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L’assegnazione della casa coniugale e regime delle pertinenze: onere della prova e questioni in tema di divisione (nota a Cass. Civ., sent. 14 gennaio 2020, n. 510)

autore: G. Piccardo

Sommario: 1. Il caso e le questioni affrontate. - 2. Il regime giuridico delle pertinenze. - 3. Assegnazione della casa coniugale e pertinenze. - 4. Assegnazione della casa familiare, pertinenze e onere della prova. - 5. Assegnazione della casa coniugale e divisione. - 6. Profili ulteriori del regime delle pertinenze: accatastamento e profili tributari. - 7. Conclusioni



1. Il caso e le questioni affrontate



La sentenza in commento trae origine da un giudizio di scioglimento del matrimonio a seguito del quale il Tribunale di Fermo assegnava la casa coniugale alla moglie, unitamente alle pertinenze della medesima, costituite da due locali posti al piano seminterrato dell’edificio. La sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte d’appello di Ancona, adita dal marito in punto assegnazione all’ex coniuge non solo della casa coniugale, ma anche dei locali di pertinenza della stessa. I giudici di secondo grado, ravvisando la sussistenza di un rapporto di pertinenzialità tra l’appartamento in oggetto ed i locali posti al piano seminterrato del fabbricato, in forza di un vincolo di complementarità-funzionalità tra le suddette unità immobiliari, confermavano l’assegnazione degli immobili suddetti alla moglie. Il marito proponeva, quindi, ricorso per Cassazione fondato su due motivi:

a) violazione e falsa applicazione degli articoli 115 c.p.c. e 817 c.c. in relazione ad errore di percezione di prova decisiva, consistente nell’aver ravvisato il requisito oggettivo della contiguità tra l’appartamento già adito a casa coniugale ed i locali posti al piano seminterrato dell’edificio, benché dalla planimetria catastale degli immobili si evincesse che solo due dei locali assegnati fossero contigui all’alloggio;

b) violazione e falsa applicazione degli articoli 115 c.p.c. e 2697 c.c., in forza del mancato assolvimento, da parte dell’ex moglie, dell’onere della prova circa l’esatta identificazione delle unità immobiliari pertinenziali all’appartamento già adibito a casa coniugale. La Suprema Corte respingeva il ricorso, sulla scorta delle argomentazioni dei giudici di merito, secondo le quali era onere del ricorrente fornire la prova di esclusione del vincolo di pertinenzialità tra l’appartamento ed i locali accessori, al fine di evitare l’operatività dell’automatismo del regime generale di accessorietà di cui all’articolo 818 c.c. e, di conseguenza, l’assoggettamento delle pertinenze agli effetti, agli atti ed ai rapporti giuridici riguardanti il bene principale. In assenza della suddetta prova, secondo la Suprema Corte, i locali posti al piano interrato dell’edificio dovevano essere considerati pertinenza dell’appartamento assegnato alla moglie, come ritenuto dai giudici di merito nei precedenti gradi di giudizio.



2. Il regime giuridico delle pertinenze



Il codice civile vigente, contrariamente a quello del 1865, che non contemplava in alcun modo la categoria delle pertinenze, ma solamente quella dei beni immobili per destinazione all’articolo 413, definisce le pertinenze, all’articolo 817 c.c., come i beni destinati in modo durevole al servizio o all’ornamento di altri beni (c.d. beni principali1 ). In forza della definizione codicistica delle pertinenze, sopra riportata, emerge, quindi, che la creazione di un vincolo pertinenziale tra bene principale e bene accessorio presupponga l’esistenza di una relazione tra le due tipologie di beni, con asservimento del bene accessorio a quello principale, in modo durevole. Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, per la costituzione di un vincolo di pertinenzialità sono necessari due elementi: uno oggettivo ed uno soggettivo. L’elemento oggettivo consiste, come sopra già accennato, nella destinazione di un bene al servizio e/o ornamento di un altro, e non al servizio del proprietario del bene medesimo, mentre quello soggettivo nella rispondenza di tale strumentalità all’effettiva volontà dell’avente diritto di creazione del suddetto vincolo di strumentalità/complementarità funzionale, senza che sia necessario che il vincolo pertinenziale dia luogo ad una nuova individualità (come nel caso dell’incorporazione), né alla configurazione di un’utilità diversa da quella congiunta dei beni legati da vincolo di strumentalità. Inoltre, al fine della costituzione del vincolo di pertinenzialità, occorre che bene principale e bene accessorio siano di proprietà o nella titolarità di un medesimo soggetto, in quanto l’atto di destinazione (che è atto a forma libera, di natura dispositivo-attuativo e richiede la volontà inequivoca dell’avente diritto, desumibile da qualsiasi atto ritenuto idoneo in tal senso) comporta una modifica, vale a dire una disposizione sia del bene principale (che riceve una maggiore utilità) sia del bene accessorio (assoggettamento a vincolo con la cosa accessoria), il cui potere può competere solamente ad un medesimo proprietario o titolare. Circa il regime delle pertinenze, l’articolo 818 c.c. precisa che gli atti e i rapporti aventi ad oggetto il bene principale comprendono anche le pertinenze, se non è stabilito diversamente, con la conseguenza della sussistenza di un automatismo tra vicende giuridiche relative al bene principale e vicende giuridiche del bene accessorio, fatta salva la possibilità di scissione dei rapporti tra i due beni per volontà delle parti, ai sensi dell’articolo 818, comma 2 c.c., secondo il quale le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici. La medesima volontà dispositiva del soggetto titolare del diritto è, altresì, strumento idoneo alla cessazione del vincolo pertinenziale, qualora il bene accessorio non sia più idoneo allo scopo di servizio, o nel caso in cui il titolare del diritto intenda escludere la pertinenza in un atto avente ad oggetto il bene principale. Nell’impossibilità di poter individuare, nominativamente, le pertinenze, esse sono state identificate dalla giurisprudenza, sulla scorta del principio guida della sussistenza del nesso di funzionalità tra bene principale e bene accessorio, indicativamente, nei seguenti beni immobili: locali garages, locali cantina, posti macchina, aree scoperte, tettoie e solai2 . Infine, in relazione ai potenziali conflitti tra terzi di buona fede acquirenti del bene principale in forza di un atto non escludente in modo espresso la pertinenza ed i titolari di diritti sulla pertinenza medesima, l’articolo 819 c.c. stabilisce che, qualora il bene principale sia una bene immobile o mobile iscritto in pubblici registri, i diritti preesistenti alla costituzione del rapporto di pertinenzialità sono fatti salvi se risultano da atto avente data certa anteriore. Tali diritti si identificano, essenzialmente, con la proprietà e l’usufrutto, cedibili ai sensi di legge, a differenza dei diritti di uso, abitazione ed enfiteusi, non trasferibili a terzi.



3. Assegnazione della casa coniugale e regime delle pertinenze



Nel nostro ordinamento la nozione di “casa familiare” risale alla riforma del diritto di famiglia del 1975; in precedenza, si riteneva – in assenza di una disciplina specifica al riguardo – che l’assegnazione della casa familiare dovesse avvenire a favore del coniuge titolare del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento sull’immobile già adibito a casa coniugale. Successivamente alla citata prima, organica, riforma del diritto di famiglia, l’assegnazione della casa familiare era prevista solo in caso di separazione personale dei coniugi, mentre per il divorzio si dovette attendere il 1987, con la modifica della legge 1 dicembre 1970, n 898, “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, ed in particolare dell’articolo 6, comma 6 della medesima, il quale dispone che “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 del codice civile”. L’unitarietà della disciplina dell’assegnazione della casa familiare è il risultato della successiva riforma del 2006, come risultante dal disposto dell’articolo 155-quater c.c., successivamente trasfuso nell’articolo 337-septies c.c. il quale pur non definendo la casa familiare, né circoscrivendo i criteri di identificazione della stessa, ne uniforma la disciplina nell’ambito della separazione e del divorzio3 . La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale, di cui all’articolo 337-septies c.c. costituisca a favore dell’assegnatario un diritto personale atipico di godimento, finalizzato alla tutela della prole ed al mantenimento a favore della medesima dell’ambiente domestico e di vita, anche successivamente alla separazione dei genitori4.

Si esclude, quindi, la realità del diritto di assegnazione della casa familiare, in quanto in contrasto con il principio della tipicità dei modi di costituzione dei diritti reali. La tesi prevalente ha trovato conferma anche successivamente alla novella dell’articolo 155-quater c.c., con particolare riguardo alla trascrivibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare, in forza della natura mista dell’elenco degli atti soggetti a trascrizione di cui all’articolo 2643 c.c., il quale contempla sia atti aventi natura reale, sia atti di natura personale. Il riferimento all’articolo 2643 c.c. non sarebbe, dunque, indicativo della volontà del legislatore di riconoscere al provvedimento di assegnazione effetti costitutivi, in relazione ad entrambe le categorie di atti5.

Circa l’individuazione dei beni oggetto di assegnazione, in forza del principio di accessorietà di cui all’articolo 818 c.c., la giurisprudenza consolidata è orientata nel ritenere che l’assegnazione debba estendersi non solo all’abitazione già costituente casa familiare, bensì a tutte le unità immobiliari che il richiedente tale assegnazione dimostri essere poste al servizio del bene principale, sia sotto il profilo soggettivo, che sotto il profilo oggettivo. Il criterio oggettivo consiste nella durevole destinazione del bene accessorio al servizio di quello principale, con necessità del concreto asservimento del bene accessorio a quello principale durante la vita matrimoniale; il requisito soggettivo consiste, invece, nell’appartenenza dei beni al medesimo proprietario. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, intende in modo costante il requisito oggettivo nel senso di “contiguità” tra bene principale e bene accessorio, da intendersi come anche solo di servizio, ai fini della quale il bene accessorio deve arrecare un’utilità a quello principale. La dottrina, invece, pur condividendo la duplicità degli elementi costitutivi delle pertinenze, riconosce quale loro presupposto genetico soggettivo l’atto di destinazione con il quale il bene accessorio viene posto al servizio o ad ornamento di quello principale, in conformità al dettato dell’articolo 817 c.c.6 .



4. Assegnazione della casa familiare, pertinenze e onere della prova



L’opinione tradizionale sostenuta della dottrina dominante, formatasi sotto il codice civile del 1865 e riproposta anche successivamente all’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura civile, ritiene che nell’azione di accertamento negativo sia onere a carico dell’attore non solo la prova dei fatti impeditivi, estintivi o modificativi del diritto dedotto in giudizio, ma anche la prova dell’inesistenza dell’insussistenza dei fatti costitutivi del medesimo diritto7 .

La suddetta impostazione, che valorizza il ruolo processuale assunto dalle parti nella controversia, è stata oggetto di critiche in dottrina, da chi, in adesione ad una tesi di matrice tedesca, condivisa da diverse pronunce giurisprudenziali8 , ritiene che la necessità di individuazione dell’interesse ad agire di chi si affermi titolare di un diritto comporta, quale corollario di carattere processuale, che debba essere il convenuto a dover dimostrare il fatto negativo che può neutralizzare le pretese attoree in quanto, in caso contrario, si graverebbe l’attore di un onere eccessivamente gravoso, consistente nella prova dell’inesistenza del diritto vantato dalla controparte. La tesi minoritaria sopra esposta valorizza il ruolo sostanziale delle parti, in ossequio al disposto dell’articolo 2697 c.c., che nel disciplinare l’onere della prova tra le parti del processo, non ricollega l’onere suddetto alla posizione processuale assunta, ma alla relazione tra parte e fatti oggetto di prova, nonché al principio di c.d. “vicinanza della prova”, in forza del quale l’onere probatorio deve essere ripartito tenendo conto, in concreto, della possibilità per l’una o per l’altra Parte di provare circostanze che ricadono nelle rispettive sfere d’azione, per cui è ragionevole gravare dell’onere probatorio la parte a cui è più vicino il fatto da provare, alla luce della effettiva titolarità del diritto fatto valere. Inoltre, a confutazione della tesi tradizionale, viene rilevato che in caso di rigetto dell’azione di accertamento negativo si configurerebbe, sotto il profilo processuale, l’accertamento pressoché automatico dell’esistenza del diritto, anche nel caso in cui il convenuto non avesse allegato fatti a supporto della propria domanda o, addirittura, fosse rimasto contumace nel giudizio e, dunque, senza che sia stata svolta attività istruttoria o di accertamento in relazione a quei fatti. Tuttavia, anche la prospettazione dottrinale e giurisprudenziale minoritaria si presta a critiche e perplessità, laddove sembrerebbe imprimere all’azione di accertamento negativo la struttura di un onere di azione e/o di prova, con conseguente violazione del principio dispositivo e del diritto di difesa. L’applicazione dei principi sopra illustrati alla fattispecie della prova del vincolo pertinenziale comporta, sotto il profilo pratico, nella prospettiva della tesi minoritaria, una rigidità ed una forte limitazione dell’onere della prova per il convenuto in relazione alla dimostrazione del vincolo di accessorietà tra bene principale e bene accessorio, sotto il profilo funzionale e della “contiguità” degli immobili, al fine della dimostrazione del nesso funzionale tra i medesimi.

Infatti, qualora si ritenesse che il suddetto onere probatorio dovesse gravare sul convenuto, e non sull’attore, l’interpretazione dell’assenza di prova contraria quale fatto ininfluente al fine di contrastare una presunzione assoluta in senso contrario, risulterebbe particolarmente vessatoria per la parte convenuta, a differenza del caso in cui si ritenesse quanto asserito da parte attrice, in relazione al vincolo di pertinenzialità, oggetto di prova contraria, anche negativa, in quanto presunzione non assoluta, ma meramente relativa. Infine, pare opportuno evidenziare, in tema, che la giurisprudenza di legittimità, con una pronuncia che aderisce all’orientamento minoritario in relazione all’onere della prova del vincolo di pertinenzialità tra casa coniugale e unità immobiliari accessorie, del quale si è dato conto in precedenza, ha ribadito l’estensibilità dei principi sopra esposti anche ai giudizi di opposizione all’esecuzione, in contrasto con l’opinione che ritiene tale opposizione quale eccezione avente la forma di azione, e ciò in tutte quelle fattispecie in cui un coniuge agisca in via esecutiva al fine di ottenere il rilascio dell’immobile pertinenziale da parte dell’altro coniuge, a seguito del provvedimento di assegnazione del medesimo9 .



5. Assegnazione della casa coniugale e divisione



La questione della divisione della casa familiare sorge nei casi in cui quest’ultima sia oggetto di comunione ordinaria tra i coniugi a seguito dello scioglimento della comunione legale per separazione o divorzio che, ai sensi dell’articolo 191, comma 2 c.c., come novellato dalla legge 6 maggio 2015 n. 55, avviene all’udienza nella quale il Presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separatamente e adotta i provvedimenti provvisori e urgenti a favore della prole10. La dottrina e la giurisprudenza più recenti, superando la precedente impostazione giurisprudenziale che tendeva aprivilegiare e rafforzare la tutela del coniuge assegnatario11, sono orientate nell’affermare che in assenza di mutamento di destinazione della casa familiare a luogo di mantenimento dell’habitat domestico per i figli, anche a seguito di divisione, sussista totale autonomia tra l’istituto dell’assegnazione e quello della divisione dell’immobile12. La trascrivibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare, ai sensi dell’articolo 337-sexies c.c. o, in caso di divorzio, dall’articolo 6, comma 6 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, depone quale argomento ulteriore a favore della possibilità di addivenire ad una divisione della casa familiare, in quanto il vincolo di destinazione impresso sull’immobile e opponibile a terzi in forza della suddetta trascrizione, non viene meno a seguito dell’alienazione a terzi o dell’assegnazione dell’immobile al coniuge non assegnatario. Peraltro, la giurisprudenza, anche prima della novella legislativa del 2006, che ha consentito la trascrizione del provvedimento di assegnazione, si era posta la questione della tutela del coniuge assegnatario della casa familiare nell’interesse dei figli minori, e a tal fine aveva ritenuto possibile l’applicazione analogica dell’articolo 1111 c.c., in forza del quale il Giudice, nel caso in cui lo scioglimento immediato della comunione possa arrecare un pregiudizio alle ragioni di un condividente (nel caso di specie l’interesse della prole a mantenere il proprio habitat), può concedere una congrua dilazione non superiore a cinque anni per le operazioni divisionali13. Tuttavia, con riferimento alla suddetta possibilità di dilazione, in dottrina14 è stato evidenziato che poiché il pregiudizio che giustifica la dilazione di cui all’articolo 1111 c.c. deve avere natura economico-patrimoniale, ovvero deve incidere sulla consistenza oggettiva dell’immobile, tale dilazione potrebbe essere concessa in caso di alienazione dell’immobile a terzi, potendone i comproprietari ricavarne un valore inferiore a quello di mercato del bene, in forza dell’assegnazione nell’interesse della prole. Le osservazioni di cui sopra possono essere estese anche nel caso di divisione convenzionale della casa familiare ed indipendentemente dalla natura del diritto di assegnazione della casa familiare, in quanto anche in considerazione di quanto innanzi indicato, il compimento delle operazioni divisionali potrebbe essere impedito da uno specifico pactum de non petendo, limitativo del diritto di godimento dell’immobile, patto che potrebbe contenere, come precisato in dottrina, una espressa rinuncia al diritto potestativo alla divisione del bene o una riserva dell’esercizio del diritto medesimo, senza limite temporale, trascrivibile nei registri immobiliari, ai fini dell’opponibilità ai terzi ed a prescindere dall’eventuale, preesistente, diritto sull’immobile da parte del coniuge non assegnatario, in quanto soccombente rispetto all’interesse della prole15. Nel caso in cui la divisione dell’immobile avvenga in natura, la giurisprudenza si è espressa nel senso di tenere in considerazione, quale criterio preferenziale, il preesistente diritto di godimento del coniuge richiedente, derivante dal provvedimento di assegnazione, optando, invece, per la scelta opposta, nel caso in cui manchino i presupposti per l’assegnazione in natura del bene, vale a dire quando quest’ultimo risulti comodamente divisibile, ai sensi degli articoli 1114 c.c. e 720 c.p.c.16. Circa la nozione di comoda divisibilità della casa familiare, essa è stata delineata e precisata dalla giurisprudenza, la quale la ritiene sussistente nel caso in cui l’immobile sia frazionabile senza che ciò comporti un deprezzamento o l’impossibilità di realizzare porzioni immobiliari autonome sotto il profilo funzionale e del loro utilizzo, come tali idonee a mantenere il loro valore economico e ad assolvere la funzione economica di tutto il bene, seppur limitatamente e proporzionalmente alla ridotta superficie derivante dal frazionamento17. Nel caso in cui l’immobile sia, dunque, comodamente divisibile, il giudice, ove richiesto dai coniugi, potrebbe procedere all’assegnazione parziale del bene, con attribuzione al genitore collocatario della prole del godimento di una porzione determinata di immobile, ovvero di singoli piani di esso, sufficiente per le effettive necessità familiari; soluzione, questa, della quale potrebbero beneficiare i figli della coppia, in quanto consentirebbe loro di poter mantenere un rapporto continuativo con entrambi i genitori e di particolare utilità nelle ipotesi in cui la casa familiare sia adibita, in parte, ad usi diversi da quello di abitazione, come si dirà meglio infra. Tuttavia, è evidente che siffatta soluzione non è praticabile in caso di forte conflittualità nella coppia di coniugi; di tale situazione la giurisprudenza ha preso atto, affermando, espressamente, l’ostatività dell’accesa conflittualità tra genitori all’assegnazione parziale della casa familiare, in quanto incidente, negativamente, sul corretto sviluppo e sulla serenità dei figli18. Infine, al riguardo, si precisa che l’assegnazione parziale, nella prassi, viene concessa solamente se la domanda sia corredata da un progetto dal quale risulti la fattibilità dell’intervento, anche sotto il profilo edilizio ed urbanistico, mediante realizzazione di una pluralità di unità immobiliari autonome, dotate di metratura minima e di servizi essenziali (cucina, servizi igienici ecc.).

A fini di completezza delle possibili situazioni che possono incidere sull’assegnazione della casa coniugale, si evidenzia il caso in cui l’immobile utilizzato come casa familiare costituisca luogo di lavoro (studio professionale, ufficio) o venga assegnato in concessione ad impiegati civili dello Stato. La giurisprudenza, anche in siffatte ipotesi, qualifica la casa data in concessione adibita a luogo di lavoro come casa familiare, in quanto comunque utilizzata per soddisfare anche le esigenze abitative della famiglia, con la precisazione, nella fattispecie specifica di immobili in concessione da parte dello Stato, che in caso di cessazione del rapporto concessorio, gli obblighi gravanti sull’occupante, in particolare quello del pagamento del corrispettivo convenuto, saranno a carico del coniuge assegnatario19. In ogni caso, a prescindere dalle modalità di assegnazione della casa familiare, è opinione condivisa in dottrina che l’esito della divisione di un immobile gravato da assegnazione a favore del coniuge affidatario della prole, giudiziale o convenzionale che sia, sono quelli tipici di una comunione con un unico bene20, con la conseguenza della necessità della preventiva determinazione del valore dell’immobile, al fine della formazione dei lotti, dell’attribuzione unitaria dell’immobile medesimo, o della vendita a terzi, ai sensi dell’articolo 720 c.p.c. Nel caso in cui, in seguito alla divisione, la casa familiare (e le relative pertinenze, come meglio si dirà nel successivo paragrafo), venga attribuita al coniuge non assegnatario, si dovrà tenere conto del minor godimento del bene, ai fini del valore del medesimo. Qualora, invece, la casa familiare venga assegnata al coniuge assegnatario, si verificherà confusione tra il diritto all’assegnazione ed il diritto di proprietà sull’immobile, libero da vincoli. In tale, ultima ipotesi, parte della giurisprudenza ritiene che, ai fini della divisione, il diritto di abitazione non potrà influire sulla determinazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge, quale compensazione del valore dell’immobile a seguito del venire meno del diritto di godimento atipico, derivante dall’assegnazione dell’immobile, al fine di non penalizzare il coniuge non assegnatario in relazione al ricevimento di un prezzo pari all’effettivo valore della metà dell’unità immobiliare21. La suddetta prospettazione, tuttavia, si pone in contrasto con l’opinione secondo la quale la divisione della casa familiare non fa venire meno il vincolo di assegnazione, che incide sulla proprietà del bene22.

Con riferimento al suddetto contrasto interpretativo, autorevole dottrina, ha evidenziato che il punto di divergenza tra le due tesi consista, essenzialmente, nel ritenere che il vincolo di asservimento della casa familiare, legato alle esigenze di tutela della prole non venga meno con il mutamento di titolarità della proprietà della medesima e che il suddetto vincolo si estingua solamente con l’assegnazione della casa familiare al coniuge assegnatario23. Peraltro, riguardo la suddetta divergenza interpretativa, utili indicazioni potrebbero derivare dalla disamina della disciplina del diritto di abitazione del coniuge superstite sulla casa familiare, ai sensi dell’articolo 540 c.c., il quale opera quale legato ex lege e rileva, in termini di valore economico, al fine della determinazione della quota di legittima spettante al coniuge. Nella suddetta, ultima, fattispecie, occorre considerare che il diritto si estingue con la morte dell’avente diritto e che, così come per l’assegnazione della casa familiare, la problematica, delicata e di non facile soluzione, consiste nell’esigenza di evitare il sorgere di vantaggi ingiustificati derivanti dal deprezzamento del bene occupato.



6. Profili ulteriori del regime delle pertinenze: accatastamento e profili tributari



La legge 28 dicembre 2015 n. 208 (c.d. “legge di stabilità 2016”), all’articolo 1, comma 21 e, successivamente, la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 2/E del 1 febbraio 2016, hanno modificato il regime di accatastamento delle pertinenze, apportando sostanziali modifiche al pregresso quadro normativo di riferimento. Prima dell’entrata in vigore della suddetta novità legislativa, era possibile rappresentare le unità immobiliari costituenti pertinenza dell’immobile principale sulla medesima planimetria catastale, cosicché l’unità immobiliare accessoria risultava censita come vano legato funzionalmente all’immobile principale, con incidenza minima sulla rendita catastale complessiva Tale modalità di accatastamento, per le abitazioni esistenti all’entrata in vigore della normativa suddetta, resta valida, anche nel caso in cui si debbano apportare variazioni catastale agli immobili. Nel caso di nuove costruzioni, invece, non sarà più possibile inserire le pertinenze all’interno della medesima planimetria catastale dell’abitazione, con conseguente necessità di creazione di un diverso subalterno e accatastamento della pertinenza nella categoria di riferimento, quale vano accessorio dell’alloggio. Tuttavia, le conseguenze delle suddette modalità di accatastamento delle pertinenze rivestono carattere meramente economico, restando il vincolo funzionale e di accessorietà tra bene principale e pertinenza, come meglio precisato nei precedenti paragrafi, l’unico criterio di individuazione del vincolo pertinenziale tra più immobili. Sotto il profilo tributario, ed in particolare ai fini del pagamento dell’IMU, la sopra citata circolare dell’Agenzia delle Entrate esplicativa della suddetta imposta, afferma esplicitamente che il contribuente possa considerare come pertinenza dell’abitazione principale soltanto un’unità immobiliare per ciascuna categoria catastale, fino a un massimo di tre, appartenenti ognuna a una categoria diversa, tra quelle individuate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, di cui infra. Inoltre, al riguardo, si segnala una recentissima pronuncia della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna24, la quale ha ritenuto, partendo dal dato normativo dell’articolo 4, comma 12-quinquies del d.l. 16 del 2012, convertito nella legge 26 aprile 2012 n. 44, riproduttiva dei medesimi presupposti impositivi dell’ICI, che soggetto passivo di imposta sia il coniuge al quale viene assegnata la casa coniugale in forza di provvedimento giudiziale, in conformità al presupposto impositivo dell’utilizzo effettivo dell’immobile principale e della pertinenza; e ciò a prescindere da ogni considerazione relativa alla comproprietà dell’immobile da parte del coniuge o di un terzo (nel caso specifico del provvedimento in oggetto, la suocera)25. A quanto sopra si aggiunga, per completezza espositiva, che la disciplina dell’IMU, rispetto a quella dell’ICI, ed in particolare all’articolo 13, comma 2 del d.l. 201/2011, ha stabilito che le pertinenze dell’abitazione principale del soggetto passivo ammesse al trattamento agevolato sono esclusivamente le unità immobiliari classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’abitazione26. Le imposte IMU (e TASI) si applicano anche agli immobili con destinazione diversa da quella abitativa. Peraltro, solo in alcuni casi i soggetti detentori sono esenti dalla contribuzione fiscale: questi non sono determinati dalla tipologia dell’immobile, bensì dalla sua destinazione d’uso, ovvero dall’effettivo collegamento fisico o utilitaristico che intercorre tra la stessa e la prima casa di abitazione. La stessa Corte di Cassazione, con la pronuncia in data 30 novembre 2009 n. 2512727, ha ritenuto non ragionevole la sottrazione alla piena imposizione fiscale immobili che non siano effettivamente e concretamente utilizzati secondo destinazione economica o estetica. L’onere della prova dell’asservimento pertinenziale, nell’ottica di diritto tributario, è valutato con maggiore rigore rispetto a quella richiesta nei rapporti privatistici, interessando profili di interesse pubblico relativi al reperimento di risorse finanziarie da parte dello Stato, mediante l’imposizione fiscale, da utilizzare a fini pubblici. Con particolare riguardo alla specifica questione dell’utilizzo delle agevolazioni fiscali “prima casa” sull’acquisto del box auto, anche separatamente rispetto all’acquisto dell’abitazione principale, occorre la sussistenza del vincolo di pertinenzialità rispetto all’abitazione principale. Il comma 3 della nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.P.R. 131/1986 (c.d. “T.U. dell’imposta di registro”), infatti, specifica che deve trattarsi di pertinenze dell’immobile acquistato come “prima casa” e che le stesse, infatti, devono essere poste a suo servizio, stabilendo, peraltro, il limite di una pertinenza per ciascuna delle categorie catastali C/2, C/6 e C/7. Infine, per completezza di informazione, pare utile evidenziare che la Suprema Corte, con ordinanza in data 28 marzo 2017 n. 8017, ha affermato che presupposto per l’esenzione Imu sia il corretto inquadramento dell’immobile: al riguardo, non spetta l’esenzione ICI o IMU se l’immobile destinato ad abitazione principale è inquadrato catastalmente come ufficio o studio28 e che è ammissibile la costituzione di una pertinenza in comunione, al servizio di più immobili appartenenti in proprietà esclusiva ai comproprietari della pertinenza medesima, in quanto l’asservimento reciproco del bene accessorio comune permette di considerare sussistente una volontà implicita dei comproprietari di vincolare il bene accessorio alle rispettive proprietà esclusive29.



7. Conclusioni



La sentenza annotata, seppur non esprima principi innovativi in relazione alla possibilità di assegnazione delle pertinenze della casa familiare, unitamente a quest’ultima, non solo pone un ulteriore punto fermo in relazione alla valutazione in concreto dell’individuazione e sotto il profilo funzionale delle pertinenze della casa familiare, ma si rivela particolarmente interessante sotto il profilo dell’onere della prova della natura pertinenziale dei beni posti al servizio del bene principale, costituito dalla casa già coniugale, da individuare secondo l’ampia nozione che ne ha dato la Suprema Corte, in assenza di una sua definizione codicistica. Poiché tale interesse deriva, come ampiamente descritto nei precedenti paragrafi, dall’adesione della sentenza in commento alla tesi, sostenuta da autorevole dottrina, ma minoritaria in giurisprudenza, secondo la quale deve essere il convenuto a dover provare il fatto negativo che può neutralizzare le pretese attoree (nel caso di specie l’assenza del vincolo pertinenziale), di particolare interesse sarà la verifica circa il mantenimento del suddetto orientamento da parte dei Giudici di legittimità o il ritorno all’adesione ai principi espressi dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria.

NOTE

1 La bibliografia in materia di pertinenze è molto vasta. Tra i contributi più significativi, si citano: P. rasi, Le pertinenze e le cose accessorie, Padova, 1955; B. BiONdi, I beni, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, vol. IV, I, Torino, 1993; T. sCOzzafaVa, M. BellaNte, I beni, in Trattato di diritto civile, diretto da M. BessONe, vol. VII, t. 1, I, 25, Torino 1993; L. COstaNtiNO, Universalità di beni mobili e pertinenze, in Trattato di diritto privato diretto da resCiGNO, Torino, 2005, 77 ss.; C.M. BiaNCa, La proprietà, in Diritto Civile, vol. III, 46 ss., 2a ed., Milano, 2017; f. GalGaNO, Trattato di diritto privato, vol. III, 3a ed., 389, Milano, 2015; L. CarOta, Le categorie di beni, in Trattato di diritto immobiliare diretto da G. VisiNtiNi, vol. I, 46 e ss., Padova, 2013.

2 In giurisprudenza, circa il vincolo strumentale-funzionale tra bene principale e bene accessorio cfr., ex multis: Cass. 29 giugno 1979 n. 3676, in Rivista del Notariato, 1980, 133; Cass. 26 giugno 1989 n. 3103, in Foro Italiano, 1989, voce “Pertinenze” n. 2; Cass. 8 novembre 2000 n. 14528, in Mass. Giust. Civ., 2000; Cass. 10 maggio 2000, n. 6001, in Mass Giust. Civ., 2000; Cass. 29 aprile 2003 n. 6656, in Nuovo diritto, 2003, 1011, secondo la quale la costituzione del vincolo pertinenziale non richiede la forma solenne; Cass. 17 ottobre 2005 n. 20033, in Mass. Giust. Civ., 2005, secondo la quale il vincolo di pertinenzialità attiene all’utilità del bene accessorio a quello principale e non al proprietario di quest’ultimo; Cass. 21 settembre 2011 n. 1926, in Immobili e proprietà, 2011, 12, 804; Circa l’elemento costitutivo soggettivo del vincolo di pertinenzialità, rappresentato dalla volontà del titolare del diritto di proprietà o di un altro diritto reale di destinazione del bene accessorio al servizio di quello principale: Cass. 29 aprile 2006 n. 9911, in Mass. Giust. civ., 2006. Riguardo l’identità tra proprietario del bene principale e proprietario del bene accessorio cfr., ex multis: Cass. 29 settembre 2005 n. 19157, in Mass. Giust. Civ., 2005; Cass. 26 giugno 2000 n. 8659, in Mass. Giust. Civ., 2000; Cass. 30 luglio 1990 n. 7655, in Rivista Giuridica dell’edilizia, 1990, I, 881. Con riferimento alla costituzione ed alla cessazione del vincolo di pertinenzialità: Cass. 26 giugno 1989 n. 3103, cit.; Cass. 27 gennaio 1986 n. 550, in Foro It., 1986, voce “Pertinenze” n. 1; Cass. 12 aprile 1999 n. 3574, in Vita notarile, 1999; Cass. 23 luglio 1994 n. 6873, in Mass. Giust. Civ., 1994. Infine, circa l’individuazione dei beni costituenti pertinenze: Cass. 5 settembre 1994, n. 7651, in Mass. Giust. Civ., 1994, per le autorimesse; Cass. 4 febbraio 1992 n. 1155, in Mass. Giust. Civ., 1993 per le cantine; Cass. 8 gennaio 1980 n. 109, in Mass. Giust. Civ., 1980 per i sottotetti, le soffitte ed i solai vuoti, vale a dire solai aventi la funzione di isolamento termico.

3 L’articolo337-septiesrecita,testualmente:“Ilgiudice,valutatelecircostanze,può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto. Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori”.

4 La Corte costituzionale, con la sentenza 27 luglio 1989, n. 454, in CED Cassazione, pd 13763, aveva precisato in modo chiaro ed inequivoco la ratio dell’istituto della casa familiare, precisando che: “Poiché sia in caso di separazione personale dei coniugi e sia in caso di scioglimento del matrimonio l’assegnazione giudiziale dell’abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario dei figli è ispirata all’identica ‘ratio’ dell’esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale della prole, la cui situazione è assolutamente identica in entrambi i casi, è del tutto privo di ragionevole giustificazione e non persegue, inoltre, i valori degli artt. 29 e 31 Cost. il diverso regime di detta assegnazione, che mentre è opponibile, previa trascrizione, al terzo acquirente nell’ipotesi di scioglimento del matrimonio, non lo è, invece, in quella della separazione dei coniugi. Pertanto, per violazione degli artt. 3, 29 e 31 Cost., è costituzionalmente illegittimo l’art. 155, quarto comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini della opponibilità ai terzi”. Circa la natura del diritto di assegnazione della casa familiare cfr. in dottrina e, in generale, l’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel divorzio, prima della novella legislativa del 2006: G. CeCCheriNi, Tutela del coniuge separato, e assegnazione della casa familiare: riflessioni critiche, in RDPC, 1988, 243; e. Quadri, L’attribuzione della casa familiare in sede di separazione e divorzio, in Famiglia e diritto, 1995, 269 ss.; u. BreCCia, Separazione personale dei coniugi, in Digesto Italiano, IV, XVIII, Torino, 1998; V. fralliCiardi, Assegnazione della casa familiare nella separazione personale dei coniugi e nel divorzio: quale diritto per l’assegnatario, in Studi in onore di Guido Capozzi, I, Milano, 1992. Successivamente alla riforma, in dottrina: M.G. CuBeddu, L’assegnazione della casa familiare. L’affidamento condiviso, a cura di s. patti, l.r. CarleO, Milano, 2006; B. de filippis, Affidamento condiviso nei figli nella separazione e nel divorzio, II ed., Padova, 2007; l. BellaNOVa, B. de filipppis, l. fiOrillO, f. GiaNNattasiO, r. Mea, i. MOliNarO, M. paladiNi, a. sCarpa, L’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel divorzio, collana Biblioteca del diritto di famiglia diretta da B. de filippis, Padova, 2010; M. dOGliOtti, La separazione giudiziale, sez. II, in Trattato di diritto privato, diretto da BONiliNi, CattaNeO, Il diritto di famiglia, I, Famiglia e matrimonio, Torino, 2007; G. ferraNdO, L’assegnazione della casa familiare, in Trattato teorico pratico di diritto civile, diretto da G. alpa, s. patti, a cura di G. ferraNdO, l. leNti, Padova, 2011, 309; U. rOMa, L’assegnazione della casa familiare, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di M. sesta, a. arCeri, Torino, 2012; Codice della Famiglia, a cura di M. sesta, III edizione, Milano, 2015; C. MiGliO, L’assegnazione della casa familiare, in a. CaGNazzO, f. peite, V. taGliaferri, Il nuovo diritto di famiglia, vol. II, Milano, 2011, 1597 ss.; A. MONdiNi, L’assegnazione della casa familiare a seguito di divorzio e separazione, in Le tutele legali nelle crisi di famiglia, tomo I, Rimini, 2018; G.F. BasiNi, L’assegnazione della casa familiare, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. BONiliNi, vol. III, 3161 ss., Torino, 2016; F. rusCellO, Diritto di famiglia, Pisa, 2017; a.M. fasaNO, a. fiGONe, Assegnazione della casa familiare, in AA.VV., La crisi delle relazioni familiari. Scioglimento del vincolo e cessazione della convivenza, Milano, 2019, 335 ss. Per la tesi dell’assimilazione del diritto di assegnazione della casa familiare ai diritti reali V. JaNNarelli, Incerta sorte per la casa familiare, in Foro Italiano, 1986, I, 1318. In giurisprudenza, prima della novella legislativa del 2006: Cass. 17 settembre 2001 n. 11.630, in Giust. Civ., 2002, I, 55, con nota critica di M. fiNOCChiarO, Divisione della casa familiare assegnata in sede di divorzio al coniuge affidatario dei figli minori e (pretesa) inidoneità del provvedimento di assegnazione a incidere sul valore commerciale del bene; in Familia 2002, con nota adesiva di e. al MuredeN, Scioglimento della comunione, attribuzione della casa coniugale e computo del preesistente diritto ad abitarla, in Giur. It., 2002, con nota di L. COstaNtiNO, Assegnazione della casa familiare e natura del diritto di abitazione. Successivamente alla novella legislativa v. Cass. 3 marzo 2006 n. 4719, in DFP, 2007, 1097; Cass. 12 aprile 2011 n. 8361, pubblicata in NGCC, 2011, 11, 1157, con nota di GalassO; Cass. 20 gennaio 2008 n. 25.486 in Famiglia, Persone, Successioni 2008., 12, 990 con nota di faNtetti; Cass. 8 aprile 2003 n. 5455, in FDP, 2003, 49, con nota di QuarGNOlO, Assegnazione della casa coniugale e tutela del terzo acquirente, secondo la quale il diritto di assegnazione ha natura personale e non reale, con la conseguenza che l’assegnatario potrebbe agire ai sensi dell’articolo 1489 c.c. per far valere la responsabilità del venditore; Cass. 16 marzo 2007 n. 6192, in FDP, 2007, 775, con nota di salVati, Assegnazione della casa familiare ed imposta comunale sugli immobili; Cass 10 aprile 2019. n. 9990, in Foro It., 2019, 7-8, 1, 2356, relativa all’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare in caso di vendita dell’immobile da parte del coniuge proprietario, secondo la quale: “Il provvedimento di assegnazione della casa familiare non è opponibile al terzo che abbia anteriormente acquistato l’immobile dal coniuge proprietario esclusivo del bene, se non nel caso in cui si accerti l’instaurazione tra il coniuge assegnatario e il terzo di un apporto tale da costituire un diritto di godimento funzionale alle esigenze della famiglia, ipotesi che ricorre quando il terzo abbia acquistato la proprietà con clausola di rispetto del titolo di detenzione qualificata derivante al coniuge dal negozio familiare, ovvero quando il terzo abbia inteso concludere un contratto di comodato, in funzione delle esigenze del nucleo familiare, non essendo sufficiente a tal fine la mera consapevolezza da parte del terzo, al momento dell’acquisto, dell’utilizzo del bene immobile da parte della famiglia”. Prima della novella del 2006, la giurisprudenza si era espressa anche in senso difforme rispetto alla tesi prevalente: cfr. Cass 2 aprile 1992 n. 4016, in GCM, 1992, 517, secondo la quale sussiste assimilazione tra diritto di assegnazione della casa familiare e comodato; Cass. 11 dicembre 1992 n. 13126, in Diritto della famiglia e delle persone, 1993, 497, secondo la quale dall’assegnazione della casa familiare deriva per l’assegnatario un diritto di godimento in via esclusiva.

5 C.M. BiaNCa, I diritti d’uso e abitazione della casa familiare nella successione del coniuge, in Diritto Civile, VI, La Proprietà, 1999, 636, il quale afferma che la formulazione dell’articolo 2643 c.c. ha reso non più attuale il dibattito sulla

natura dell’assegnazione della casa familiare, in ogni caso soggetto a trascrizione nei Registri Immobiliari.

6 In dottrina, circa i requisiti costitutivi delle pertinenze, oltre ai richiami di cui alla nota n. 1, cfr.: C.M. BiaNCa, op. cit., 66; G. taMBurriNO, Pertinenze (diritto privato), in ED, XXIII, Milano, 1983, 548; G. pesCatOre, R. alBaNO, Della proprietà, in Comm. Cod. Civ., III, Torino, 1968; G. puGliatti, Immobili e pertinenze, in La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954, 38; L. CONtursi Lisi, Le pertinenze, Padova, 1952; A. GaMBarO, La proprietà, in Trattato Iudica-Zatti, Torino, 1990, 21; A. fusarO, Destinazione (Vincoli di), DI, IV civ, V, Torino, 1989, 32; In giurisprudenza v., ex multis, Cass. 13 novembre 2009 n. 24104, in GCM, 2009, 11, 1592; Cass. 2 marzo 2006 n. 4599, in Guida al Diritto, 2006, 16, 89; Cass. 6 settembre 2002 n. 12983, in Giurisprudenza Italiana 2003, 249, con nota di ferOrelli; Cass. 3 novembre 2000 n. 14350, in Rivista Giuridica dell’edilizia, 2001, I, 187; Trib. Palermo 21 marzo 2017, in Famiglia e diritto n. 11/2017, 976 e ss. on nota di CastellaNi. I principi sopra riportati rilevano, oltre che sul piano giuridico, anche sotto il profilo fiscale. L’Agenzia delle Entrate, infatti, sulla scorta del principio di strumentalità-funzionalità del bene accessorio a quello principale, ha ritenuto che anche la pertinenza condivisa possa rientrare tra quelle dell’abitazione principale, come tale legittimanti la deduzione ai fini delle imposte sui redditi (Circolare Agenzia delle Entrate n. 3/E del 2 marzo 2016). Peraltro, anche la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile la costituzione di una pertinenza in comunione, al servizio di più immobili in proprietà esclusiva ai condomini della pertinenza stessa, in quanto l’accertamento reciproco del bene accessorio comune consente di ritenere la volontà dei comproprietari di voler mantenere il medesimo in favore delle rispettive proprietà esclusive; in tal senso v. Cass 5 dicembre 2013 n. 27302, in CED Cassazione, rv 629143.

7 Nella dottrina più risalente in tema di azione di accertamento negativo, cfr.: G. ChiOVeNda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1935, 303 ss.; L. MOrtara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, II, Milano, 1923, 603; G.a. MiCheli, L’onere della prova, Milano, 1942. Per la dottrina successiva, cfr.: L. MONtesaNO, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1994; l. MONtesaNO, G. arieta, Trattato di diritto processuale civile, vol. IV, Padova, 2008; l. laNfraNChi, Contributo allo studio dell’azione di mero accertamento negativo, Milano, 1969, 92; A. PrOtO PisaNi, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1996, 161 ss.; Le tutele di mero accertamento, in Le tutele giurisdizionali dei diritti, Napoli, 2003; C. CariGlia, Profili generali delle azioni di accertamento negativo, Torino, 2013, la quale pur rilevando la maggiore difficoltà dell’onere probatorio per parte convenuta in relazione a fatti dimostrabili con prova negativa, sembra comunque aderire alla tesi minoritaria che conferma tale impostazione; e. MerliN, Azione di accertamento negativo di credito ed oggetto del giudizio (casi e prospettive), in Riv. dir. proc. civ., 1997, 1089; a. rOMaNO, L’azione di accertamento negativo, Napoli, 2006.

8 MerliN, op. cit.; rOMaNO, op. cit., v. precedente nota 7; in giurisprudenza, di recente, Cass. sez. lavoro 5 aprile 2011, n. 7747, in CED Cassazione, 2011, rv 616547; Cass. sez. lav. 18 maggio 2010 n. 12108, in Rivista di diritto e procedura civile, 2011, 6, 1551, annotata da rOMaNO; Cass. sez. lav. 10 settembre 2010 n. 19.354, in CED Cassazione, 2010, rv 614985; Cass. 28 novembre 2011 n. 24968, in Famiglia e Diritto, 2012, 6, 564; Cass. SS. UU 15 giugno 2015 n. 12307, in NGCC, 2015, 10, 960, con nota di MaCCari, secondo la quale grava sulla parte he contesti l’autenticità di un testamento olografo l’onere di proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, secondo i principi generali in materia di prova dell’azione di accertamento negativo.

9 Cass. 28 novembre 2011 n. 24968, in Famiglia e Diritto, 2012, 6, 564; nello stesso senso, ex multis: Cass. sez. lav. 22 luglio 2002 n. 10.658, in Archivio Civile, 2003, 567. In dottrina si segnala la posizione di E. LieBMaN, Le opposizioni di merito nel processo esecutivo, Roma, 1936, 251, secondo il quale nei procedimenti di opposizione all’esecuzione, il rigetto della domanda equivale a pronuncia di accertamento del diritto del creditore, così ricostruendo la questione in termini di presunzione di avvenuta prova della pretesa di controparte mediante la mancata prova del fatto negativo da parte della parte che agisce in giudizio (v. al riguardo nota n. 8).

10 Sulla novella legislativa del c.d. “Divorzio breve” v. in particolare, tra i tanti contributi sul tema: G. OBertO, “Divorzio breve” separazione legale e comunione legale tra coniugi, in Famiglia e diritto, 2015, 615 ss.; M. Blasi, Divorzio “breve” e “facile”, Torino, 2015. Sulla divisione della casa familiare, in dottrina: M. FiNOCChiarO, Assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi e diritto dell’altro di chiedere la divisione o della pretesa indissolubilità della comunione incidentale, in Giustizia civile, 1992, I, 543; M. Di NardO, L’assegnazione della “casa familiare”: evoluzione legislativa e attuali orientamenti giurisprudenziali, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 1998, II, 342; G. OBertO, I contratti della crisi coniugale, II, Milano, 2, 1999, 1097; G. TedesCO, Divisione della casa coniugale di proprietà comune e provvedimento di assegnazione, in Giustizia civile, 2003, 113 ss.; A. Neri, Del rapporto tra giudizio di divisione dei beni e scioglimento della comunione stessa e il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, in Giustizia civile, 2001, I, 827; M.G. CuBeddu, Provvedimento di assegnazione della casa familiare e divisione del bene, in Famiglia, persone e successioni, 2005, 37; C. Irti, Divisione giudiziale della casa familiare in comunione e incidenza economica del vincolo discendente dal provvedimento di assegnazione, in Famiglia e diritto, 2017, 5, 436; E. Quadri, Famiglia e ordinamento civile, Torino, 2015; A.M. FasaNO, A. FiGONe, Assegnazione della casa familiare, in AA.VV., La crisi delle relazioni familiari. Scioglimento del vincolo e cessazione della convivenza, Milano, 2019, 335 ss. Nella prospettiva comparatistica, v. per tutti, A. FusarO, Tendenze del diritto privato in prospettiva europea, II, Torino, 2017.

11 Trib. Monza 24 ottobre 1991, in Giustizia Civile, 1992, I, 539, con nota di M. FiNOCChiarO, cit.; Trib. Monza 21 aprile 1989, in Giustizia Civile, 1989, I, 2199; Trib. Roma 4 aprile 1985, in Diritto delle persone e della famiglia, 1985, I, 629 e in Temi Romani, con nota critica di F. StOraCe, Domanda di divisione della casa familiare di proprietà di entrambi i coniugi proposta dal coniuge non assegnatario; Trib. Bologna 27 ottobre 1992, in Vita notarile, 1994, 141.

12 In dottrina, oltre alle citazioni di cui alla nota 10, v, in particolare: FiNOCChiarO, op. cit.; G. OBertO, La comunione legale tra coniugi, II, Amministrazione, responsabilità patrimoniale, scioglimento e interferenze, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, Milano, 2010, 2060 ss.; F. TafurO, Ammissibilità dell’azione di divisione della casa coniugale, in NGCC, 1994, I, 700. In giurisprudenza: Cass. 24 maggio 1963 n. 1360, in Giustizia Civile, I, 1360; Cass. 17 settembre 2001 n. 11640, in Giustizia civile, 2002, I, 55; Cass. 9 settembre 2016 n. 17843, in Foro Italiano, 2017, I, 1, 1226; Trib. Bologna 21 gennaio 1993, in Diritto della famiglia e delle persone, 1995, 187; Trib. Torino 9 ottobre 2001, in Giurisprudenza di merito, 2002, 1271; Trib. Roma 4 luglio 2000, in Giustizia civile, 2001, I, 819, con nota di Neri, cit.

13 Trib. Milano 23 gennaio 1997, in Famiglia e Diritto 1997, 563; Cass. 9 dicembre 1983 n. 7303, in Giurisprudenza Italiana, 1984, I, 1, 641.

14 OBertO, op. cit.; A. CeCCheriNi, Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali, Milano, 1991, 53; Cass. 24 maggio 1963, cit., secondo la quale il pregiudizio andrebbe inteso come obiettivo e nell’interesse della comunione e non nell’interesse dei singoli a mantenere posizioni personali di vantaggio.

15 OBertO, op. cit., il quale suggerisce di prevedere, in caso di riserva all’esercizio del diritto alla divisione sino al perdurare del diritto di abitazione, e comunque entro il limite massimo di dieci anni ex art. 1111 c.c., una pattuizione che disciplini le conseguenze di una eventuale situazione di non opponibilità del patto nei confronti dei terzi, mediante compensazioni della perdita del diritto, ad esempio mediante aumento dell’assegno di mantenimento o, comunque, la dazione di una somma periodica o una tantum finalizzata a coprire le spese di reperimento di un altro alloggio.

16 V. Trib. Bologna 21 gennaio 1993, cit.

17 Trib. Taranto, sez. II, 21 febbraio 2017, reperibile sul sito www.

personaedanno.it, con nota di V. CiaNCiOlO, La comoda divisibilità dell’ex casa coniugale.

18 Cass. 11 aprile 2014 n. 8580, in CED Cassazione, 2014, rv 631071; Trib. Palermo 2 aprile 1991, in Il diritto della famiglia e delle persone, 1991, 669.

19 Così Cass. 9 luglio 1989 n. 3247, in Mass. Giur. It., 1989; Cass. 8 marzo 2018 n. 5575, in CED Cassazione, rv 647751-01, secondo la quale: “L’alloggio assegnato in concessione, a titolo oneroso, ad un impiegato civile dello stato, a norma dell’art. 3 della l. n. 329 del 1949, è qualificabile come ‘casa familiare’, in quanto viene ceduto, ancorché in correlazione con le prestazioni lavorative, al fine di soddisfare le esigenze abitative del dipendente pubblico e dei componenti della sua famiglia. Detto alloggio, pertanto, in caso di separazione personale, può essere attribuito, anziché al concessionario, all’altro coniuge affidatario della prole, ai sensi dell’art. 155, comma 4, c.c., ratione temporis applicabile; su quest’ultimo graveranno, in caso di cessazione del rapporto concessorio, gli obblighi inerenti all’occupante, quali quello di pagamento del corrispettivo convenuto per l’utilizzo dell’alloggio, salvo il maggior danno, ai sensi dell’art. 1591 c.c.”.

20 FiNOCChiarO, op. cit.; TedesCO, op. cit.

21 Cass. 17 settembre 2001 n. 11630, cit.; Cass. 9 settembre 2013 n. 17843, in Famiglia e diritto 5/2017, 434; Cass. 9 settembre 2016 n. 17843, in Foro Italiano, 2017, I, 1, 226; Cass. 20 dicembre 2018 n. 33069, in Notariato, 2019, 2, 161.

22 V. di recente, Cass. 22 aprile 2016 n. 8202, in CED Cassazione, 2016, rv 639528.

23 M. ANGelONe, Scioglimento della casa familiare promossa dal comproprietario non assegnatario, in AA.VV., La casa familiare nelle esperienze latine, Napoli, 275 ss.

24 Trattasi della pronuncia della Commissione Tributaria Regionale Emila Romagna, Sezione XI, del 13 dicembre 2019, reperibile sul sito internet dell’Osservatorio del Diritto di famiglia www.osservatoriofamiglia.it, sezione giurisprudenza, consultato in data 24 febbraio 2020.

25 In sede di giudizio di primo grado, la Commissione tributaria provinciale aveva ritenuto soggetto passivo di imposta non solo il coniuge assegnatario della casa familiare, ma anche la suocera proprietaria dell’immobile, la quale lo aveva concesso in comodato al figlio quale casa coniugale, sul presupposto che nel caso in cui il coniuge non assegnatario non sia proprietario o titolare di diritti reali di godimento sull’immobile non può essere esclusa la soggettività passiva IMU anche del proprietario comodante e soggetto terzo rispetto alla separazione. La sentenza, nel respingere questa impostazione, richiama la sentenza della Suprema Corte 30 aprile 2019 n. 11416, in Fisco, 2019, 21, 2081 con nota di PiCCOlO, secondo la quale: “Ai fini dell’IMU i benefici previsti per la casa coniugale (e relative pertinenze) assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, si applicano anche per l’abitazione principale e le relative pertinenze della famiglia ‘di fatto’ (conviventi more uxorio) in caso di separazione dei conviventi, allorché vi siano figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti”. La Commissione Tributaria Regionale Emilia Romagna, con un interessante obiter dictum, afferma, in conformità alla sentenza della Suprema Corte innanzi citata, che la normativa IMU che pone a carico dell’effettivo utilizzatore del bene l’obbligo impositivo deve trovare applicazione in tutti i casi riconducibili alla medesima aedem ratio e, quindi, anche nel caso di famiglia di fatto.

26 La categoria C/2 comprende i magazzini e i locali di deposito, nonché le cantine e le soffitte disgiunte dall’abitazione e con autonoma rendita catastale; la categoria C/6 comprende le stalle, le scuderie, i box per auto, i posti auto (pertinenziali) scoperti, le rimesse per autoveicoli o per imbarcazioni, le autorimesse (non pertinenziali), gli autosilos ed i parcheggi a raso aperti al pubblico; la categoria C/7 comprende le tettoie (chiuse o aperte), i lavatoi pubblici coperti e i posti auto su aree private coperte o su piani pilotis.

27 La sentenza risulta pubblicata in Boll. Trib., 2010, 7, 570, con nota di CONte e FiCari.

28 Cass. Ord 28 marzo 2017 n. 8017, in Boll. Trib., 2017, 14, 1143 nota di riGhi, secondo la quale in relazione all’ICI, che ha i medesimi presupposti applicativi dell’IMU, “ai fini del trattamento esonerativo rileva l’oggettiva classificazione catastale dell’immobile, per cui l’immobile che si sostenga costituire l’abitazione principale del contribuente ma che risulti iscritto come ‘ufficio-studio’, con attribuzione della relativa categoria (A/10), è soggetto all’imposta, non ricorrendo l’ipotesi dell’art. 1, primo comma, de d.l. 27 maggio 2008, n. 93 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126); qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione, impugnare l’atto di classamento”.

29 Così Cass. 2013 n. 27302, cit. alla nota 8.