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La culpa in educando: il bullismo e il cyberbullismo

autore: M. Labriola

Sommario: 1. La nuova rilevanza dei sentimenti e la percezione soggettiva del timore nell’attuale legislazione. - 2. Il bullismo e il cyberbullismo. - 3 La culpa in educando: l’art. 2048 c.c. e la responsabilità “diretta”. - 4. Rapporti tra giudizi civile e penale: dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della prova e risarcimento del danno. - 5 La querela dell’ultraquattordicenne.



1. La nuova rilevanza dei sentimenti e la percezione soggettiva del timore nell’attuale legislazione



La Corte di Cassazione, II sez. pen.1 , con un recente provvedimento, è tornata a decidere su di un tema che da sempre affligge le famiglie. Il caso è quello di un imputato minorenne che, condannato per il reato di bullismo, ricorre in Cassazione sostenendo che non vi sia il “rischio di reiterazione” della condotta dal momento che il ragazzo senegalese da lui vittimizzato si è trasferito in altro istituto scolastico e “quindi avrebbe difettato il pericolo concreto della ripetizione delle medesime offese nei suoi confronti”; per il persecutore, comunque, si è di fronte al pericolo del ripresentarsi, del tutto eventuale, di una condotta futura. Ma, con un accorgimento etico, oltre che giuridico, la S.C. sottolinea come “tali modalità rinviano a un tratto criminale non occasionale, pronto a ripetersi nell’ipotesi non remota in cui C. avesse a che fare con altri giovani migranti”. La difesa dell’imputato avrebbe dovuto, quindi, tener conto sia del patema e della sofferenza che il contegno del suo assistito aveva prodotto nei confronti di chi aveva subito le vessazioni, sia dell’origine culturale e dell’impulso discriminatorio nel cui ambito era stato commesso il reato che aveva danneggiato un ragazzo diverso perché extracomunitario. Il tecnicismo delle norme e le attenuanti del reato vanno necessariamente comparate con l’entità della sofferenza prodotta nella vittima. D’altronde, anche nel reato di stalking, art. 612- bis c.p. – talvolta cumulato con quello di bullismo – è tenuto in primaria considerazione il sentimento di esasperazione e prostrazione percepito che non viene esaminato attraverso le indagini cliniche, ma in relazione alla sensibilità soggettiva della vittima2 . La campagna sociale e legislativa di sensibilizzazione contro la svalutazione dei sentimenti e delle sensibilità delle vittime, che è al fondo dei reati su indicati, così come emerge dalla nuova normativa sulla violenza contro le donne o il femminicidio, ha reso protagoniste, in un certo senso, le emozioni negative e le paure. Si è diventati più attenti di fronte ad un animo ferito. Infatti, come già evidenziato, l’art. 612-bis c.p.3 dà rilievo a quel comportamento che cagiona “un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Il 18 giugno 2017, è entrata in vigore la legge n. 714 . Sul bullismo ed il cyberbullismo è passata alla Camera la proposta di legge modificativa che indica le misure per le vittime e si pone l’o biettivo di educare al rispetto e alle emozioni per contrastare il fenomeno5 . È evidente che, come per il reato di stalking, è la percezione soggettiva di offensività che va valutata ed analizzata, perché è di certo più invasiva e devastante in persone con particolare fragilità psicofisica. Sul punto, il Tribunale di Rovereto6 ha previsto la cumulabilità dei due reati, stalking e bullismo, commessi in danno di un ragazzino che, dopo aver subito violenza da parte dei compagni, ha manifestato una fragilità psichica attraverso uno scompenso psicotico, forse connaturato alla sua particolare struttura psicologica. In tale ipotesi, il giudice ha ben saputo interpretare la condizione di sofferenza soggettiva tenendo conto della importanza della singola percezione personale ed ha condannato i responsabili secondo gli usuali criteri del danno biologico. Si prenda, ad ulteriore esempio, la recente normativa sulla prevenzione della violenza alle donne, il c.d. codice rosso, che presta particolare attenzione alla formazione sia della collettività, partendo dalla scuola, sia delle forze dell’ordine per modificare il passo sul rispetto della dignità e dei sentimenti delle persone fragili7 . Infine, non va trascurato quel rilevante movimento di pensiero che ha condotto, inizialmente in altri Stati europei, poi in Italia, a rileggere la pena non più come afflittiva ma in termini riparativi8 . La proposta della riparazione della lesione prodotta, introdotta da mediatori e giuristi, ha un connotato filosofico, si intreccia alla coscienza del perdono ed al superamento della sofferenza. Anche nella pratica della giustizia riparativa, quindi, si parla di sentimenti9 .



2. Il bullismo e il cyberbullismo



L’aspetto più interessante della sentenza penale citata nel precedente paragrafo è che attribuisce, al pericolo della reiterazione della condotta, non già il rischio che possa attuarsi nello stesso contesto e nei confronti della medesima vittima, bensì il fatto che si sia in presenza di “una condotta di tale obiettiva gravità quale quella seguita da C., tanto più odiosa in quanto realizzata unitamente ad altri, fra cui un maggiorenne, nei confronti di un adolescente in difficoltà a causa dell’età e di una integrazione non compiuta, sia in concreto ripetibile nei confronti di chi si trovi in condizioni analoghe, ricavandosi tale presunzione dalla durata e dalla insidiosità di quella oggetto del procedimento”10. Quindi, rileva il taglio della personalità, della cultura e della educazione impartita dalla famiglia. Il bullismo, infatti, è un reato associato ai minorenni11. Indubbiamente, in ambito scolastico, il fenomeno appare più prepotente, tuttavia non si può sottovalutare quanto possa essere presente anche in contesti determinati più o meno estesi quali i quartieri, le comitive di adolescenti, le comunità che ospitano i ragazzi ed altri ambiti in cui sono presenti i giovani12. Di recente, è stato ritenuto, altresì, più preoccupante il connesso fenomeno denominato cyberbullismo13, attesa l’inafferrabilità delle conseguenze che può comportare una diffusione web. La indagine conoscitiva su bullismo e cyberbullismo14 ha condotto alle seguenti conclusioni: nel caso del bullismo si è di fronte a prepotenze subite da coetanei, sia bambini sia adolescenti, con modalità intenzionale, reiterata e in condizione di subalternità psicologica. Per quanto riguarda, invece, il cyberbullismo, l’uso dei nuovi mezzi di comunicazione, telefoni cellulari – incluse le varie possibili applicazioni per essere “sempre connessi” – e i computer possono integrare una forma di offensività, ancor più pericolosa perché subdola, dietro cui celarsi. Anche questo si manifesta attraverso: invio di messaggi offensivi, insulti o foto umilianti tramite sms, e-mail, diffuse in chat o sui social network, allo scopo di molestare una persona per un periodo più o meno lungo. Si noti come, a differenza del reato di bullismo, che presuppone la pericolosità di un comportamento di violenza e persecuzione perpetuato nel confronto fisico e personale, per cui la reiterazione è uno degli elementi identificativi del fenomeno, nel cyberbullismo la misura della lesione risiede nella amplificazione e dilatazione che scaturisce dalla diffusione in rete attraverso cui la divulgazione della offesa non ha né spazio né tempo. Da parte di alcuni studiosi si è riscontrato come la vittima, che non fa nulla per provocare la reazione dell’altro, possa avere anch’essa delle risposte di aggressività superiori rispetto a chi agisce la sopraffazione, in ciò il bambino o il ragazzo persecutore controlla meglio le proprie pulsioni, quasi con cinismo, con più freddezza”15. È ormai certo che i problemi nelle relazioni tra pari sono strettamente associati ad un’ampia gamma di disturbi psichiatrici”16. Orbene, come già sottolineato, nel cyberbullismo questo scontro vis a vis non c’è. Per comprendere la diversità del fenomeno, tra bullismo e cyberbullismo, è necessario darne delle definizioni, partendo dal dato dell’avvento del web. Il bullismo si manifesta in due modalità comportamentali: la prima mette in moto la fisicità e la parola (modalità c.d. diretta), mentre la seconda si esprime attraverso maldicenze, isolamento sociale e manipolazione dei rapporti di amicizia della vittima (modalità c.d. indiretta)17. Il cyberbullismo, invece, consente di agire senza esporsi in prima persona, senza correre i rischi a ciò connessi, per tale motivo è un fenomeno ampiamente diffuso18. Entrambe le illecite condotte hanno in comune l’adolescenza, in quanto, in tale fase della vita, ciascuno passa dalla relazione con i genitori a quella, molto significativa, con i coetanei19. Il confine tra i reati di bullismo, di cyberbullismo e di stalking, talvolta è assai labile. La Corte di Cassazione ha affermato come fosse applicabile, anche in ambito scolastico, una condanna ai sensi dell’art. 612-bis c.p. in un caso in cui alcuni ragazzi minorenni avevano perseguitato un compagno di scuola, per oltre due anni, con violenze e feroci insulti, tanto da costringerlo ad un ricovero in ospedale, a causa di un grave stato depressivo, e a cambiare regione di residenza20. Le amicizie adolescenziali sono rilevanti e agevolano o bloccano il benessere psicologico dei ragazzi. L’adolescenza è caratterizzata da compiti evolutivi impegnativi, primo tra tutti la definizione della propria identità sociale e personale, accompagnato dal bisogno di maturare una nuova e più autonoma consapevolezza di sé fondata su un graduale processo di autodefinizione, dal bisogno di sperimentare se stessi in un ambiente fisico e sociale più ampio rispetto ai limitati spazi dell’infanzia. Va ricordata una delle più celebri frasi sull’amarezza vissuta nell’adolescenza contenuta nelle pagine più intense della letteratura del Novecento: “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita. Tutto congiura per mandare il giovane alla rovina: l’amore, le idee, la perdita della famiglia, l’ingresso tra gli adulti. È duro imparare la propria parte nel mondo”21.



3. La culpa in educando: l’art. 2048 c.c. e la responsabilità “diretta”



Tra i compiti genitoriali, oltre che agli impegni derivanti dalla funzione di accudimento morale e materiale, si affianca, in tema di responsabilità civile, l’onere di educare alla convivenza sociale ed al rispetto. I danni procurati ad altri, che saranno risarciti dai genitori o dai tutori, sono la diretta conseguenza della incapacità di corretti insegnamenti pedagogici verso i giovani ai sensi dell’art. 2048 c.c. Pertanto, non si è in presenza di responsabilità “indiretta” per fatto del terzo su cui vi è un obbligo di vigilanza, bensì di responsabilità “diretta” per non aver tenuto la diligenza adeguata nell’educazione dei figli. La disposizione di cui al co. 3 del medesimo articolo “le persone indicate nei commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto” induce a ritenere che l’ipotesi di cui trattasi sia qualificabile quale danno in re ipsa, attesa la difficoltà di dimostrare di aver educato la prole in modo tale da evitare un comportamento dannoso. Escludendo gli eventi fortuiti, quali un incidente che ha prodotto una lesione a danno del terzo, ma accidentali, che vedano coinvolto il minore in un’unica occasione, si esamini il caso di un comportamento da prepotente, quindi costante, la cui offensività è reiterata nel tempo. Tuttavia, i giudici di legittimità ci ricordano, come sia labile il confine tra evento occasionale e possibile reiterazione della condotta lesiva in ragione della cattiva educazione ricevuta ovvero della mancanza di vigilanza adeguata22. A titolo esem plificativo, la S.C., applicando l’art. 2048 c.c., ha ammesso la responsabilità dei genitori per i danni cagionati dal figlio minore che abitava con loro, a causa di oggettive carenze nell’attività educativa, che si manifestavano nel mancato rispetto “delle regole della civile coesistenza, vigenti nei diversi ambiti del contesto sociale in cui il soggetto si trovi ad operare”23, ancorché l’episodio lesivo fosse stato uno solo. Orbene, in tal caso, la responsabilità dell’educatore è presunta. È difficoltoso sostenere senza téma di essere stato un bravo genitore o un bravo tutore ed essere, quindi, in grado di utilizzare questo argomento per sentirsi esonerato dalla responsabilità nei confronti dei propri figli adolescenti. Sul tipo di responsabilità civile, così come previsto dall’art. 2048 c.c., permane da tempo la vexata quaestio sull’accertamento dell’esistenza o meno del nesso di causalità tra la condotta del figlio e la capacità educativa dei genitori; continua, sembra, far capolino una presunzione di colpa24. Parte della dottrina sostiene come, non essendo desumibile la culpa in educando dal testo normativo dell’art. 2048 c.c., questa sia, in realtà, una mera costruzione giurisprudenziale25. Come dicevano i latini, la prova dell’esclusione del nesso di causalità è diabolica. Nella vasta giurisprudenza di merito e di legittimità vi sono provvedimenti26 che indicano una strada a dir poco impervia, sostenendo che, poiché impossibile la prova negativa – non aver potuto impedire il fatto illecito – è necessario dimostrare di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una “vigilanza adeguata il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del minore”. La inadeguatezza dei principî educativi impartiti, ci dice la S.C.27, si ricava dal tipo di comportamento tenuto dal minore e dal grado di offensività che potrebbero far desumere un mancato adempimento dei doveri di cui all’art. 147 c.c.28. Tra i casi di esonero di responsabilità c’è quel genitore che dimostri di non convivere col minore29. Lo stesso principio vale per quanto riguarda gli educatori, quali gli insegnanti30. In tema di accertamento della colpa in vigilando da parte della scuola, tuttavia, il Trib. Bari31 ha dichiarato la responsabilità del Ministero della Pubblica Istruzione e non già dell’insegnante negligente – non legittimata passiva nel giudizio di responsabilità – poiché quest’ultima potrà essere chiamata alle proprie responsabilità nel momento in cui, eventualmente, la p.a. dovesse rivalersi nei suoi confronti in caso di condanna. Al contempo, il tribunale barese ha escluso la responsabilità dei genitori che hanno dimostrato, attraverso la testimonianza delle precedenti insegnanti della figlia, quanto i loro metodi educativi fossero adeguati e come la reazione violenta della ragazza, che aveva creato un danno fisico ad un compagno di scuola, fosse dovuta ad un fatto occasionale, cioè l’esasperazione per essere stata costantemente presa in giro da lui. Di recente la Cort. App. Catanzaro, ha rigettato il ricorso avanzato da due giovani e dai genitori del primo avverso le pronunce di primo grado che li avevano condannati al risarcimento del danno in favore di una ragazza, minorenne all’epoca dei fatti, rimasta vittima di un grave episodio di violenza sessuale perpetrato da un altro minore. I giudici territoriali, ritenute utilizzabili al riguardo le prove testimoniali e le dichiarazioni rese nel corso del processo penale in precedenza instaurato innanzi al Tribunale per i Minorenni, hanno confermato la responsabilità ex art. 2043 del codice civile dei due giovani ricorrenti, come pure quella, concorrente, dei genitori del primo ai sensi dell’art. 2048 c.c., per non avere essi fornito nel corso del giudizio la prova positiva di avere impartito al figlio una buona educazione e di avere esercitato su di lui una vigilanza adeguata, con la condanna a risarcire alla vittima i danni tutti, patrimoniali e non, da essa patiti32. Vi è un altro aspetto, più esasperato nella culpa in vigilando ed in educando, ed è quello che riguarda l’autolesionismo dei ragazzi. I campanelli di allarme sono segnali che dovrebbero essere interpretati dalla famiglia e dalla scuola. Gli adulti vivono tristi emozioni di incredulità ed ansia di fronte al mistero, difficilmente decodificabile, della suggestione del male e dell’autolesionismo; elementi che possono produrre una forte fascinazione, in particolar modo, nella fase della prima adolescenza. Il drammatico ed incontrollabile fenomeno denominato Blue Whale Challenge33, ha indotto i più giovani al suicidio quale forma di richiesta di attenzione da parte del gruppo dei pari sfidando prove sempre più dolorose ed estreme per giungere alla morte. In alcuni di questi casi è proprio la spinta al gioco da parte dei coetanei, o di alcuni adolescenti più grandi, che induce una tale sofferenza e vuoti di autostima, come per il reato di stalking, che conducono al gesto estremo del suicidio. L’esempio qui riportato, in realtà, rappresenta l’altra faccia della medaglia della assenza e disattenzione di un genitore in casa e di un insegnante a scuola. Nel caso della Balena Blu sono gli amici ed i compagni che allertano le famiglie e i genitori di chi è caduto in questa rete che, talvolta, è senza ritorno. Questa riflessione è strumentale a sottolineare quanto l’inattività di un adulto possa diventare trascuratezza penalmente rilevante, anche l’omissione in alcuni casi è reato. La disattenzione o l’inadeguatezza genitoriale possono essere paradigmatici di un comportamento omissivo di cura ed educazione, tanto da incidere, in termini giudiziari, sull’allontanamento del figlio dalla famiglia o dal genitore incapace34.



4. Rapporti tra giudizio civile e giudizio penale: dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della prova e risarcimento del danno



Recentemente la S.C.35 ha affrontato il tema, fra pena e risarcibilità del danno, del rapporto tra giudizio penale e giudizio civile in presenza di atti di bullismo. Il caso è quello di due minori, 13 e 15 anni all’epoca dei fatti, entrambi portatori di handicap. Il più grande, figlio adottivo, aveva abusato sessualmente del più piccolo e, a seguito di “messa alla prova”, il reato si era estinto. Tuttavia, la famiglia del minore abusato – padre, madre e fratello – qualche anno dopo, aveva convenuto in giudizio i genitori esercenti la responsabilità sul minore abusante, affinché fossero condannati al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 c.c. Nel costituirsi, i convenuti avevano chiamato in causa la ASL per essere manlevati ed avevano dichiarato la propria estraneità ai fatti. Il tribunale di prime cure aveva accolto l’istanza risarcitoria, ex art. 2048 c.c. – quale responsabilità indiretta e danno morale – ed aveva escluso la garanzia della ASL atteso che il compito educativo spetta soltanto ai genitori e non può essere delegato a terzi privati o a istituzioni pubbliche.

La Corte d’Appello confermava la condanna. I soccombenti in secondo grado depositavano reclamo in Cassazione. I giudici di legittimità, definendo, preliminarmente, quale responsabilità diretta per fatto proprio il danno risarcibile ai sensi dell’art. 2048 c.c., avvaloravano la tesi secondo la quale, mentre chi richiede il risarcimento è tenuto solo a provare il fatto compiuto dal minore, il genitore di quest’ultimo deve, di contro, dimostrare di non aver potuto impedire il fatto, attraverso la prova di aver tenuto un comportamento conforme a quanto previsto dall’art. 147 c.c. Riemerge, quindi, anche in tal caso nelle parole della Corte la necessità di uno studio, da parte del giudice, sulla antropologia della famiglia36. Prima di affrontare la qualità della capacità genitoriale la riflessione, a priori, deve soffermarsi sulla natura del provvedimento di estinzione del reato per esito positivo della “messa alla prova”. Un’ordinanza estintiva del reato per l’avvenuto assolvimento dei compiti assegnati al reo, che abbia dimostrato la propria volontà riabilitativa, non entra nel merito della lesività commessa, né della responsabilità del minore, di talché il giudice civile deve procedere all’accertamento, nel merito, della sussistenza degli estremi di legge per erogare una sanzione risarcitoria e ristorativa del danno. Sulla base di tali argomentazioni la S.C. rinviava alla Corte d’Appello affinché accertasse, senza preconcetto, l’effettivo nesso di causalità tra la condotta del minore e la responsabilità genitoriale. Sulla stessa linea di pensiero, la precedente sentenza di legittimità37 che ha svincolato la relazione tra gli strumenti di composizione preventiva e pregiudiziale del conflitto penale ed accertamento della responsabilità. Di segno contrario il GIP milanese38 che ha condizionato l’esito positivo della messa alla prova dell’imputato – in tal caso maggiorenne – solo in ipotesi di eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attraverso lo svolgimento di attività di pubblica utilità ed il risarcimento monetario del danno subito dalla alla persona offesa.



5. La querela dell’ultraquattordicenne



Non di poco momento si palesa l’argomento sulla autodeterminazione del minore ultraquattordicenne vittima di stalking, bullismo e cyberbullismo in ragione del suo diritto alla titolarità dell’azione penale. Quindi, la possibilità di un diritto di querela. La S.C.39 ha ben configurato tale ipotesi effettuando dei distinguo, ancorché ammetta il diritto di querela da parte della persona offesa ultraquattordicenne, concede, tuttavia, la possibilità di scelta autonoma dei genitori di fronte al rifiuto del figlio di procedere. In una fattispecie simile40, la Corte di appello di Bologna – sezione minorenni – ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di una minorenne indagata del reato ex art. 595 c.p. per concessione di perdono giudiziale. Nel caso di specie una ragazza oggetto di vessazioni era stata ritratta, modificando una sua foto con il corpo di scimmia nell’atto di subire, piegata in avanti, un rapporto sessuale con la compagna di scuola bullizzante. La documentazione fotografica era circolata accompagnata da frasi oltraggiose. La Corte di Cassazione, ha ribadito, in tale questione, che, ancorché la ragazza minorenne non fosse consapevole che vi fosse un reato perpetratosi ai suoi danni, cionondimeno fosse sempre possibile l’intervento propulsivo dei genitori nell’introdurre la relativa querela. Il legislatore ha previsto una doppia legittimazione, in capo allo stesso minorenne e all’esercente della potestà genitoriale.

NOTE

1 Cass. pen, sez. II., 12 giugno 2019, n. 26014, nota di a Gasparre, Bullismo a scuola: misura cautelare per il bullo, Cass. pen. 26014/19, in https://www.personaedanno.it/, 22 luglio 2019.

2 Trib. Trento, 19 novembre 2019, n. 828, per cui “Il perdurante e grave stato d’ansia o di paura cui fa riferimento il reato di cui all’art. 612-bis c.p. deve essere inteso non come stato patologico clinicamente accertato, bensì come uno stato d’animo della persona offesa, caratterizzato da sentimenti di esasperazione e di profonda prostrazione, concretamente accertabili e non transitori. Deve, infatti, ritenersi sufficiente, per la configurabilità dell’evento in parola, che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima. La prova di siffatto evento deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, che sono ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dal soggetto agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata”, in Red. Giuffrè, 2019.

3 Riformato dall’art. 1-bis, co. 1, d.l. 1° luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 94

4 L. 29 maggio 2017 n. 71, Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo.

5 La Camera ha approvato una proposta di legge (A.C. 1524-A) volta a prevenire e contrastare il bullismo, attraverso misure di natura penale (con la modifica dell’art. 612-bis c.p.), modifiche alle misure coercitive di natura non penale applicabili dal tribunale dei minorenni e misure di valutazione e analisi del fenomeno in ambito scolastico. Il provvedimento passa ora all’esame del Senato. Il nuovo art. 6, prevede “l’erogazione di specifici moduli di formazione per l’educazione all’intelligenza emotiva, al fine di prevenire e ridurre i conflitti in ambito scolastico”, in https://temi.camera.it/.

6 Il danno psichico e la prova del processo. Profili sostanziali e processuali dell’accertamento, f. tOppetti (a cura di), commento a Trib. Rovereto, 9 gennaio 2013, “Ma ciò che più conta è che il CTU precisa come la vicenda raccontata integri tipicamente ‘un chiaro esempio di bullismo’, ove un piccolo gruppo di compagni (di età e di forza maggiore) hanno individuato e sottoposto intenzionalmente e ripetutamente a vari azioni di prevaricazione (verbale, fisica e sessuale) una persona più debole, ansiosa ed insicura, dotata di scarsa autostima ed incapace a mettere in atto una difesa efficiente”. A seguito dei maltrattamenti subiti l’attore ha maturato un’importante reazione depressiva, alla quale è naturalmente esposto anche per la sua particolare struttura psicologica, nel corso del 2007, “caratterizzata da aspetti difettuali e da scarsa capacità espressiva e con manifestazioni psicotiche quali ‘allucinazioni uditive’, come dimostrato dai numerosi contatti con psicologici e psichiatri intervenuti nel periodo. La terapia antidepressiva correttamente prescritta determinava una buona remissione del quadro clinico, che veniva però poi interrotta, con ricomparsa di uno scompenso psicotico acuto e ricovero ospedaliero nel gennaio 2009, per ben 20 giorni. Al riguardo il CTU, sulla base di un’attenta lettura della raccolta anamnestica durante la degenza e della distanza temporale tra il ricovero e gli eventi di abuso (oltre 2 anni), ha escluso si tratti di un disturbo post-traumatico e la presenza di elementi clinici evidenti che consentono di affermare il nesso di causalità con gli episodi di bullismo subiti, anche se si tratta di evenienza che non può neppure essere a priori esclusa”, Santarcangelo di Romagna, 2016, 145.

7 Dossier. La violenza di genere, B. GiaNGiaCOMO, t. paGliarO, r. ruGGeri (a cura di), in L’Osservatorio sul diritto di famiglia. Diritto e processo, 2019, 2, 30-73. 8 Il libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto, GuidO BertaGNa, adOlfO Ceretti, Claudia MazzuCatO (a cura di), Milano, 2015. Il padre gesuita Guido Bertagna, il criminologo Adolfo Ceretti e la giurista Claudia Mazzucato hanno studiato una via altra alla ricomposizione di quella frattura che non smette di dolere a causa della offensività del reato. Una via che, ispirandosi all’esempio del Sud Africa post-apartheid, fa propria la lezione della giustizia riparativa, nella certezza che il fare giustizia non possa, e non debba, risolversi solamente nell’applicazione di una pena, v. anche La giustizia riparativa. Profili definitori; tipologia e caratteristiche dei programmi di giustizia riparativa. Tavolo 13

Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime, in https://www.giustizia.it/

9 e. MilitellO, Giustizia riparativa, conflitti sociali e “hate incidents”. come la restorative justice può contribuire a diminuire i crimini d’odio, in Cass. Pen., 2019, 4, 168.

10 Cass. pen., sez. II., 12 giugno 2019, n. 26014, nota di a. Gasparre, Bullismo a scuola: misura cautelare per il bullo, in https://www.personaedanno.it/, 22 luglio 2019, cit.

11 Amnesty International definisce così il fenomeno “Il bullismo è una violazione dei diritti umani. Insulti, umiliazioni, violenza fisica: il bullismo non è uno scherzo. In Italia un ragazzo su dieci viene perseguitato dai bulli ogni settimana. Più della metà dei bambini italiani tra gli 11 e i 17 anni ha subito un episodio di bullismo nell’arco di un anno. Un ragazzo su cinque è vittima di atti di bullismo ripetuti e frequenti. Il bullismo è una violazione dei diritti umani. L’esperienza nelle scuole dimostra un forte legame tra il bullismo e la discriminazione basata sul sesso, la razza, l’orientamento sessuale o altre caratteristiche uniche per l’identità di una persona. Come in ogni altra lotta contro la discriminazione, i diritti umani forniscono la giusta prospettiva per affrontare il fenomeno”, in https://www.amnesty.it/.

12 Per comprendere la fenomenologia del bullismo è essenziale individuarne le definizioni. Le forme più comuni sono le offese, parolacce o insulti (12,1%), derisione per l’aspetto fisico e/o il modo di parlare (6,3%), diffamazione (5,1%), esclusione per le proprie opinioni (4,7%), aggressioni con spintoni, botte, calci e pugni (3,8%).A subire il bullismo sono più le femmine (20,9%) che i maschi (18,8%), mentre tra gli studenti delle superiori le vittime più numerose sono tra i liceali (19,4%), seguiti dagli studenti degli istituti professionali (18,1%) e degli istituti tecnici (16%). Ci sono differenze anche tra Nord e Sud: il fenomeno è più diffuso nelle regioni settentrionali, con il 23% dei ragazzi fra 11 a 17 anni; la percentuale supera però il 57% considerando anche le azioni avvenute sporadicamente, in https://www.corriere.it/salute/pediatria, 18 aprile 2018.

13 Fonti normative sul bullismo e cyberbullismo: l. 29 maggio 2017, n. 71; Cod. proc. pen. Minorile, d.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, art. 28 “Sospensione del processo e messa alla prova” e art. 29 “Dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della prova”; c.c., artt. 2043, 2048, 2059.

14 Indagine conoscitiva su bullismo e cyberbullismo, audizione del Presidente dell’Istituto nazionale di statistica Prof. Gian Carlo Blangiardo, presso la Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza Roma, 27 marzo 2019, in https://www.istat.it.

15 J.D. COie, K.A. dOdGe, R. terry, V. WriGht, Il ruolo dell’aggressività nelle relazioni tra pari: un’analisi degli episodi di aggressione nei gruppi di gioco per ragazzi. Secondo gli autori, il bullismo ha una modalità proattiva, ossia, è messo in atto senza provocazione da parte della vittima ed è agito al fine di giungere allo scopo dell’aggressore, in https://doi.org/10.1111/j.1467-8624.1991.tb01571, agosto 1999.

16 M. rutter, J. tizard, k. WhitMOre, Education, Health and Behavior, London, 1970.

17 a. CiVita, Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio minorile, Milano, 2006. L’autrice cita gli studi della prof. Caravita, 2004, 119.

18 Secondo una descrizione schematica, individuata dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, il cyberbullismo si manifesta quale “insieme di azioni aggressive e intenzionali, di una singola persona o di un gruppo, realizzate mediante strumenti elettronici (sms, mms, foto, video, email, chatt rooms, instant messaging, siti web, telefonate), il cui obiettivo e quello di provocare danni ad un coetaneo incapace di difendersi”; in https://www.miur.gov.it/bullismo-e-cyberbullismo.

19 A. FONzi, Il gioco crudele. Studi e ricerche sui correlati psicologici del bullismo, Firenze, 1999: “Tale competenza si articola su più livelli quali la popolarità nel gruppo dei pari, l’attitudine alla leadership, la capacità di stringere legami amicali su cui ci si sofferma nella convinzione che si tratti di uno snodo base della vita dell’adolescente che, da un lato può contribuire al suo benessere, dall’altro può costituire un ostacolo nel suo percorso evolutivo”.

20 Cass., pen. sez. V, 8 giugno 2017, n. 28623. Per la Corte, la deposizione della sola persona offesa è valsa come prova in quanto giudicata attendibile, anche alla luce del contesto di indifferenza degli altri compagni di classe e degli insegnanti che non si erano accorti di nulla. i ragazzi campani, minorenni all’epoca dei fatti e oramai maggiorenni, sono stati condannati in via definitiva per stalking, con sanzione fissata in dieci mesi di reclusione a testa. In Guida dir., 2017, 27, 49.

21 p. NizaN, Aden Arabia, Milano, 1931, 53.

22 Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2000, n. 12501, in Danno e Resp., n. 3/2001, 257, “il padre e la madre o il tutore sono responsabili del danno cagionato da fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela che abitano con essi”.

23 Cass. civ. sez. III, 6 dicembre 2011, n. 26200, Nel caso di specie la Corte di cassazione ha cassato con rinvio la sentenza con la quale i giudici d’appello avevano esentato da responsabilità civile i genitori di un minore che, durante una partita di calcio, aveva inferto una testata ad un avversario producendogli danni, in Resp. Civ. e Prev., 2012, 6, 1960, nota di Berti De MariNis, conf. Cass. civ., 14 marzo 2008, n. 7050 in Giust. civ. 2010, 1, I, 193, contr. Cass. civ., 28 marzo 2001, n. 4481, in Familia 2001, 1171 nota di Patti.

24 Trib. Sulmona, 9 aprile 2018, in Dir. fam. e pers. (Il) 2019, 1, I, 185; Trib. Savona, 22 gennaio 2018, n. 79, in Dir. Giust, 16 febbraio 2018; Trib. Benevento, 20 maggio 2019, n. 868, Red. Giuffrè, 2019; Trib. Cassino, 18 settembre 2018, n. 1003, in Red. Giuffrè, 2018. In caso di fatto illecito commesso da un minore, la responsabilità dell’autore materiale dell’evento dannoso trova il proprio titolo nell’art. 2043 c.c., mentre quella dei genitori del minore deve essere ricondotta nell’alveo applicativo dell’art. 2048 c.c., che, in deroga alla regola generale di cui all’art. 2043 c.c., prevede, secondo la giurisprudenza più recente, una forma di responsabilità presunta.

25 Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2007, n 9509, nota di s. taCCiNi, Comportamento violento e controllo della famiglia, in Danno e resp., 2007, 10, 1025.

26 a.l. peNNetta, Bullismo e cyberbullismo e nuove forme di devianza, Torino, 2019; v. anche Trib. Pisa, 15 marzo 2016, n. 391, in www.dejuregiuffre.it.

27 Cass. civ., sez. III, 6 dicembre 2011, n. 26200, in Dir. fam. e per. (Il), 2012, 3, 1023, nota di LudOViCi.

28 Cass. civ. sez. III, 10 settembre 2019, n. 22541, in Dir. giust., 2019, nota di k. MasCia. Così anche la più recente giurisprudenza di legittimità ha affermato che “l’educazione è fatta non solo di parole, ma anche e soprattutto di comportamenti. In altri termini, dalla tipologia di fatto illecito, dalle modalità in cui ebbe a verificarsi e dalle giustificazioni difensive dei genitori, la Corte territoriale, in linea con l’orientamento di questa Corte, ha ritenuto che i genitori non avessero vinto la presunzione di responsabilità su di loro gravante”.

29 Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2019, n. 11198 in Giust. Civ. mass., 2019.

30 Trib. Milano, sez. X, 7 giugno 2013 n. 8081, in www.nuovefrontierediritto. it/bullismo-e-culpa-in-vigilando; Trib. Rovereto, 9 gennaio 2013, “la presunzione di responsabilità ex art. 2048 II. comma c.c. trova applicazione solo per i danni cagionati ad un terzo dal fatto illecito dell’allievo, non essendo invocabile, quindi, per ottenere il risarcimento del danno che l’allievo abbia procurato a se stesso, con la sua condotta”, cit. Cfr. Cass. sez. U. n. 9346/2002 Cass. n. 10030/2006 Cass. n. 5067/2010.

31 Trib. Bari, sez. III, 22 marzo 2012, n. 1055, in Giurisprudenzabarese.it, 2012.

32 App. Catanzaro, 17 gennaio 2020, n. 63, in www.diritto24.ilsole24ore. com/2020-02-18.

33 La “Blue Whale Challenge è una discussa pratica che sembrerebbe provenire dalla Russia: viene proposta come una sfida, in cui un così detto ‘curatore’ può manipolare la volontà e suggestiona i ragazzi sino ad indurli al suicidio, attraverso una serie di cinquanta azioni pericolose. Ad oggi capita anche che bambini e adolescenti si contagino fra di loro, spingendosi ad aderire alla sfida su gruppi social dopo aver facilmente rintracciato in rete la lista delle prove ed essersi accordati sul carattere segreto di questa adesione. Le prove prevedono un progressivo avvicinamento al suicidio attraverso pratiche di autolesionismo, comportamenti pericolosi e la visione di film dell’orrore e altre presunte ‘prove di coraggio’, che vengono documentate con gli smartphone e condivise in rete sui social”. Tale è la definizione data dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni, che sta monitorando l’avanzare di un fenomeno così pericoloso.L’obiettivodeglioperantièquellodiindividuareisoggetticheespongono i bambini e, più in generale, i giovani a un rischio concreto per la loro vita.

34 Cass. civ., sez. I, 16 maggio 2019, n. 13274: “Questa Corte ha osservato che, in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione”, in Guida dir., 2019, 27, 5; v. anche Cass. civ., sez. VI, 23 settembre 2015, n. 18817 in Foro it. 2016, 3, I, 902, nota di CasaBuri; cfr. Cass. civ., sez. VI, 28 settembre 2017 n. 22744, in Ilfamiliarista. it, 11 gennaio 2018, nota di Casale.

35 Cass. civ., sez. III, 6 dicembre 2019, n. 31894: “In materia di rapporti tra giudizi civile e penale, la dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della prova, pur costituendo una modalità alternativa di definizione del giudizio penale, non contiene alcun accertamento di merito in ordine alla sussistenza del reato ed alla responsabilità del minorenne, ne consegue che il giudice civile deve indagare e valutare, alla luce delle regole probatorie che governano il giudizio civile e del materiale acquisito, la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda, compresa la conseguente sussistenza della responsabilità dei genitori per la condotta del proprio figlio ex art. 2048 c.c.”, in Giust. civ. mass., 2019.

36 “Condizioni sociali e familiari, nonché l’età, il carattere ed indole del minore [...], maturità, educazione del minore conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori”.

37 Cass. pen., sez. IV, 10 dicembre 2019, n. 266: “L’istituto della messa alla prova si distingue dalle altre cause di estinzione del reato per il suo essere uno strumento di composizione preventiva e pregiudiziale del conflitto penale, non prevedendo così un preventivo accertamento di penale responsabilità”, in Dir. giust., 2020, 9 gennaio.

38 Trib. Milano, sez. uff. ind. prel., 11 aprile 2019, n. 1122. Nel caso di specie, si trattava del reato di tentata violenza privata molestie sostituzione di persona e diffamazione operata attraverso un social network Facebook con la creazione di un falso profilo e le foto della vittima del reato. In Red. Giuffrè, 2019.

39 Cass. pen., sez. III, 26 novembre 2001, n. 45474, in Cass. pen. 2003, 1957

40 Cass. pen., sez. V, 6 febbraio 2013, n. 23010, si leggono, in parte motiva del provvedimento, tali significative considerazioni, esaustive della migliore ratio legis che sottende il superamento della volontà e dell’autodeterminazione del minore: “Il perspicuo disposto normativo, in uno alla menzionata ratio legis, induce a ritenere – in termini di valida inferenza logica – che il mantenimento della legittimazione all’esercizio del diritto di querela in capo al genitore del minorenne dissenziente costituisca fattispecie giuridica che ricomprenda necessariamente – come il più comprende il meno – anche l’ipotesi in cui il minore non sia venuto a conoscenza (magari per responsabile scelta del di lui genitore o comunque delle persone a lui vicine, come pare essersi verificato nel caso di specie) della condotta delittuosa in suo danno. Insomma, in caso di dissenso del minore, la sua volontà è tamquam non esset e, se posta nel nulla dal legislatore, deve allora ritenersi, a fortiori, affatto irrilevante che egli sappia o meno dell’azione delittuosa in suo danno”, in CED Cass. pen., 2013.