c.p.p. È riscontrabile l’unico limite, a tale diritto d’informazione, qualora la divulgazione possa pregiudicare un’indagine, il corretto svolgimento del processo o mettere a rischio la sicurezza di una persona. Le nuove informazioni all’offeso, ex art. 90-bis c.p.p., riguardano anche le fasi successive alla querela, come gli aggiornamenti sullo stato del procedimento e su eventuali iscrizioni ex art. 335 c.p.p. (lett. b); la facoltà della vittima di essere avvisata della richiesta di archiviazione (lett. c), possibilità sollecitata anche dalla dottrina30 oltre a soddisfare le indicazioni sovranazionali ex art. 6 dir. 2012/29/UE31. Infatti, non vi era una disposizione generale che obbligasse l’autorità ad informare la vittima della richiesta di archiviazione, compromettendo l’effettività della previsione, con il meccanismo delineato dall’art. 408 c.p.p. Il d.lgs. in commento con l’art. 90-bis co., lett. c) c.p.p., ha introdotto una sorta di informativa preventiva a monte, invece di operare direttamente sull’art. 408 c.p.p., rendendo obbligatoria la notifica limitatamente ad ipotesi ben precise32, nel contempo, prevedendo che la persona offesa dichiari di voler essere informata della richiesta di archiviazione e quando si procede per delitti consumati con violenza contro la persona, anche quelli non caratterizzati dalla matrice di genere. Se l’avviso della richiesta di archiviazione è notificato alla persona offesa, il termine per proporre l’opposizione è di 30 gg. ai sensi dell’art. 408 co. 3-bis c.p.p. L’omissione dell’avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa che ne abbia diritto, determina la violazione del contraddittorio e la conseguente sanzione processuale, la nullità del decreto di archiviazione, ai sensi dell’art. 127, comma 5 c.p.p., emesso de plano33. In tale ipotesi alla persona offesa dal reato è consentito il ricorso in Cassazione, ai sensi del combinato degli artt. 127 comma 5 e 409 comma 6 c.p.p. La direttiva 2012/29/UE all’art. 11, accorda alla vittima anche il diritto di chiedere il riesame di una decisione di non esercitare l’azione penale. Nel sistema interno, la legge. n. 103 del 23 giugno 2017 (c.d. legge Orlando), ha introdotto il nuovo art. 410-bis c.p.p., che offre alla persona offesa la possibilità di sporgere reclamo al Tribunale monocratico, all’esito del quale potrebbe ottenere la restituzione degli atti al Gip e la conseguente rimessione in termini per l’opposizione. È importante sottolineare che il riconoscimento della qualità di persona offesa dal reato in relazione a talune ipotesi criminose, può rivelarsi una questione giuridicamente complessa, tale da incidere sulla stessa legittimazione soggettiva a proporre il reclamo ex art. 410-bis c.p.p., con il rischio di un rigetto per inammissibilità34. L’art. 90-bis co. 1 lettera e) c.p.p., è espressione per antonomasia del diritto all’informazione della vittima considerato fondamentale dalla direttiva per la partecipazione della stessa al processo penale35. Infatti, la partecipazione può concretamente realizzarsi se vi è stata un’informazione efficace, attraverso una concreta comprensione e possibilità di essere compresi. All’interno di questa premessa, un’altra ancora più specifica è rappresentata dall’assistenza linguistica che necessariamente deve essere assicurata alla vittima straniera, consentendole di comprendere ed essere compresa. Sul tema, il nostro legislatore è stato indifferente per diverso tempo, considerato che fin dalla fine degli anni settanta la Commissione europea suggeriva la massima espansione delle garanzie linguistiche per tutte le parti processuali36. Finalmente, il d.lgs. n. 212/2015 è intervenuto sul tema con la succitata norma stabilendo innanzitutto l’obbligo di informare la vittima alloglotta dei suoi diritti in una lingua conosciuta ed il contemporaneo inserimento nel codice di rito del nuovo articolo 143-bis c.p.p. Esaminando i singoli commi dell’art. 143 c.p.p., il primo dispone che l’autorità procedente nomini un interprete quando occorra tradurre uno scritto in lingua straniera e in tutte le ipotesi in cui un soggetto (anche non offeso) voglia rilasciare una dichiarazione. Il comma 2 dichiara che l’autorità procedente può anche d’ufficio, nominare l’interprete, ove la vittima debba essere sentita, nonché in tutte le ipotesi in cui voglia partecipare al procedimento. Per esigenze di celerità, la nuova disposizione, al terzo comma, prevede che si possa fare ricorso a tecniche di comunicazione a distanza, salvo pregiudicare i diritti dell’offeso. Il quarto e ultimo comma dell’art. 143-bis c.p.p. riguarda la traduzione, assegnando alla discrezionalità del giudice la scelta di tradurre quegli atti ritenuti essenziali per l’esercizio dei diritti della vittima. Forse sarebbe stata opportuna un’elencazione tassativa minima, così com’è nella stessa direttiva e nel d.lgs. n. 32 del 2014, sul versante dell’imputato alloglotta. Inoltre, conformemente alle indicazioni, si prevede la possibilità di una traduzione solo parziale o orale per fare fronte al problema economico dei costi, salvo pregiudicare l’equità del procedimento. Infine, la norma dispone la gratuità dell’assistenza dell’interprete e del traduttore per la parte offesa37, tuttavia tali spese, secondo quanto dispone l’art. 5 d.P.R. n. 115/2000, sono ripetibili dal condannato38. Si osserva, che in effetti la garanzia ad una partecipazione consapevole resta, di fatto, affidata alle scelte dell’autorità giudiziaria, chiamata ad un giudizio di necessità dell’interpretazione ed essenzialità della traduzione, da farsi di volta in volta39. La nuova norma in tema di assistenza linguistica alla vittima è stata emanata nella sua formulazione originale, nonostante siano stati sollevati dubbi, evidenziati già nel parere definitivo della Commissione Giustizia al Senato, in merito a rendere più nitida la differenza fra le ipotesi di interpretazione e quelle di traduzione, che eliminasse o sostituisse l’inciso essenziali, di cui al comma 4 dell’art. 143-bis c.p.p., e che rimarcasse, con un richiamo espresso, l’esigenza di non prolungare irragionevolmente i procedimenti. Sembra poter affermare che a completamento di quanto prescritto dall’art. 143-bis c.p.p., la novella ha introdotto, all’interno delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, l’articolo 107-ter, che contempla la possibilità, per la vittima alloglotta, di presentare denuncia in una lingua conosciuta ed ottenerne l’attestazione di ricezione della stessa. Tali previsioni vanno così ad integrare quanto disposto a tutela dell’imputato dal decreto legislativo n. 32/2014, che recepisce la direttiva sul diritto all’interpretazione e traduzione nei procedimenti penali40. Va osservato che la nuova tutela linguistica della vittima alloglotta appare insoddisfacente e poco concreta sul diritto della stessa ad ottenere piene facoltà di partecipazione compresse41.

L’approccio legislativo adottato sembra celare quell’inopportuno e anacronistico retaggio culturale che ancora vede nell’estensione delle garanzie all’offeso, nel caso che ci occupa quelle linguistiche, il rischio di una diminuzione di tutela per l’imputato. La lettera f) dell’art. 90-bis c.p.p. prevede il diritto per la persona offesa a ricevere informazioni sulle eventuali misure di protezione che possono essere disposte a suo favore. Alcune e particolareggiate tutele sono previste per la vittima straniera, alla lett. g) dell’art. 90-bis co. 1 c.p.p., nel caso in cui la stessa risieda in uno Stato membro dell’Unione europea diverso da quello in cui è stato commesso il reato. Come già richiamato, l’art. 107-ter disp. att. c.p.p., consente di presentare denuncia o querela nell’idioma conosciuto, purché la proposizione avvenga presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto. La norma tenta di contemperare le esigenze di garanzia della persona offesa straniera con le esigenze di economicità processuale42. Il nuovo art. 108-ter disp. att. c.p.p., introdotto dallo stesso decreto legge, introduce accorgimenti rivolti alla vittima residente o domiciliata in Italia che abbia subito un reato fuori dai confini nazionali, riconoscendole il diritto a presentare denuncia o querela presso il Procuratore della Repubblica alla Corte d’Appello, che a sua volta la trasmetterà all’autorità giudiziaria straniera competente. Le suddette norme rispondono alle esigenze di realizzazione di uno spazio giuridico europeo di diritti, all’interno del quale i cittadini possano liberamente muoversi e sentirsi tutelati. Prosegue l’art. 90-bis co. 1 c.p.p. in merito alle informazioni riconosciute alla persona offesa, infatti alla lettera h), dichiara che la vittima ha diritto alle informazioni circa le modalità di contestazione di eventuali violazioni dei propri diritti ed alla lettera i), quelle sulle autorità a cui rivolgersi per ottenere informazione sul procedimento di proprio interesse. La carta dei diritti della vittima comprende, infine, una serie di avvisi connessi all’esito del procedimento. L’art. 90-bis alle lettere d) ed l) c.p.p., indica le informazioni da fornire alla vittima sul diritto di accedere al patrocinio a spese dello Stato e alle modalità di rimborso delle spese sostenute in relazione alla partecipazione al procedimento penale, al fine sia di completare una disciplina che parifica la persona offesa all’imputato con riguardo al rimborso delle spese, sia al fine di orientare la scelta dell’offeso di immettersi nel circuito processuale, evitando, così, che i costi del processo disincentivino le sue aspettative di giustizia. Alla lettera m) del medesimo art. 90-bis c.p.p. il diritto a chiedere il risarcimento dei danni derivanti da reato43. Le lett. n) e o) dell’art. 90-bis c.p.p., sono riferite sempre agli esiti del processo, ma su un piano diverso rispetto all’ordinaria ricomposizione del conflitto sociale, prescrivendo che l’offeso sia informato della possibilità di rimettere la querela o accedere a forme di mediazione con il reo, nonché di tutte le sue facoltà nei procedimenti sospesi per messa alla prova dell’imputato o quelli in cui è applicabile la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

L’informativa, del tutto nuova, in tema di giustizia ristorativa44, ha la finalità di promuovere l’incontro fra vittima e reo, con la quale si potrebbe ottenere una doppia opportunità, una per la vittima, ossia conseguire una riparazione morale; una per il reo, ossia favorire la reintegrazione e la riabilitazione dello stesso, in vista di epiloghi più costruttivi e meno repressivi della giustizia penale45. In merito, è utile ricordare che l’Italia non ha attuato la Decisione-quadro del 2001 e non ha accolto le precedenti Raccomandazioni del Consiglio d’Europa, pertanto non ha creato spazi organizzati all’interno della nostra giustizia penale per significative esperienze di giustizia ripartiva, come invece è avvenuto altrove, riscuotendo anche discreto successo. Infatti, servirebbe nel nostro sistema un ripensamento degli strumenti riparativi concreti, ancora troppo marginali nelle nostre politiche criminali, tanto che la norma sulla giustizia ripartiva appare poco realistica e l’informativa all’accesso a percorsi alternativi non ha senso se rimane inapplicata. Infine, all’ultima lettera dell’art. 90-bis, comma 1-p) c.p.p. viene trattato in modo conciso il tema dell’assistenza alla vittima, prescrivendo che la stessa riceva informazioni sulle strutture sanitarie presenti sul territorio, le case famiglia, i centri antiviolenza e le case rifugio a cui rivolgersi. Gli obblighi di comunicazione, sono stati estesi, dall’art. 14, comma 1, della l. n. 69/2019, che è intervenuta sulle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale per inserirvi l’articolo 64-bis, in base al quale il giudice penale, in relazione ai reati previsti dagli artt. 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter c.p., se sono in corso procedimenti civili di separazione dei coniugi o cause relative ai figli minori di età o relative alla responsabilità genitoriale e quelle relative ai sevizi di assistenza alla vittima, il giudice penale deve trasmettere, senza ritardo, al giudice civile copia di tutti gli atti adottati nei confronti del reo. La disciplina presenta alcuni aspetti critici, certi correlati ad una mancanza di omogeneità con l’impianto normativo pre-esistente, altri delle vere e proprie lacune. Ad esempio, l’art. 90-bis co. 1, lettera a) c.p.p. stabilisce il diritto, in capo alla persona offesa, ad avere conoscenza attraverso la notifica del capo di imputazione, della data d’udienza, nonché, se costituita parte civile, della sentenza, anche per estratto, diritto che, però, non è previsto dall’art. 548 c.p.p., che concerne le modalità di deposito della sentenza e la relativa impugnazione. La direttiva, sul punto, è più garantista, prescrivendo la comunicazione alla vittima di ogni pronuncia relativa al procedimento, per intero, oppure un breve riassunto, comprendendo i motivi. È necessario, inoltre evidenziare che la disposizione riconosce al solo danneggiato, dunque solo dopo la costituzione di parte civile, il diritto a conoscere la decisione finale, riconfermando il convincimento, ormai anacronistico, secondo cui le garanzie offerte alla persona offesa trovino la loro sede naturale nella fase delle indagini preliminari, per poi affievolirsi nella fase processuale vera e propria, lasciando il testimone alla parte civile. Ancora, si rileva che nell’art. 90-bis co. 1 c.p.p. non è previsto l’obbligo di avvertire la persona offesa della facoltà di dichiarare o eleggere domicilio, rappresentando una incompletezza significativa e condizionante l’attivazione dei diritti di partecipazione all’incidente cautelare. Si auspica che a tale lacuna si possa comunque riparare, attraverso l’adozione di prassi virtuose che inseriscano tale avvertimento tra quelli dettati dall’art. 90-bis c.p.p., risolvendo una carenza di non poco conto. Altra grave mancanza è che l’omessa comunicazione degli avvisi previsti dall’art. 90-bis co. 1 c.p.p. e dall’art. 101c.p.p. non è sanzionata, diversamente da quanto accade nel caso dell’omissione dell’informazione sui diritti di difesa dell’indagato prevista a pena di nullità (art. 369-bis c.p.p.). Appare dunque che i contenuti informativi indicati dalla norma, seppur finalizzati a rendere consapevole la vittima delle sue facoltà, non si presentano praticamente funzionali alla tutela di alcuno specifico diritto di partecipazione.



3b. Art. 90-ter c.p.p. modificato dall’art. 15, legge n. 69/2019



L’art. 90-ter c.p.p., prevede il diritto dell’offeso, in tutti i procedimenti per delitti commessi con violenza alle persone, a richiede alle autorità competenti, gli avvisi relativi allo status dell’imputato: di scarcerazione, dell’evasione e della cessazione dell’esecuzione di eventuali misure di sicurezza detentive adottate nei confronti dell’indagato. Gli avvisi sono disposti al fine di rendere edotta la vittima di ogni nuova situazione inerente l’imputato e consentirle di adottare le misure a tutela della propria incolumità, a partire dalla fase delle indagini preliminari. La polizia giudiziaria è tenuta ad inoltrare senza ritardo l’avviso, eccetto che tale notifica possa comportare un rischio concreto di danno per l’autore del reato, nel qual caso l’autorità competente dovrebbe individuare azioni alternative adeguate. Si evidenzia che l’art. 90-ter c.p.p., così come introdotto dal d.lgs. n. 212/2015, stabiliva che la notifica era doverosa nei soli casi in cui la vittima aveva dichiarato di voler essere informata. Il suddetto presupposto da subito ha suscitato dubbi in dottrina, poiché sembrava vanificare gli obiettivi a cui tende la norma, ossia l’informazione della vittima. Difatti, il legislatore con l’art. 15. della l. n. 69/2019, al primo comma ha introdotto un ulteriore comma 1-bis all’art. 93- ter c.p.p. che prevede allorquando si proceda per i delitti di cui all’art. 362, co. 1-ter (come modificato dall’art. 2 della l. n. 69/2019 eccetto il reato di cui all’art. 612-ter c.p.), le comunicazioni previste dal co. 1 dell’art. 90-ter c.p.p. devono sempre essere effettuate sia alla persona offesa, senza la condizione della richiesta da parte della stessa, sia al suo difensore, ove nominato. Infatti, prima dell’intervento della legge n. 69/2019, l’art. 90-ter c.p.p. ha suscitato in dottrina diverse critiche, per il mancato coordinamento con l’art. 299 comma 2-bis c.p.p. che prevede invece, che le sostituzioni delle misure cautelari, a cui possono conseguire anche scarcerazioni, devono sempre essere comunicate alle vittime di reati violenti, indipendentemente da una espressa richiesta46.

La l. n. 69/2019, all’art. 15 co. 2 ha aggiunto alla fine dell’art. 282-ter c.p.p. la previsione che, nel caso di attuazione di detta misura il giudice può applicare anche le particolari misure di controllo previste dall’art. 275-bis c.p.p. consistenti in mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (c.d. braccialetto elettronico). L’inciso normativo colma una lacuna riguardo all’effettività della misura coercitiva che difficilmente si monitora con le metodiche tradizionali, a differenza dei nuovi mezzi elettronici che garantiscono il rispetto delle imposizioni costrittive. Con il co. 3 dell’art. 15, la legge n. 69/2019, aggiunge il difensore della persona offesa, ove nominato, tra coloro nei confronti dei quali spetta l’obbligo di comunicazione dei provvedimenti di cui agli art. 282-bis e 282-ter c.p.p., previsti dal 282-quater, al fine di rafforzare la tutela della vittima, nell’eventualità di una negligenza da parte di quest’ultima di informazione al proprio difensore circa i provvedimenti emessi nei confronti dell’indagato. Il co. 4 dell’art. 15 della succitata norma, interviene modificando l’art. 299, co. 2-bis c.p.p. prevedendo un’immediata comunicazione dei provvedimenti emessi dagli artt. 282-bis, 282-ter, 282-quater, 283, 284, 285 e 286 c.p.p. ai servizi socio-assistenziali, all’offeso e ove nominato, al suo difensore, a pena di inammissibilità, introducendo un necessario contraddittorio cartolare con la persona offesa, utile anche al fine di fornire al giudice elementi utili per la valutazione della opportuna misura cautelare. Da ultimo, il co. 5 dell’art. 15 della l. n. 69/2019, aggiunge il co. 1-bis all’art. 659 c.p.p. che prevede l’obbligo per il p.m. chiamato a dare esecuzione dei provvedimenti del giudice di sorveglianza dai quali scaturisce la scarcerazione del condannato, di darne immediata comunicazione a mezzo della p.g. alla persona offesa e ove nominato, al suo difensore. Anche in questo caso, la norma è intervenuta a colmare una lacuna evidenziata dalla dottrina, all’introduzione dell’art. 93-ter c.p.p. ove la comunicazione di informazione era condizionata dalla richiesta della vittima. Invero, con l’introduzione obbligatoria della duplice notifica della recentissima suddetta norma, la persona offesa diviene soggetto necessario di notifica, poiché riceve sempre e comunque e indipendentemente dal proprio difensore le comunicazioni inerenti le vicende del processo che la riguardano, fondamentali anche per la tutela della propria incolumità. La persona offesa non può impugnare il provvedimento di scarcerazione o di sostituzione della misura cautelare, cosicché l’obbligo suddetto di comunicazione alla vittima è comunque privo di sanzione. L’omissione dell’avviso non produce alcun effetto sull’incidente cautelare, in quanto trattasi di un intervento connesso alla tutela del diritto alla conoscenza dello stato del procedimento, tuttavia non è funzionale a soddisfare alcun interesse diretto alla conservazione della cautela. La norma segue, in qualche modo, le disposizioni precedentemente introdotte47, in tema di tutela endoprocessuale del soggetto leso, inserendosi nel solco degli anteriori e più incisivi interventi sul piano cautelare48, condividendone ratio e obiettivi, per tutti quei casi in cui la vita e l’incolumità della vittima possano essere poste in pericolo dalla libertà dell’imputato. Dunque, legittimi appaiono i dubbi sollevati sull’efficacia del reale contributo al rafforzamento del supporto alle vittime, operato dal micro-intervento del d.lgs. n. 212/2015. La legge n. 212/2015, infine, delinea lo statuto speciale della testimonianza delle vittime vulnerabili, poiché se la partecipazione delle stesse rappresenta un’occasione fondamentale di contribuzione alla ricostruzione della verità processuale, nel contempo, la suddetta partecipazione si delinea come momento di forte stress psicologico per l’offeso, dal quale va tutelato, predisponendo una rete di protezione della vittima e la riduzione delle audizioni entro i limiti della stretta necessità, al punto che è stato detto: “la vittima si serve del processo per ottenere giustizia, ma serve al processo per le finalità del medesimo”49. L’offeso vulnerabile gode di un canale privilegiato per la raccolta della sua testimonianza attraverso speciali modalità di protezione. A partire dalle indagini preliminari, la raccolta delle dichiarazioni unilaterali della vittima avviene attraverso la mediazione di uno psicologo/psichiatra, che diviene presenza necessaria da affiancare alla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 351 c.p.p., così come modificato al comma 1-ter, dall’art. 1, comma 1, lett. f) del d.lgs. n. 212/2015, ed al pubblico ministero ai sensi dell’art. 362 comma 1-bis c.p.p., così come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. g), d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, non solo per le audizioni dei minori in relazione a reati di abuso o ai reati di violenza e sfruttamento sessuale, ma anche per quelle dei maggiorenni particolarmente vulnerabili. All’art. 362 c.p.p. viene aggiunto al comma 1un ulteriore punto ter, dall’art. 2 della l. 69/2019, che prevede per gli stessi delitti di cui all’art. 347, co. 3c.p.p. (come mod. dall’art. 1 l. 69/2019, tranne che l’art. 612 c.p.p.), che il p. m. deve assumere informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato querela, entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse dell’offeso. Dunque, l’ambito applicativo dell’istituto viene allargato e svincolato da qualsiasi presunzione soggettiva, ma con l’inserimento di una presunzione legale di urgenza nell’assunzione delle informazioni della persona offesa, al fine di verificare in modo rapido le condizioni di fatto e di diritto per le opportune richieste cautelari. Il termine di tre giorni, non accompagnato da disposizioni che indichino il carattere di perentorietà, però risulta essere ordinatorio, nonostante la ratio è quella di assicurare l’intervento rapido della p.g. e del p.m. a tutela dell’offeso in concreto pericolo. In nome delle ragioni di protezione della persona offesa, anche la successiva fase dell’incidente probatorio si svolge in assenza di contatto diretto tra offensore e persona offesa, le domande sono poste in modo mediato dal giudice o dallo psicologo ex art. 392 co. 1-bis c.p.p, così come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. h), d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212. L’incidente probatorio è stato individuato, nel nuovo statuto della testimonianza della vittima vulnerabile, come ultimo momento dichiarativo, in considerazione dello sbarramento alla riedizione dibattimentale della testimonianza già raccolta sui medesimi fatti ai sensi dell’art. 190-bis, co. 1-bis c.p.p., così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. e), d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212. Le suddette limitazione delle audizioni non solo nascono dalla esigenza di tutelare il dichiarante dal rischio di vittimizzazione secondaria, ma anche dalla necessità di garantire l’affidabilità dei contenuti della dichiarazione, raccolta nel più breve tempo possibile dall’evento traumatico. La categoria degli offesi vulnerabili include: le vittime a vulnerabilità presunta, identificate per il solo fatto di essere offese da reati a riconosciuto impatto traumatico, espressamente e specificamente previsti dal codice di procedura penale, agli artt. 351 comma 1-ter e 392 comma 1-bis c.p.p., e le vittime vulnerabili atipiche, che rappresentano una categoria più problematica da determinare, in quanto vivono una condizione di debolezza emotiva e relazionale e sono vittime di reati non riconducibili ad elencazioni generate da presunzioni. I delitti di genere presentano tutte le caratteristiche per rientrare in quelli a vulnerabilità presunta.



3c. Art. 90-quater c.p.p.



Per il riconoscimento della vulnerabilità atipica, il giudice dovrà in concreto individuarla sulla base dei parametri sintomatici e rilevatori della condizione di vulnerabilità forniti dall’art. 90-quater c.p.p., anche se la stessa appare una categoria elastica che si presta all’esercizio della libera discrezionalità del giudice. I parametri inseriti dal legislatore all’art. 90-quater c.p.p. per riconoscere lo stato di vulnerabilità della vittima possono essere divisi tra soggettivi: l’età, l’infermità e la deficienza psichica, che non necessitano di una verifica ex post del giudice e quelli oggetti: tipo di reato, modalità e circostanze del fatto, questi a differenza dei precedenti hanno bisogno di una verifica ex post da parte del giudice. Per quanto attiene i parametri soggettivi, il fattore età non deve essere inteso necessariamente come “minore età”, essendo lo stesso rilevante anche per riconoscere la vulnerabilità delle persone anziane. Lo stato di infermità, non è semplicemente riferibile ad una patologia fisica, ma questo deve aver coinvolto l’area psicologica, emotiva e relazionale della persona, tale da inibire la capacità di reazione naturale alle sollecitazioni e tensioni nascenti dal contraddittorio dibattimentale. Per quest’ultimo elemento di eventuale vulnerabilità necessiteranno accertamenti tecnici di diagnosi psichica diretti a verificare proprio la capacità a testimoniare. In termini soggettivi, ha rilievo ai fini dell’individuazione di una condizione di vulnerabilità della vittima, il dipendere affettivamente, psicologicamente ed economicamente dall’offendente. Ed è specialmente nell’ordinario esame probatorio, attraverso il contraddittorio diretto in presenza dell’imputato, che la relazione di soggezione espone la vittima in tutta la sua fragilità emotiva e relazionale, annichilendo la reattività alle sollecitazioni dell’escussione. Appunto per questo l’individuazione di uno statuto speciale per la prova dichiarativa del vulnerabile è l’aspetto più peculiare e forse complicato per conformare le discipline domestiche alle prescrizioni sovranazionali50.

Per i parametri oggettivi, come il tipo di reato, questo è da valutare attentamente, ma è da analizzare anche la capacità mentale ed emotiva della vittima a fronteggiare l’impatto traumatico derivante dal medesimo. Infatti, può accadere che reati fortemente traumatizzanti, in concreto non incidono sulle capacità della persona offesa a reagire agli stimoli processuali, a causa della notevole resilienza della stessa, viceversa, delitti che appaiono meno gravi, producono danni di natura psico-relazionali alla vittima, in quanto scarsamente dotata di capacità reattive51. Altro parametro che soccorre la valutazione del giudice per individuare lo stato di vulnerabilità della vittima è la modalità con cui è stato consumato il fatto delittuoso, se con violenza alla persona, con discriminazione, con odio razziale; assume rilevanza anche l’ambito in cui il reato è stato compiuto, quale può essere quello della criminalità organizzata, del terrorismo, della tratta di essere umani, contesti che fortemente annientano le capacità reattive della persona offesa. Anche la coercizione psicologica, provocando paura, estenuante stress, rientra nel novero delle condotte violente52, riducendo la persona sottoposta a tali prevaricazioni in uno stato di vulnerabilità, come le vittime di estorsione mafiosa, dello sfruttamento della prostituzione, della tratta di esseri umani e dei delitti di usura. La consumazione del reato con violenza nei confronti della persona è l’indice immancabile per condurre il giudice al riconoscimento delle vulnerabilità atipica e dall’adozione dello statuto speciale della prova dichiarativa del vulnerabile. L’offeso vulnerabile atipico è individuato dal pubblico ministero nel momento in cui decide di avvalersi del supporto dello psicologo, sulla scorta degli elementi disponibili, tenendo in considerazione il trauma patito dalla vittima, lo stato emotivo attuale della stessa e il rapporto di dipendenza con l’autore del reato. Nell’incarico al mediatore il pubblico ministero deve indicare i motivi che hanno contribuito all’individuazione della vulnerabilità e le ragioni che l’hanno indotto ad adottare il binario privilegiato per la raccolta della testimonianza sia nella fase delle indagini che nella scelta di ricorrere all’incidente probatorio. L’istituto dell’incidente probatorio ha la funzione tipica di assicurare l’acquisizione e l’utilizzazione delle prove non rinviabili, per cui è considerato lo strumento più adatto a tutelare l’offeso dichiarante, in considerazione del fatto che da un lato, favorisce una rapida rimozione dell’esperienza traumatica, dall’altro, evita l’alterazione o la dispersione della testimonianza, in quanto cristallizza la prova nell’immediatezza dell’episodio criminoso53. L’istituto è stato impiegato come sede privilegiata per l’audizione dei minori di sedici anni prevalentemente, per i reati sessuali54, poi esteso dalla l. 119/2013 in attuazione della direttiva europea ai delitti di cui agli art. 571 c.p. e 612-bis c.p. L’art. 392 c.p.p. comma 1-bis, c.p.p., a seguito di diverse modifiche, è stato dilatato nella sua applicazione, fino a riguardare tutte le ipotesi in cui sia necessario assumere la testimonianza di un soggetto particolarmente vulnerabile, anche maggiorenne, per raccoglierne anticipatamente l’interrogatorio, a prescindere dall’urgenza. Il sistema, pur incentrato sull’individual assessment, che garantisce alla vittima una protezione su misura, conserva l’automatismo che impone per alcuni procedimenti l’assunzione anticipata della prova, per esigenze di protezione. La valutazione del pubblico ministero, circa la sussistenza delle condizioni di vittima vulnerabile nelle ipotesi di vulnerabile atipico, in sede di ammissione dell’incidente probatorio, deve essere ripetuta dal Giudice, al fine di verificare la persistenza delle condizioni che avevano condotto il pubblico ministero a considerare la persona offesa quale vittima vulnerabile. L’art. 392 c.p.p., prevede un momento di confronto cartolare in contraddittorio per l’accertamento dell’esistenza dello stato di vulnerabilità e l’ammissibilità dell’incidente probatorio, al quale tuttavia non partecipa la persona offesa, esclusa da ogni possibilità di poter esporre le ragioni per il riconoscimento del proprio stato vulnerabile. Quindi, la vittima non può chiedere direttamente l’incidente probatorio, ma potrà farlo solo attraverso la mediazione del pubblico ministero. Al contrario, per la difesa dell’indagato, che nel contraddittorio eventualmente potrà interloquire sulla mancanza/sussistenza della qualifica di vittima vulnerabile del soggetto da escutere. Emergono chiaramente i limiti della disciplina interna, nel riconoscere all’offeso la qualifica di parte processuale. La statuizione del giudice di ammissione dell’incidente probatorio è di estrema importanza, in quanto con essa stabilisce la necessità di attenuare il contraddittorio e rinunciare all’assunzione diretta della prova dichiarativa dinanzi a sé55. Il provvedimento non è impugnabile autonomamente, ma potrà essere contestato unicamente con l’impugnazione della sentenza56, in ragione del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione. Il legislatore, con lo statuto speciale è come se avesse voluto riservarsi un’area presuntiva intangibile, predisponendo per la raccolta della testimonianza dell’offeso vulnerabile non solo l’anticipazione dell’audizione in un automatico incidente probatorio ma anche con svolgimento a modalità protetta. Infatti, il d.lgs. n. 212/2015 ha riformulato l’art. 134 comma 4, c.p.p., prevedendo che il ricorso all’audio e video registrazione sia svincolato dal requisito dell’assoluta necessità, lasciandone al giudice la prudente valutazione, ove si proceda all’audizione di soggetti con specifiche esigenze di protezione. Favorendo, l’utilizzo di uno strumento idoneo ad evitare alla vittima il danno da processo, all’imputato quello da confronto. La modifica sul piano pratico dovrebbe essere diretta ad ottenere la velocizzazione del sistema e garantire l’affidabilità ed attendibilità della prova, nonché la protezione del materiale istruttorio raccolto, evitandone i rischi di un eventuale inquinamento57. Di conseguenza, l’audizione raccolta con modalità non adeguate ed in un ambiente non tutelante per la vittima, potrebbe risultare lesiva dei diritti del dichiarante ed inficiare l’affidabilità della prova. Le modalità della prova protetta non sono predeterminate e predefinite in norme ad hoc, se non in relazione ad indicazioni contenute in alcuni articoli, come si ricava dal comma 5-bis dell’art. 398 c.p.p., che in presenza dell’offeso vulnerabile presuntosi possa eseguire l’audizione incidentale con modalità particolare anche fuori dalle aule del Tribunale e, ove esistano, presso strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l’abitazione della persona interessata alla prova. L’audizione in incidente probatorio con modalità protette è attivata d’ufficio unicamente per alcune vittime, ovvero quelle con vulnerabilità presunta, ipotesi previste dall’art. 398 comma 5-bis c.p.p. e dunque in relazione ai minori e agli infermi di mente, anche maggiorenni offesi dai reati ad alto impatto traumatico tassativamente indicati all’art. 392 comma 1-bis c.p.p. Il d.lgs. n. 212/2015, ha inserito il nuovo comma 5-quater dell’art. 398 c.p.p., che opera per i vulnerabili atipici, un rinvio alla disciplina dibattimentale e precisamente all’art. 498 comma 4-quater c.p.p., che prevede l’attivazione dell’audizione nelle forme protette solo su richiesta della parte, per cui subordinata ad una condizione processuale, comportando l’attenuazione delle prerogative difensive in termini di violazione dei diritti di protezione riconosciuti dalla normativa alla vittima, tali da poter generare un vizio di nullità generale a regime intermedio, con i consequenziali oneri di tempestiva eccezione. L’art. 498, co. 4-ter c.p.p., per i medesimi casi, prevede durante il dibattimento l’uso del vetro specchio e dell’impianto citofonico; inoltre il rinvio alle modalità di assunzione della prova previste per il dibattimento consentono in incidente probatorio di svolgere l’esame del minore con la mediazione del giudice. Del resto trattasi di indicazioni generiche e non tassative, molto è stato fatto da prassi virtuose, provvedimenti giurisprudenziali e protocolli prodotti negli uffici, in considerazione dell’ampia discrezionalità riconosciuta al giudice dall’art. 398 co. 5-bis c.p.p. Secondo la giurisprudenza di legittimità58 se a condurre l’esame in forma protetta di minore durante l’incidente probatorio è direttamente il giudice, non ricorre alcuna forma di nullità della prova stessa, in quanto l’esperto semmai nominato ha solo funzione di assistere il giudice, fornendo sostegno psicologico al minore o indicando quali sono le modalità con cui devono essere eventualmente poste le domande. Infatti, l’ipotesi dell’inutilizzabilità dell’audizione del minore raccolta in assenza del mediatore/esperto, è stata esclusa dalla giurisprudenza59, pur se permane l’onere di motivazione aggravato da parte del giudice. Il d.lgs. n. 212/2015 non interviene a chiarire i dubbi avanzati in dottrina, sui contorni opachi della figura dell’esperto, nel senso che se il compito di quest’ultimo sia di facilitare la comunicazione tra l’autorità deputata a raccogliere le informazioni e il minore; il suo inquadramento giuridico non può che essere quello del consulente tecnico, dunque il riferimento all’ausiliario/esperto appare improprio. Anche il contradditorio si svolge in forma interposta, ovvero attraverso la mediazione del giudice e dell’esperto. Per il rispetto del diritto al contraddittorio, in questa nuova proposizione dell’esame, è di sostanziale importanza permettere alle parti di formulare domande, che saranno filtrate nella loro proposizione dal giudice, evitando di incorrere in eventuali censure di iniquità per violazione dell’art. 6 CEDU60. Considerata la struttura di svolgimento dell’incidente probatorio, sostanziale importanza assume la modalità di redazione del verbale di udienza, che deve riportare fedelmente cosa avviene in sede di audizione incidentale, dove le parti propongono le domande, che filtrate dal giudice o dall’esperto che lo supporta, verranno poste all’offeso, che di regola non è nella stanza. Il verbale deve descrivere nel modo più fedele possibile ciò che accade nella stanza, siffatto accompagna l’esame documentato attraverso forme di riproduzione fonografica o audiovisiva (art. 398 comma 5-bis c.p.p.), al fine di fornire, nelle successive fasi processuali, la piena fruibilità della testimonianza, attraverso la cognizione di quanto è accaduto durante l’incidente probatorio, anche in merito ad atteggiamenti e gesti riconducibili alla comunicazione non verbale dell’offeso, garantendone la reiterabilità della valutazione. Infatti, la prova così cristallizzata non ha bisogno di essere ripetuta nella progressione processuale, evitando eventuali inquinamenti dell’autenticità della stessa e i correlati pericoli di vittimizzazione secondaria nascenti dal processo. Il suddetto verbale ha un’importanza anche come condizione di legittimità della stessa testimonianza e del rispetto del diritto di difesa nell’assunzione del contraddittorio, infatti in esso devono essere riportate le richieste delle parti e le decisioni assunte dal giudice in merito all’ammissibilità o irrilevanza dei temi di prova. Nella nuova architettura legislativa è sicuramente svolto un ruolo importante dall’incidente probatorio, che ha subito una graduale metamorfosi rispetto ai fini ispiratori dell’inserimento nel sistema codicistico. Questa anticipata parentesi istruttoria, inizialmente destinata esclusivamente ad assumere la prova a rischio di dispersione, è divenuta regola in tutti i casi in cui necessita una tutela del dichiarante vulnerabile, incapace in termini relazionali di affrontare il contraddittorio ordinario. Conseguentemente, la prova dichiarativa definitiva, nella maggior parte dei casi, viene assunta e confezionata dal pubblico ministero, per poi farla valutare dal giudice procedente, incidendo in questo modo sul principio di oralità. Ma va osservato che la limitazione è solo relativa, in quanto la testimonianza videoregistrata, assurge a documento audiovisivo, fruibile in ogni fase e grado processuale. Il giudice di ogni fase e grado potrà analizzare il filmato percependo la testimonianza nella sua completezza e plasticità. Ad acclarare la testimonianza assunta nella anticipata istruttoria incidentale rispetto a quella dibattimentale interviene nel nostro sistema processuale, il disposto dell’art. 190-bis c.p.p. il quale statuisce espressamente che nell’ipotesi di delitti di cui all’art. 51 comma 3-bis c.p.p., qualora sia richiesto l’esame di un testimone che ha già reso dichiarazioni nel corso dell’incidente probatorio, la riassunzione della testimonianza è ammessa solo se riguarda temi di prova diversi da quelli già affrontati nella precedente audizione ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze.



4. Le modifiche intervenute con la legge n. 103/2017



Una breve osservazione è necessaria in merito al rapporto tra la disciplina oggetto della presente disamina e le modifiche normative introdotte dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017 c.d. Riforma Orlando all’art. 603 co. 3-bis c.p.p., che stabilisce nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza per motivi attinenti alla prova dichiarativa, il giudice deve disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. La modifica normativa recepisce il percorso interpretativo giurisprudenziale contenuto nelle sentenze a Sezioni unite del caso Dasgupta61 e poi in quella successiva del caso Patalano62. Le Sezioni Unite, con la sentenza Dasgupta, in merito al giudizio di appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione, avevano affermato l’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa da parte del giudice di appello, anche in caso di assunzione in incidente probatorio e non solo per le prove assunte nel corso del dibattimento. Inoltre, avevano dichiarato che, per quanto riguarda in particolare l’offeso vulnerabile, non sussistono valide ragioni per ritenere inapplicabile la preclusione di un ribaltamento ex actis del giudizio assolutorio, riconoscendo al giudice di appello un margine di discrezionalità circa l’indefettibile necessità di sottoporre il soggetto debole, nonostante l’ulteriore stress, per saggiare la fondatezza dell’impugnazione proposta avverso la pronunzia assolutoria di primo grado63. La previsione di un obbligo di rinnovazione della testimonianza assunta in incidente probatorio e videoregistrata, raccolta nella sua interezza tridimensionale, appare del tutto fuori contesto, non tenendo conto delle novità e tutele inserite con lo statuto della prova dichiarativa, che trova il suo fulcro nell’incidente probatorio, permettendo di evitare quell’inutile e dannoso stress da processo della vittima, denominato vittimizzazione secondaria. La succitata previsione risulta in contraddizione anche con la riconosciuta idoneità alla modalità di raccolta documentale della prova dichiarativa attraverso la videoregistrazione, che consente in modo permanente, la fruibilità della testimonianza nel corso dell’intera progressione processuale64. La riforma Orlando è divenuta concreto veicolo legislativo di parte della giurisprudenza, ignorando invece altra giurisprudenza di legittimità65 attenta agli innovativi cambiamenti in termini di prova dichiarativa, la quale ha specificato che il giudice di appello ha l’onere di visionare il filmato dell’incidente probatorio, ritenendo che la valutazione di una testimonianza decisiva, deve essere complessiva, contemplando sia la lettura delle trascrizioni della deposizione sia lo studio della videoregistrazione. Tale disciplina sembra ignorare la disposizione del succitato art. 190-bis c.p.p.66. Alla luce di quanto sopra considerato, non resta che affidarsi alla corretta e prudente applicazione delle norme da parte del giudice dell’appello per una tutela della vittima vulnerabile.



5. Conclusioni ed aspetti critici



L’assistenza e la tutela della vittima è un tema molto caro al legislatore europeo, viceversa considerate le lacune e le criticità presenti nel diritto italiano, possiamo dedurre che rimane ancora un argomento da sedimentare ed implementare nel nostro sistema giuridico. Numerose sono le novità introdotte nel diritto penale e processuale interno a seguito della normativa europea ad efficacia vincolante, frutto di un lungo percorso di attenzione e di cura alle vittime, che trova pieno riscontro nella nostra Carta costituzionale tra le norme che promuovono l’uguaglianza sostanziale tra i soggetti. Le tutele apprestate con la l. n. 212/2015, alla vittima nella vicenda processuale di accertamento giudiziale del reato ne hanno rafforzato il ruolo e valorizzato gli interessi, attraverso il riconoscimento di nuovi diritti d’informazione, garantendole una consapevole partecipazione, assicurata in alcuni casi da presidi sanzionatori. A queste ultime, si aggiungono l’adozione di una serie di strumenti processuali diretti a tutelare l’offeso dalla vittimizzazione secondaria derivante dall’impatto negativo del processo. La suddetta normativa, non può non essere valutata in termini positivi, considerato che il legislatore interno, nonostante costretto ad intervenire sulla base di vincolanti indicazioni delle direttive europee, ha mostrato finalmente la consapevolezza della necessità di rimuovere la vittima da quella posizione marginale, in ambito giudiziario, in cui era stata relegata. Tuttavia, non ha avuto il coraggio di legittimarla appieno in tale sede, riconoscendole il ruolo di soggetto processuale con poteri molto ridotti, anziché quello di parte processuale, seppur eventuale. In realtà, l’assegnazione della qualifica di parte all’offeso, una volta chiarito che non si tratterebbe di una parte necessaria, non inciderebbe sulla struttura pubblicistica del processo, ma consentirebbe di attuare una tutela effettiva dei suoi interessi. L’incompiutezza del ruolo assegnato alla persona offesa si manifesta nella limitazione dei poteri di impugnazione dei provvedimenti lesivi dei suoi interessi, come l’incapacità di eccepire le lesioni di un diritto di difesa che l’art. 178 c.p.p., tutela solo in relazione alla parte. Qualche falla si riscontra anche nella riforma dello statuto della prova dichiarativa dell’offeso vulnerabile, che necessità di ripensamento in merito al fatto che l’offeso non può chiedere direttamente l’incidente probatorio, né partecipare al contraddittorio cartolare che precede l’ordinanza del giudice. Altra criticità è data dalla disposizione del nuovo comma 3-bis, dell’art. 603 c.p.p., in controtendenza rispetto al progetto legislativo di contrazione delle audizioni e di fruibilità della documentazione della testimonianza incidentale, prevedendo, seppur con qualche distinguo, che si disponga la rinnovazione dibattimentale dell’audizione incidentale, ogni qualvolta si ribalti la sentenza assolutoria, non prendendo atto del fatto che la videoregistrazione consente di rinnovare la percezione diretta dell’evento testimoniale. L’azione della persona offesa determina l’origine del processo, ma questo non le riconosce il potere di continuare ad esistere, autonomamente nei momenti cruciali e decisivi dello stesso, così come non le è permesso partecipare alla discussione finale, tranne se costituita parte civile. Alla vittima del reato è consentito muoversi nella periferia del processo, rimanendo ai margini delle zone contrassegnate dall’oralità e dall’apporto dialogico, non godendo dell’opportunità del contatto diretto con il giudice della decisione, in un terreno occupato dal garantismo penale unilaterale, strutturato per la tutela dei diritti del reo. In merito, la giurisprudenza più recente ha sostenuto la necessità di tale contatto diretto, istantaneo e orale dell’offeso con quel Giudice che sia chiamato a decidere67. Se imputato e persona offesa sono, come si sottolinea in dottrina, antagonisti, non si giustifica che ai sensi dell’art. 523, co. 5, c. p. p., solo l’imputato e il suo difensore devono avere, a pena di nullità, la parola per ultimi se la domandano. L’ultima parola dovrà spettare all’imputato, ma anche dovrebbe riconoscersi alla sua vittima68. In merito, ha ragione la dottrina quando stigmatizza l’incoerenza della trama del tessuto del processo penale che segue un andamento diminuente, poiché dopo l’esercizio dell’azione penale, il protagonismo della persona offesa nell’organicità del disegno risulta affievolito, riconoscendole poteri assai ridotti69. Dunque, alla persona offesa dal reato nonostante gli sia stata offerta visibilità nella sede processuale, per le dinamiche e regole che la governano, la stessa appare un luogo ostile alla vittima, in cui difficilmente potrà trovare una completa soddisfazione al bisogno di uscita dalla sua condizione di minorità. Alla luce delle presenti considerazioni la vittima appare un convitato di pietra nel processo penale a cui gli si riconosce la presenza nominale, ma non la sostanziale partecipazione. Come già sostenuto da illustri giuristi per il previgente sistema, essa appare “un postulante senza diritti”70.

NOTE



1 B. santalucia, Osservazioni sulla repressione criminale romana in età regia, Roma, 1998, 39-49.

2 A. zorzi, Conflitti paci e vendette nell’Italia comunale, Firenze, 2009; C. Povolo, Faida e vendetta tra consuetudini e riti processuali nell’Europa medievale e moderna. Un approccio antropologico-giuridico, in G. ravancic (ed.), Our daily crime. Collection of studies, Croatian Institute of history, Zagreb, 2014, 9-57.

3 M. sBriccoli, Storia del diritto penale. Scritti editi ed inediti (1972-2007), 2 voll., Milano, 2009.

4 M. Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, 2014, 99.

5 F. carnelutti, Teoria generale del processo, Padova, 1933, 245.

6 W.F. Mcdonald, Criminal justice and the victim, Beverly Hills, 1976, 19.

7 www.questionegiustizia.it-lavittima: quale spazio nel processo di C. Zanone

2016 (consultato il 20 febbraio 2020).

8 F.Parisi,Ildirittopenaletraneutralizzazioneistituzionaleeumanizzazioneco-

munitaria, in Riv. diritto penale contemporaneo, 2012, 7 ss.

9 aa.vv., Lo scudo e la spada. Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia, Torino, 2012, 90.

10 A. Pagliaro, Tutela della vittima nel sistema penale delle garanzie, in Riv. it. dir. pen. proc., 2010, p. 41 ss. lorusso, Le conseguenze del reato. Verso un protagonismo della vittima nel processo penale?, in Riv. Dir. pen. proc., 2013, 881; F. del vecchio, La nuova fisionomia della vittima del reato dopo l’adeguamento dell’Italia alla direttiva 2012/29/UE, in Riv. diritto penale contemporaneo, 2016, 3 ss.

11 L’articolo 82, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), dispone che è possibile stabilire norme minime applicabili negli Stati membri al fine di facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale, in particolare per quanto riguarda i diritti delle vittime della criminalità.

12 aa.vv., Lo statuto europeo della vittima di reato. Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali, Padova, 2015; aa.vv., Lo statuto europeo della vittima di reato. Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali, Padova, 2015, 5 ss.

13 L. luParia, L’Europa e una certa idea di vittima (ovvero come una direttiva può mettere in discussione il nostro modello processuale, in L’integrazione europea attraverso il diritto processuale penale, Napoli, 2013, 91 ss.

14 L. Magliaro, La vittima del reato nel processo penale, in Riv. Magistrati, 2019.

15 www.fsjeurostudies.eu-Verso una tutela integrata delle donne vittime di violenza di V. tevere, 196 (consultato il 2 marzo 2020); M.S. groenhuusen, A. PeMBerton, The EU Framework Decision for victims of crime, in European Journal Crime, Criminal Law and Criminal Justice, 2009, n. 1, 43.

16 Il caso Pupino è nato dalla proposizione di un rinvio pregiudiziale del GIP del Tribunale di Firenze sull’interpretazione degli artt. 2, 3 e 8, n. 4, della decisione quadro 2001/220/GAI, nell’ambito di un processo penale a carico di una docente della scuola dell’infanzia, indagata per lesioni prodotte ad alunni di età inferiore ai cinque anni. La Corte di Giustizia, con la storica sentenza ha stabilito che le autorità nazionali erano sottoposte ad un obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale agli atti normativi del terzo pilastro (cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale), nei limiti del rispetto dei diritti fondamentali dello Stato membro interessato. Con riferimento alla decisione quadro sulla tutela della vittima, chiariva al giudice nazionale di poter autorizzare la testimonianza dei bambini vittime dei maltrattamenti, secondo modalità che permettano di garantire un livello di tutela adeguato alla loro vulnerabilità.

17 M. Marchegiani, L’obbligo di interpretazione conforme alle decisioni quadro: considerazioni a margine sentenza Pupino, in Diritto dell’Unione Europea, 2006, 562.

18 www.giurisprudenzapenale.com, La direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, A. diaMante, fascicolo 3/2016.

19 Cfr. A. ciavola, V. Patanè, La specificità delle formule decisori minorili in aa.vv., La giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile, a cura di E. zaPPalà, Torino, 2009, 159-161.

20 www.giurisprudenzapenale.com, La direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, A. diaMante, fascicolo 3/2016.

21 M.V. del tuFo, La tutela della vittima in una prospettiva europea, in Dir. pen. proc., 1999, 889 ss., www.dirittoprocessualecontemporaneo, F. delvecchio, La nuova fisionomia della vittima del reato dopo l’adeguamento dell’Italia alla direttiva 2012/29/UE, 2016; M. cagossi, Nuove prospettive per le vittime di reato nel procedimento penale italiano, 2016 (consultato il 16 marzo 2020).

22 www.dirittopenalecontemporaneo, La nuova fisionomia della vittima del reato dopo l’adeguamento dell’Italia alla direttiva 2012/UE, di F. delvecchio, 2017; T. Pitch, Qualche considerazione sulla nozione di vittima, in Lo sguardo della vittima. Nuove sfide alla civiltà delle relazioni. Scritti in onore di Carmine Ventimiglia, a cura di A. Bosi, S. Manghi, Milano, 2009, 48; T. raFaraci, La tutela della vittima nel sistema penale delle garanzie, in Riv. Criminalia, 2010, 258.

23 E. viano, IV Congresso Mondiale di vittimologia, Atti della giornata bolognese, a cura di A. Balloni, E. viano, Bologna, 1989, 126.

24 F. Parisi, La cultura dell’altro e il diritto penale, Torino, 210, 120 ss.; A. nisco, Persona giuridica “vittima” di reato ed interpretazione conforme al diritto comunitario, in Riv. Cass. pen., 2008, 784 ss.

25 M.G. aiMonetto, alla voce Persona offesa dal reato, in Enc. Dir., vol. XXXIII, 319; E. aModio, La persona offesa del reato, vol. 1, Torino, 537; A. chiliBerti, Azione civile e nuovo processo penale, Milano, 1993, 7; P. gualtieri, Soggetto passivo, persona offesa e danneggiato: profili differenziali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 1071; C. iasevoli, voce Persona offesa dal reato, cit., 1; C. Pansini, voce Persona offesa dal reato, in Dig. Pen., Torino, 2011, 411 ss.; P.P. Paulesu, voce Persona offesa dal reato, in Enc. Dir., Annali, II, Milano, 2008, 593; A. Pennisi, voce Persona offesa dal reato, in Enc. Dir., Milano, 1997, 790; P.P. rivello, Riflessioni sul ruolo ricoperto dalla persona offesa dal reato e dagli enti esponenziali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 615; A. conFalonieri, La persona offesa dal reato, in aa.vv., Trattato di procedura penale, diretto da G. sPangher, I, Torino, 2009, 634.

26 F.P. guidotti, Persona offesa e parte civile. La tutela processuale penale, Torino, 2002, 13 ss.

27 www.rivista magistrati, La vittima del reato nel processo penale, L. Magliaro, anno 2019.

28 F. Parisi, Il diritto penale tra neutralizzazione istituzionale e umanizzazione comunitaria, in Riv. diritto penale contemporaneo, 2012, 13.

29 Il Governo nella relazione illustrativa del testo di legge n. 212/2015, ha giustificato la natura ‘snella’ del decreto nel fatto che molte delle disposizioni della direttiva sarebbero già presenti nell’ordinamento italiano, in quanto anticipate, seppur in forma attenuata, dalla l. 119 del 2013 che, novellando l’art. 101, comma 1, c.p.p., aveva inserito un’informativa generale per la persona offesa. La maggior parte dei diritti e delle facoltà costituenti oggetto di avviso ai sensi dell’art. 90-bis, infatti, erano già assicurati dal codice di rito, per altri indicati dalla direttiva, invece, si è reso necessario un intervento sul codice processuale. “Il nuovo art. 90-bis si può ritenere norma generale, ad un tempo fonte di nuovi obblighi informativi e ricognitiva di quelli già esistenti, che sostanzialmente controbilancia la comunicazione indicata nell’art. 369-bis c.p.p. della facoltà e dei diritti attribuiti dalla legge alla persona sottoposta alle indagini”.

30 M. del tuFo, Linee di politica criminale europea ed internazionale a protezione della vittima, in Riv. Questione Giustizia, 2003.

31 Art. 6 dir. 2012/29/UE: la vittima ha diritto di conoscere la decisione di non esercitare l’azione penale o di non proseguire le indagini, qualsiasi sia l’organo titolare di tale potere, conoscenza indispensabile per poter impugnare l’archiviazione o il non luogo a procedere.

32 La legge n. 119 del 2013 ha introdotto il nuovo comma 3-bis dell’art. 408 c.p.p., ove si stabilisce che per i delitti commessi con violenza alla persona, l’avviso della richiesta di archiviazione debba in ogni caso essere notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa (a prescindere da una sua richiesta) e il termine per fare opposizione sia innalzato da dieci a venti giorni. La norma è stata successivamente rimaneggiata dal d.lgs. 28 del 2015, che ha esteso l’obbligo di notifica alle ipotesi di archiviazione per particolare tenuità del fatto (nonché, stando a quanto si legge nel d.d.l. Orlando, anche alle ipotesi di furto in casa). La Cass. sez. II, 29 gennaio 2016, Fossati, ha esteso l’obbligo di notifica anche nei procedimenti per il delitto di stalking.

33 CED Cass., n. 259270, sez. 2 n. 20186 dell’8 febbraio 2013; Cass. sez. 4, n. 49764 del 13 novembre 2014.

34 www.dirittopenalecontemporaneo, fascicolo 6/2018, E. lorenzetto, L’omesso avviso dell’udienza di reclamo ex art. 410-bis c.p.p.: il rimedio c’è ma non si vede.

35 S. allegrezza, Il ruolo della vittima nella direttiva 2012/29/UE, in aa.vv., Lo statuto europeo delle vittime di reato. Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali, Padova, 2015, 8.

36 M. chiavario, La tutela linguistica dello straniero nel nuovo processo penale italiano, in Riv. dir. proc., 1991, 2, 346.

37 L. Parlato, La parola alla vittima. Una voce in cerca di identità e di ‘ascolto effettivo nel procedimento penale, in Cass. pen., 2013, 9, 3293.

38 Il d.lgs. n. 32 del 2014 le spese degli ausiliari del magistrato sono ripetibili, ad eccezione di quelle per gli interpreti e traduttori nominati nei casi previsti dall’art. 143 c.p.p., che riguarda esclusivamente l’assistenza linguistica assicurata all’imputato.

39 A. Marandola, L’interrogatorio di garanzia. Dal contraddittorio posticipato all’anticipazione delle tutele difensive, Padova, 2006, 403.

40 Direttiva n. 2010/64/UE del 20 ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali.

41 L. luParia, Vittime dei reati e diritto all’assistenza linguistica, in Traduzione e interpretazione per la società e le istituzioni, Trieste, 2014, 64; C. FalBo, M. viezzi, Traduzione e interpretazione per la società e le istituzioni, Trieste, 2014, 97-104.

42 Relazione tecnica allegata allo Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (204).

43 M. chiavario, La parte dei privati: alla radice (e al di là) di un sistema di garanzie, in Procedure penali d’Europa, Padova, 2001, 536 ss.

44 G. Mannozzi, Traduzione e interpretazione giuridica nel multilinguismo europeo: il caso paradigmatico del termine “giustizia riparativa” e delle sue origini, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1, 137 ss.

45 F. stella, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, Milano, 2003, 19 ss.; G. rossi, La direttiva 2012/29/UE: vittima e giustizia riparativa nell’ordinamento penitenziario, in Arch. Pen. online, 2015, 2-9; V. Menna, Mediazione con gli offesi e con gli enti rappresentativi di interessi diffusi, in Dir. pen. proc., 2013, 5, 599.

46 www.dirittoprocessualecontemporaneo: S. recchione, Le vittime da reato e l’attuazione della direttiva 2012/29 UE: le avanguardie, i problemi, le prospettive, 2015, 9; G. Pavich, Le novità del decreto legge sulla violenza di genere: cosa cambia per i reati con vittime vulnerabili, 2013, 13.

47 Legge n. 119 del 2013; d.lgs. n. 9 del 2015, art. 4.

48 D. negri, Le misure cautelari a tutela della vittima: dietro il paradigma flessibile, il rischio di un’incontrollata prevenzione, in Giur. it., 2012, 467 ss.; A. diddi, Chiaroscuri nella nuova disciplina sulla violenza di genere, in Proc. Pen. Giust., 2014, 2, 101 ss.

49 G. illuMinati, La vittima come testimone, in aa.vv., Lo statuto europeo delle vittime di reato. Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali, Padova, 2015, 66; L. Parlato, Il contributo della vittima tra azione e prova, in Riv. Arbor Iuris, 381.

50 E.M. catalano, La tutela della vittima nella direttiva 2012/29 UE e nella giurisprudenza delle corti europee, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 4, 1801.

51 www.processopenalecontemporaneo.it: S. recchione, La vittima cambia il volto del processo penale, 2017, 1, 89 ss.

52 Cass. sez. II n. 30302 del 24 giugno 2016, CED Cass., n. 267718.

53 Cass., sez. III, sent. 16 maggio 2019 del 26 luglio 2019 n. 34091.

54 L’incidente probatorio è indicato anche all’interno del protocollo della

Carta di Noto come sede privilegiata per l’acquisizione delle dichiarazioni del minore. È vero che le raccomandazioni espresse nel documento sono prive di valore normativo e non vincolanti per i soggetti del processo penale (ex plurimis, Cass., sez. III, 25 settembre 2014, G., in CED, n. 262976). Ma tale protocollo è il frutto di una collaborazione interdisciplinare, volta a dettare Linee guida per l’esame del minore in caso di abuso sessuale. aa.vv., Linee Guida Nazionali. L’ascolto del minore testimone, G. gulotta, G. caMerini, Milano, 2014, passim; A. Forza, La genuinità della prova testimoniale e le garanzie metodologiche della Carta di Noto, in Riv. pen., 2005, 1207 ss.; S. recchione, L’esame del minore persona offesa in reati sessuali; id., L’ascolto del minore nel processo penale, in Riv. it. med. leg., 2011, 1609 ss.; L. luParia, H. Belluta, El testimonio de la victima vulnerable en el proceso penalitaliano, in La victima menor de edad, studio comparato Europa/America, Colex, 2010, 367.

55 C. conti, Le due “anime” del contraddittorio nel nuovo art. 111 Cost., in Dir. pen. proc., 2000, 197 ss.; G. uBertis, La prova dichiarativa debole: problemi e prospettive di assunzione della testimonianza della vittima vulnerabile alla luce della giurisprudenza sovranazionale, in Cass. pen., 2009, 4058. ss.

56 Cass., I sez. pen., 26 febbraio 1990 n. 490 in CED Cass., n. 183674.+

57 Cass., sez. III, 28 giugno 2011, M., in CED, n. 250615.

58 Cass. III sez. pen. 15 febbraio 2008 n. 11130 in CED Cass., n. 2390003.

59 Cass. sez. 4 n. 16981 del 12 marzo 2013, CED Cass., n. 254943; Cass. sez.

3 n. 3651 del 10 dicembre 2013 dep. 2014, CED Cass., n. 259088.

60 Art 6 CEDU: 1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia. 2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. 3. In particolare, ogni accusato ha diritto di:(a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;(b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;(c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; (d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;(e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza.

61 Cass., sez. un. n. 27620 del 28 aprile 2016, CED Cass., n. 267486.

62 Cass., sez. un. n. 18620 del 19 gennaio 2017.

63 www.dirittopenalecontemporaneo.it., F. Fiandanese, La rinnovazione del dibat-

timento in appello alla luce delle modifiche normative e dei principi di diritto affermati dalle sezioni unite Dasgupta, Patalano, Troise, 2018.

64 www.processopenalecontemporaneo.it, S. recchione, La vittima cambia il volto del processo penale, 89 ss.

65 Cass. III sez. pen. 23 maggio 2013 n. 43723 in CED Cass., n. 258324.

66 D. chinnici, L’immediatezza nel processo penale, Milano, 2005, 68 ss.; L. caMaldo, La testimonianza dei minori nel processo penale: nuove modalità di assunzione e criteri giurisprudenziali di valutazione, in Ind. pen., 2000, 183 ss.; F.R. dinacci, L’art. 190-bis c.p.p.: controriforma del diritto probatorio, in Riv. Arch. Pen., 2014, 3.

67 Cass. sez. un. 3 aprile 2018 n. 14800.

C. Morselli, È tempo di dare la parola alla persona offesa dal reato nella discussione finale ex art. 523 c.p.p., in Riv. AIC (associazione italiana costituzionalisti), 1/2019, 19 febbraio 2019.

69 F. della casa, Soggetti, in G. conso, V. grevi, M. Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, 2016, 121.

70 F. cordero, Procedura penale, Milano, 2012, 276.