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L’adozione “mite” da creazione pretoria a valido modello alternativo (nota a Cass. Civ., ord. 13 febbraio 2020, n. 3643)

autore: V. Battistelli - F. D’Arpino

Sommario: 1. Il caso. - 2. Breve storia dell’adozione mite. - 3. Prospettive legislative; orientamenti. - 4. Giurisprudenza



1. Il caso



La sentenza della Cassazione, qui in commento, trae origine dal ricorso proposto dalla madre di due minori, che in un unico motivo deduce l’illegittimità dell’affermazione contenuta nella decisione della Corte d’Appello di Roma, impugnata, che ritiene non esistente e non deducibile dall’ordinamento il concetto di “adozione mite”, considerando tassativo e non suscettibile di interpretazione estensiva l’elenco di fattispecie delle adozioni in casi particolari, previste dall’art. 44, comma 1 lett. D, legge n. 184/1983. In secondo luogo, viene censurato l’omesso esame da parte dei giudici di secondo grado di un fatto decisivo, ossia il profondo legame esistente tra la ricorrente e le figlie, tanto più che nella consulenza tecnica d’ufficio disposta dai giudici di seconde cure è emersa la necessità che il legame madre-figlie non venga definitivamente interrotto. Viene, pertanto, invocata, trattandosi di una situazione di “semiabbandono-permanente”, l’applicazione dell’istituto dell’adozione mite, attraverso l’interpretazione estensiva dell’art. 44, comma 1 lett. D, legge n. 184/1983, in luogo dell’adozione piena disposta nel merito, nei due gradi di giudizio. La Suprema Corte, accoglie l’impugnativa, cassando la sentenza, rinviando alla Corte di Appello di Roma, Sezione famiglia e minori, in diversa composizione.



2. Breve storia dell’adozione mite



La prassi dell’adozione mite, iniziata in Italia nel 2003 con l’introduzione di un iter sperimentale dell’attività giurisdizionale del Tribunale di Bari, ha trovato applicazione nella situazione di grave disagio dei minorenni, causata dalla loro protratta permanenza lontani dalla famiglia d’origine ovvero dal loro collocamento in comunità od affidamento familiare.

La procedura si articola in due fasi, dirette ad approfondire la situazione personale e familiare del minore nonché per formulare per lui un progetto di vita futura. Nella prima fase, si verifica la sussistenza delle condizioni per il rientro in famiglia del medesimo e la realizzazione delle stesse; nella seconda, accertata l’impossibilità del rientro, si procede nel senso dell’adozione legittimante qualora si riscontri una situazione di abbandono materiale e morale, altrimenti, se il minore non si trova in abbandono, ma è permanentemente privo di ambiente familiare idoneo, si procede con l’adozione non legittimante di cui all’art. 44, comma 1 lett. D, legge n. 184/1983. L’obiettivo è quello di porre termine, in ogni caso, ad una condizione familiare precaria, consistente nell’affidamento sine die che crea una situazione di “bambini nel limbo” perennemente scissi tra la dimensione affettiva, integrati nella famiglia affidataria, e quella giuridica, di appartenenza alla famiglia di origine1 . Sostanzialmente, nell’applicazione dell’art. 44, comma 1 lett. D, legge n. 184/1983 si afferma un nuovo orientamento che si fonda su quattro principi: il concetto di “semi-abbandono permanente”2 ; quello di “mitezza giuridica”3 ; quello diretto a realizzare con i servizi territoriali un nuovo tipo di azione concordata per effetto della quale venga valorizzato un ruolo di accompagnamento da parte dei servizi ad adiuvandum di tutti i soggetti coinvolti nel caso; infine, quello relativo alla questione del cognome che il minore dovrà assumere con l’adozione non legittimante.



3. Prospettive legislative; orientamenti



Sul piano legislativo, il concetto di adozione mite viene considerato “quale percorso tra l’affidamento e l’adozione con particolari caratteristiche che permette di utilizzare la disponibilità genitoriale unitamente a capacità professionali (ad esempio in campo medico, psicologico, pedagogico) del tutto simili all’affidamento familiare, che rispondano a situazioni di minori in particolare difficoltà” e come tale meritevole di riconoscimento legislativo. Difatti, tale considerazione è trasfusa nella Relazione alla proposta di legge n. 5724/20054 che prevedeva la riforma della legge sull’adozione con l’introduzione dei concetti del “semiabbandono permanente”, “adozione aperta” e adozione mite”. Purtroppo, la riforma prevista non è andata in porto a causa della sopravvenuta fine della legislatura.

Sta di fatto che l’esperienza inaugurata a Bari5 ha dato vita ad un dibattitto giuridico molto acceso e serrato, sia nell’ambito giurisprudenziale che dottrinale, nonché delle associazioni od enti a vario titolo coinvolti. Tra i primi contrari si rinviene la posizione dell’ANFAA (Associazioni Nazionale Famiglie Adottive ed Affidatarie), che più volte ha esternato di non condividere l’iniziativa assunta dal Tribunale per minorenni di Bari, nonché quella di esponenti della giurisprudenza e dottrina6 . Questi ultimi hanno criticato l’istituto sotto il profilo della manifesta difficoltà di ancorare questa particolare forma di adozione ad elementi normativi univoci attraverso un’interpretazione estensiva dell’art. 44, comma 1, legge n. 184/1983 oltre al rischio che il giudice possa disporre di eccessiva discrezionalità nella gestione dei singoli casi7 . Ulteriore censura è data dal fatto che la prassi relativa all’adozione mite deriva da una estensione interpretativa della norma di cui all’art. 44, comma 1 lett. d, legge n. 184/1983, il cui ambito di applicazione è considerato storicamente marginale e residuale (interessante e curiosa è la circostanza che tali censure e critiche siano state smentite e ricondotte ad unità giuridica dalla Suprema Corte a distanza di più di 10 anni con la sentenza qui in commento, di cui si motiverà in seguito). Si è, altresì, argomentato in ordine alla diversa natura dei presupposti e dei fini tra l’istituto dell’adozione in casi particolari e l’affidamento. In particolare, si è rilevato come la lettera d) dell’articolo 44 fornisca un’indicazione molto rigorosa: “impossibilità di affidamento preadottivo”, e l’affidamento preadottivo presuppone che ci sia una situazione di privazione “di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio”, quindi, non una situazione di “semiabbandono”, quale presupposto dell’adozione mite. Gli effetti dell’adozione cosiddetta “mite”, seppur più limitati rispetto a quelli dell’adozione legittimante, sarebbero comunque estremamente “forti” e “gravi” e, dal punto di vista processuale, i genitori di origine sarebbero molto meno garantiti e tutelati rispetto al procedimento di adozione legittimante8 . Tali criticità hanno sollecitato il Legislatore, stante la mancata riforma del 2005, ad introdurre l’istituto dell’adozione mite in via autonoma. Così, nel 2017 è stata disposta un’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido tesa alla verifica dell’adeguatezza della normativa nazionale rispetto alla Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza9 nonché rispetto al quadro normativo europeo di riferimento, al quale la normativa nazionale deve conformarsi10. Si tratta, in primo luogo, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il cui articolo 24 riconosce il diritto dei bambini “alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere”, nonché il principio secondo cui “in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente”. L’esame in ordine all’opportunità di introdurre per via legislativa l’istituto, individuato dalla giurisprudenza di merito come “adozione mite”, la cui caratteristica è il mantenimento di un legame affettivo tra il minore e la famiglia di origine, ha preso le mosse dall’analisi della legge n. 173 del 2015 sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare nonché dalla condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo per violazione dell’art. 8 CEDU nel caso Zhou c. Italia 201411. Su tali assunti ed alla luce della realtà fenomenica sono stati ascoltati esponenti della dottrina, della giurisprudenza e delle associazioni ed enti più rappresentativi in materia12. Sostanzialmente, l’orientamento maggioritario è stato favorevole all’introduzione dell’istituto, tuttavia, con diverse interpretazioni. Il primo ha chiesto esplicitamente l’introduzione, nel nostro ordinamento, di un’adozione specificamente calibrata sull’interesse del minore, ponendo fine alla distinzione ormai divenuta anacronistica tra adozione legittimante e non legittimante13. Altri hanno richiesto una modifica dell’attuale legge che preveda una estensione dell’art. 44, comma 1 lett. D, che consenta al minore di consolidare un vincolo di definitiva appartenenza al nucleo familiare degli affidatari, per l’appunto la c.d. adozione mite. La necessità di una apposita previsione legislativa, che comporti in maniera chiara l’estensione della lettera D. appare necessaria tenuto conto che la Corte Edu ha ritenuto la disciplina dello Stato Italiano in maniera di adozione in contrasto con l’art. 8 CEDU, nella parte in cui non viene prevista specificatamente l’applicazione dell’istituto dell’adozione mite dovendosi considerare il significativo legame con la famiglia di origine del minore, che va salvaguardato14. Nel dibattito, c’è anche chi si spinge a considerare di uscire dalla rigida concezione dell’adozione chiusa, che contempla l’interruzione dei rapporti giuridici e di fatto con la famiglia di origine, per approdare ad un modello di open adoption in un’ottica di apertura, mantenimento e valorizzazione dei legami dell’adottato con il nucleo familiare di provenienza15. Ciò risponderebbe maggiormente a quanto previsto dall’art. 30, comma1, Cost., che prevede che “i genitori abbiano il dovere di mantenere, istruire ed educare il minore”; cosicché l’adozione diventi lo strumento per rispettare la doppia storia familiare del minore, sia in relazione ai rapporti che lo legano alla famiglia adottiva sia in riferimento ai vincoli affettivi con la famiglia di provenienza. Il minoritario orientamento contrario all’istituto dell’adozione mite ha argomentato in ordine al rischio di una possibile strumentalizzazione dello stesso, con particolare riferimento alla continuità affettiva dei bambini in affido familiare, quale “corsia preferenziale” per accedere all’adozione da parte delle coppie che si propongono per l’affidamento16; ha, inoltre, ritenuto che l’adozione mite, ovvero l’interpretazione estensiva della “lettera d.” sia del tutto contraria allo spirito della normativa vigente, determinando il rischio che sia favorito un possibile aggiramento dei vincoli imposti dalla legge medesima. La c.d. adozione aperta implicherebbe l’insorgenza di notevoli difficoltà dei minori di gestire i rapporti con le due famiglie17. L’indagine su riassunta, prodromica ad una proposta di legge in materia, purtroppo non ha avuto ancora alcuno sbocco in parlamento.



4. Giurisprudenza



Nonostante il vuoto normativo, alcuni tribunali di merito hanno dato applicazione all’istituto dell’adozione mite laddove abbiano rilevato la sussistenza di un legame minore-famiglia di origine la cui interruzione sarebbe stata pregiudizievole per il benessere e la crescita del minore stesso. Un esempio di tale applicazione si rinviene in una pronuncia del Tribunale per i Minorenni di Palermo18 che ha disposto l’adozione mite, ai sensi dell’art. 44, comma 1 lett. D, di un minore in capo ad una famiglia affidataria con la quale conviveva da più di due anni, stante l’insussistenza dello stato di abbandono dello stesso da parte dei genitori biologici, decaduti dalla responsabilità genitoriale, con i quali il medesimo continuava a mantenere un rapporto. Tale decisione, adottata nei primi due giudizi di merito, è stata confermata dalla Corte di Cassazione19, la quale ha specificato come “tale forma di adozione, talvolta qualificata come ‘mite’, non rappresenta una extrema ratio, come avviene invece nell’ipotesi dell’adozione c.d. legittimante. L’adozione in questione non presuppone lo stato di abbandono del minore, e non comporta la recisione dei rapporti del minore con la famiglia di origine. Risponde piuttosto all’esigenza di assicurare il rispetto del preminente interesse del minore, ai sensi del disposto di cui alla l. n. 184 del 1983, art. 57”; interesse emerso nel caso di specie in ragione anche dell’età dell’adottato, ormai adolescente. Difatti, il preminente interesse del minore funge da ago della bilancia nella decisione tra adozione legittimante o c.d. mite. Sicché, in un altro caso, la Suprema Corte ha rigettato un ricorso dei genitori biologici, privati della responsabilità genitoriale che invocavano l’applicazione dell’adozione in casi particolari, ovvero mite, poiché nel caso di specie, in ordine alla possibilità di una prosecuzione dei rapporti con la famiglia d’origine, veniva accertato in via di fatto che proprio l’interruzione stessa realizzava l’interesse del minore in quanto funzionale al raggiungimento di una stabilità affettiva20. Tali assunti hanno trovato conferma e ricostruzione organica nella recentissima sentenza della Corte di cassazione, qui commentata. Tale decisione muove da un ricorso dove, peraltro, viene contestata l’illegittimità dell’affermazione contenuta nella decisione della Corte di Appello che ha assunto nei confronti dell’adozione mite una posizione assai rigida, in quanto ne nega la configurabilità in ragione della tassatività dell’elenco dell’adozione in casi particolare, previsti dall’art. 44, comma 1, lett. d., legge n. 184/1983. In secondo luogo, i giudici di seconde cure non hanno considerato come elemento decisivo il profondo legame tra madre-figlie, evidenziato esaustivamente dalla consulenza tecnica di ufficio disposta, che afferma chiaramente la necessità che tale legame non venga interrotto. Tale elemento è stato completamente omesso dalla ratio che ha condotto allo stato di adottabilità. La Suprema Corte dinanzi alla negazione dell’istituto qui in commento, al contrario, afferma in primo luogo che nelle situazioni di “semiabbandono permanente” si arrivi alla c.d. adozione mite attraverso l’interpretazione estensiva dell’art. 44, lett. d., legge n. 184/1983. Tale assunto appare in linea con il dibattito e con le statuizioni precedentemente indicate. Nella decisione, comunque, si afferma la rilevanza della giurisprudenza della Corte Edu in applicazione dell’art. 8 CEDU21, la cui violazione da parte dei nostri giudici ha portato alla condanna dell’Italia in più occasioni22, che imporrebbe una lettura diversa dell’istituto dell’adozione affermando che non si possa parlare di adozione piena al di fuori dei casi in cui i genitori abbiano commesso gravi abusi e maltrattamenti. Qualora ciò non sia possibile, con la pronuncia in esame si dà pieno riconoscimento all’istituto dell’adozione mite. La Corte Edu ha più volte ribadito il seguente monito: ciascuno stato deve dotarsi di strumenti adeguati per assicurare il rispetto degli obblighi positivi imposti ex art. 8 CEDU, che implica “il diritto di ogni genitore di ottenere misure idonee ad unirlo con il figlio e l’obbligo per l’autorità nazionale di adottarle”. La Suprema Corte ha censurato la sentenza della Corte d’Appello nella parte in cui quest’ultima ha omesso di motivare in ordine alla mancata considerazione del profilo, espressamente affrontato dalla consulenza tecnica d’ufficio, della necessità di conservare il profondo legame che le minori avevano instaurato e conservato nel tempo nei confronti della madre. I giudici di secondo cure non hanno preso in considerazione tale elemento alla luce della sua presunta non rilevanza ai fini della dichiarazione di adottabilità, ritenendo sussistente soltanto l’adozione legittimante avente come effetto la eliminazione di un qualsiasi rapporto con i genitori biologici. Tale assunto è stato censurato dalla Cassazione che ne rileva il contrasto con l’art. 8 CEDU e con il principio del the best interest of the child: “il principio, direttamente conseguente all’ampiezza del diritto del minore alla conservazione del proprio nucleo genitoriale secondo il quale l’adozione legittimante è l’extrema ratio cui si deve pervenire quando non si ravvisa alcun interesse per il minore di conservare una relazione con i genitori biologici, attesa la condizione di abbandono materiale e morale nella quale si troverebbe a vivere, ma al contrario si reputa che tale perdurante legame generi un forte pregiudizio, o in assoluto, o alla luce di una valutazione complessiva e bilanciata del diritto a non allontanarsi dal nucleo originario con quello a non esserne gravemente danneggiato nello sviluppo equilibrato della personalità individuale”23. Pertanto, la Cassazione ha ribadito la necessità che vengano presi in considerazione tutti gli elementi utili alla individuazione, in concreto, dell’interesse del minore e conseguentemente dell’istituto offerto dall’ordinamento a tutela. In altre parole, nel caso di specie l’aprioristica decisione di selezionare solo gli elementi tesi alla dichiarazione di adottabilità legittimante è in pieno contrasto con l’interesse del minore e la sua estrinsecazione nell’adozione mite, quale forma di mantenimento dei legami con il nucleo di origine, secondo l’interpretazione conforme all’art. 8 CEDU. Inoltre, è opportuno rilevare come l’operato dei giudici di secondo cure non sia stato conforme rispetto ai principi processuali secondo i quali in ipotesi di discostamento dalle risultanze della CTU il giudice debba adeguatamente ed efficientemente motivare in ordine al percorso logico e giuridico che lo ha portato a non condividerne le conclusioni24. In questo caso, invero, si evidenzia come la Corte d’Appello non ha espresso alcuna valutazione in merito alle conclusioni della CTU non bilanciando così tutti gli elementi in gioco. Ci sia consentito dire che dinanzi all’ennesima pronuncia su questo argomento, forse, onde evitare contrastanti decisioni, l’adozione mite dovrebbe essere prevista specificatamente a livello normativo e non continuare ad essere una mera costruzione giurisprudenziale: a ben vedere, ce lo impone la stessa applicazione dell’art. 8 CEDU.

NOTE

1 Tribunale dei minorenni di Bari, 7 maggio 2008, Pres. e Rel. Occhiogrosso, in Famiglia e diritto, 2009, 4, 393 ss.

2 “Con il termine di semiabbandono si fa riferimento a quelle situazioni in cui la famiglia del minore è più o meno insufficiente rispetto ai suoi bisogni, ma ha un ruolo attivo e positivo che non è opportuno che venga cancellato completamente; nello stesso tempo non vi è alcuna ragionevole possibilità di prevedere un miglioramento delle capacità della famiglia, tale da renderla idonea a svolgere il suo compito educativo in modo sufficiente, magari con un aiuto esterno curato dai servizi sociali. In tutti questi casi, non potendo essere pronunciata, in difetto di una situazione di abbandono morale e materiale del minore, la dichiarazione di adottabilità, si potrà far luogo all’adozione mite ai sensi dell’art. 44, comma 1 lett. D, legge n. 184/1983”, massima sentenza Tribunale dei minorenni di Bari, 7 maggio 2008, Pres. e Rel. Occhiogrosso, in Famiglia e diritto, 2009, 4, 393 ss.

3 Vedi G. zaGreBelsky, Il diritto mite, Torino, 1992.

4 Proposta di legge n. 5724 del 16 marzo 2005, presentata alla Camera dagli

Onorevoli Finocchiaro, Bolognesi, Turco ed altri, art. 1: “1. Alla legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) alla rubrica del titolo II, e ovunque ricorra nel medesimo titolo, la parola: ‘adozione’ è sostituita dalle seguenti: ‘adozione legittimante’; b) dopo il capo I del titolo II sono inseriti i seguenti: Capo I-bis. del semiabbandono permanente [...] Capo I-ter. dell’adozione aperta [...] Capo I-quater. dell’adozione mite”.

5 Comunicazione CSM che dichiara di prendere atto della prassi venutasi a creare in seno al Tribunale per i minorenni di Bari con atto n. P 13713 4 luglio 2003.

6 A. sCalisi, L’adozione mite una prospettiva non necessaria né utile, in www. personaedanno.it, a cura di P. CeNdON, 12 novembre 2008.

7 S. CaffareNa, L’adozione mite e il semiabbandono: problemi e prospettive, in Famiglia e diritto, 2009, 4, 402.

8 M. dOGliOtti, Adozione legittimante e adozione mite, affidamento familiare e novità processuali. Relazione tenuta al Convegno nazionale promosso dalla Regione Piemonte su “Affido: legami per crescere. Realtà, esperienze e scenari futuri”, Torino, 21-22 febbraio 2008, in fondazionepromozionesociale.it: “L’ipotesi su cui lavorare semmai sarebbe quella di rafforzare l’affidamento familiare con un futuro intervento legislativo, dando finalmente conto di questo affidamento che arriva fino alla maggiore età, attribuendo magari più poteri agli affidatari, che del resto sono stati specificati dalla riforma del 2001, senza tuttavia confondere situazioni diverse. L’affidamento deve rimanere tale rispetto all’adozione in casi particolari”.

9 Approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con la legge n. 176 del 27 maggio 1991: “In parti

colare, occorre verificare sesia stata data piena attuazione agli articoli 20 e 21 della Convenzione, che definiscono i diritti del minore nell’ambito del procedimento adottivo e con riferimento all’istituto dell’affido. Si ricorda che il principio fondamentale sul quale si deve basare la normativa italiana in materia di adozione ed affido è sancito dal primo comma dell’articolo 21, secondo cui ‘gli Stati parti che ammettono e/o autorizzano l’adozione si accertano che l’interesse superiore del fanciullo sia la considerazione fondamentale in materia’”. Allegato I al Bollettino delle giunte e delle Commissioni Parlamentari Giustizia (II) XVII Legislatura 8 marzo 2017.

10 Si ricorda inoltre la Convenzione europea in materia di adozione di minori, fatta a Strasburgo il24 aprile 1967 e resa esecutiva in Italia con la legge 22 maggio 1974, n. 357.

11 Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 21 gennaio 2014 Ricorso n. 33773/11 Zhou c. Italia, in https://www.giustizia.it/giustizia/it/ mg_1_20_1.page?contentId=SDU1085034&previsiousPage=mg_14_7, che ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 CEDU per non aver adeguatamente soppesato l’incidenza della recisione del legame genitore biologico e minore adottando sulla vita dei medesimi, tenuto conto anche della peculiarità del caso, ovvero l’assenza di condotte parentali evidentemente negative per la crescita del minore. L’intervento esterno è sembrato essere più punitivo nei confronti delle manchevolezze e dei limiti (culturali, economici, intellettivi) della madre/ ricorrente che di reazione a suoi comportamenti intenzionalmente dannosi nei confronti del minore. Per un approfondimento: E. rizzatO, Corte Edu: adozione e diritto al rispetto della vita familiare. L’affare Zhou contro Italia: gli scarsi mezzi o la vulnerabilità del genitore non giustificano la recisione del legame familiare, in Questione giustizia, 18 luglio 2014.

12 Le audizioni, svolte in data 7 marzo 2017 dinanzi alle Giunte e Commissioni II Giustizia, sono state sintetizzate nell’Allegato I al Bollettino delle giunte e delle Commissioni Parlamentari Giustizia (II) XVII Legislatura, 8 marzo 2017.

13 Exmultis,F.Albano,presidentel’AutoritàGaranteperl’Infanziael’Adolescenza, audizione del 7 marzo 2017.

14 Vedi audizione 7 marzo 2017, M. Bianca, emerito docente di diritto privato. Dello stesso avviso, nel senso di un’applicazione estensiva della lettera D., oggetto di una apposita riforma, A. Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, E. Quadri, professore ordinario di istituzioni di diritto privato presso l’Università degli studi di Napoli Federico II.

15 A. Nicolussi, professore di diritto civile presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, audizione 7 marzo 2017.

16 M. Zavola, presidente del Tribunale per i minorenni di Milano, audizione 7 marzo 2017.

17 G. Cerelli, presidente dei Comitati “Sì alla famiglia”, audizione 7 marzo

18 Tribunale per i minorenni di Palermo, sentenza 11 marzo 2015 n. 59.

19 Cassazione, I sezione civile, 16 aprile 2018 n. 9373, in Dejure.it.

20 Cassazione, I sezione civile, 23 ottobre 2019 n. 27206, in Dejure.it, così motiva: “Emerge con chiarezza l’insussistenza di alcun favorevole segnale prognostico circa la possibilità di costruzione o di recupero delle competenze genitoriali della ricorrente, la cui storia personale di deprivazione materiale ed affettiva le ha impedito di accedere proficuamente a un percorso terapeutico di sostegno alla genitorialità”.

21 Art. 8 Diritto al rispetto della vita privata e familiare: “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

22 Zhou c. Italia, sentenza 2 giugno 2014, II Sezione (33773/2011); Akinnibosun c. Italia, sentenza 16 luglio 2015, IV Sezione (ricorso n. 9056/2014): “Laddove la Corte censura il fatto che al decisione sia stata assunta esclusivamente sulla base dei rapporti dei servizi sociale che avevano osservato unicamente in Italia ed un incontro tra padre e figlia dopo la sua scarcerazione senza aver tentato alcun percorso di riavvicinamento”; S.H. c. Italia, sentenza 13 ottobre 2015, IV Sezione (ricorso n. 52557/2014): “Il fatto che un minore possa essere accolto in un contesto più favorevole alla sua educazione non può di per sé giustificare che egli venga sottratto alle cure dei suoi genitori biologici; una tale ingerenza nel diritto dei genitori, sulla base dell’art. 8 CEDU, di godere di una vita familiare con il loro figlio deve altresì rivelarsi necessaria a causa di altre circostanze”; S. stefaNelli, Adozione di minori e diritto di crescere nella propria famiglia, in inhttps://diritti-cedu.unipg.it/stefanelli-s-adozione-di-minori/.

23 Corte di Cassazione, sez. I civile, ordinanza 19 settembre 2019, 13 febbraio 2020, n. 3643, in Dejure.it.

24 Cassazione civile sez. I, 18 luglio 2019, n. 19468, in Dejure.it: “La Corte d’Appello può legittimamente disattendere le conclusioni espresse dal consulente tecnico nominato circa il valore del bene, purché svolga nella motivazione una valutazione critica delle risultanze processuali, indicando, in particolare, gli argomenti su cui fonda il proprio dissenso nonché gli elementi ed i criteri cui ha fatto ricorso per pervenire ad una valutazione contrastante al fine di non vulnerare il principio del contraddittorio”; Cassazione civile sez. lav., 7 agosto 2014, n. 17757, in Dejure. it: “Nel nostro ordinamento vige il principio ‘judexperitusperitorum’, in virtù del quale è consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d’ufficio, e ciò sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche. In ambedue i casi, l’unico onere incontrato dal giudice è quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto”.