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La convivenza prima delle seconde nozze è criterio per ripartire la pensione di reversibilità (nota a Cass. Civ., ord. 26 febbraio 2020, n. 5268)

autore: V. Cianciolo

La Suprema Corte, con l’ordinanza del 26 febbraio 2020, n. 5268, in riferimento alla ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato, ha confermato che la stessa debba essere eseguita, oltre che sulla base del criterio della durata del rapporto matrimoniale, anche ponderando ulteriori elementi equitativi, tra cui l’esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge, allorché ciò sia indispensabile per una più completa stima delle situazioni. La pensione di reversibilità trova il suo fondamento, in costanza di matrimonio, nel principio di solidarietà coniugale, nell’importanza del momento contributivo ai bisogni della famiglia (art. 143, co. 3 c.c.) e del sostegno prestato all’attività lavorativa dell’altro coniuge che motiva la ricaduta dei vantaggi su entrambi di ogni forma di accantonamento previdenziale. Il fondamento dell’istituto nell’ambito del divorzio deve invece, rinvenirsi nelle forme di solidarietà post coniugale ed è disciplinato dall’art. 9 della legge 898/1970, così come modificato dall’art. 13 della legge 6 marzo 1987 n. 74, il cui 2° e 3° comma disciplina il concorso fra ex coniuge e coniuge superstite. Prima della riforma operata dalla legge 6 marzo 1987 n. 74, il coniuge superstite era l’unico titolare della pensione di reversibilità, mentre l’ex coniuge era solo creditore di una somma che doveva essere determinata dal Tribunale. Ciò che in questa sede interessa prendere in considerazione, è la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato, rispetto alla quale il comma 3 dell’art. 9 della legge sul divorzio, nel testo riformato nel 1987, indica quale unico criterio la durata del rapporto matrimoniale. Tale previsione aveva fatto sorgere dei contrasti interpretativi tra le varie sezioni della Suprema Corte: un primo orientamento considerava rilevante il mero criterio della durata dei rispettivi matrimoni, conferendo al giudice il compito di eseguire un’operazione sostanzialmente aritmetica, senza temperamenti1 ; un secondo indirizzo, pur partendo dalla rigida attuazione del parametro della durata del rapporto matrimoniale, presumeva, che, qualora in questo modo, scaturissero situazioni inique e incongrue, il giudice potesse emendarle e correggerle attraverso l’elastica valorizzazione di altri elementi di giudizio2 ; il terzo orientamento, infine, riteneva che il criterio della durata del matrimonio, pur costituendo un parametro legale da non trascurare, non costituisse l’unico criterio di quantificazione, essendo tenuto il giudice a valutare anche altri elementi di riferimento, primo fra tutti quello delle condizioni economiche delle parti3 . La Corte costituzionale rilevando come nella concreta applicazione degli istituti introdotti dalla novella, la durata del matrimonio assuma un rilievo centrale, ha illustrato la ratio del sistema con queste parole: “con la riforma della disciplina del divorzio del 1970, il legislatore del 1987 ha mirato a rimuovere effetti di segno negativo e a ripristinare una situazione di uguaglianza tra i soggetti del rapporto matrimoniale nella misura in cui ciò è possibile dopo la dissoluzione del vincolo coniugale (cfr. Relazione al disegno di legge presentata al Senato): ha cioè avuto tra i suoi obiettivi quello di dare una più ampia e sistematica tutela al soggetto economicamente più debole con l’approntamento di incisivi strumenti giuridici a garanzia di posizioni economicamente pregiudicate dagli effetti della cessazione del matrimonio”4 . Le Sezioni Unite, con la sentenza del 12 gennaio 1998, n. 159, hanno risolto il contrasto accogliendo la prima delle interpretazioni proposte, mentre la Consulta, con la pronuncia n. 419 del 4 novembre 1999, ha affermato che la ripartizione della pensione di reversibilità debba avvenire in base al criterio legale della durata del matrimonio, opportunamente corretto e mitigato attraverso la considerazione di criteri perequativi come l’ammontare dell’assegno di divorzio e le condizioni economiche delle parti. Alla base della decisione, il Giudice delle leggi ha considerato la natura solidaristica della pensione di reversibilità sotto un duplice profilo: come forma di ultrattività della solidarietà coniugale nei confronti del coniuge superstite, consentendo la prosecuzione del sostentamento assicurato dal reddito del coniuge deceduto; come fonte di mantenimento fino a quel momento goduta, nonché quale trattamento pensionistico collegato al periodo in cui sussisteva il rapporto coniugale, per quanto riguarda l’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile. Al contrario, l’applicazione del solo metodo aritmetico, secondo la Consulta, avrebbe potuto comportare una lesione del canone di ragionevolezza, generando un risultato paradossale in quanto il coniuge superstite avrebbe potuto conseguire una quota di pensione del tutto inadeguata alle più elementari esigenze di vita, mentre l’ex coniuge avrebbe potuto assicurarsi una quota di pensione del tutto sproporzionata all’assegno in precedenza goduto, senza che il tribunale avesse potuto tener conto di altri criteri per riportare ad equità la situazione. Successivamente, gli Ermellini sposando questo filone interpretativo, hanno dato peso ad una serie di criteri equitativi ai fini della determinazione del riparto in oggetto:

– l’ammontare dell’assegno divorzile goduto dall’ex coniuge al momento della morte del titolare diretto della pensione5 ;

le condizioni economiche di ciascun coniuge6 , al fine di evitare che l’ex coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per mantenere il tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l’assegno di divorzio ed il secondo coniuge il tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita7 ;

– la durata della separazione di fatto con l’ex coniuge, che abbia preceduto lo scioglimento del vincolo matrimoniale8 ;

– la durata dell’eventuale convivenza prematrimoniale del coniuge superstite9 , a condizione che sia contraddistinta da un grado di stabilità, nonché da comportamenti dei conviventi corrispondenti, in una effettiva comunione di vita, all’esercizio di “diritti” e “doveri” connotato da reciprocità e corrispettività10;

– ogni altra circostanza inerente alle particolarità del caso11. Pertanto la sentenza annotata conferma appieno l’indirizzo ormai consolidatosi circa l’utilizzabilità di ulteriori criteri, da affiancare a quello della durata legale del matrimonio, ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità. Una soluzione che, aderente al dato letterale della norma di riferimento, consente senza dubbio di dare spazio alla funzione solidaristica di tale trattamento pensionistico, che per la sua portata non può essere circoscritta dal solo parametro temporale, che non tiene conto delle specificità che si possono rilevare nelle fattispecie concrete. Dunque, il Giudice del merito deve ponderare le tipicità che gli si prospettano nel caso concreto al fine di individuare una ripartizione conforme, fermo restando il divieto di giungere, attraverso la correzione del criterio temporale, sino al punto di abbandonare totalmente ogni riferimento alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali12.

NOTE

1 Cass. civ., sez. I, 5 luglio 1990, n. 7079: “In caso di concorso del divorziato col coniuge superstite, nella nuova disciplina risultante dalla novellazione dell’art. 9, l. 898/70 ai sensi dell’art. 13, l. 74/87, il giudice deve applicare, nella ripartizione dell’unica pensione di reversibilità tra i due aventi diritto, esclusivamente il criterio della durata del rapporto matrimoniale”, in Foro It., 1991, I, 801, nota di Quadri; nello stesso senso, Cass. civ., sez. I, 5 febbraio 1997, n. 1086, in Famiglia e Diritto, 1997, 3, 282.

2 Cass. civ., sez. I, 17 luglio 1992, n. 8687: “Al fine del riconoscimento di detto assegno al coniuge divorziato, che già goda, od a cui venga contestualmente attribuita una parte del trattamento pensionistico di reversibilità, non può prescindersi da una valutazione del quantum di tale trattamento e del riscontro della sua inadeguatezza, sommato alle altre risorse del richiedente, per la tacitazione delle suddette esigenze”, in Foro It., 1993, I, nota di Quadri.

3 Cass. civ., sez. I, 27 maggio 1995, n. 5910: “Al fine della ripartizione della pensione di riversibilità tra il coniuge divorziato ed il coniuge superstite, la durata del matrimonio, pur costituendo il parametro legale previsto dall’art. 9 della legge n. 898 del 1970 (come modificato dall’art. 13 della legge n. 74 del 1987) per la determinazione della quota di pensione spettante all’ex coniuge, in concorso con il coniuge superstite, non introduce un esclusivo sistema automatico di quantificazione, agganciato ad un mero dato aritmetico, dovendosi tener conto – fra gli elementi utilizzabili ad integrazione e correzione del criterio base – dell’eventuale rilevante scarto tra matrimonio ed effettiva convivenza verificatosi nel corso del primo vincolo, se e nei limiti in cui, a detto scarto, corrisponda la convivenza ‘more uxorio’ della nuova coppia, radicatasi prima della sentenza di divorzio e protrattasi fino al nuovo matrimonio”, in Mass. Giur. It., 1995; e così pure, Cass. civ., sez. I, 22 aprile 1997, n. 3484, in Mass. Giur. It., 1997.

4 Corte cost., 24 gennaio 1991 n. 23, in Foro It., 1991, I, 3006.

5 Cass. civ., sez. I, 21 giugno 2012, n. 10391: “La ripartizione del trattamento

di reversibilità fra ex coniuge e coniuge superstite, va fatta ‘tenendo conto della durata del rapporto’ cioè sulla base del criterio temporale, che, tuttavia, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1999, per quanto necessario e preponderante, non è però esclusivo, comprendendo la possibilità di applicare correttivi di carattere equitativo applicati con discrezionalità; fra tali correttivi è compresa la durata dell’eventuale convivenza prematrimoniale del coniuge superstite e dell’entità dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, senza mai confondere, però, la durata della prima con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, né individuare nell’entità dell’assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all’ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso”, in CED Cassazione, 2012. In senso conforme, cfr. Cass. civ., sez. I, 14 giugno 2000, n. 8113 in Corriere Giur., 2000, 10, 1312 nota di liGuOri; Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2006, n. 4868 in Mass. Giur. It., 2006.

6 Cass. civ., sez. I, 16 dicembre 2004, n. 23379: “In sede di ripartizione del trattamento pensionistico di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, il giudice del merito deve tener conto non solo della durata legale dei rispettivi matrimoni, ma anche della durata effettiva che gli stessi abbiano avuto, e quindi dare rilevanza alle situazioni di separazione di fatto che abbiano preceduto lo scioglimento del vincolo matrimoniale” (nella specie, nel primo matrimonio la separazione di fatto si era protratta per circa diciassette anni, nel periodo precedente all’introduzione dell’istituto del divorzio nel nostro ordinamento), in Mass. Giur. It., 2004. In senso conforme, cfr. pure, Cass. civ., sez. I, 14 giugno 2000, n. 8113, citata in nota 5; Cass. civ., sez. I, 29 gennaio 2002, n. 1057: “Nel determinare le quote della pensione di reversibilità in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, la durata del rapporto non può costituire l’unico parametro cui conformarsi in base ad un mero calcolo matematico, ma si deve tener conto altresí di ulteriori elementi correlati alle finalità che presiedono al diritto di reversibilità, da utilizzarsi quali correttivi del risultato che conseguirebbe alla mera applicazione del criterio temporale”, in Giur. It., 2002, 1355 nota di aNGiONi.

7 Cass. civ., sez. I, 19 febbraio 2003, n. 2471, Famiglia e Diritto, 2003, 2, 129 nota di de MarzO; Cass. civ., sez. I, 31 gennaio 2007, n. 2092: “Nel caso di concorso del coniuge superstite con quello divorziato, il diritto alla quota di reversibilità deve farsi decorrere dal primo giorno del mese successivo al decesso del coniuge assicurato o pensionato. Tale decorrenza nasce, per entrambi, nei confronti dell’ente previdenziale erogatore, onde a carico soltanto di quest’ultimo, e non anche del coniuge superstite che, nel frattempo, abbia percepito per intero e non ‘pro quota’ il trattamento di reversibilità corrisposto dall’ente medesimo, debbono essere posti gli arretrati spettanti al coniuge divorziato (sul trattamento anzidetto in proporzione alla quota riconosciuta dal giudice), a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell’ex coniuge, salva ovviamente restando la facoltà per l’ente previdenziale di recuperare dal coniuge superstite le somme versategli in eccesso”, in Mass. Giur. It., 2007.

8 Cass. civ., sez. I, 16 dicembre 2004, n. 23379, citata in nota 6.

9 Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2013 n. 11226: “In relazione alla ripartizione del trattamento di reversibilità in caso di concorso tra il coniuge superstite ed il coniuge divorziato, aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, e specificamente indicando che tale ripartizione deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata del rapporto matrimoniale (ossia del dato numerico rappresentato dalla proporzione fra le estensioni temporali dei rapporti matrimoniali degli stessi coniugi con l’ex coniuge deceduto) anche ponderando ulteriori elementi, correlati alle finalità che presiedono al diritto di reversibilità, da utilizzare eventualmente quali correttivi del criterio temporale; fra tali elementi, da individuarsi nell’ambito della legge n. 898/1970 (Divorzio), art. 5, specifico rilievo assumono l’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge, nonché le condizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda, e in quest’ottica, e al solo fine di evitare che l’ex coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per mantenere il tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l’assegno di divorzio, ed il secondo coniuge il tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita, anche l’esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge potrà essere considerata dal Giudice del merito quale elemento da apprezzare per una più compiuta valutazione delle situazioni”, in Ilcaso.it, 2013; cfr. pure, Cass. civ., sez. I, 21 giugno 2012, n. 10391, citata in nota 5.

10 Cass. civ., sez. I, 10 ottobre 2003, n. 15148: “Il giudice del merito, nel ripartire le quote di pensione di reversibilità rispettivamente spettanti al coniuge superstite e al coniuge divorziato titolare di assegno divorzile, deve applicare, quale criterio preponderante e potenzialmente decisivo, quello della durata legale dei relativi rapporti matrimoniali, ma qualora tale criterio conduca ad esiti iniqui rispetto alle particolari circostanze della concreta fattispecie, deve applicare criteri correttivi idonei a ricondurre la situazione ad equità avendo riguardo all’esigenza di tutelare, tra le due posizioni configgenti, quella del soggetto economicamente più debole e più bisognoso”, in Foro It., 2003, 1, 3277; Cass. civ., sez. I, 7 dicembre 2011, n. 26358: “La ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell’istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza ‘more uxorio’ non una semplice valenza ‘correttiva’ dei risultati derivanti dall’applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale”, in CED Cassazione, 2011.

11 Cass. civ., sez. I, 16 dicembre 2004, n. 23379, citata in nota 6.

12 Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2014, n. 14793: “Il giudice del merito ha la possibilità di applicare correttivi di tipo equitativo, tra i quali la durata della convivenza prematrimoniale e le condizioni economiche delle parti interessate, al fine di evitare che il primo coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita cui era preordinato l’assegno di divorzio ed il secondo sia privato dei mezzi necessari per la conservazione del tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita. La ponderazione in concreto dei diversi parametri rientra nel prudente apprezzamento del giudice del merito, fermo restando il divieto di giungere, attraverso la correzione del criterio temporale, sino al punto di abbandonare totalmente ogni riferimento alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali”, in Banca Dati Pluris on Line.