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La pratica collaborativa. Nuovi orizzonti per la risoluzione delle controversie nel diritto di famiglia

autore: M. Marena - I. Simoni

Sommario: 1. Le origini della pratica collaborativa. - 2. Le peculiarità. - 2.1. Il lavoro di squadra e interdisciplinarietà. - 2.2. Protagonismo delle parti. - 2.3. Negoziazione basata sugli interessi. - 3. I principi. - 3.1. La buona fede. - 3.2. La trasparenza. - 3.3. La riservatezza. - 3.4. Il mandato limitato. - 4. L’accordo di partecipazione. - 5. Conclusioni.



1. Le origini della pratica collaborativa



I termini “avvocato collaborativo” e “diritto collaborativo” sono stati utilizzati per la prima volta dall’Avvocato Stuart G. Webb nel 1990 il quale, in un’appassionata lettera indirizzata ad un Giudice presso la Suprema Corte del Minnesota1 , descrisse la sua idea di metodo di risoluzione del conflitto familiare. L’Avvocato collaborativo, nella visione di Webb, era (ed oggi è diventato) un professionista che ha ricevuto dal proprio cliente il solo incarico di ricercare e raggiungere un accordo seguendo il modello collaborativo. Il Diritto collaborativo, invece, rappresenta il fondamento giuridico e pratico posto, appunto, a base di questo metodo. L’idea di Webb nasceva dalla sua maturata consapevolezza che, per raggiungere un accordo, all’avvocato fosse necessario, prima di tutto, uscire dagli schemi della dialettica avversariale tipica delle aule giudiziarie e (ri)attribuirsi un ruolo, tanto difficile quanto entusiasmante, il ruolo del negoziatore creativo, capace cioè di guardare al di là delle pretese del proprio cliente e di trovare soluzioni che soddisfacessero i bisogni più profondi, in quanto tali destinate a dar vita ad accordi giusti, tempestivi, efficaci e positivi. Per fare questo l’avvocato collaborativo era chiamato a sviluppare ulteriori abilità e competenze oltre a quelle, per così dire, tradizionali. Altra considerazione da cui muoveva il pensiero di Webb era che nella Mediazione, quale strumento di risoluzione alternativa dei conflitti, la parte spesso non era rappresentata da un proprio avvocato di fiducia (almeno sino a quando la mediazione non fosse terminata) e questo rappresentava un vulnus cui il modello di diritto collaborativo poneva rimedio, prevedendo la contemporanea presenza di diverse figure professionali. Il pensiero di Stuart Webb ha trovato nel tempo diffusi consensi e, in alcuni Stati, ha addirittura ottenuto riconoscimento normativo2 . In Italia è approdato oltre una decina di anni fa3 con il nome di Pratica Collaborativa (termine precedentemente coniato in California in considerazione della natura interdisciplinare dell’approccio) e da allora numerosi professionisti (avvocati, dottori commercialisti e esperti di salute mentale) si sono formati al modello collaborativo e lo praticano sempre più diffusamente. La Pratica Collaborativa nasce, dunque, come metodo alternativo alla risoluzione dei conflitti in applicazione originaria e preferenziale nel diritto di famiglia, che rappresenta un ambito di intervento costituito in parte da elementi oggettivi, ma prevalentemente da elementi soggettivi: le relazioni intime e interpersonali tra i componenti della famiglia che, nel momento della rottura, si trovano in conflitto. Relazioni che non trovano spazio e forma per essere accolte ed adeguatamente valorizzate nell’ambito del percorso giudiziario.

Non vi è quindi dubbio che la crisi della famiglia si affronta e si risolve meglio con il dialogo piuttosto che con la contrapposizione e la decisione autoritativa di un terzo4 . La Pratica Collaborativa offre uno strumento per valorizzare la relazione interpersonale tra le parti in conflitto, con attenzione a quegli elementi di forza che hanno per un certo tempo fatto funzionare la famiglia, nell’ambito di un percorso strutturato che risponde a chiari principi restituendo alle parti un ruolo attivo nelle decisioni riguardanti il loro modus vivendi. È l’essenza della resilienza come capacità di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà.



2. Le peculiarità



La Pratica Collaborativa si connota per alcune peculiari caratteristiche che rappresentano la “cifra stilistica” di questo metodo. Si tratta di quegli aspetti di cui scriveva Stuart Webb nella sua lettera quando immaginava un modello di ADR capace di portare ad “accordi giusti, tempestivi, efficaci e positivi”.



2.1. Lavoro di squadra e interdisciplinarietà



Una delle peculiarità della pc è data dal lavoro sinergico di un team di professionisti. Del team fanno parte gli avvocati, che sono avvocati specificamente formati alla Pratica Collaborativa e alle sue tecniche, fra cui tecniche di negoziazione, di comunicazione e di gestione del conflitto. Di particolare rilievo il ruolo dell’avvocato nel team collaborativo, laddove la principale funzione di tutelare gli interessi del proprio assistito informandolo su quelli che sono i suoi diritti per renderlo consapevole delle proprie scelte, si arricchisce del dovere di “collaborare” fattivamente con gli altri professionisti, mettendo in campo ulteriori competenze ed energie al fine di accompagnare il proprio assistito e, in un rapporto di reciproca collaborazione tra tutti, di fatto aiuta entrambe le parti nella ricerca e nel raggiungimento di un accordo, che non sia vantaggioso solo per una, ma possa soddisfare in egual misura entrambe, mettendo sempre al centro i figli. Oltre agli avvocati, il più delle volte, della squadra fa parte il c.d. Facilitatore della comunicazione o coach, vale a dire un esperto delle relazioni la cui funzione è quella di guidare parti ed avvocati lungo il percorso assicurandosi che venga sempre mantenuto il focus sulle questioni separative e su quelle ritenute fondamentali dalle parti nonché facilitando, appunto, la comunicazione. Il Facilitatore non svolge la funzione di un terapeuta, ma raccoglie la parte fragile ed emotiva che arriva dalla coppia restituendo solo il pezzo utile alla negoziazione. Vi sono poi altre figure eventuali. Il caso specifico può, infatti, richiedere il contributo di un esperto finanziario o di un esperto dell’età evolutiva. Mentre l’avvocato esercita la sua funzione a tutela del proprio assistito, Facilitatore ed esperti sono professionisti neutrali nel senso che agiscono nell’interesse di entrambi e da entrambi vengono ricompensati. Ogni professionista sottoscrive un accordo con le parti riguardante gli impegni assunti e i compensi spettanti.

Una volta stabilito chi fare entrare nel team e sottoscritti i rispettivi accordi inizia il vero e proprio lavoro di squadra. Da quel momento, infatti, si realizza una comune convergenza di tutti i professionisti verso un unico obbiettivo e cioè la ricerca di un accordo soddisfacente per entrambe le parti e duraturo. Prima e dopo gli incontri collegiali, che avvengono alla presenza delle parti, dei loro avvocati e delle altre figure professionali coinvolte caso per caso, si svolgono incontri tra il team dei professionisti volti, rispettivamente, a preparare la riunione successiva ovvero a confrontarsi sulla riunione appena conclusasi. Ciascun avvocato incontra comunque, separatamente e ogni volta che ce ne sia la necessità, il proprio cliente per raccoglierne esigenze e impressioni, così da comprendere se il percorso sta procedendo positivamente e se necessario introdurre dei correttivi. Per tutta la durata della Pratica Collaborativa il team si impegna affinché le parti si sentano a proprio agio e non giudicate, si sentano libere di potere esprimere i propri pensieri, bisogni e richieste. Si abbattono in questo modo molte barriere e tutti si preoccupano di ascoltare e comprendere a fondo la situazione per poi giungere a fissare i punti realmente importanti su cui basare l’accordo. Grazie alla concomitante presenza di tutti, parti, avvocati e facilitatore, è possibile trattare gli argomenti stabiliti sotto ogni punto di vista senza il timore di pregiudizio per qualcuno. Anche eventuali situazioni di impasse possono essere risolte grazie alla collaborazione e al continuo supporto del team. Ciascun membro del team, infatti, mette in campo tutte le proprie specifiche competenze per far si che le parti siano nella migliore condizione per negoziare; si impegnano, in altre parole, a creare la cornice ottimale per la ricerca ed il raggiungimento di un’intesa. Il contributo dato da ciascun professionista collaborativo e l’approccio multidisciplinare di questo metodo consentono, inoltre, di superare quegli ostacoli ancora oggi irrisolti in altre forme di ADR.



2.2. Protagonismo delle parti



Grazie a questo clima di collaborazione e questo lavoro di squadra, le parti sono e si sentono al centro della scena oltre che protagoniste assolute delle decisioni riguardanti la loro vita e quella dei loro figli. Sono le parti che parlano, con la guida e l’aiuto del facilitatore, e sono le parti che decidono, con la guida e l’aiuto dei propri avvocati. Un momento molto importante ed imprescindibile di questi incontri è lo spazio che si dà al diritto. Per potere decidere consapevolmente, infatti, le parti devono sapere cosa dice la legge e quali prospettive offrirebbe loro un eventuale contenzioso. In conclusione, nella Pratica Collaborativa le parti hanno la possibilità di partecipare in prima persona al negoziato, ma con la garanzia che deriva a ciascuna dalla presenza del proprio avvocato, dal supporto dato dal ruolo del facilitatore e dalle utili informazioni che derivano dagli eventuali ulteriori esperti.



2.3. Negoziazione basata sugli interessi



In stretta connessione con le peculiarità sopra descritte si pone un’ulteriore caratteristica della Pratica Collaborativa, quella di ricercare e perseguire gli interessi delle parti, laddove per interessi si intendono i bisogni fondamentali sottesi alle pretese avanzate. Una cosa, infatti, sono le richieste formulate dai coniugi (mantenimento, assegnazione della casa familiare ecc.) e altra cosa sono i bisogni e gli interessi posti alla base di esse. Si vuole una cosa perché così la si nega all’altro, si vuole una cosa perché spetta di diritto, si vuole una cosa per sentirsi gratificati; in tutti questi casi fare emergere la reale natura del bisogno che sta dietro la richiesta, consente di indirizzare la ricerca dell’accordo verso le effettive esigenze di ciascuna parte abbandonando strade che porterebbero ad accordi effimeri. L’esempio tipico è quello dell’assegnazione della casa coniugale: pretendere l’assegnazione della casa non significa necessariamente che si desideri veramente continuare a vivere in quel luogo. Compito del team di professionisti è, quindi, anche quello di aiutare le parti a fare emergere i loro reali interessi e ciò sarà possibile proprio grazie a quel clima di fiducia e trasparenza che metterà gli interessati nella condizione di parlare liberamente aprendosi a soluzioni del tutto inaspettate sino a quel momento. Tornando all’esempio della casa, una volta che la parte si sarà resa conto, grazie al lavoro del team, che non è in quella casa che vuole vivere perché è piena di ricordi o perché è attaccata alla casa della suocera o per altre ragioni, in quel momento, sarà pronta a valutare di trasferirsi altrove ampliando così lo spettro delle possibilità di raggiungere un accordo. Per potere svolgere questo ruolo gli avvocati collaborativi devono essere negoziatori5 e avere, quindi, acquisito competenze nell’ambito delle tecniche di negoziazione ed in particolar modo della negoziazione basata sugli interessi6 .



3. I Principi

I principi su cui si fonda la pratica collaborativa sono: la buona fede, la trasparenza, la riservatezza ed il mandato limitato7 .



3.1. La Buona Fede



La buona fede è considerata un principio ispiratore di tutto il percorso collaborativo e deve orientare sia la comunicazione tra i partecipanti alla negoziazione sia il loro comportamento. Circa le modalità di comunicazione di ciascuna parte al tavolo collaborativo, ciò di fatto si traduce nell’uso di un linguaggio (verbale e non verbale), rispettoso e non aggressivo o minaccioso, in un comportamento leale e trasparente, con disponibilità alla collaborazione e condivisione. Particolare rilievo assume nel metodo collaborativo il concetto di lealtà8 non solo con riguardo alla buona fede, ma come “fedeltà all’impegno collaborativo” che include la collaborazione verso un risultato che soddisfi gli interessi di entrambe le parti9 . D’altro canto, invece, il canone di buona fede come regola di condotta si traduce in una serie di divieti e obblighi:

– divieto di coartare l’altra parte attraverso comportamenti inidonei, come ad es. minacciare di ricorrere all’autorità giudiziaria;

– divieto di approfittarsi di errori dell’altra parte;

– obbligo di mantenere inalterato lo stato patrimoniale individuale o della famiglia nel corso del procedimento collaborativo.

L’attuazione in concreto del principio di buona fede favorisce e rafforza un clima di reciproca fiducia tra le parti e facilita dunque il lavoro di negoziazione.



3.2. La trasparenza



Nella pratica collaborativa la parola d’ordine è condividere qualsiasi informazione, qualsiasi documento rilevante a prescindere da una specifica richiesta. Deve intendersi rilevante tutto ciò che è potenzialmente capace di influenzare le scelte o le decisioni dell’altra parte. E così anche in caso di dubbio circa l’influenza di una informazione sulle potenziali scelte dell’altra parte, l’informazione andrà condivisa10. Tutto questo consolida un clima di reciproca fiducia. Quello della trasparenza è un obbligo di particolare importanza e incisività del metodo collaborativo11, un tempo peculiarità del solo processo collaborativo, ma che via via ha acquistato spazio e valore nelle varie opzioni procedurali, stragiudiziali e giudiziali, volte alla risoluzione di una controversia. L’evoluzione del dovere di trasparenza, quale valore aggiunto e necessario a disporre di ogni informazione utile alla decisione finale ha avuto e sta avendo un’evoluzione positiva persino in giudizio12. Scopo della trasparenza è di mettere in condizione ciascuna parte di avere piena consapevolezza di tutti gli elementi necessari e utili a prendere le giuste decisioni in merito alla propria vita. Altro aspetto peculiare dell’obbligo di trasparenza è rappresentato dalla funzione di garanzia svolta da ciascun avvocato nei confronti dell’altra parte: l’avvocato infatti si impegna espressamente a rinunciare al mandato qualora il proprio cliente si rifiuti di condividere un’informazione rilevante. Compito dell’avvocato è quello di accompagnare il proprio cliente nella condivisione delle informazioni rilevanti, non di condividere egli stesso in luogo del cliente, verso il quale mantiene invece un’obbligazione di riservatezza13.

La logica della negoziazione collaborativa basata sulla trasparenza è nuova rispetto alle tradizionali strategie processuali che si basavano su una valutazione di opportunità di produrre documenti solo se funzionali alla difesa14, ma che si stanno via via aprendo a maggiori produzione e informazioni.



3.3. La riservatezza



Il terzo principio della Pratica Collaborativa è la riservatezza, che integra e completa la trasparenza. Infatti, le parti che si affidano alla Pratica Collaborativa e aderiscono alla Trasparenza devono poi poter contare su un contesto protetto e sicuro nel quale possano sentirsi libere di condividere informazioni e documenti capaci di orientare le proprie decisioni15. Al pari dell’obbligo di trasparenza dunque le parti assumono un preciso obbligo a non utilizzare informazioni e documenti riservati di cui sono venute a conoscenza durante il procedimento collaborativo in un eventuale futuro giudizio. L’impegno alla riservatezza si declina:

1. nell’utilizzo di accorgimenti pratici nel corso della pratica volti a rispettare il dovere di trasparenza e al contempo a tutelare la riservatezza, come ad es. usare sempre la dicitura riservato personale sui documenti mostrati e/o scambiati, cancellare alcuni elementi documentali per non fornire appigli probatori in un eventuale giudizio, redigere verbali delle riunioni in forma sintetica e senza riferimenti al contenuto della negoziazione; 2. nel peculiare divieto agli avvocati collaborativi, esteso anche agli altri professionisti del team, di assistere i rispettivi clienti nell’eventuale futuro giudizio, qualora la pratica collaborativa venisse interrotta senza il raggiungimento dell’accordo;

3. nell’obbligo per le parti a non citare come testimoni i professionisti del team.



3.4. Il mandato limitato



È il perno della Pratica Collaborativa e si traduce nell’obbligo per gli avvocati che assistono le parti in una pratica collaborativa di ritirarsi dal caso se la pratica collaborativa non dovesse portare all’accordo: gli avvocati non potranno dunque assistere le parti in un eventuale giudizio contenzioso che le veda contrapposte16. L’avvocato collaborativo, con una clausola inserita nell’Accordo di Partecipazione assume un incarico “limitato” alla sola fase della negoziazione secondo il metodo collaborativo che gli consentirà poi di formalizzare gli accordi raggiunti nelle opportune sedi giurisdizionali, ad esempio attraverso un ricorso congiunto in tribunale ovvero un accordo di negoziazione assistita: è esclusa dall’incarico qualsiasi attività di tipo contenzioso. Il mandato limitato apre e al contempo chiude il cerchio dei principi della Pratica Collaborativa poiché rappresenta l’elemento di novità che incentiva parti e professionisti a perseguire l’accordo con ogni ragionevole sforzo, consolida il clima di fiducia e protegge la riservatezza.



4. L’accordo di partecipazione



I principi sopra descritti sono tutti enunciati in un documento, il c.d. Accordo di partecipazione alla Pratica Collaborativa17, e le parti, id est i due coniugi/partners, sottoscrivendo tale accordo si impegnano a rispettarli. La firma dell’accordo ha la funzione sia di responsabilizzare i “contraenti”, sia di rafforzare il loro intento di risoluzione del conflitto. La sottoscrizione dell’Accordo di Partecipazione rappresenta il momento iniziale del procedimento collaborativo e sino a quando non sarà stato sottoscritto non si potrà parlare di Pratica Collaborativa. Per iniziare un percorso di questo tipo, occorre, infatti, essere e sentirsi al sicuro. Oltre ai suddetti principi, l’Accordo di Partecipazione contiene l’impegno delle parti a porre in essere tutti gli sforzi possibili per cercare soluzioni che mettano al centro i figli e i loro bisogni e a tenere condotte rispettose del ruolo genitoriale dell’altro. Potrà essere stabilito che, in caso di necessità, le parti di comune accordo coinvolgano uno specialista del bambino o un esperto di relazioni familiari. L’Accordo di Partecipazione contiene, altresì, delle indicazioni di tipo metodologico e delinea il perimetro entro cui le parti e i professionisti incaricati potranno muoversi. Viene così precisato quale sia il momento iniziale della Pratica Collaborativa e quali fatti possano portare alla sua conclusione o alla sua interruzione; viene, altresì, definito il ruolo degli avvocati e degli altri professionisti collaborativi. L’accordo di Partecipazione sarà, infine, sottoscritto anche dagli avvocati i quali, come detto sopra, si impegneranno a non assumere incarichi a favore e contro le parti in caso di mancata riuscita della Pratica collaborativa.



5. Conclusioni



È in atto ormai da tempo un processo di trasformazione del “Pianeta Giustizia”. Di questa trasformazione fanno parte anche gli avvocati, chiamati, in modo sempre più incalzante, ad interrogarsi sul futuro della professione e sulle sue prospettive. Crediamo che, per l’avvocato, una direzione possa essere quella di allargare il proprio sguardo anche oltre l’orbita del processo e di esplorare al contempo anche nuove galassie senza timore, ma con il desiderio di continuare a rendere un servizio che sia al passo coi cambiamenti e con la richiesta sempre più pressante di una giustizia non solo equa ma anche efficace. In quest’ottica la Pratica Collaborativa, nell’ambito delle ADR, a seconda delle circostanze e in base al caso concreto, può rappresentare una valida opportunità per le parti in conflitto. L’avvocato di famiglia che riceve per la prima volta un cliente lo informerà sulle possibili alternative di gestione del conflitto, a partire dalla prima distinzione tra soluzioni giudiziali e stragiudiziali per poi arrivare a elencare tutti i possibili rimedi in ambito extragiudiziale (fra cui: trattativa tradizionale fra avvocati, mediazione familiare, pratica collaborativa, negoziazione assistita e, in taluni specifici casi, coordinazione genitoriale).

Ogni ipotesi prospettata al cliente, fra quelle non contenziose, presenterà, a seconda del caso concreto, degli aspetti di maggiore positività o di criticità ed è per questo che sarà molto importante cogliere a fondo sin da subito le caratteristiche del caso specifico per valutare a pieno quale possa essere la soluzione migliore.

La Pratica Collaborativa, sfruttando le potenzialità di un team interdisciplinare di professionisti, facilita la negoziazione di un accordo che tenga conto di tutti gli interessi coinvolti, non solo economici, ma anche e soprattutto di salvaguardia dei figli e delle relazioni.

NOTE

1 Stuart Webb’s Letter to Justice Keith, February 14, 1990, in M. sala, C. MeNiChiNO (a cura di), La pratica collaborativa: dialogo fra teoria e prassi, Milano, 2017, in Appendice, 435 ss.

2 Successivamente al riconoscimento normativo in molti Stati degli USA sono state emanate le Uniform Collaborative Law Rules e lo Uniform Collaborative Law Act. In Canada, cfr. Resolution 12-03-A Canadian Bar Association dell’1112.08.2002. In Australia, cfr. Collaborative Practice in Family Law del Family Law Council, December 2006.

3 f. daNOVi, Crisi della famiglia e giurisdizione: un progressivo distacco, in Famiglia e Dritto, 2015, 11, 1043; M.N. BuGetti, Nuovi modelli di composizione della crisi coniugale tra Collaborative Law e tutela della libertà negoziale, in Nuova Giur. Civ., 2013, 5, 20269; M.N. BuGetti, Il Divorzio Collaborativo in Italia: riflessioni a proposito di una nuova prassi, in Famiglia e Diritto, 2009, 10, 937.

4 G. serVetti, Ricordo di Irene Bernardini, Milano, 28 luglio 2016.

5 Cfr. Cass. civ., sez III, 27 marzo 2019 n. 8473: “La novella del 2013... segna anche la progressiva emersione di una figura professionale nuova, con un ruolo in parte diverso e alla quale si richiede l’acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale e umano inclusa la capacità di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche”.

6 r. fisher, W. ury, B. pattON, L’arte del Negoziato, Milano, 2005.

7 M. sala, C. MeNiChiNO (a cura di), La pratica collaborativa: dialogo fra teoria

e prassi, Milano, 2017, 53 ss.

8 f. daNOVi, Lealtà e trasparenza nei processi di famiglia, in Riv. Dir. Proc., 2017, 3, 588.

9 sala, MeNiChiNO, op. cit., 55, 90.

10 s. aBNey, Civil Collaborative Law: The Road Less Travelled, Trafford Publishing, 2011, ed. Kindle, 160; S.G. WeBB, r. Ousky, The Collaborative Way to Divorce. The Revolutionary Method That Result in Less Stress, Lower Costs, and Happier Kids Without Going to Court, London, 2006, 15 ss.;

11 Circa il ruolo importante di una piena disclousure nel procedimento collaborativo in materia familiare, cfr. O. aNastasi, Il divorzio collaborativo, Ascoli Piceno, 2013, 75.

12 Ad es., il Tribunale di Bologna fin dal provvedimento di fissazione dell’udienza presidenziale, nella cause di separazione e divorzio, dispone per le parti l’obbligo di produrre i modelli fiscali relativi all’ultimo triennio; presso il Tribunale di Milano le parti nei procedimenti in materia di famiglia unitamente agli atti introduttivi devono allegare un dettagliato modulo intitolato “Dichiarazione relativa ai redditi patrimonio” con tutti i documenti richiesti in adesione alle “Linee Guida per la redazione degli atti processuali in materia di famiglia” sottoscritte il 14 marzo 2019 da Corte d’Appello di Milano, Tribunale di Milano, Ordine degli Avvocati di Milano e Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ispirate espressamente ai principi della disclosure, di verità e di trasparenza “per consentire al giudice di venire a conoscenza di tutte le informazioni reddituali e patrimoniali necessarie per adottare una decisione equa anche in punto di condizioni economiche.

13 Art. 6 legge professionale forense (segreto professionale); gli articoli del codice deontologico: art. 13 (dovere di segretezza e riservatezza), art. 28 (riserbo e segreto professionale).

14 f. daNOVi, Lealtà e trasparenza nei processi di famiglia, in Riv. Dir. Proc., 2017, 3, 588.

15 Cfr. WeBB, Ousky, op. cit., 17; C. MarCuCCi, La pratica collaborativa, relazione al Consiglio Direttivo Nazionale dell’AIAF del 6-7 luglio 2013, in www. praticacollaborativa.it.

16 N.J. CaMerON, Collaborative Practice: Deepening the Dialogue, II ed., Nancy J. Cameron, 2014; Pratica collaborativa, approfondiamo il dialogo. Un percorso innovativo nei conflitti familiari, ed. it., a cura di C. MOrdiGlia, Milano, 2016, 8 s.

17 AA.VV.,Lapraticacollaborativa.Dialogofrateoriaeprassi,acuradiM.sala, C. MeNiChiNO, cit. in Appendice, 439 ss.