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Il mutamento giurisprudenziale non rientra tra i “giustificati motivi” che, a norma dell’art. 9, l. n. 898/1970, consentono la revisione dell’assegno divorzile (nota a Cass. Civ., sent. 20 gennaio 2020, n. 1119)

autore: F. Ferrandi

Sommario: 1. Premessa. - 2. Il caso di specie. - 3. La recente evoluzione giurisprudenziale in tema di assegno divorzile. - 4. Il rapporto tra la revisione dell’assegno divorzile e i successivi principi sanciti dal nuovo orientamento giurisprudenziale riguardo alla natura dello stesso. - 5. Conclusioni.



1. Premessa



Con la sentenza resa in data 20 gennaio 2020 la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi circa la questione dell’applicabilità dei nuovi principi affermati dalle Sezioni Unite in merito alla funzione dell’assegno divorzile per mezzo della revisione delle misure già concesse, se, in particolare, sia a tal fine necessario il previo accertamento dei giustificati motivi sopravvenuti ovvero se il mutamento di natura e funzione dell’assegno divorzile costituisca ex se giustificato motivo valutabile ai sensi dell’art. 9 l. div., ha stabilito che, rispetto al momento di determinazione dell’assegno, occorre che siano sopravvenute circostanze tali da alterare effettivamente l’equilibrio raggiunto, non essendo, al contrario, l’intervenuto mutamento dei criteri di per sé solo sufficiente.



2. Il caso di specie



Il ricorrente vistosi respingere dal Tribunale di Roma, in data 13 maggio 2014, l’istanza con la quale aveva chiesto, ex art. 9 della l. n. 898 del 1990, di essere assolto dall’obbligo di corrispondere all’ex coniuge l’assegno di divorzio, nonché di vedersi ridotto l’assegno per il mantenimento della figlia, proponeva reclamo alla Corte d’Appello romana, la quale, a sua volta, rigettava, con decreto del 19 luglio 2016, l’impugnazione proposta dall’ex marito, in quanto le circostanze dedotte erano in prevalenza già presenti al momento della pronuncia e, comunque, da essa considerate, osservando come il procedimento intrapreso non costituisse un mezzo per la revisione delle determinazioni assunte in sede di divorzio, ma fosse volto ad emendare l’alterazione dell’assetto economico delle parti cagionato da circostanze sopravvenute rispetto a quelle statuizioni. L’obbligato decideva, quindi, di ricorrere per la cassazione del decreto lamentando ben nove motivi, attraverso i quali, deducendo la violazione dell’art. 9 della l. n. 898 del 1970, sottolineava, in primo luogo, come il raddoppiamento del reddito della ex moglie tra il 2012 e il 2015 e la sua condizione di pensionato avessero alterato l’equilibro economico di cui si era tenuto conto in sentenza; lamentava, altresì, il sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche delle parti e lo squilibrio delle stesse, nonché il venir meno, rispetto al passato, della disponibilità delle sue risorse, accompagnata dal peggioramento delle sue condizioni di salute, dal fatto di dover accudire la propria madre e di aver contratto nuovo matrimonio. A detta del ricorrente, inoltre, la Corte di Appello di Roma aveva violato nuovamente l’art. 9 della l. n. 898 del 1970 per non aver tenuto conto del significativo miglioramento della posizione economica della ex moglie “in forza di acquisizione ereditaria” e delle “altre entrate percepite dalla stessa”. Inoltre, in sede di memoria, l’ex marito aveva invocato l’evoluzione, intervenuta in epoca successiva al deposito della decisione impugnata, della giurisprudenza della Suprema Corte in tema di assegno divorzile (Cass. n. 11504/2017 e Cass. S.U. n. 18287/2018), insistendo per la valutazione delle sue censure alla luce del rinnovato quadro giurisprudenziale. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha affermato che la revisione dell’assegno divorzile di cui alla l. n. 898 del 1970, art. 9, postula l’accertamento di un sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche degli ex coniugi idoneo a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto ed adeguare l’importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata. Infine, in merito alle altre doglianze lamentate dal ricorrente in relazione all’art. 9 della l. n. 898 del 1970, la Suprema Corte ha rilevato come i fatti in esse dedotti fossero stati già oggetto di attenta disamina da parte del giudice di merito, avendo quest’ultimo ritenuto le circostanze allegate dal ricorrente non sopravvenute né tantomeno decisive al fine di ottenere una revisione dell’assegno.



3. La recente evoluzione giurisprudenziale in tema di assegno divorzile



La richiesta di revisione dell’assegno divorzile, oggetto della sentenza oggi annotata, è stata formulata dal ricorrente obbligato alla luce del mutamento giurisprudenziale, intervenuto successivamente al deposito della decisione impugnata, in tema di assegno divorzile. Come noto, il preesistente, granitico orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale l’assegno di divorzio aveva natura esclusivamente assistenziale tanto da dover essere concesso tutte le volte in cui il richiedente non disponesse di mezzi sufficienti a mantenere il tenore di vita goduto durante la vita coniugale, è stato “sconvolto”, dapprima, dalla sentenza c.d. “Lamorgese” (dal nome del suo estensore)1 e successivamente dalla pronuncia delle Sezioni Unite2 . Seguendo il pacifico orientamento giurisprudenziale degli anni Novanta3 , il giudizio relativo all’assegno divorzile doveva articolarsi in due fasi nettamente distinte, basate, pure, su elementi di valutazione differenti: la fase di accertamento dell’an debeatur, tesa alla valutazione dell’esistenza in astratto del diritto, in cui il giudice veniva guidato unicamente dal parametro della adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente; e quella del quantum debeatur, nell’ipotesi in cui la precedente verifica avesse accertato l’inadeguatezza dei redditi e l’impossibilità del richiedente di procurarseli per ragioni oggettive, durante la quale l’organo giudicante era chiamato a determinare il concreto ammontare del diritto riconosciuto sulla base dei criteri indicati nella parte centrale dell’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio. In tale contesto, il parametro per valutare l’adeguatezza dei mezzi ai fini del riconoscimento in astratto del diritto all’assegno divorzile era costituito dal “tenore di vita familiare” e il raccordo fra le due fasi veniva realizzato affermando che la somma necessaria al coniuge debole per mantenere il predetto tenore è il tetto massimo che l’assegno può raggiungere nell’applicazione ponderata, in concreto, dei criteri indicati dal legislatore.

L’orientamento giurisprudenziale di cui sopra è stato travolto dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 11504 del 2017, a tutti nota come “Lamorgese”, la quale ha offerto una disciplina moderna, idonea ad evitare la concessione di assegni divorzili quantificati secondo parametri, in primo luogo quello relativo al tenore di vita matrimoniale, inconciliabili con l’attuale visione della famiglia, il frequente scioglimento del matrimonio e la formazione di un nuovo nucleo familiare. Tale pronuncia, sebbene, da un lato, ribadisca la natura prettamente assistenziale dell’assegno divorzile, trovando la sua ragion d’essere nel fondamento costituzionale del dovere inderogabile di solidarietà economica e confermi la natura bifasica dell’accertamento, dall’altro si discosta dall’interpretazione delle Sezioni Unite del 1990, sostituendo il criterio del “tenore di vita coniugale” con il “raggiungimento dell’indipendenza economica del richiedente”. Conseguenza immediata di ciò è che la quantificazione dell’assegno debba mirare a garantire solo e soltanto quanto è sufficiente per vivere, ovvero, in base ad alcune significative sentenze di merito, circa mille euro al mese4 . La tutela eccessiva dell’orientamento giurisprudenziale preesistente, faceva luogo all’inadeguatezza del nuovo corso: non v’era posto per tenere in conto l’età del richiedente, l’eventuale contributo offerto da costui alla conduzione della vita familiare, la durata del matrimonio nonché la formazione del patrimonio familiare o di quello dell’altro coniuge, sotto il profilo della valutazione delle circostanze inerenti al caso concreto il nuovo orientamento sembrava fin troppo aver legato le mani all’organo giudicante. In dottrina, sebbene la maggior parte dei commentatori abbia salutato con favore il superamento del tenore di vita familiare come criterio indiscriminato per la valutazione dell’adeguatezza dei redditi del coniuge richiedente l’assegno5 , altri non hanno mancato di sottolineare come il nuovo orientamento rischiasse di comprimere oltre ogni ragionevolezza i diritti del coniuge che, durante il matrimonio, aveva sacrificato le proprie aspirazioni lavorative e/o professionali per dedicarsi esclusivamente e/o prevalentemente alle esigenze della famiglia6 . Successivamente al suo revirement, la Cassazione ha più volte ribadito la nuova presa di posizione, riaffermando la necessità di rigida distinzione fra la fase di accertamento relativa all’an e quella relativa al quantum7 , ma proponendo una rilettura più flessibile del criterio dell’autosufficienza economica ed affermando, infine, la necessità di adeguare quest’ultimo criterio alle caratteristiche soggettive del coniuge richiedente l’assegno, alla sua “specifica individualità”8 , al “contesto sociale in cui è inserito”9.

Un intervento delle Sezioni Unite, volto a dissipare qualsiasi dubbio circa l’avvenuto passaggio da una tutela eccessiva del coniuge richiedente l’assegno ad una tutela in alcuni casi particolarmente ridotta e non soddisfacente alla luce delle caratteristiche del singolo caso, era dunque inevitabile oltre che auspicabile. E così le SS.UU. con la sentenza n. 18287 del 2018, pur confermando l’abbandono del parametro legato al tenore di vita matrimoniale e la rilevanza del criterio dell’autosufficienza economica, hanno corretto la sentenza del maggio 2017 soprattutto a causa di una “valutazione incompleta, in quanto non radicata sui fattori oggettivi e interrelazioni che determinano la condizione complessiva degli ex coniugi dopo lo scioglimento del vincolo”, evidenziando, inoltre, la mancata diffusa applicazione di alcuni parametri contenuti nell’art. 5, sesto comma, della legge sul divorzio, i quali impongono, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno, di tenere conto della durata del matrimonio e delle scelte di vita comune adottate al momento della determinazione dell’“indirizzo della vita familiare” ex art. 144 c.c., cioè delle decisioni che possono avere indotto un coniuge a sacrificare la propria vita professionale per dedicarsi alla famiglia e alla educazione dei figli. L’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite può essere così schematizzato:

a) abbandono dei vecchi automatismi che avevano dato vita ai due orientamenti contrapposti: da un lato il tenore di vita, dall’altro il criterio dell’autosufficienza;

b) abbandono della concezione bifasica del procedimento di determinazione dell’assegno divorzile, fondata sulla distinzione tra criteri attributivi e criteri determinativi;

c) abbandono della concezione che riconosce la natura meramente assistenziale dell’assegno di divorzio a favore di quella che gli attribuisce natura composita (assistenziale e perequativa/compensativa);

d) equiordinazione dei criteri previsti dalla l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6;

e) abbandono di una concezione assolutistica ed astratta del criterio “adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi” a favore di una visione che propende per la causa concreta e lo contestualizza nella specifica vicenda coniugale;

f) necessità della valutazione dell’intera storia coniugale e di una prognosi futura che tenga conto delle condizioni dell’avente diritto all’assegno (età, salute, etc.) e della durata del matrimonio;

g) importanza del profilo perequativo-compensativo dell’assegno e necessità di un accertamento rigoroso del nesso di causalità tra scelte endofamiliari e situazione dell’avente diritto al momento dello scioglimento del vincolo coniugale.

Pertanto, secondo le Sezioni Unite, stante la solidarietà postconiugale che trova la sua ratio nell’art. 29 Cost., l’assegno deve assolvere una funzione compensativa e “riequilibratrice”, che permetta di riconoscere il ruolo e il contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla vita familiare, alla formazione del patrimonio e allo svolgimento dell’attività professionale dell’altro coniuge, fermo restando, però, la ripartizione dell’onere della prova capovolta dalla sentenza “Lamorgese”, secondo cui non spetta all’ex coniuge convenuto dimostrare che il richiedente ha rifiutato concrete occasioni di lavoro, ma a quest’ultimo provare che nonostante il suo impegno non ha la possibilità di svolgere un’attività lavorativa.



4. Il rapporto tra la revisione dell’assegno divorzile e i successivi principi sanciti dal nuovo orientamento giurisprudenziale riguardo alla natura dello stesso



A fronte, quindi, della sentenza n. 18287 del 2018 con cui le Sezioni Unite hanno attribuito all’assegno divorzile una funzione compensativa e non soltanto assistenziale si pone dunque “la questione dell’applicabilità di tali nuovi principi nell’ipotesi, qui in esame, di domanda di revisione dell’assegno divorzile già riconosciuto, ed in ispecie se sia a tal fine necessario il previo accertamento dei giustificati motivi sopravvenuti o se il mutamento di natura e funzione dell’assegno divorzile, affermato da questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica, costituisca ex se giustificato motivo valutabile ai sensi dell’art. 9 legge divorzio”10. La revisione dell’assegno divorzile, prevista al sopravvenire di “giustificati motivi”, è uno strumento volto ad assicurare all’ex coniuge, con riferimento all’assegno già liquidato, la permanente disponibilità di quanto necessario, nel tempo, tenendo conto dei mutamenti in negativo e in positivo della situazione economica di ciascuna delle parti. L’art. 9, comma 1, l. n. 898/197011, infatti, consente la revisione in ogni tempo delle statuizioni giudiziali in materia di assegno di divorzio al sopravvenire di “giustificati motivi”, essendo simili disposizioni – secondo una regola comune alle pronunce destinate al soddisfacimento dei bisogni di vita della persona tramite imposizione al soggetto obbligato di prestazioni destinate a protrarsi nel tempo – adottate rebus sic stantibus e, quindi, modificabili a fronte di successive variazioni della situazione di fatto posta alla base della decisione. I “giustificati motivi” che possono portare ad ottenere la revisione delle disposizioni sull’assegno divorzile, quanto in punto di aumento che di diminuzione del relativo importo, nonché al suo riconoscimento ex novo o alla sua integrale soppressione, sono da identificarsi tenendo conto della funzione propria del contributo di cui si discute: si vuole, infatti, consentire all’ex coniuge, che risulti privo di mezzi adeguati e non sia in grado dì procurarseli per ragioni oggettive, il raggiungimento di un livello reddituale adeguato al contributo apportato nella realizzazione della vita familiare, sulla base di una valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, tenuto altresì conto del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e al patrimonio comune, nonché personale di ciascuna parte, alla luce della durata del vincolo coniugale e dell’età dell’avente diritto. Possono, quindi, costituire “giustificati motivi” di revisione dell’assegno divorzile i mutamenti delle condizioni economiche di uno o di entrambi gli ex coniugi che, valutati al termine di una rinnovata valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti12, siano oggettivamente capaci di alterare l’equilibrio determinato al momento della pronuncia di divorzio13. Il giudice dovrà, quindi, accertare l’effettività dei suddetti mutamenti, verificando l’instaurarsi di una nuova situazione, tale per cui l’ex coniuge, già titolare del diritto all’assegno, abbia acquistato la disponibilità di “mezzi adeguati”, ossia idonei a renderlo autonomamente capace di procurarseli. La rilevanza dei fatti sopravvenuti, quindi, va considerata tenuto conto della suddetta funzione dell’assegno divorzile il quale comporta una rinnovata valutazione comparativa della rispettiva situazione economica delle parti, essendo peraltro pacifico l’orientamento della Suprema Corte sul punto, secondo cui: “la revisione dell’assegno divorzile di cui alla l. n. 898 del 1970, art. 9, postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti”14. Orientamento, questo, che deve essere rapportato al fatto che il giudice chiamato a pronunciarsi sulla revisione dell’assegno divorzile incontra i limiti posti dalle statuizioni contenute nella sentenza di divorzio non potendo “procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e adeguare l’importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertate”15. Per questa ragione nel giudizio di revisione di cui al più volte richiamato art. 9, l. div., è possibile accogliere domande di assegnamenti post-matrimoniali, soltanto in presenza di circostanze nuove, verificatesi successivamente alla sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, dal momento che l’allegazione di circostanze solo processualmente nuove, ma deducibili nel precedente giudizio di divorzio, risulta preclusa per effetto del vincolo derivante dal giudicato che si estende al “deducibile” vale a dire a quei fatti che, se fossero stati tempestivamente dedotti, avrebbero potuto portare ad in diverso contenuto alla sentenza ora passata in giudicato. La possibilità, quando ormai il giudizio di divorzio è esaurito, di chiedere la revisione del provvedimento relativo all’assegno divorzile non contrasta con il principio del giudicato, perché, quest’ultimo, produce i propri effetti con riferimento alla sentenza dichiarativa di divorzio, il cui contenuto, di conseguenza, diventa immutabile e non più soggetto a modifica alcuna. Ciò significa che la statuizione sull’assegno di divorzio verte su un diritto correlato a situazioni di fatto suscettibili di variazione nel tempo e, per tale ragione, è sempre pronunciata rebus sic stantibus16, essendo modificabile in caso di mutamento della situazione di fatto che per avere rilevanza può essere fatta valere soltanto con l’apposito giudizio di revisione, “fermo restando che il diritto a percepirlo di un ex coniuge ed il corrispondente obbligo dell’altro a versarlo, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di divorzio, conservano la loro efficacia sino a quando non intervenga la modifica di tale provvedimento, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’assegno”17. Ciò posto, si tratta di capire se la domanda di revisione dell’assegno divorzile possa essere giustificata anche soltanto dall’interesse ad applicare il nuovo orientamento espresso dalle Sezioni Unite n. 18287 del 2018 senza allegare sopravvenienze che abbiano modificato la situazione patrimoniale dei divorziati. Bisogna cioè chiedersi se sia o meno possibile rinvenire nella disposizione, a cui è stata data una nuova interpretazione da parte degli Ermellini, quel tasso di novità che permette di applicare i principi che disciplinano i rapporti tra giudicato e ius superveniens nelle situazioni giuridiche durevoli, come quella della sentenza commentata, in modo da riconoscere nella nuova interpretazione giurisprudenziale un fatto sopravvenuto tale da poter essere ricompreso nei “giustificati motivi” per poter ottenere la revisione ex art. 9, l. div. Proprio l’interpretazione dell’espressione “giustificati motivi” e il suo grado di indeterminatezza potrebbero far ritenere, correttamente, che tra i motivi idonei a far sorgere l’interesse ad agire per la revisione vi possa rientrare anche la nuova interpretazione data dalle Sezioni Unite alle norme sostanziali disciplinanti il diritto alla percezione dell’assegno divorzile, al pari di una nuova legge la cui applicazione, riguardando un rapporto di durata, non trova, al contrario, ostacoli nella res iudicata che assiste la sentenza di divorzio. Molto meno immediata è, infatti, l’equiparazione tra una nuova legge e una nuova interpretazione della stessa, dal momento che la giurisdizione non rappresenta un’autonoma fonte di diritto positivo, tanto che l’interpretazione data a una determinata disposizione può avere quale effetto “solo” quello di condizionare la sua concreta applicazione da parte della giurisprudenza di merito. E tale funzione della giurisprudenza, come meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regola di diritto, è stata ribadita anche nella sentenza qui annotata, laddove si legge che: “l’interpretazione delle norme giuridiche da parte della Corte di Cassazione e, in particolare, delle Sezioni Unite mira ad una tendenziale stabilità e valenza generale, sul presupposto, tuttavia, di una efficacia non cogente ma solo persuasiva, trattandosi di attività consustanziale all’esercizio stesso della funzione giurisdizionale, sicché un mutamento di orientamento reso in sede di nomofilachia non soggiace al principio di irretroattività, non è assimilabile allo ius superveniens ed è suscettibile di essere disatteso dal giudice di merito. Deve, ancora, aggiungersi che un orientamento del giudice della nomofilachia cessa di essere retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, e può quindi parlarsi di prospective overruling, a condizione determinate, prima tra di esse che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, e non anche, come nella specie, su disposizioni di natura sostanziale”18.

Pertanto, sebbene il mutamento della giurisprudenza di legittimità riesca a essere fonte del “diritto vivente”, rimane un “semplice” criterio di interpretazione di una disposizione normativa, non ha una forza vincolante tale da assumere anche il ruolo di presupposto per la sua applicazione e quindi da poter essere ricompresa fra quei “giustificati motivi” richiesti dall’art. 9, l. div., affinché il giudice investito della revisione possa attribuire all’assegno divorzile quel nuovo assetto compensativo e perequativo voluto dalla nuova interpretazione delle Sezioni Unite19; anche perché, prosegue la Suprema Corte nella sentenza oggetto di commento: “ammettere che un mutamento di orientamento giurisprudenziale possa integrare uno dei ‘giustificati motivi’ che consentono la revisione delle statuizioni in materia di revisione dell’assegno divorzile importerebbe conseguenze incongrue, sia nell’ipotesi di un successivo mutamento giurisprudenziale, sia nell’ipotesi in cui il giudice del merito, non tenuto per legge al principio dello stare decisis, non aderisse alla nuova linea interpretativa, anche resa in sede nomofilattica da questa Corte”20.



5. Conclusioni



Con l’interessante pronuncia oggi annotata la Suprema Corte ha, quindi, confermato l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui i “giustificati motivi”, che consentono ex art. 9, l. div., la revisione dell’assegno divorzile, vengono costantemente riferiti a fatti nuovi, quali circostanze sopravvenute e provate dalle parti che abbiano determinato una modifica della situazione familiare tale da far ritenere superate le statuizioni contenute nella sentenza passata in giudicato. Tuttavia, non è detto che in futuro gli stessi Ermellini non decidano di dare una lettura diversa, anche in assenza di riforme legislative sul punto, allo strumento della revisione dell’assegno attribuendo alla formula dei “giustificati motivi”, più volte ricordata, un significato riconducibile alla sopravvenienza di tutti quei motivi tali da far nascere l’interesse ad agire per il mutamento tra i quali, anche, a una diversa interpretazione avallata dal “diritto vivente” giurisprudenziale, essendo una simile lettura, lasciata aperta dalla disposizione di cui si discute che, senza restringerne il significato ai soli fatti sopravvenuti che incidano sulla situazione economica delle parti, ne rafforza l’idoneità a dare, anche rebus sic stantibus, una tutela più efficace al coniuge più debole, un’evoluzione che ben può trovare la propria giustificazione, come è stato auspicato, in una maggiore coerenza con i mutamenti avvenuti nel contesto sociale nel settore dei rapporti familiari21.

NOTE

1 Sul punto cfr. Cass., 10 maggio 2017, n. 11504, in Giur. It., 2017, 1299, con nota di di MaJO; in Giur. It., 2017, 1796, con nota di riMiNi; in Corr. Giur., 2017, 885, con nota di Quadri; in Fam. e dir., 2017, 636, con note di al MuredeN e daNOVi; in Nuova Giur. Comm., 2017, 1001, con nota di Roma; in Foro It., 2017, I, 1859, con note di CasaBuri, BONa e MONdiNi e in Foro It., 2017, I, 2707, con note di patti e M. BiaNCa.

2 Cass. sez. unite, 11 luglio 2018, n. 18287, in Foro It., 2018, 9, 1, 2671; in Nuova Giur. Civ., 2018, 11, 1607, con nota di BeNaNti, e in Corr. Giur., 2018, 10, 1186, con nota di patti; in senso conforme v. Cass., 10 febbraio 2020, n. 3112, in www.leggiditalia.it; Cass., 11 dicembre 2019, n. 32398, in Ced Cassazione, 2019; Cass., 2 dicembre 2019, n. 31359, in Quotidiano Giuridico, 2020 e Cass., 15 ottobre 2019, n. 26085, in www.leggiditalia.it.

3 Cfr. Cass., sez. unite, 29 novembre 1990, nn. 11489, 11490, 11491, 11492, in Foro It., 1991, I, 67, con note di Quadri e di CarBONe; in Giust. Civ., 1990, I, 2789 e 1991, I, 1223, con nota di spadafOra; in Nuova Giur. Comm., 1991, I, 112, con nota di Quadri; in Giur. It., 1991, I, 1, 536, con nota di pelleGriNi e in Corr. Giur., 1991, 305, con nota di CeCCheriNi.

4 Cfr. Trib. Milano 22 maggio 2017, ord., in Foro it., 2017, 1073.

5 Così S. patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa?, in Foro It., 2017, I, 2707 s.

6 Così M. sesta, La solidarietà post-coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensatorie, in Fam. e dir., 2018, 509 ss.; E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, in Corr. Giur., 2017, 7, 885.

7 Così Cass., 29 agosto 2017, n. 20525, in Fam. e dir., 2018, 573, con nota di GiOrGiaNNi; Cass., 9 ottobre 2017, n. 23602, in Corr. Giur., 2017, 1597; Cass., 25 ottobre 2017, n. 25327, in www.ilfamiliarista.it, 23 gennaio 2018, con nota di fasaNO; Cass., 26 gennaio 2018, n. 2042, in Fam. e dir., 2018, 321, con nota di fiGONe; Cass., 7 febbraio 2018, n. 3015, in Ced Cassazione, 2018, e Cass., 7 febbraio 2018, n. 3016, in Dir. e giust., 8 febbraio 2018.

8 Così Cass., 26 gennaio 2018, n. 2042, cit., e Cass., 26 gennaio 2018, n. 2043, in Fam. e dir., 2018, 324, con nota di fiGONe.

9 Cass., 7 febbraio 2018, n. 3015, cit.: “[Il parametro dell’autosufficienza economica] va apprezzato con la necessaria elasticità e l’opportuna considerazione dei bisogni del richiedente l’assegno, considerato come persona singola e non come ex coniuge, ma pur sempre inserita nel contesto sociale. Per determinare la soglia dell’indipendenza economica occorrerà avere riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, né bloccata alla soglia della pura sopravvivenza né eccedente il livello della normalità, quale, nei casi singoli, da questa coscienza configurata e di cui il giudice deve farsi interprete, ad essa rapportando, senza fughe, le proprie scelte valutative, in un ambito necessariamente duttile, ma non arbitrariamente dilatabile”.

10 Cit. Cass., 20 gennaio 2020, n. 1119, in www.leggiditalia.it.

11 L’art. 9, l. 1 dicembre 1970 n. 898, Disciplina dei casi di scioglimento del

matrimonio, pubblicata nella Gazz. Uff. 3 dicembre 1970, n. 306, dispone che: “1. Qualora sopravvengono giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6. 2. In caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza. 3. Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal Tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di cui all’art. 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il Tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze. 4. Restano fermi, nei limiti stabiliti dalla legislazione vigente, i diritti spettanti a figli, genitori o collaterali in merito al trattamento di reversibilità. 5. Alle domande giudiziali dirette al conseguimento della pensione di reversibilità o di parte di essa deve essere allegato un atto notorio, ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15, dal quale risultino tutti gli aventi diritto. In ogni caso, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica la tutela, nei confronti dei beneficiari, degli aventi diritto pretermessi, salva comunque l’applicabilità delle sanzioni penali per le dichiarazioni mendaci”. Tale disposizione concerne, infatti, la revisione delle condizioni relative all’assegno di mantenimento e previsioni del tutto identiche si ritrovano negli artt. 155 e 156 c.c. e 710 c.p.c. in materia di separazione personale dei coniugi. Sul punto v. F. sCia, Mancata richiesta dell’assegno nel giudizio di divorzio ed esperibilità, ex art. 9, comma 1, l. n. 898 del 1970, dell’azione diretta alla revisione della misura e delle modalità dell’assegno medesimo, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, 136; M. GrONdONa, Accordi patrimoniali tra ex coniugi e assegno di divorzio: un precedente?, in Nuova Giur. Comm., 2002, I, 347; A. saBatiNi, Sulla proponibilità di domande nuove nella fase di reclamo del giudizio di revisione delle condizioni divorzili, in Giur. It., 2001, I, 1367; S. MerellO, Assegno divorzile: presupposti per la revisione, in Fam. e dir., 2000, 588; F. sCardulla, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, 3a ed., Milano, 1996, 868 ss.; M. fiNOCChiarO, Revoca del decreto che dispone la revisione dell’assegno di mantenimento, in Giur. merito, 1991, I, 19; F. saNtOsuOssO, Il matrimonio, 3a ed., Torino, 1989, 394, e L. BarBiera, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, in Comm. al cod. civ., a cura di sCialOJa e BraNCa, Bologna-Roma, 1979, 388 ss.

12 Cfr. Cass., 4 settembre 2004, n. 17895, in www.leggiditalia.it; Cass., 28 agosto 1999, n. 9056, in Fam. e dir., 1999, 6, 579; Cass., 29 agosto 1998, n. 8654, in Fam. e dir., 1999, 74, e Cass., 21 giugno 1995, n. 6974, in Mass. Giur. It., 1995.

13 Cfr. Cass., 11 marzo 2006, n. 5378, in Corr. Giur., 2007, 2, 245, con nota di de MarzO e Cass., 26 novembre 1998, n. 12010, in Mass. Giur. It., 1998.

14 Così Cass., 23 aprile 2019, n. 11177, in Ced Cassazione, 2019; in senso conforme v. Cass., 14 gennaio 2020, n. 506, in www.leggiditalia.it; Cass., 13 gennaio 2017, n. 787, in Ced Cassazione, 2017; Cass., 20 giugno 2014, n. 14143, in Ced Cassazione, 2014; Cass., 2 maggio 2007, n. 10133, in Ced Cassazione, 2007, e Cass., 13 febbraio, 2006, n. 3018, in Ced Cassazione, 2006.

15 Così Cass., 23 aprile 2019, n. 11177, in Ced Cassazione, 2019; in senso conforme v. Cass., 13 gennaio 2017, n. 787, in Ced Cassazione, 2017; Cass., 20 giugno 2014, n. 14143, in Ced Cassazione, 2014; Cass., 02 maggio 2007, n. 10133, in Ced Cassazione, 2007, e Cass., 13 febbraio, 2006, n. 3018, in Ced Cassazione, 2006. La giurisprudenza è costante nel ritenere che i giustificati motivi di cui all’art. 9, l. div., siano soltanto fatti sopravvenuti e, pertanto, che il giudice della revisione “non può procedere ad una nuova e autonoma valutazione dei presupposti o dell’entità dell’assegno in base ad una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta con la sentenza divorzile”: in questo senso, da ultimo, v. Cass., 13 gennaio 2017, n. 787, cit., ma anche Cass., 18 luglio 2013, n. 17618, in Ced Cassazione 2013, e Cass., 11 settembre 2007, n. 19065, in Fam. e dir., 2008, 343, con nota di Natali, La necessità dell’autonoma disponibilità di “mezzi adeguati” nella variazione dell’assegno divorzile ma anche, con riferimento all’identica regola prevista dagli artt. 156 c.c. e 710 c.p.c. per i capi patrimoniali della sentenza di separazione, cfr. E. VullO, Procedimenti in materia di famiglia, nel Commentario del c.p.c., diretto da ChiarlONi, BolognaRoma, 2011, sub art. 710, 351 s.

16 Cfr. Cass., 9 gennaio 2020, n. 174, in www.leggiditalia.it.; Cass., 28 febbraio 2018, n. 4768, in www.leggiditalia.it; Cass., 3 febbraio 2017, n. 2953, in Ced Cassazione, 2017, e Cass., 29 dicembre 2011, n. 30033, in Ced Cassazione, 2011.

17 Così Cass., 20 gennaio 2020, n. 1119, cit.

18 Così, Cass., 20 gennaio 2020, n. 1119, cit.; in senso conforme v. Cass. sez. unite, 12 febbraio 2019, n. 4135, in Ced Cassazione, 2019; Cass., 23 aprile 2019, n. 11178, in Ced Cassazione, 2019; Cass., 13 settembre 2018, n. 22345, in Ced Cassazione, 2018; Cass., 18 luglio 2016, n. 14634, in Ced Cassazione, 2016; Cass., 24 marzo 2014, n. 6862, in www.leggiditalia.it; Cass., 3 settembre 2013, n. 20172, in Ced Cassazione, 2013 e Cass., 11 marzo 2013, n. 5962, in Ced Cassazione, 2013.

19 Cfr. Cass. sez. unite, 11 luglio 2018, n. 18287, cit.

20 Così Cass., 20 gennaio 2020, n. 1119, cit.

21 Così, F. daNOVi, Assegno di divorzio e irrilevanza del tenore di vita

matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già definiti, in Fam. e dir., 2017, 7, 667 s.