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L’avvocato del genitore nei procedimenti de potestate

autore: V. Mazzotta

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il procedimento. - 3. La difesa tecnica. - 4. Profili deontologici.



1. Introduzione



La legge 28 marzo 2001, n. 149 Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile, oltre a sancire il fondamentale principio del diritto del minore alla famiglia, apporta importanti modifiche sul piano processuale, al fine di riaffermare l’attuazione del principio del contraddittorio nei procedimenti d’adozione e de potestate. Tale finalità si evince dalla relazione governativa al d.l. 150/01, ove si legge che la previsione della difesa tecnica nei procedimenti per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 336 c.c. necessita di una revisione del procedimento che si svolge dinanzi al Tribunale per i Minorenni nelle forme dei procedimenti in camera di consiglio anche a seguito della modifica dell’art. 111 Cost. Per i procedimenti c.d. de potestate in particolare, la Novella ha introdotto all’art. 336 c.c. il co. 4° a norma del quale per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore (l’inciso contenuto nella formulazione originaria anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge è stato successivamente abrogato dal d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, c.d. Testo Unico sulle spese di giustizia, risultando ultroneo alla luce della previsione che assicura in via generalizzata il patrocinio a spese dello Stato, art. 74, 2° co. del t.u.).



2. Il procedimento



Allorché si parli di procedimenti de potestate, ossia il modello del procedimento minorile per eccellenza, ci si riferisce all’art. 330 c.c., che disciplina la decadenza dalla responsabilità genitoriale, e all’art. 333 c.c. relativo alle possibili limitazioni1 . Invero, il procedimento in oggetto è stato protagonista di un’eccezionale evoluzione giurisprudenziale e di interventi legislativi volti ad adattare il diritto alle trasformazioni sociali che hanno investito le relazioni famigliari, oltre che alla maggior sensibilità per i diritti del minore e per le garanzie dei genitori coinvolti2.

La ratio degli artt. 330 e 333 c.c. va ricercata nella necessità di offrire tutela e supporto al minore in presenza di situazioni che siano “pregiudizievoli” (art. 333 c.c., per quanto riguarda la limitazione della responsabilità) o di “grave pregiudizio” (art. 330 c.c., per quanto riguarda la decadenza). Il legislatore non ha inteso punire gli esercenti la responsabilità genitoriale, bensì esclusivamente proteggere i minori da situazioni anche solo potenzialmente dannose: dal sistema legislativo è, infatti, enucleabile un generale favor per la famiglia e per la crescita del minore all’interno del suo nucleo familiare, sicché i provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale rappresentano una extrema ratio a cui ricorrere esclusivamente allorché nessun altro intervento è risultato utile ad eliminare la condizione di pregiudizio per i minori. La competenza, ai sensi dell’art. 38 disp. att. c.c., spetta al Tribunale per i Minorenni del luogo di residenza del minore, ma, in deroga a questa attribuzione, se pende un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c., e fino alla sua conclusione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti, spettano al giudice del conflitto familiare, ossia al tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d’appello in composizione ordinaria, se pende il termine per l’impugnazione o sia stato interposto appello3 . Inoltre, sempre ai sensi dell’art. 38 disp. att. c.c. come novellato dall’art. 3 della l. 219 del 2012, il Tribunale per i minorenni resta competente a conoscere della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di decadenza o la limitazione della responsabilità dei genitori ancorché, nel corso del giudizio, sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, trattandosi di interpretazione aderente al dato letterale della norma, rispettosa del principio della perpetuatio jurisdictionis di cui all’art. 5 c.p.c., nonché coerente con ragioni di economia processuale e di tutela dell’interesse superiore del minore, che trovano fondamento nell’art. 111 Cost., nell’art. 8 CEDU e nell’art. 24 della Carta di Nizza4 .

Deve tuttavia darsi conto di un filone giurisprudenziale secondo cui il Tribunale per i Minorenni, seppure inizialmente adito su questioni inerenti alla limitazione della responsabilità genitoriale, a volte confermando decreti provvisori oppure dichiarandosi non più competente, le rimette al Tribunale ordinario investito del procedimento di separazione o divorzio o ex artt. 337-bis ss. c.c., che solitamente conferma, se intervenuta, la previa nomina di un curatore speciale del minore da parte del Tribunale per i Minorenni5 . Diversi sono i presupposti che il Tribunale deve valutare allorché sia chiamato a pronunciarsi in tema di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale, fermo restando che si tratta in entrambi i casi di far fronte a situazioni di criticità che coinvolgono i minori. Il presupposto comune ai due articoli è il pregiudizio nei confronti del minore. Più specificamente, l’art. 333 c.c. indica la “condotta comune pregiudizievole”, mentre l’art. 330 c.c. (decadenza) menziona il genitore che violi o trascuri i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale, o abusi dei relativi poteri, “con grave pregiudizio del figlio”. La differenza è, per così dire, quantitativa, nel senso che spetta al Giudice valutare se nel caso concreto sia necessario disporre la decadenza oppure semplicemente limitare l’esercizio della responsabilità genitoriale. Il pregiudizio per il minore può concretizzarsi nelle condotte più varie, sia commissive che omissive, senza che sia possibile enuclearle tutte e dettagliatamente, dunque dipenderà dal caso concreto, indagato dal Giudice che, proprio in virtù dell’ampia gamma di misure adottabili, è dotato di vasti poteri istruttori. Ai fini della decadenza si ritiene sufficiente che sia ravvisabile anche solo una delle condizioni indicate (violare i doveri legati alla responsabilità genitoriale; trascurare i doveri legati alla responsabilità genitoriale; abusare dei poteri legali alla responsabilità genitoriale), mentre il richiamo di cui all’art. 333 c.c. ad una condotta di uno o di entrambi i genitori non tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza ma comunque pregiudizievole, rimanda chiaramente a una molteplicità di situazioni ravvisabili. In entrambe le ipotesi, la legge prevede la possibilità di disporre l’allontanamento del genitore o del convivente che maltratta o abusa del minore, come misura, lo si evidenzia, volta a tutelare il minore che in tal modo può continuare a vivere e conservare il legame con la casa familiare, così evitando l’ulteriore trauma, oltre alla condotta pregiudizievole subita, del distacco dall’ambiente ove è cresciuto. Posto che i provvedimenti de quo sono sempre adottabili rebus sic stantibus, essi possono anche essere revocati. Più esattamente, il provvedimento ablativo è revocabile a norma dell’art. 332 c.c. su istanza del genitore dichiarato decaduto allorché siano venute meno le ragioni che avevano determinato la decadenza e sempre che sia escluso ogni pericolo di pregiudizio per il figlio; i provvedimenti limitativi, invece, sono sempre revocabili ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 333 c.c. Legittimati attivi sono l’altro genitore, i parenti del minore e il p.m. che solitamente ricorre al Tribunale per i Minorenni su segnalazioni pervenute alla Procura da parte di coloro che, vivendo più a contatto con la famiglia del minore, vengono a conoscenza di situazioni pregiudizievoli (scuola, medico, servizi sociali territoriali ecc.). Nel caso in cui si richieda al Tribunale di revocare precedenti deliberazioni, legittimato attivo al ricorso, come anzidetto, è anche il genitore dichiarato decaduto o limitato nell’esercizio della responsabilità genitoriale. Il Tribunale investito del ricorso ha ampi poteri istruttori, che vanno dall’acquisizione delle informazioni sulla situazione di presunto pregiudizio a danno del minore mediante i Servizi sociali territoriali, il parere del p.m., l’ascolto del genitore in udienza nonché del minore che abbia compiuto gli anni 12 (per cui si rinvia alla lettura dell’art. 336-bis c.c.), e anche del minore infradodicenne ove questo sia capace di discernimento. Solitamente il Tribunale, prima della pronuncia definitiva, adotta anche d’ufficio i provvedimenti temporanei nell’interesse del figlio (art. 336, 3° comma c.c.), sempre reclamabili avanti alla Corte d’Appello6 . Anche il provvedimento definitivo è naturalmente reclamabile davanti alla sezione di Corte d’Appello per i Minorenni, e le statuizioni della Corte d’Appello sono ricorribili in Cassazione in quanto non modificabili né revocabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi7 .



3. La difesa tecnica



La necessità della difesa tecnica è stata enunciata dal legislatore senza tuttavia chiarire come essa debba essere assicurata, sicché sono stati i singoli Tribunali per i Minorenni a dover supplire alla lacuna legislativa elaborando prassi applicative che oggi risultano essere le più varie. Per la maggior parte, viene nominato d’ufficio un curatore speciale8 del minore sul presupposto, ritenuto dalla giurisprudenza, che un conflitto di interessi sussista in re ipsa. Il curatore nominato può quindi costituirsi in giudizio ex art. 86 c.p.c. contestualmente chiedendo l’ammissione dell’assistito (il minore) al gratuito patrocinio a spese dello Stato9.

Quanto invece all’avvocato del genitore, l’art. 336 c.c. non ne prevede la nomina obbligatoria nei procedimenti de potestate a differenza dei procedimenti per la dichiarazione dello stato di abbandono; la difesa tecnica è quindi solo eventuale ed è rimessa alla libera scelta delle parti10. Invero, anche in questi giudizi la difesa tecnica dovrebbe essere imprescindibile poiché il tecnicismo della materia, che comunque incide su diritti soggettivi, impone necessariamente l’assistenza tecnica del difensore sin dal momento introduttivo del giudizio, eventualmente con il gratuito patrocinio laddove ne sussistano i presupposti; sicché la diversità di disciplina rispetto al procedimento ex artt. 9 ss. l. 184/1983 si risolve in una ingiustificata disparità di trattamento oltre che in una lesione del principio del contraddittorio. Allorché il genitore non sia munito di un difensore, egli potrà comunque essere sentito ma non avrà il diritto di partecipare al procedimento, neppure prendendo visione del fascicolo e traendo copia degli atti. Dunque, verrà dichiarato inammissibile il ricorso o la memoria di costituzione presentata personalmente dalla parte, che cioè non sia sottoscritta da un avvocato munito di procura ad litem. Manca anche una disciplina analitica dell’attività di raccolta delle prove e la partecipazione del difensore del genitore agli atti istruttori (diversamente dai procedimenti in materia di adozione), fase, quest’ultima, che rappresenta un delicatissimo momento processuale in cui, specie allorché si controverta di diritti soggettivi primari, è essenziale che sia assicurata la piena garanzia del principio del contraddittorio. Il tutto si risolve in un ulteriore evidente deficit di tutela, considerato che sia il minore che il genitore sono parti del procedimento de potestate. I procedimenti in oggetto hanno natura c.d. Camerale contenziosa: la normativa di riferimento è dunque quella enucleata dagli artt. 737-742-bis ss. c.p.c., che, come noto, nulla precisano in merito alle garanzie del contraddittorio ed agli accertamenti istruttori, cui accenna soltanto l’art. 738, co. 2°, c.p.c., laddove si afferma che il giudice ha possibilità di assumere “informazioni”. Posto che la finalità garantista sottesa alla rilevanza dei diritti soggettivi coinvolti renderebbe opportuno un rito a cognizione piena, in ogni caso il fatto che la procedura applicabile sia “snella” e priva di preclusioni non sgrava il lavoro dell’avvocato, che viceversa deve essere particolarmente attento, vigile e diligente nel portare la voce del proprio assistito all’interno del processo. L’avvocato del genitore può infatti in ogni momento presentare istanze o fare segnalazioni al Tribunale circa sviluppi, fatti o accadimenti che attestino la buona condotta del proprio assistito sempre nell’ottica del superamento di quelle carenze che hanno comportato limitazioni della responsabilità genitoriale anche solo con l’adozione di provvedimenti provvisori. L’avvocato del genitore deve sostanzialmente mettere il Tribunale in condizione di conoscere cosa succede nella vita del minore, deve accompagnare il genitore verso la riacquisizione del proprio ruolo invitandolo a fare un percorso di recupero, a seguire le indicazioni fornite dai servizi sociali attuando diligentemente il progetto che essi solitamente elaborano. In generale, l’avvocato del genitore deve aiutarlo nell’osservanza del programma stilato dai servizi e che dovrebbe essere di durata certa ed impostato sul ripristino delle capacità genitoriali di educare, istruire e crescere i figli minori, consentendo così ai genitori di assumere le decisioni di ordinaria o straordinaria amministrazione riguardanti la prole. L’avvocato del genitore, a prescindere dal fatto che venga disposto un accertamento istruttorio mediante CTU, può naturalmente farsi affiancare da un consulente (di parte) e allegare una relazione in modo da fornire al Tribunale quante più informazioni possibili ed utili ai fini della decisione. Inoltre, egli deve sensibilizzare i genitori in ordine all’importanza di gestire e superare i conflitti familiari, conseguenza evitabile ma purtroppo frequente della crisi coniugale, coadiuvandoli in un percorso ad hoc e suggerendo, ad esempio e a seconda dei casi, il ricorso alla mediazione familiare. Ma come deve rapportarsi, in generale, l’avvocato con le altre figure coinvolte nel procedimento de potestate? Primariamente si pone il rapporto con i servizi sociali che sono solitamente investiti dal Tribunale di svariate funzioni, dal monitoraggio della situazione familiare, alla vigilanza sulla salute in senso ampio del minore, alla regolamentazione degli incontri genitori/figli, finanche a divenire affidatari dei minori, salvo il loro collocamento presso uno dei genitori, o una famiglia terza o una comunità. L’affidamento ai servizi rappresenta un affiancamento delle istituzioni ai genitori nelle scelte educative che riguardano i figli, non più gestibili o controllabili da parte dei genitori stessi che possono essere aiutati ma anche sostituiti (quanto al potere decisorio) dalla pubblica autorità. Solitamente si affida il minore all’ente nei casi in cui la conflittualità tra i partners è talmente patologica che, diversamente, vi sarebbero continuamente controversie e litigi. In generale l’affidamento viene disposto al fine di sottrarre il minore ad una condotta pregiudizievole da parte dei genitori e permane fino a che non si ripristini un corretto esercizio della responsabilità genitoriale: se tale corretto esercizio non viene ripristinato, allora si farà luogo all’adozione di misure più incisive. In tale contesto, l’avvocato del genitore è tenuto ad informare il giudice e i servizi dei progressi del suo assistito e del superamento dei problemi che hanno condotto all’adozione di provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale, sempre assumendo un atteggiamento collaborativo e mai confliggente. L’avvocato del genitore può poi essere chiamato a interloquire con il Giudice Tutelare investito dei poteri di cui all’art. 337 c.c., che disciplina la c.d. vigilanza attiva del Giudice Tutelare rispetto alle disposizioni del Tribunale sui provvedimenti relativi all’affidamento. Egli non può evidentemente intervenire modificando i provvedimenti definitivi assunti ma può attuarli e se necessario coinvolgere i servizi sociali. Così, nell’ipotesi non remota in cui i servizi sociali non ottemperino come dovrebbero ai loro doveri, ad esempio qualora assumano modalità operative insoddisfacenti, improprie o anche espressive di deresponsabilizzazione con riferimento agli interventi di prevenzione primaria, l’avvocato del genitore potrà fare istanza al Giudice Tutelare affinché costui ordini ai servizi di adeguare il proprio operato allo standard di diligenza richiesto.

L’avvocato del genitore dovrà poi rapportarsi con il curatore speciale del minore, che va nominato allorché sussista conflitto di interessi tra i genitori e il minore, conflitto che nei procedimenti de potestate riguarda l’inadeguatezza dell’esercizio delle funzioni genitoriali che sono proprio l’oggetto di questi procedimenti, quindi non è possibile lasciare ai genitori la rappresentanza legale dei figli11.



4. Profili deontologici



La deontologia, come noto, è l’insieme delle regole di condotta che devono essere rispettate nell’esercizio dell’attività professionale, regole che per l’avvocato in generale, e per quello familiarista in particolare, assumono un ruolo e una pregnanza speciale. Le controversie familiari e minorili sono infatti connotate da una rilevanza pubblica stante i diritti coinvolti, e per tale ragione, in tale ambito, l’avvocato assume un ruolo particolarmente delicato, non limitato alla sola tutela del proprio assistito, dovendo ispirare il proprio comportamento a un superiore criterio di responsabilità etica e sociale. La figura dell’avvocato nasce in risposta ad una precisa esigenza di natura pubblicistica, quella della tutela degli interessi del singolo. Tutelare gli interessi del singolo non significa, però, tutelarli indiscriminatamente ponendo in essere qualsiasi tipo di azione, specie quando sono coinvolti i diritti del minore: in questi casi il compito assegnato alla classe forense è particolarmente delicato e diviene estremamente complesso laddove si tratta di tutelare una delle parti nei procedimenti che hanno ad oggetto il rapporto genitori-figli e la protezione di questi ultimi. La peculiarità del ruolo dell’avvocato di famiglia consiste dunque nel cercare di individuare l’autentico interesse del proprio assistito che, se sono presenti dei figli, non può essere scisso dall’interesse di questi. Occorre evitare qualsivoglia strumentalizzazione del minore, che non deve mai rappresentare terreno di scontro tra i genitori: ciò sarebbe infatti non solo antigiuridico ma anche contrario all’interesse reale del cliente/genitore. Nello svolgimento del proprio mandato difensivo, l’avvocato deve sempre considerare che i più esposti agli effetti traumatici della disgregazione della famiglia sono i figli minori, la cui tutela passa attraverso l’attività difensiva degli adulti: difendere “male” il genitore significa quindi danneggiare il figlio. Interessante è una pronuncia del Tribunale di Milano sul punto, poiché offre un’esaustiva lettura del ruolo e della funzione dell’avvocato del genitore in procedimenti che vedono coinvolti i minori12. Il Tribunale attribuisce all’avvocato, condivisibilmente, “non solo il dovere ma invero l’obbligo di svolgere un ruolo protettivo del minore, arginando il conflitto invece che alimentarlo” ed enuncia il principio secondo il quale nei procedimenti che vedono contrapporsi i genitori, i figli sono in una posizione neutrale, per cui l’avvocato, assumendo la difesa del genitore, si impegna anche a proteggere il minore e ad operare nel suo interesse13. Potrebbe affermarsi che l’avvocato nel procedimento che coinvolge il minore ha un doppio interlocutore: il proprio cliente da un lato, l’ordinamento, che tutela gli interessi dei minori, dall’altro. La necessità di preservare gli interessi del cliente/genitore in presenza di un minore mette ancor più in evidenza il c.d. ruolo sociale dell’avvocato che non può cogliere acriticamente le richieste del proprio assistito, ma le deve filtrare per comprenderne gli intenti sottesi, che in nessun caso potrebbero porsi in contrasto con l’ordinamento giuridico. Occorre quindi grande equilibrio tra autonomia e fedeltà nell’assolvimento dell’incarico e una ricerca costante di ponderare al meglio la plausibilità delle richieste del cliente con il contesto giuridico e la sfera famigliare, che va filtrata dal professionista in modo oggettivo, scindendo il profilo legale da quello sentimentale ed emotivo che coinvolge il cliente. Ciò comporta che l’esercizio delle funzioni di difensore dei genitori e di curatore speciale/avvocato del minore, deve essere svolto in maniera responsabile e trasparente, ad opera di soggetti altamente qualificati, senza che vi sia spazio per nessuna sorta di improvvisazione nell’esercizio della professione. La consapevolezza del particolare ruolo svolto dall’avvocato familiarista induce ad un approccio deontologico addirittura più rigoroso rispetto a quello imposto dal Codice Deontologico vigente. Gli stessi doveri deontologici, in altri termini, divengono ancor più pregnanti laddove l’intervento del legale avvenga nei procedimenti che coinvolgono, a vario titolo, un minore14. La riforma dell’ordinamento forense attuata con la legge 31 dicembre 2012 n. 247, Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, che ha rafforzato, espressamente prevedendola, la funzione sociale dell’avvocato nel processo e nei riguardi dei soggetti più deboli coinvolti, ha attribuito anche particolare rilievo al minore formulando lo specifico art. 56 sull’ascolto del minore. Il diritto del minore all’ascolto è sancito nella Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ribadito nella Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, recepito dalle Linee Giuda adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 2010 per una giustizia a misura di bambino e poi dalla normativa nazionale (artt. 315-bis, 336-bis, 337-octies c.c.). Dall’evoluzione normativa è dunque sorta la necessità di stabilire particolari prescrizioni che imponessero all’avvocato regole di comportamento idonee a salvaguardare l’interesse del minore. Il codice deontologico previgente faceva riferimento a principi etici generali (lealtà, correttezza, fedeltà, diligenza, segretezza, riservatezza, indipendenza) ma occorreva tipizzare il comportamento dell’avvocato che si occupa di famiglia e di minori15. In quest’ottica è stata introdotta la nuova regola deontologica sancita dall’art. 5616, che al 1° comma pone una regola generale, ossia il divieto fatto all’avvocato di procedere all’ascolto del minore senza il previo consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale17. È fatta salva tuttavia nel primo comma l’ipotesi in cui sussista conflitto di interessi tra genitore e minore (ad es. le ipotesi di violenza o atteggiamenti pregiudizievoli di uno o entrambi i genitori, o più semplicemente conflitti di carattere patrimoniale). In tali casi, quand’anche si tratti di conflitto solo potenziale, al figlio minorenne verrà nominato un curatore speciale che lo rappresenterà (art. 78 c.p.c.) e che, se avvocato, lo difenderà nel procedimento ai sensi dell’art. 86 c.p.c., e/o negli atti giuridici ove vi sia conflitto di interessi (art. 320 c.c. ult. co.). Chiaramente in questi casi non occorre ottenere l’assenso del genitore esercente la responsabilità per procedere con l’ascolto del minore, dovendovi (non potendovi) provvedere l’avvocato nominato curatore del minore. Al 2° comma, per le ipotesi relative alle controversie in materia familiare e minorile (ad esempio, separazione o divorzio), è sancito il divieto tassativo all’avvocato dei genitori di avere contatti e colloqui con i figli minori su circostanze oggetto del giudizio, sull’ovvio presupposto della necessità di non coinvolgere il figlio nel conflitto tra i genitori. La norma va letta insieme all’art. 68, 5° comma che pone il divieto per l’avvocato che ha assistito il minore in una controversia familiare di essere avvocato anche di uno dei suoi genitori in successive controversie. Ne scaturisce quindi un quadro complessivo in base al quale l’avvocato deve astenersi da ogni forma di colloquio e di contatto con il minore sulle circostanze oggetto della controversia in atto tra i genitori. Tra i doveri deontologici che l’avvocato familiarista deve osservare, due in particolare meritano particolare attenzione anche in forza del dibattito attualmente in essere sulla c.d. Specializzazione dell’avvocato. Ci si riferisce ai doveri di competenza, di aggiornamento professionale e formazione continua. Invero, dal pregresso divieto deontologico di spendere il titolo di specialista, si è passato al riconoscimento della legittimità del titolo, operato dall’art. 9 della l. n. 247 del 2012.

Non è questa la sede per esaminare l’iter che ha condotto alla redazione del decreto sulle specializzazioni forensi, che va a modificare il d.m. 12 agosto 2015, n. 144 Regolamento recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, a norma dell’articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, bocciato prima dal Tar Lazio18 e poi, in parte, dal Consiglio di Stato19 (che, peraltro, al momento della redazione del presente scritto, attende ancora la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale). Ciò che importa è che la specializzazione, che fino a ieri poteva essere considerata un quid pluris, oggi è quasi una conditio sine qua non per l’esercizio della professione, e che prescinde da qualsiasi regolamentazione da parte dell’ordinamento forense. Il diritto delle relazioni famigliari, delle persone e dei minori rientra ovviamente tra le materie oggetto della specializzazione, e le ragioni sono evidenti. Intanto, la rilevanza costituzionale degli interessi coinvolti, quelli del minore in primis, richiede una tutela differenziata e per certi aspetti rafforzata; tuttavia in questa materia si fa ampio ricorso al procedimento di cognizione sommaria (ad esempio, i procedimenti de potestate appunto), privo di una disciplina dettagliata come quella del rito ordinario. Sicché l’avvocato familiarista deve avere un’acuita sensibilità per la difesa delle garanzie nel processo, quella del contraddittorio e del diritto di difesa innanzitutto, e al contempo deve porsi in una posizione di confronto dialettico con la controparte, con i servizi sociali, con il giudice e il consulente, presentando istanze laddove lo si ritenga opportuno e sempre ricercando il dialogo e la collaborazione. Un impegno particolare è poi richiesto al difensore nella fase istruttoria, non essendovi regole scandite e potendo l’avvocato far ricorso anche alle c.d. prove atipiche. Inoltre, come anzidetto, la presenza del minore connota il ruolo dell’avvocato del genitore di profili nuovi e peculiari, dovendosi costui fare anche difensore del minore, destinatario ultimo del provvedimento del Giudice e dovendosi prestare quindi particolare attenzione nelle ipotesi in cui si ravvisi un conflitto di interesse tra genitori e figli (ipotesi tutt’altro che remota). È dunque all’interesse del minore che occorre sempre avere riguardo, anche nell’intraprendere l’attività difensiva. Potrebbe ad esempio capitare che l’avvocato che difenda uno dei due genitori, che gli si affida per tutelare la propria posizione personale, venga a conoscenza di comportamenti del suo cliente lesivi dei diritti del figlio. Il ruolo dell’avvocato si fa qui delicatissimo poiché egli deve svolgere il mandato difensivo con lealtà e correttezza, ma deve anche tener presente l’esistenza di figli minori, destinati a subire le conseguenze di decisioni che dovrebbero essere prese nel loro interesse da soggetti che spesso sono inadeguati a svolgere le funzioni genitoriali, oppure sono in conflitto fra loro. Tanto più che la nomina del curatore del minore non è automatica: diviene allora molto difficile difendere se stessi dalle accuse di condotta pregiudizievole per il minore o accusare l’altro genitore di recare pregiudizio al figlio e contemporaneamente rappresentare il figlio che da quelle condotte risulterebbe danneggiato. Ancora, l’approccio al diritto di famiglia comporta anche il rilievo di discipline diverse da quella giuridica: vale a dire che l’avvocato deve avere una preparazione multidisciplinare. Non solo cioè può essere per il difensore necessario ricorrere alla consulenza dello psicologo, dello psichiatra infantile e del medico nella regolamentazione dei rapporti tra i genitori e il figlio, sempre ispirata agli interessi del minore: l’avvocato deve anche possedere nozioni di psicologica, psichiatrica infantile, medica, in particolare se difensore del minore. Infine, tenuto conto che il sistema, anche processuale, delle controversie di famiglia, è volto complessivamente a favorire l’accordo, l’avvocato familiarista dovrebbe possedere una preparazione anche sulle tecniche “partecipative o negoziali”, il che implica uscire dalla logica di parte adottando un concetto di vittoria completamente nuovo e diverso da quello tipico dell’avvocato civilista. Concludendo: occorre per l’avvocato familiarista una particolare competenza, un approccio diverso alla professione legale, direi più complicato e complesso, un rapporto di collaborazione sinergica, anziché di contrapposizione. Non è sufficiente per l’avvocato possedere le competenze giuridiche che consentono di interpretare e applicare le norme né rispettare le regole e le procedure: è necessario considerare i risultati. In questa materia più che mai occorre che l’avvocato si chieda cosa accadrà se si agisce in un determinato modo, ovvero se non si compiono determinate azioni, e nei confronti di chi si produrranno le conseguenze delle scelte difensive adottate. Quando in un procedimento è presente direttamente o indirettamente un minore, i comuni modelli di comportamento professionale non appaiono né sufficienti né adeguati: una deontologia diversa deve ispirare l’avvocato familiarista. Al di là di alcune singole illuminate esperienze, come ad esempio quella del Commissione Famiglia e Minori dell’Ordine degli Avvocati di Milano, che nel giugno 2017 ha elaborato un vademecum dal titolo “Deontologia professionale nel diritto di famiglia: ruoli, condotte, obblighi, divieti dell’avvocato”, volto a divenire una guida per gli avvocati che operano nell’ambito del diritto di famiglia, sono oramai maturi i tempi per l’elaborazione di un codice deontologico ad hoc che individui gli standards di comportamento per l’avvocato che esercita la propria attività in via prevalente nel settore del diritto di famiglia e dei minori, una materia nella quale i profili di discrezionalità, e quindi di responsabilità, giuridica e sociale, del difensore sono particolarmente accentuati.

NOTE

1 A. Belvedere, Potestà dei genitori, in Enc. Giur., XXIII, Roma, 1990; C.M. Bianca, Diritto civile, II, Milano, 1981; A. Bucciante, Potestà dei genitori, in Enc. Dir., XXXIV, Milano, 1985; id., La potestà dei genitori. Disciplina, in Tratt. Rescigno, 4, Torino, 1982; A.G. cianci, La “responsabilità genitoriale”, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, IV, Torino, 2016; C. cossu, Potestà dei genitori, in Digesto civ., XIV, 4a ed., Torino; L. Ferri, Potestà dei genitori, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 315-342, Bologna-Roma, 1988; A. Finocchiaro, M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, II, Milano, 1984; A.C. Pelosi, Della potestà dei genitori, in Comm. Cian, Oppo, Trabucchi, IV, Padova, 1992; id., Potestà dei genitori sui figli, in Noviss. Dig. It., App., V, Torino, 1984; F. ruscello, La potestà dei genitori, Milano, 1996; A. traBucchi, Patria potestà e interventi del giudice, in Riv. dir. civ., 1961, I; P. vercellone, La potestà dei genitori, in Tratt. Zatti, II, Milano, 2002; G. villa, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in Tratt. Bonilini, Cattaneo, III, Torino, 1997.

2 M.G. civinini, C.M. verardi, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, Milano, 2001; C. cossu, Potestà dei genitori, cit.; C. Moretti, Il controllo giudiziario sull’esercizio della “responsabilità genitoriale”, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, IV, Torino, 2016; A. Proto Pisani, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, in Foro It., 2000, V; V.F. toMMaseo, Giudizi camerali de potestate e giusto processo, in Fam. Dir., 2002.

3 Cass. civ., ord., 26 gennaio 2015, n. 1349. In merito alle azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi od ablativi della responsabilità genitoriale, la Corte ha affermato, con riguardo all’interpretazione del nuovo art. 38 disp. att. c.c. (come modificato dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219), che la competenza appartiene in via generale al tribunale per i minorenni, ma, quando sia in corso un giudizio di separazione, divorzio o un giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c. – anche in pendenza dei termini per le impugnazioni e nelle altre fasi di quiescenza, fino al passaggio in giudicato – e le azioni siano proposte successivamente e richieste con un unico atto introduttivo dalle parti, in deroga a tale attribuzione, spetta al giudice del conflitto familiare, in Fam Dir., 2015, 10, 869 con nota di G. BuFFone, Riparto di competenza tra T.O. e T.M. in materia di provvedimenti ablativi: iudicium finiumregundorum della Cassazione.

4 Cass. civ., ord., 12 febbraio 2015, n. 2833. Per i procedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, introdotti prima del giudizio di separazione o divorzio tra i genitori, non opera l’attrazione della competenza del tribunale ordinario e rimane competente il tribunale per i minorenni, in Foro It., 2015, 6, 1, 2046; Cass. civ., ord., 14 ottobre 2014, n. 21633, La competenza a conoscere della domanda di limitazione o decadenza dalla potestà dei genitori, introdotta prima della modifica del testo dell’art. 38 disp. att. c.c. disposta dall’art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, rimane radicata presso il tribunale per i minorenni anche se nel corso del giudizio sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, in ossequio al principio della “perpetuatio jurisdictionis” ed a ragioni di economia processuale che trovano fondamento anche nelle disposizioni costituzionali (art. 111 Cost.) e sovranazionali (art. 8 CEDU e art. 24 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), in Fam. Dir., 2015, 2, 105 con nota di A. liuzzi, Provvedimenti de potestate e vis attractiva del Tribunale ordinario: primi chiarimenti della Suprema Corte. Principio applicabile anche alla competenza per territorio: Cass. civ., ord., 19 luglio 2013, n. 17746. Ai fini della individuazione del tribunale per i minorenni territorialmente competente in ordine ai provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale ex artt. 330 e 333 c.c., deve aversi riguardo al luogo della dimora abituale del minore alla data della domanda. Nella individuazione in concreto del luogo di abituale dimora non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza o dalla maggiore durata del soggiorno, essendo invece necessaria una prognosi sulla probabilità che la “nuova” dimora diventi l’effettivo e stabile centro di interessi del minore o sia un mero espediente per sottrarsi alla disciplina della competenza territoriale (nella specie, la S.C. ha escluso che lo spostamento della minore all’insaputa dell’altro genitore, avvenuto il giorno precedente all’introduzione del procedimento, fosse idoneo a modificare la competenza). (Regola competenza d’ufficio), in CED Cassazione, 2013.

5 Ad es. Trib. Minorenni del Piemonte e Valle d’Aosta decreto 11 maggio 2018.

6 Cass. civ., ord., 17 aprile 2019, n. 10777. I provvedimenti provvisori, emessi dal Giudice minorile nell’ambito dei procedimenti ex art. 330/336 c.c., sono reclamabili ex art. 739 c.p.c. innanzi alla Corte d’Appello, giacché idonei a produrre effetti pregiudizievoli per i minori, incidendo su diritti personalissimi e di primario rango costituzionale, in Quotidiano Giuridico, 2019.

7 Per tutte, Cass. S.U., 13 dicembre 2018, n. 32359. I provvedimenti de potestate, emessi dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., hanno attitudine al giudicato “rebus sic stantibus”, in quanto non sono revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi; pertanto, il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica i predetti provvedimenti, è impugnabile mediante ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost. in CED Cassazione, 2018.

8 Il curatore viene solitamente scelto tra gli avvocati che esercitino il diritto minorile, inseriti in apposite liste presso i Tribunali per i minorenni predisposte in collaborazione con i CDO che curano la formazione degli avvocati che vogliono divenire curatori speciali.

9 Sull’avvocato del minore, per tutti, G. dosi, L’avvocato del minore, Torino, 2015.

10 Cass. civ., ord., 2 aprile 2019, n. 9100. Il procedimento di cui all’art. 336 c.c., a differenza di quello disciplinato dall’art. 10 l. n. 183 del 1984 (nel testo vigente a seguito della riforma di cui alla l. n. 149 del 2001), non prevede l’invito ai genitori o, in loro assenza, ai parenti a nominare un difensore, né l’informazione che, qualora non vi provvedano, si procederà alla nomina di un difensore d’ufficio e che la partecipazione agli accertamenti è consentita a tali soggetti con l’assistenza del difensore, sicché, nel modello procedimentale codicistico, la difesa tecnica è eventuale e rimessa alla libera scelta delle parti, senza alcuna imposizione della difesa d’ufficio, in CED Cassazione, 2019.

11 Secondo la più recente giurisprudenza, in questi procedimenti la posizione del figlio è sempre contrapposta a quella di entrambi i genitori, anche quando il provvedimento sia richiesto nei confronti di uno solo di essi, non potendo in questo caso stabilirsi ex ante la coincidenza e la omogeneità dell’interesse del minore con quello dell’altro genitore e dovendo pertanto trovare applicazione il principio più volte enunciato in materia, secondo cui è ravvisabile il conflitto di interessi tra chi è incapace di stare in giudizio personalmente e il suo rappresentante legale con conseguente necessità della nomina d’ufficio di un curatore speciale che rappresenti ed assista l’incapace (art. 78 c.p.c., comma 2), ogni volta che l’incompatibilità delle loro rispettive posizioni è anche solo potenziale, a prescindere dalla sua effettività, tra le tante: App. Bologna, decr., 29 maggio 2019, in www.giuraemilia.it.

12 Trib. Milano ord. 23 marzo 2016, secondo cui nel processo di famiglia l’avvocato è difensore del padre o della madre, ma anche del minore: in www. ilcaso.it.

13 Nel testo del provvedimento si legge “nei procedimenti di famiglia, dunque, l’avvocato è difensore del padre o della madre; ma certamente è anche difensore del minore. Qualunque sia la sua posizione processuale”.

14 Ci si riferisce in particolare al dovere di diligenza (art. 12), al dovere di segretezza e riservatezza (art. 13), al dovere di competenza (art. 14) al dovere di aggiornamento professionale e formazione continua (art. 15) e al dovere di lealtà e correttezza verso i colleghi e le istituzioni forensi (art. 19).

15 La giurisprudenza più volte aveva posto l’attenzione sull’audizione del minore nei procedimenti di separazione e divorzio: ad esempio, era stato sanzionato il professionista per la violazione dei doveri di dignità, decoro e lealtà professionale poiché, nell’esercizio del mandato in un procedimento di separazione perché “aveva intrattenuto colloqui con i figli minori della coppia all’insaputa del padre affidatario su questioni attinenti la causa di separazione”. Cass. SS.UU: sentenza 22 aprile 2008 n. 17, che aveva confermato la decisione del CNF n. 246/2005.

16 Art. 56 cod. deont. forense.: 1. L’avvocato non può procedere all’ascolto di una persona minore di età senza il consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale, sempre che non sussista conflitto di interessi con gli stessi. 2. L’avvocato del genitore, nelle controversie in materia familiare o minorile, deve astenersi da ogni forma di colloquio e contatto con i figli minori sulle circostanze oggetto delle stesse. 3. L’avvocato difensore nel procedimento penale, per conferire con persona minore, assumere informazioni dalla stessa o richiederle dichiarazioni scritte, deve invitare formalmente gli esercenti la responsabilità genitoriale, con indicazione della facoltà di intervenire all’atto, fatto salvo l’obbligo della presenza dell’esperto nei casi previsti dalla legge e in ogni caso in cui il minore sia persona offesa dal reato. 4. La violazione dei doveri e divieti di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da sei mesi a un anno.

17 Recentemente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno dichiarato inammissibile il ricorso proposto da un avvocato contro il provvedimento del CNF che aveva confermato la decisione del COA di sospenderlo dall’attività professionale, per la durata di sei mesi, per avere ascoltato un minore senza prima avere informato il padre, unico genitore affidatario: Cass. civile S.U. sentenza n. 7530 depositata il 25 marzo 2020, in www.cassazione.net.

18 Tar Lazio, sent. 14 aprile 2016, n. 4424 in www.dirittoegiustizia.it.

19 Cons. Stato, sent., 28 novembre 2017 n. 5575 in Quotidiano Giuridico,

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