inserisci una o più parole da cercare nel sito
ricerca avanzata - azzera

Profili deontologici del rapporto avvocato-minore nelle procedure giudiziali e negoziali inerenti la crisi familiare

autore: B. M.Santoro

Sommario: 1. Premessa. Il ruolo del minore in seno alle crisi delle relazioni familiari. - 2. Difesa tecnica del minore: quando e perché. - 3. L’avvocato del minore. - a) L’avvocato del minore in ambito penale. - b) L’avvocato del minore nel processo civile. - 4. Avvocato e minore nel conflitto familiare



1. Premessa.



Il ruolo del minore in seno alle crisi delle relazioni familiari Prima di intraprendere l’analisi delle doverose condotte che si impongono all’avvocato il quale, nell’espletamento del suo mandato, a vario titolo, entri a contatto con soggetti minori, appare opportuno effettuare delle brevi premesse. In primis è di tutta evidenza che il minore non possa più considerarsi mero oggetto della incondizionata volontà dei genitori ma persona, al pari di ogni altro individuo, portatrice di istanze, desideri e bisogni cui occorre dar voce, specialmente qualora siano in atto situazioni di conflitto familiare. Il soggetto giuridico in minore età, in origine destinatario delle decisioni altrui, è oggi considerato protagonista della propria sfera soggettiva e titolare di un “interesse preminente” che reclama tutela. Parimenti, è assodato che, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte1 , la qualificazione del minore come “parte in senso sostanziale”2 nell’ambito delle controversie giudiziali inerenti la crisi familiare impone, affinché non possano dirsi violati i principi del contraddittorio e del giusto processo, che ne venga disposto l’ascolto a pena di nullità – salvo che il mancato adempimento sia sorretto da espressa motivazione ad opera dell’organo giudicante3 . L’ascolto, quale esplicazione della sua posizione di persona umana in età evolutiva, “perde i connotati strettamente istruttori di conoscenza dei fatti, e diventa uno strumento difensivo del minore all’interno del processo”4 .



2. Difesa tecnica del minore: quando e perché



Il nostro ordinamento riconosce al minore la qualità di parte in senso formale e, conseguentemente, il necessario e doveroso diritto a fruire di una difesa tecnica nel processo, soltanto in talune e tassative ipotesi.

Di recente, invero, ex art. 18, l. 47/2017 è stato previsto che i minori stranieri non accompagnati hanno diritto ad essere informati della possibilità di nominare un difensore e di ricorrere al patrocinio a spese dello Stato. Nell’ambito del procedimento di adottabilità, il minore deve giovarsi della assistenza legale ab initio: qualora non sia già stato designato un rappresentante tecnico, spetta al giudice provvedere in tal senso nominando un difensore d’ufficio5 senza che ciò comporti una compressione della responsabilità genitoriale, bensì quale rimedio processuale al conflitto di interessi, allo scopo di non vanificare il principio del contraddittorio. Ne consegue, in mancanza della assistenza legale del minore, la nullità del relativo procedimento. Allo stesso modo, nei procedimenti de potestate, ex art. 336 ult. co. c.c., così come modificato dal d.P.R. 115/2002, viene prevista la presenza di un difensore del minore6 , sempre nel rispetto dei principi del contraddittorio, considerato che il minore si trova in una posizione contrapposta a quella degli esercenti la responsabilità che hanno violato i loro doveri verso di lui. E ciò anche nel caso in cui il procedimento riguardi solo uno dei genitori, potendo, in astratto, anche l’altro assumere in giudizio una posizione contrastante con l’interesse del figlio. Nella prima ipotesi, è di tutta evidenza che la necessità di far assistere il minore da un difensore nasca dalla particolare posizione di vulnerabilità in cui versa il minore straniero non accompagnato, atteso che lo stesso risulta essere privo di assistenza o rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento. Invero, spesso si tratta di minori in sosta nel nostro Stato, che vengono a trovarsi in una “zona di invisibilità” a causa della mancanza di documenti ed ai quali, nonostante siano entrati irregolarmente nel territorio nazionale, viene riconosciuta la titolarità di tutti i diritti sanciti dalla Convenzione di New York che impone di tenere in conto come considerazione preminente il superiore interesse del minore, in tutte le questioni che li riguardino. Nelle altre due ipotesi, ovvero quella della adozione e della responsabilità genitoriale, il ricorso alla difesa tecnica si spiega in virtù del fatto che si tratta di contesti processuali in cui il conflitto tra minori e genitori è ravvisabile in re ipsa. Infatti, se il giudice fosse tenuto a valutare, caso per caso, se l’interesse del minore sia adeguatamente tutelato da uno o da entrambi i genitori, si assisterebbe, in buona sostanza, ad una anticipazione del giudizio. La verifica della sussistenza del conflitto va, quindi, compiuta in astratto ed ex ante, indipendentemente dagli atteggiamenti e/o dalle difese concretamente assunte dalle parti in seno al processo. Anche la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che non è necessaria l’evidente ricorrenza di sintomi indicativi dell’effettività del conflitto d’interessi, in quanto anche una situazione di conflitto potenziale va egualmente rimossa a titolo precauzionale7 . Avuto riguardo ai diritti processuali riconosciuti al fanciullo dagli ordinamenti sovranazionali e, in particolar modo, all’art. 5 della Convenzione di Strasburgo, si scorge un panorama ben più vasto e interessante, laddove viene garantito al minore il diritto di partecipare al processo a mezzo di un avvocato ogniqualvolta il suo interesse sia oggetto di quel processo. Mancando, tuttavia, una analoga previsione nell’ambito del diritto interno, al fine di consentire una seppur mediata forma di tutela processuale al minore, l’unico mezzo di cui potersi giovare è quello di nominare come curatore del minore un avvocato, realizzando così di fatto “una rappresentanza tecnica seppur fondata su una difesa tecnica gratuita”8 . Senza volersi soffermare oltre su detto argomento che, di per sé, meriterebbe e richiederebbe ampia trattazione, occorre tuttavia rilevare che in siffatte ipotesi viene a crearsi una erronea commistione fra i due ruoli che, invece, dovrebbero essere mantenuti ben distinti in quanto “il dire che il minore sia nel processo rappresentato legalmente è una cosa, il dire che il minore sia nel processo rappresentato tecnicamente è una cosa diversa”9 .



3. L’avvocato del minore



Prima di affrontare il delicato tema dei profili deontologici inerenti l’espletamento del mandato nei confronti di un cliente minore d’età, appare opportuno fare una brevissima considerazione di carattere pratico. Invero, se nel sistema della giustizia penale minorile, quella della difesa tecnica del minore è una insindacabile realtà, quanto, invece, alla sua introduzione nei procedimenti civili minorili, essa è limitata ai soli procedimenti de potestate e di adottabilità e si deve alla l. n. 149/2001, entrata in vigore soltanto nel 2007, in applicazione del principio del giusto processo ex art. 111 Cost. ed in linea con i principi della Convenzione di Strasburgo del ’96. Volendo tralasciare ogni critica contestazione in ordine al trascurabile margine di applicazione offerto alla rappresentanza tecnica del minore in materia civile, si rende tuttavia necessario sottolineare che nulla è stato previsto in relazione alla preparazione ed alla formazione del difensore del minore, ed ai principi a cui il medesimo deve ispirarsi nell’assolvimento del proprio incarico. Lo stesso codice deontologico forense italiano, allo stato, non contempla alcuna norma specifica sui doveri del difensore del minore. A ben vedere, il soggetto minore di età è nominato soltanto in quattro articoli: l’art. 56, concernente il delicato tema dell’ascolto; gli artt. 18 e 57, relativi ai rapporti con gli organi di informazione; e, infine, l’art. 68 che sancisce il divieto di assunzione di nuovi incarichi contro una parte già assistita nell’ambito di controversie familiari in successive controversie aventi la medesima natura. Avendo riguardo, invece, alla disciplina sovranazionale, si deve alla Convenzione di Strasburgo il merito non soltanto di aver attribuito rilievo processualistico alla rappresentanza tecnica del minore laddove si discuta di un interesse giuridicamente protetto del minore stesso, bensì anche di avere enucleato i doveri deontologici cui il difensore deve adempiere, ovvero obblighi di informazione, di rispettare l’opinione del minore, di non assecondare interessi conflittuali delle altre parti. Qualora ci si trovi a vestire i panni di avvocato del minore, si renderà necessario, pertanto, procedere alla concreta individuazione – tra le fonti interne ed internazionali – delle regole di condotta da osservare, operando una doverosa distinzione tra processo civile e penale.



a) L’avvocato del minore in ambito penale



Nell’analizzare quale siano le regole di condotta da seguire per il difensore del minore coinvolto in un processo penale occorre innanzitutto richiamare quanto previsto dall’art. 56, III c., c.d.f. secondo cui colloqui, assunzione di informazioni o dichiarazioni tra avvocato e minore (imputato, parte offesa o testimone), devono avvenire previo formale invito rivolto a chi esercita la responsabilità genitoriale ad intervenire all’atto, nonché alla obbligatoria presenza dell’esperto (uno psicologo), quando il minore sia persona offesa del reato ovvero negli altri casi previsti dalla legge, tenendo in debito conto che si tratta di soggetti sensibili che percepiscono forse più degli adulti l’imbarazzo, la reticenza ed i timori di chi si rivolge loro10. Avuto riguardo, invece, ai canoni cui improntare un corretto rapporto tra avvocato del minore ed organi di stampa/comunicazione (artt. 18 e 57 c.d.f.) essi devono ispirarsi ai criteri dell’equilibrio, della misura, della moderazione, della discrezione e del riserbo. Previo consenso del proprio assistito ed in funzione dei suoi stessi interessi il difensore può svolgere comunicazioni con organi di informazione, avendo cura di non rivelare ciò che sia coperto dal segreto d’indagine, di astenersi da qualsivoglia dequalificante protagonismo mediatico, e di non spendere il nome del proprio assistito, mantenendone, anzi, l’anonimato. Occorre, dunque, prendere le mosse dalla posizione processuale assunta in giudizio dal cliente: vittima o reo. Qualora il minorenne vesta i panni dell’imputato, altra questione preliminare da affrontare riguarda la capacità di discernimento del minore che l’avvocato, anche prima del giudizio, ha facoltà di appurare a mezzo della nomina di un consulente. Il sistema penale minorile, infatti, si basa sul concetto di responsabilità, ex art. 98 c.p., secondo il quale un minore può essere perseguito penalmente solo se imputabile ovvero se, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto quattordici anni ma non ancora diciotto, e se aveva la capacità di intendere e di volere. Può accadere che il cliente avanzi richieste che possono apparire contrastanti con il suo interesse: in tale eventualità, l’alternativa possibile è quella di dismettere il proprio mandato o di richiedere la nomina di un curatore speciale affinché, anche per il tramite di esperti incaricati dall’avvocato stesso, si possano prendere in considerazione la volontà ed il supremo interesse del minore. Ciò posto, il cliente minorenne ha diritto di difendersi e di essere difeso in tutti i modi consentiti dall’ordinamento: ha facoltà di tacere e può mentire senza incorrere in sanzioni. In tali circostanze si pone, tuttavia, un problema di carattere principalmente etico e morale, piuttosto che giuridico, per il difensore, atteso che è in gioco lo sviluppo esistenziale di una persona non adulta che ha commesso un fatto di reato quale espressione di malessere o disagio, di una difficoltà nello sviluppo psicofisico e che, pertanto, necessita di intraprendere un processo di tipo educativo. La negazione dell’accusa come modello di difesa, infatti, può risolversi in un esempio diseducativo per il giovane reo, mentre rispettare il dovere di verità, può indurre il minorenne che abbia compiuto fatti di una certa rilevanza a fare i conti con quanto commesso ed a ricostruire o costruire la propria personalità11. Ciò sollecita inevitabilmente la difesa ad un approccio molto più complesso, al fine di individuare la soluzione migliore: il difensore è l’interlocutore privilegiato della realizzazione di un progetto educativo che ha come fine il recupero del soggetto dalla personalità in formazione. A tal fine è suo dovere individuare la strategia processuale che possa assicurare il miglior recupero del minore, impostare e mantenere un dialogo nei confronti tanto dei servizi sociali quanto dei familiari coinvolti nel processo di recupero, nonché agevolare, nel minore, la comprensione della valenza educativa del processo e delle misure adottate nel suo esclusivo interesse. Occorre, altresì, che dia il buon esempio e – agendo sempre nel pieno rispetto dei principi di difesa, del giusto processo e del contraddittorio – tenga a sua volta un comportamento improntato alla correttezza ed al rispetto verso la/le persone offese, evitando l’uso di espressioni offensive e sconvenienti, soprattutto nella conduzione dell’esame del testimone, anche con le particolari modalità dell’incidente probatorio e dell’audizione protetta (vedi art. 52, 55, VIII c., 63, II c., c.d.f.)12. Quanto, invece, all’ipotesi in cui il minore sia persona offesa dal reato, l’approccio che l’avvocato deve intraprendere nei confronti del proprio assistito deve essere improntato alla massima comprensione della vittima ed incentrato sulla capacità di ascolto. Occorre che sappia ispirare fiducia ed affidabilità, ponendo le domande necessarie solo una volta ottenuto il racconto della vicenda ed astenendosi dall’esprimere giudizi o valutazioni di natura morale. E’, altresì, di primaria importanza che l’avvocato ottemperi al fondamentale dovere d’informazione (art. 27 c.d.f.). Una volta ricostruita la vicenda, oltre a fornire alla vittima le informazioni di cui all’art. 90-bis c.p.p., occorre che spieghi bene quali possono essere gli sviluppi processuali ed extra processuali (non di meno il coinvolgimento psicologico) di una denuncia/querela. A tal fine, nell’assicurare la qualità della prestazione professionale non solo con competenza e diligenza, ma anche con coscienza (art. 12 c.d.f.), deve rappresentare le conseguenze di azioni “inutilmente” gravose o meramente strumentali all’ottenimento di vantaggi pratici ed economici nella causa civile e, addirittura, di false denunce (cfr. art. 24, IV-V-VI c., c.d.f.). Deve illustrare la legislazione in materia di reati in ambito familiare e le speciali aggravanti (artt. 577, u.c., c.p., in relazione al reato di lesioni personali; 582 c.p. e 61, n. 11-quinquies, c.p.), facendo rilevare che la relativa contestazione rende poi le querele – anche per fatti di minore gravità – non più rimettibili. A tal proposito deve, pertanto, far comprendere bene alla persona offesa la differenza tra fatti-reato procedibili a querela di parte, per cui è sempre possibile la remissione, in ogni stato e grado del processo, e quelli procedibili d’ufficio. È suo compito indicare quali siano gli strumenti di protezione possibili, rappresentando la rilevanza e le conseguenze delle misure cautelari che possono essere adottate nei confronti dell’aggressore, misure che costituiscono forme di limitazione della libertà personale, quali la custodia in carcere, l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima. Deve, altresì, mettere al corrente il cliente della possibilità, per la persona offesa dai reati di violenza sessuale, maltrattamenti contro familiari e conviventi e stalking, di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dai limiti di reddito. Orbene, sia che il cliente minore d’età si trovi a dover fare i conti con i propri errori, sia che si tratti di una vittima incolpevole, in ogni caso la tutela del suo interesse e dei suoi diritti rappresenta l’obiettivo primario cui ogni professionista non può sottrarsi, non soltanto per svolgere al meglio l’incarico assunto ma anche per evitare che vengano causati danni irreparabili. Ed al perseguimento di tale obiettivo non pare possa tendere un difensore che non sia munito di una adeguata formazione specialistica richiesta – non soltanto al difensore d’ufficio, come previsto ex lege, bensì – anche al difensore di fiducia, atteso che ex art. 14 c.d.f. l’avvocato è chiamato ad assicurare la qualità delle prestazioni professionali e a non accettare incarichi che non sia in grado di svolgere con adeguata competenza.



b) L’avvocato del minore nel processo civile



Il mandato difensivo nell’interesse di una persona che, come il minore, non ha il libero esercizio dei suoi diritti e molto spesso nemmeno la conoscenza e la consapevolezza dei diritti che l’ordinamento gli garantisce, comporta per l’avvocato l’assolvimento di compiti inediti, considerata la specificità della situazione13. Purtuttavia, se le ipotesi in cui la difesa tecnica in ambito civile viene assicurata e garantita al minore sono davvero poche, ancor meno sono le regole deontologiche che l’avvocato difensore del minore è chiamato ad osservare nell’espletamento del mandato. Premesso che i doveri di diligenza, competenza e di aggiornamento professionale (artt. 12, 14 e 15 c.d.f.) sovrastano e condizionano ogni altra regola, nella materia del diritto minorile si impone altresì all’avvocato di adottare comportamenti e cautele volte a salvaguardare l’equilibrio psico-fisico dei minori, il che implica l’acquisizione di una serie di conoscenze anche in campo socio-psico-pedagogico nonché l’acquisizione di tecniche di mediazione, negoziazione e comunicazione14. In attuazione dei generali principi di indipendenza e di fedeltà (artt. 9 e 10 c.d.f.), deve tendere esclusivamente alla tutela degli interessi del proprio assistito, mantenendo altresì riservati fatti e informazioni acquisiti, che non siano altrimenti deducibili nel processo avvalendosi delle medesime fonti di conoscenza (art. 13 c.d.f.). Nel codice deontologico vigente, unica norma esclusivamente rivolta al rapporto tra avvocato e minore è l’art. 56 che, nel disciplinarne l’ascolto, al primo comma, fa divieto all’avvocato di procedervi, senza il previo consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale, a meno che non sussista un conflitto di interessi tra le parti. In tale ipotesi, come si è già avuto modo di precisare, viene nominato un curatore speciale che, se avvocato, oltre a rappresentarlo, lo difende in giudizio o lo assiste in sede negoziale e contrattuale ed è tenuto necessariamente a sentire il fanciullo, sempre che ciò non risulti contrario all’interesse di quest’ultimo (ex art. 10 Conv. Strasburgo). In relazione alle modalità di ascolto, soprattutto con riferimento all’eventuale presenza di un esperto, spetta allo stesso avvocato decidere, avuto riguardo all’età ed alla capacità di discernimento del minore, se procedervi direttamente ovvero se avvalersi dell’ausilio di un tecnico esperto in psicologia, il cui supporto non può mai essere inteso come riconoscimento di una “incompetenza” da parte del difensore, bensì come un ausilio finalizzato a cogliere la effettiva volontà del proprio assistito, stante la sua conoscenza delle dinamiche dell’età evolutiva15. Richiamando quanto già sopra esposto in ordine ai rapporti con gli organi di informazione, appare opportuno approfondire in che cosa consista l’onere di “assicurare l’anonimato dei minori”. Certamente si tratta di qualcosa di più che non comunicarne il nome. Non è sufficiente, infatti, un atteggiamento di mera astensione dal riferirne i dati anagrafici; l’adempimento a tale dovere implica piuttosto una condotta attiva finalizzata ad evitare in ogni caso che si possa individuare il minore, se del caso grazie all’accostamento di altri particolari (vengono pertanto in rilievo, sotto questo aspetto, anche il dovere di segretezza di cui all’art. 15 c.d.f., nonché il dovere/diritto di riserbo e segreto professionale di cui all’art. 28, c.d.f.)16.

Da ultimo, ex art. 68, V c., c.d.f. l’avvocato che abbia assistito il minore in controversie familiari è tenuto sempre ad astenersi dal prestare la propria attività professionale in favore di uno o entrambi i genitori in successive controversie aventi la medesima natura e viceversa, e ciò a differenza dell’assunzione di un incarico in ogni altro settore del diritto civile, lì dove vi è un vincolo temporale limitato ad un biennio dalla cessazione del rapporto professionale. La violazione dei predetti divieti importa l’irrogazione della sanzione della sospensione disciplinare per un arco temporale che può variare da due mesi a tre anni, a seconda delle circostanze del caso concreto (art. 68, VI c., c.d.f.). Come è stato sapientemente osservato, ad essere messo in luce è stato principalmente il profilo sanzionatorio, mentre sarebbe stato preferibile indicare le condotte da tenere per assicurare la migliore efficienza del processo e, dunque, della giustizia, nell’interesse anche dei minori17.



4. Avvocato e minore nel conflitto familiare



L’avvocato che si occupa di diritto di famiglia è chiamato ad assolvere ad una funzione sociale che si estrinseca nel tutelare le esigenze dell’intero nucleo familiare, valutando attentamente le possibili conseguenze che dal proprio agire possono derivare a tutti i soggetti coinvolti. Invero, anche quando assista il genitore (o uno dei nonni) in una controversia familiare, si trova di fatto a svolgere un ruolo di garanzia nei confronti dei minori, i quali costituiscono la parte debole della famiglia18, ed è suo dovere tentare di far capire e comprendere al proprio cliente che in quella precisa controversia è necessario non porre in essere azioni che possano rivelarsi lesive nei confronti dei figli (o nipoti)19. È dunque indispensabile che abbia una grande capacità di ridefinizione – tanto sotto il profilo etico quanto sotto quello giuridico – delle richieste del proprio assistito, evitando la strumentalizzazione dei minori e cercando di non esasperare, anzi di contenere, la conflittualità fra i coniugi-genitori, assumendo per così dire il ruolo di “mediatore di affetti”. Deve, appunto, responsabilizzare i coniugi20, sollecitandoli a rispettare il dovere di leale cooperazione e collaborazione nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini della decisione, nonché invitarli ad adempiere all’onere di trasparenza, finalizzato a palesare la propria posizione economica e personale, fornendo nel procedimento anche elementi contrari al proprio personale interesse, pur di conformarsi al principio di responsabilità genitoriale, atteso che, prima di essere coniugi sono genitori21. Si tratta di precetti che, pur non enucleati esplicitamente in alcun testo normativo, trovano conferma nella prassi giurisprudenziale: in tal senso viene in rilievo la pronuncia resa dal Tribunale di Milano22che attribuisce al difensore “non solo il dovere ma invero l’obbligo di svolgere un ruolo protettivo del minore, arginando il conflitto invece che alimentarlo… atteso che, quando l’avvocato stipula un contratto di patrocinio con un genitore per assisterlo in un procedimento minorile in cui sono coinvolti i figli, di fatto perviene alla conclusione di un ‘contratto ad effetti protettivi verso terzi’ ove terzi sono i figli”. L’avvocato familiarista è tenuto, dunque, ad assumere comportamenti ancor più rigorosi e attenti sotto il profilo deontologico, ispirandosi ad un “superiore criterio di responsabilità etica e sociale”23. Venendo, poi, a considerare quanto espressamente previsto dal nostro codice deontologico in merito ai rapporti tra avvocato del genitore e minore, occorre fare ancora una volta riferimento all’art. 56 che, al comma 2, impone il dovere di astensione – nei procedimenti familiari che lo vedano coinvolto (ad es. separazione o divorzio) – da ogni forma di “colloquio o contatto con i figli minori del proprio assistito”, sulle circostanze oggetto della controversia, condotta la cui violazione è punita con la sanzione della sospensione24. E ciò in quanto, in siffatte circostanze, invece di preservare la serenità del minore e di tenerlo, per quanto possibile, al di fuori dalle dinamiche conflittuali dei genitori lo si catapulterebbe all’interno di una realtà, spesso drammatica, rendendolo vittima impotente dell’immaturità degli adulti o arbitro delle liti tra i propri genitori25. È di tutta evidenza quanto possa risultare pericoloso e dannoso per l’equilibrio del minore un colloquio intrattenuto con l’avvocato di uno dei genitori parti del conflitto, il quale, in spregio di ogni regola etica e deontologica, potrebbe porre domande suggestive volte ad avvalorare la tesi difensiva del proprio assistito o, addirittura, nei casi più gravi, spingersi a suggerire al minore i contenuti di eventuali risposte da fornire all’organo giudicante in sede di audizione. Sebbene al di fuori delle questioni attinenti al giudizio sembrerebbe comunque consentito intraprendere un colloquio, tuttavia appare più prudente astenersi da qualsiasi contatto col minore, onde evitare lo sconfinamento del dialogo, magari sollecitato dallo stesso minore, su temi connessi al giudizio in corso26. Generalizzare ed estendere il divieto appare strumentale a tutelare il diritto del minore di esprimersi senza condizionamenti nelle questioni che lo riguardano, esclusivamente innanzi ad un soggetto terzo, ossia il Giudice e/o l’esperto27. Altro dovere cui è tenuto l’avvocato delle relazioni familiari è quello di favorire, ove possibile, la risoluzione dei conflitti al di fuori delle aule giudiziarie, valorizzando e promuovendo gli istituti della negoziazione assistita e della mediazione ed attenendosi alle prassi collaborative che trovano supporto nei protocolli adottati nei vari tribunali. Sciolto ogni ipotetico dubbio sulla applicabilità dell’art. 56 c.d.f. anche all’istituto della negoziazione assistita28 che ha del tutto trascurato il tema dell’ascolto, il problema che si pone, li dove l’accordo tra i genitori coinvolga inevitabilmente i diritti dei figli minori, riguarda la validità dello stesso in ambito comunitario e, dunque, la spendibilità del relativo titolo esecutivo all’interno dell’UE, atteso che ex art. 23 del Regolamento dell’UE n. 2003/2201 le decisioni relative alla responsabilità genitoriale che siano state assunte in difetto dell’ascolto del minore non sono riconosciute. A fronte, quindi, di un divieto imposto dal Codice deontologico di procedere all’ascolto dei minori ma innanzi alla contestuale limitata valenza che il perfezionamento dell’accordo possa avere in ambito sovranazionale in mancanza di tale puntuale adempimento, le soluzioni prospettate in dottrina sono state molteplici. Vi è chi sostiene che gli avvocati negoziatori, insorte difficoltà per comporre una questione inerente un minore (collocamento, affidamento, diritto di visita, ecc.) tali da necessitare il suo ascolto, dovrebbero interrompere la negoziazione e rimettere la controversia di fronte al Giudice affinché proceda all’ascolto del minore29. Vi è chi prospetta che, considerato che ai sensi dell’art. 315- bis c.c. il diritto all’ascolto del minorenne ha come principali destinatari i genitori, dovranno essere questi ultimi a procedervi e a dare atto in modo esplicito, all’interno dell’accordo, di avere interpellato entrambi il minore, ottenendone una sostanziale adesione ai suoi contenuti30. In tale ipotesi, tuttavia, permane la difficoltà di rilevare se sussista o meno un conflitto di interessi tra le parti, il che implicherebbe la necessità di procedere alla nomina di un curatore speciale. Altri, ancora, ritengono che la sola possibilità di dar seguito al diritto all’ascolto del minore sia quella di affidare il compito di provvedervi al p.m., precisando, altresì, che, ove questi non dovesse dare l’autorizzazione all’accordo e la procedura proseguisse davanti al Presidente del Tribunale, occorrerebbe ugualmente assicurare il diritto di ascolto del minore31. A parere di chi scrive, la soluzione più consona al problema è data dalla possibilità di prevedere che all’ascolto si proceda delegandone l’adempimento ad un esperto psicologo o pedagogista, previa concorde espressa autorizzazione dei genitori, dando poi, atto, all’interno dell’accordo, delle modalità con cui si è svolto l’ascolto e della opinione espressa dal minore, previa redazione di un processo verbale nel quale descriverne il contegno ed indicare le parti intervenute32. Da ultimo, sempre nell’ottica di favorire la risoluzione stragiudiziale della situazione conflittuale insorta tra i coniugi, nel caso in cui l’avvocato, avendone il relativo titolo, agisca in veste di mediatore familiare, premesso che dovrà svolgere tale incarico garantendo la propria competenza professionale all’interno dei requisiti dettati da tale professione, è bene, altresì, precisare che, secondo quanto previsto dallo Statuto della Associazione italiana mediatori familiari, non potrà porre in essere attività legali, neppure nell’ambito di casi a lui sottoposti come mediatore familiare in passato33.

NOTE

1 Cfr., ex multiis, Cass. civ., sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22238, in https://dejure.it/ (consultato il 24 febbraio 2020); Cass. civ., sez. I, 15 maggio 2013, n. 11687 con nota di G. saVi, L’atto processuale dell’ascolto, in Avvocatidifamiglia, 2013, 3.

2 In dottrina, per parte formale si intende il soggetto che può beneficiare di tutte le prerogative e garanzie del giusto processo; è parte in senso sostanziale il soggetto che, pur non partecipe della dinamica degli atti processuali in quanto non rientrante nel novero dei soggetti a ciò legittimati, risulta tra i destinatari del provvedimento che lo conclude, onde per cui il giudicato materiale si esprimerà anche sulle particolari situazioni di cui è titolare. Sul punto cfr. G. ruffiNi, Il processo civile di famiglia e le parti: la posizione del minore, in Dir. Fam. Pers., 2006, 1257; f. daNOVi, Il processo di separazione e divorzio, Milano, 2015, 152.

3 SS.UU., 22238 del 2009 già cit. La mancata audizione, tuttavia, non determina automaticamente la nullità processuale bensì occorre verificare in concreto le ragioni di tale esclusione. Sul punto cfr. Cass. civ., I sez., 4 aprile 2012, n. 21662 e 12 maggio 2016, n. 9780, in https://dejure.it/ (consultato il 24 febbraio 2020). Cfr. Cass. civ., sez. I, 17 maggio 2012, n. 7773, in https://dejure.it/ (consultato il 24 febbraio 2020), secondo cui: “I provvedimenti in materia di affidamento dei figli non possono consistere in forzate sperimentazioni nel corso delle quali le reali e attuali esigenze della prole vengono sacrificate al tentativo di conformare i comportamenti dei genitori a modelli tendenzialmente più maturi e responsabili, ma contraddetti dalla situazione reale già sperimentata. A tal fine, l’audizione del minore, da parte del giudice, non solo consente di realizzare la presenza nel giudizio del figlio, in quanto parte sostanziale del procedimento, ma impone, certamente, che il giudice tenga conto degli esiti di tale ascolto, salvo valutazioni difformi adeguatamente motivate in rapporto al grado di discernimento attribuito al minore”.

4 C. CeCChella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, Torino, 2018, 46.

5 Vd. artt. 8, IV c. e 10, legge 28 marzo 2001, n. 149, Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile. Il procedimento di adottabilità “deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti” entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore. All’atto dell’apertura del procedimento, il Presidente del Tribunale per i Minorenni invita i genitori (o, in mancanza, i parenti) a nominare un difensore, informandoli della nomina di un difensore d’ufficio nel caso non vi provvedano; i successivi artt. 15 e 16 fanno riferimento al tutore ovvero al curatore speciale del minore (a cui, “ove esistano”, deve essere notificata la sentenza che dichiara lo stato di adottabilità). Viene così introdotta in Italia, per la prima volta, la figura del difensore d’ufficio in un procedimento civile.

6 Si badi bene, nelle controversie sullo status filiationis, la presenza dell’avvocato del minore non è imposta a pena di nullità, atteso che nessuna norma obbliga alla difesa tecnica. Sul punto cfr. M. laBriOla, L’avvocato del minore, in L’osservatorio sul diritto di famiglia. Diritto e processo, 2018, 1/2, 151: “La riluttanza dei giudici all’applicabilità effettiva dell’ultimo comma dell’art. 336 c.c. ha comportato, sino ad oggi, una fondamentale violazione delle garanzie processuali del minore”.

7 Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8803, in https://dejure.it/ (consultato il 24 febbraio 2020).

8 Sul punto cfr. CeCChella, Diritto, cit., 45.

9 Sul punto cfr. CeCChella, Diritto, cit., 43-44.

10 a. suCCi, L’ascolto del minore e i rapporti dell’avvocato con gli organi di informazione, in Rassegna Forense, 2014, 1, 46.

11 G. CapONe, Avvocato minorile e interesse del minore, in Profiling. I profili dell’abuso, n. 1, marzo 2016, in https://www.onap-profiling.org/ (consultato il 24 febbraio 2020).

12 Cfr. Ordine avvocati Milano, giugno 2017, Vademecum “Deontologia professionale nel diritto di famiglia: ruoli, condotte, obblighi, divieti dell’avvocato”, in https:// www.ordineavvocatimilano.it/ (consultato il 24 febbraio 2020).

13 Vd. M.G. alBierO, B.M. saNtOrO, Deontologia dell’avvocato familiarista, in Avvocatidifamiglia, 2015, 2, 15.

14 Cfr. art. 1, Codice etico dell’avvocato delle relazioni familiari, Aiaf Friuli Venezia Giulia-COA di Pordenone, Marzo 2018, in https://aiaf-avvocati.it/friuli-venezia-giulia/ (consultato il 24 febbraio 2020).

15 G. VaCCarO, I canoni degli avvocati per l’ascolto del minore. L’art. 56 del nuovo codice deontologico, 10 febbraio 2014, in http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/

dirittoCivile/famiglia/ (consultato il 24 febbraio 2020).

16 A tal proposito viene in rilievo la pronuncia del CNF (Pres. Alpa, Rel.

Morlino) del 30 settembre 2011, n. 150 in https://www.codicedeontologico-cnf. it/ (consultato il 24 febbraio 2020), con cui è stato rigettato il ricorso avverso decisione C.d.O. di Pordenone del 14 aprile 2009: “In materia di corretto rapporto tra il professionista e gli organi di stampa, pone in essere un comportamento contrario agli obblighi imposti dalla normativa deontologica il professionista che intrattenga con la stampa un crescente rapporto, consentendo la divulgazione di notizie relative al mandato difensivo conferito dal cliente. La deontologia forense ha uno dei suoi pilastri fondamentali nella tutela della riservatezza del rapporto avvocato-cliente, che impone al primo il vincolo di tenere riservata la stessa esistenza del rapporto, con particolare riguardo alla trattazione/esternazione dell’oggetto del mandato difensivo. Il rispetto di tale vincolo da parte dell’avvocato costituisce condizione imprescindibile per la realizzazione del diritto costituzionale del cittadino a difendersi, tanto più quanto, come nella specie, la vicenda resa nota alla stampa, già di per se particolarmente delicata, veda coinvolta una persona minore”.

17 F. Canova, Gli obblighi deontologici dell’avvocato familiarista nell’ascolto del minore, in https://www.bolognaforense.net/ (consultato il 24 febbraio 2020).

18 Ord. Trib. Milano, sez. IX civile, 23 marzo 2016, est. G. Buffone, in https:// dejure.it/ (consultato il 24 febbraio 2020): “Nei procedimenti di famiglia, dunque, l’avvocato è difensore del padre o della madre; ma certamente è anche difensore del minore. Qualunque sia la sua posizione processuale”.

19 A tal proposito vd. Cass. civ., sez. un., 26 maggio 2011, n. 11564, in https://dejure.it/ (consultato il 24 febbraio 2020): “In tema di responsabilità disciplinare degli avvocati, il comportamento dell’avvocato che si adoperi al fine di consentire al proprio assistito, nell’ambito della controversia con l’altro coniuge, di disfarsi dell’immobile costituente la casa familiare, vanificando, in tal modo, il diritto delle figlie minori della coppia di abitarvi e sottraendo l’unica fonte di possibile soddisfacimento dei loro diritti familiari, è contrario ai doveri deontologici e non ha nulla a che vedere con la tutela del legittimo diritto di difesa del cliente”.

20 l. leGati, La tutela dei figli minori ancor prima del diritto di difesa del cliente: i doveri deontologici dell’avvocato matrimonialista, in http://www.ordineavvocati.bari. it/ (consultato il 24 febbraio 2020).

21 Cfr. ord. Pres. Trib. Genova 2007, secondo cui: “In altro tipo di procedimento, la reticenza della parte su elementi di fatto non favorevoli sarebbe del tutto fisiologica; ma nelle controversie matrimoniali il principio costituzionale della pari dignità morale e giuridica dei coniugi introduce il principio opposto dell’obbligatoria trasparenza di ciascuno dei coniugi rispetto alla propria posizione patrimoniale, il comportamento di uno dei coniugi che tenta di celare all’altro l’esistenza di un cespite di reddito costituisce comportamento processuale valutabile dal giudice come elemento di giudizio”.

22 Ord. Trib. Milano, sez. IX civile, 23 marzo 2016, est. G. Buffone, in https:// dejure.it/ (consultato il 24 febbraio 2020).

23 M. CaNONiCO, La deontologia dell’avvocato matrimonialista, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, rivista telematica, 2015, 13, 20 aprile 2015, in https:// www.statoechiese.it/ (consultato il 24 febbraio 2020).

24 Sul punto cfr. Cass. civ., sez. un., 4 febbraio 2009, n. 2637, in https:// dejure.it/ (consultato il 24 febbraio 2020) a conferma della decisione del CNF, n. 17/2008, in cui è stato sanzionato con la sospensione l’avvocato che nell’esercizio del suo ministero di difensore, nel caso di un giudizio di separazione tra coniugi, “nell’interesse della propria assistita abbia intrattenuto colloqui con i figli minori della coppia all’insaputa del padre affidatario e in violazione delle disposizioni specialmente impartite dal giudice nell’interesse dei minori stessi”.

25 M. saNtiNi, L’avvocato matrimonialista: un codice etico?, 6 febbraio 2015, in www.altalex.com/ (consultato il 24 febbraio 2020).

26 M.e. CasaraNO, Ascolto del minore: la deontologia dell’avvocato, 11 agosto 2014, in https://www.laleggepertutti.it/ (consultato il 24 febbraio 2020).

27 G. NapOlitaNO, Il codice deontologico e la sua applicazione nelle misure di definizione alternativa dei processi, con particolare riguardo a separazione e divorzi, in http://www.movimentoforense.it/, 26 settembre 2015 (consultato il 24 febbraio 2020); s. BOrsaCChi, La legge n. 162 del 10 novembre 2014 e le “novità” della deontologia dell’avvocato protagonista della negoziazione assistita nella separazione e nel divorzio, in Negoziazione assistita nella separazione e divorzio, Rimini, 2016, 192.

28 Non è mancata taluna voce isolata che ha sostenuto il contrario, argomentando che la disposizione in questione fosse inserita all’interno del Titolo IV, dedicato ai “doveri dell’avvocato nel processo” e che, pertanto, fosse concettualmente difficile considerare la negoziazione assistita al pari di un “procedimento giurisdizionale”, data l’opposta finalità di “degiurisdizionalizzazione”. A contrario, cfr. BOrsaCChi, La legge, cit.; s. CiaMBOtti, Gli obblighi deontologici nella negoziazione assistita in materia di famiglia, incontro di studi su La deontologia nella negoziazione assistita, Firenze, 15 luglio 2016.

29 BOrsaCChi, La legge, cit.

30 M.G. ruO, I figli nella negoziazione assistita in materia matrimoniale: minorenni, maggiorenni non indipendenti economicamente, incapaci e disabili gravi, in Negoziazione assistita nella separazione e divorzio, Rimini, 2016, 113-127.

31 a. Carratta, Negoziazione assistita in materia matrimoniale e disciplina generale: problemi applicativi, in Negoziazione assistita nella separazione e divorzio, Rimini, 2016, 47-64.

32 In tal senso si sono espressi ruO, I figli, cit., 123 e CeCChella, Diritto, cit., 309.

33 Cfr. Statuto AIMeF, art. 18 Standard di condotta professionale, lett. f) Competenza professionale e responsabilità legali, in https://www.aimef.it/statuto (consultato il 24 febbraio 2020).