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Il regime successorio nell’unione civile

autore: D. Cavicchi

Sommario: 1. La legge sulle unioni civili e il richiamo delle norme del codice civile in tema di successione mortis causa. - 1.2. Le norme non espressamente richiamate in cui rileva la qualità di coniuge. - 2. Le norme sull’indegnità a succedere. - 3. Le norme sulla successione necessaria. - 4. Le norme sulla successione legittima. - 5. Le norme sulla collazione. - 6. Le norme sul patto di famiglia. - 7. Le norme sulle indennità di cui agli artt. 2118 e 2120 c.c. - 8. Il diritto al sepolcro.



1. La legge sulle unioni civili e il richiamo delle norme del codice civile in tema di successione mortis causa



La l. 20 maggio 2016, n. 76, recante Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, contiene una norma che dispone in ordine al regime successorio nell’unione civile. Si tratta del comma 21, dell’art. 1, il quale stabilisce che “Alle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni previste dal capo III e dal capo X del titolo I, dal titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del titolo IV del libro secondo del codice civile”. Le norme richiamate sono quelle relative, rispettivamente, all’indegnità a succedere, alla successione necessaria, alla successione legittima, alla collazione e al patto di famiglia, e si giunge così a parificare, per gli aspetti richiamati, la successione dell’unito civilmente alla successione del coniuge. Per comprendere in tutta la sua portata il senso del rinvio, giova ricordare che il comma 20 della legge in parola contiene la c.d. clausola generale di equivalenza, la quale però non trova applicazione per le norme del codice civile. Vale a dire, tale disposizione, da un lato, stabilisce che “Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’ o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”; dall’altro, dispone che tale estensione non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente dalla legge stessa. Questo vuol dire che le norme codicistiche sulla successione del coniuge non sarebbero state automaticamente applicabili all’unione civile qualora non fossero state espressamente richiamate. Per questo motivo, il comma 21 ha fatto espresso rinvio a quelle disposizioni che regolamentano la successione mortis causa del coniuge e le ha dichiarate applicabili alle parti dell’unione civile, ponendo così in essere una delle più importanti innovazioni del diritto successorio degli ultimi anni: la parificazione della parte dell’unione civile al coniuge in punto di successione per causa di morte1 . È bene precisare, per evitare qualsiasi equivoco, che ciò non vuol dire che le altre disposizioni del libro II del codice civile non siano applicabili all’unione civile: gli articoli del codice non divenuti oggetto di espresso richiamo concorreranno, con le altre norme, a disciplinare la successione del partner civile in quanto di applicazione generalizzata, cioè in quanto non hanno quale loro presupposto di applicazione lo status di coniuge o il rapporto di coniugio. E così, ad esempio, è a dirsi per le disposizioni generali che dettano regole in tema di apertura della successione e disciplinano la delazione e l’acquisto dell’eredità – artt. 456-461 c.c. – oppure per le norme in tema di successione testamentaria – artt. 587-712 c.c.: queste disposizioni sono suscettibili di essere applicate a qualsiasi tipo di successione mortis causa, sia ch’essa coinvolga un parente, sia che riguardi il coniuge, sia che coinvolga un soggetto estraneo alla sfera parentale del de cuius – si pensi al caso di un lascito testamentario fatto in favore di un amico o di un ente benefico. La successione della parte dell’unione civile può, dunque, avere luogo per legge o per testamento, ed in entrambi i casi la sua qualifica di successibile qualificato – come si vedrà: successibile legittimo e legittimario – assolverà alla funzione di tutelare la sua posizione nei riguardi degli altri successibili e degli eventuali beneficiari di liberalità poste in essere dal de cuius2 . Come si è autorevolmente evidenziato3 , la circostanza che la successione concerna la persona unita civilmente, ed il mancato richiamo delle norme sulla successione testamentaria da parte del legislatore, non incidono in alcun modo sulla possibilità, per il de cuius, di ricorrere al testamento per una sistemazione adeguata dei propri rapporti: rimane ferma la possibilità, per lui, di beneficiare il proprio partner di un legato o di attribuirgli un bene determinato in funzione di quota – art. 588, comma 2, c.c. – magari già dividendo il suo patrimonio – art. 734 c.c. – o dettando norme per la sua divisione – art. 733 c.c. Tutte queste facoltà rimangono immutate: ciò che muta è la rilevanza della persona dell’unito civilmente, che, ora, riveste la qualità di successibile legittimo e di legittimario. In forza, invece, della c.d. clausola di equivalenza di cui al sopra citato comma 20, la parte dell’unione civile gode anche di tutte le vocazioni anomale regolate da leggi speciali4 , come ad esempio la successione nel contratto di locazione di cui agli artt. 6 e 37 della l. 27 luglio 1978, n. 392, Disciplina delle locazioni di immobili urbani.



1.2. Le norme non espressamente richiamate in cui rileva la qualità di coniuge



Come evidenziato in dottrina5 , alcune norme dettate in tema di successione testamentaria, e quindi non espressamente richiamate dalla legge del 2016, hanno quale presupposto applicativo la qualità di coniuge del de cuius, per cui si potrebbe dubitare della loro applicazione in caso di successione dell’unito civilmente.

Si tratta, anzitutto, dell’art. 596 c.c., il quale, da un lato, stabilisce, a certe condizioni, la nullità delle disposizioni testamentarie fatte dalla persona sottoposta a tutela in favore del tutore o del protutore; dall’altro, stabilisce che tali disposizioni sono valide se fatte in favore, tra gli altri, del coniuge. Ebbene, se tale norma non si applicasse alle parti dell’unione civile, siffatte disposizioni sarebbero nulle anche se fatte in favore del tutore o protutore dell’unito civilmente. V’è poi la norma di cui all’art. 636 c.c., per la quale è illecita la condizione testamentaria che impedisca le prime nozze e le ulteriori: in assenza del richiamo, potrebbe considerarsi valida la disposizione testamentaria che contenga una condizione che impedisca all’istituito di unirsi civilmente. Omesso richiamo si è avuto anche per la disposizione di cui all’art. 692 c.c., per il quale solo il coniuge e ciascuno dei genitori o degli altri ascendenti in linea retta, possono validamente istituire erede l’interdetto, ponendo a suo carico l’obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell’interdetto medesimo. Se la norma non si applicasse alle persone unite civilmente, un’analoga sostituzione fedecommissaria, fatta dal partner dell’interdetto, sarebbe nulla, in quanto eccederebbe i limiti posti dall’art. 692 c.c. Rileva ancora, ai nostri fini, il mancato richiamo dell’art. 699 c.c., il quale stabilisce che è valida la disposizione testamentaria avente per oggetto l’erogazione periodica, in perpetuo o a tempo, di somme determinate per premi di nuzialità a favore di persone da scegliersi entro una determinata categoria o tra i discendenti di determinate famiglie. La mancata riferibilità di detta disposizione alle parti dell’unione civile, renderebbe dubbia la validità di un’analoga disposizione che preveda premi per unioni civili. In ordine alla difficoltà di coordinamento tra le norme dettate dal codice non espressamente richiamate e il sistema della l. n. 76 del 2016, si è detto in dottrina6 che, in simili ipotesi, non rileva tanto il procedimento analogico, che potrebbe condurre ad un’estensione della portata della norma non richiamata, quanto l’applicazione diretta, alle parti dell’unione civile, dei principi sottesi a dette norme. Si tratterebbe allora, nei casi che sembrerebbero, secondo il dato letterale, non rientrare nella previsione delle disposizioni citate, di valutare di volta in volta se i principi sottesi a tali norme siano o meni riferibili agli uniti civilmente. Negli esempi fatti, si aggiunge, difficilmente le norme non potranno essere applicate agli uniti civilmente, in quanto esse sono espressione di principi che impongono all’interprete di adottare la regola codificata o comunque una regola che, adattandosi al caso concreto, sia espressione di quei principi, anche in assenza di un espresso richiamo e, finanche, in presenza di un’apparente scelta legislativa di segno contrario. Analoghe considerazioni dovrebbero, dunque, valere per altre disposizioni non richiamate e che la dottrina7 ha posto all’attenzione degli interpreti: si tratta degli artt. 785 e 792 c.c., in cui compaiono le espressioni “matrimonio”, “sposi”, “coniuge” e che, sulla base di un’interpretazione letterale e formalistica sembrerebbero non potersi applicare alle parti dell’unione civile.



2. Le norme sull’indegnità a succedere



In forza del rinvio disposto dal legislatore con le modalità spiegate in premessa, un primo gruppo di disposizioni inerenti la successione mortis causa applicabili all’unione civile è rappresentato dagli artt. 463-466 c.c., dettati in tema di indegnità a succedere e contenuti nel capo III, titolo I del libro II. L’art. 463 c.c. deve essere dunque riletto, alla luce del predetto rinvio, nel modo che segue. È escluso dalla successione, in quanto indegno, sempre che non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità, anche:

– chi abbia volontariamente ucciso o tentato di uccidere l’unito civilmente della persona della cui successione si tratta (n. 1);

– chi abbia commesso, in danno dell’unito civilmente del de cuius, un fatto al quale la legge dichiara applicabili le disposizioni sull’omicidio (n. 2);

– chi abbia denunziato l’unito civilmente del de cuius, per un reato punibile con l’ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denuncia è stata dichiarata calunniosa nel giudizio penale (n. 3, prima parte);

– chi abbia testimoniato contro l’unito civilmente del de cuius, imputato dei predetti reati, se la testimonianza è stata dichiarata, nei suoi confronti, falsa in un giudizio penale (n. 3, seconda parte). Anche i successivi numeri dell’art. 463 c.c., dal 3-bis al 6, trovano applicazione nei confronti di chi sia unito civilmente ad altri, ma, si noti, non tanto in ragione del rinvio formalizzato dal legislatore, quanto in virtù di una loro applicazione generalizzata: tali disposizioni, che riguardano la persona che sia decaduta dalla responsabilità genitoriale verso il de cuius e la persona che abbia compiuto atti lesivi del testamento o della libertà testamentaria, non hanno quale presupposto applicativo lo status di coniuge del de cuius, per cui avrebbero trovato applicazione anche in assenza di un espresso rinvio; analogamente può dirsi per le disposizioni di cui agli artt. 464-466 c.c. Si è rilevato8 , infatti, che il rinvio espresso alle norme sull’indegnità si presentava necessario per tutte quelle ipotesi che si riferiscono a comportamenti riprovevoli tenuti nei confronti del coniuge del de cuius, al fine di estenderne la disciplina all’unito civilmente, dunque per una parte della disciplina contenuta nei numeri 1-3 dell’articolo in parola. Le fattispecie di cui ai numeri successivi, invece, non fanno specifico riferimento al coniuge del de cuius, bensì a qualsiasi tipo di successione, indipendentemente da legami familiari, di coniugio o di unione che possano intercorrere con il de cuius. Il rinvio espresso all’insieme delle norme contenute nel capo III è stato considerato, quindi, più come un indice dell’intenzione del legislatore di rendere maggiormente evidente ed esplicita la volontà di equiparare l’unito civilmente al coniuge, in ordine alla disciplina successoria del rapporto9 . In punto di disciplina, l’indegnità a succedere non esclude la rappresentazione a favore dei discendenti dell’indegno – art. 468, comma 2, c.c.; tuttavia, si è evidenziato10, si tratta di un’ipotesi di difficile ricorrenza all’interno dell’unione civile, in quanto un siffatto rapporto si instaura solo tra persone dello stesso sesso, quindi non predisposte per natura a generare tra loro. Rimane però, pur sempre, la possibilità che, all’interno dell’unione, una discendenza derivi o dall’adozione, da parte di un partner, del figlio dell’altro oppure dalla fecondazione medicalmente assistita, praticata, come accade, all’estero. Un riferimento codicistico diretto all’unito civilmente è contenuto, invece, nell’art. 463-bis c.c., introdotto da una legge successiva a quella che regolamenta l’unione civile, e cioè dall’art. 5, l. 11 gennaio 2018, n. 4, recante Disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici. Ivi si dispone che sono sospesi dalla successione sia il coniuge, anche legalmente separato, che la parte dell’unione civile che siano indagati per l’omicidio volontario o tentato nei confronti dell’altro coniuge o dell’altra parte dell’unione civile, fino al decreto di archiviazione o alla sentenza definitiva di proscioglimento – con la disciplina contenuta nello stesso articolo, nella seconda parte del primo comma e nei commi secondo e terzo11.



3. Le norme sulla successione necessaria



Un secondo gruppo di norme applicabili all’unione civile è rappresentato dalle disposizioni contenute nel capo X, titolo I del libro II, composto dagli artt. 536-552 c.c. Viene richiamata l’intera disciplina, in blocco, della successione riservata ai legittimari, senza la clausola della compatibilità con il rapporto nascente dall’unione civile, spesso presente nelle norme di richiamo12. Ciò comporta, anzitutto, che l’unito civilmente rivesta la qualità di legittimario alla stregua del coniuge, ed in tal senso deve essere dunque integrata la previsione dell’art. 536 c.c. Per l’effetto, ad esso è riservata, in assenza di figli, la metà del patrimonio del de cuius – art. 540, comma 1, c.c. – mentre in presenza di figli troveranno applicazione le disposizioni dell’art. 542 c.c., che variano la quota. Come già rilevato, nel caso dell’unione civile, che si instaura tra persone dello stesso sesso, si avrà raramente il concorso del partner con i figli della coppia: rimane, tuttavia, la possibilità che una parte abbia generato figli con un differente partner o ancora che gli uniti civilmente facciano ricorso alla procreazione assistita o uno di essi all’adozione del figlio generato dall’altro13. Spetta all’unito civilmente anche il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, ai sensi dell’art. 540, comma 2, c.c.14, anche se si evidenzia la possibilità, per l’unito civilmente, di ricorrere allo strumento testamentario per disciplinare, con maggior efficacia e dettaglio, quel particolare aspetto della successione che riguarda i diritti del partner superstite su beni mobili e immobili collegati alla vita familiare15.

Il richiamo al capo X comporta, in secondo luogo, che in favore del legittimario unito civilmente si applichi l’intero apparato di norme a tutela dei diritti di legittima: il divieto al testatore di imporre pesi e condizioni sulla quota riservata – art. 549 c.c.; l’insieme delle norme volte alla reintegrazione della quota stessa – art. 553 ss. c.c. – e così via. Così come sarà possibile, per il de cuius, far ricorso alla figura del legato in sostituzione di legittima – art. 551 c.c. – o alla disposizione dell’art. 558, comma 2, c.c. In dottrina16 si è evidenziato che, sia la figura del legato in sostituzione di legittima, sia le norme dettate in tema di divisione del testatore – art. 734 c.c. – possono essere utilizzate per evitare la formazione di uno stato di comunione ereditaria tra il figlio di un partner, avuto al di fuori dell’unione, e l’altra parte. Si fa l’esempio del caso in cui il de cuius, vedovo e già genitore di un figlio, contragga un’unione civile: egli potrà soddisfare la riserva della persona a lui unita civilmente proprio ricorrendo alla figura di detto legato, oppure, si aggiunge, disponendo in modo che, fatto salvo il valore della riserva, la porzione del partner contempli determinati beni, dividendo il suo patrimonio – art. 734 c.c. In alternativa, rimane ferma la possibilità per il de cuius di dettare, in sede testamentaria, norme per la divisione – art. 733 c.c. – quantomeno al fine di evitare l’insorgere di conflitti tra il partner ed il proprio figlio. Una norma che, invece, sembra non poter trovare applicazione è quella contenuta nell’art. 548 c.c., che disciplina la riserva a favore del coniuge separato: le norme sostanziali relative alla separazione legale e personale dei coniugi, infatti, non sono state espressamente richiamate dalla l. n. 76 del 2016, per cui il relativo regime sembra essere estraneo alla disciplina del rapporto che nasce dall’unione civile17. Se si segue questa interpretazione, è evidente che la disposizione di cui all’art. 548 c.c. non potrà trovare applicazione, in quanto difetterebbe un presupposto essenziale per la sua applicabilità. La qualità di legittimario, naturalmente, viene meno con lo scioglimento dell’unione civile, che si verifica, oltre che in caso di morte o morte presunta di una delle parti – art. 1, comma 22, l. n. 76 del 2016 – anche nelle ipotesi previste dalla legge in parola al comma 23 – che rimanda ai casi previsti dall’art. 3, numero 1 e numero 2, lettere a), c) ed e) l. 1 dicembre 1970, n. 898 – e al comma 24 – che fa riferimento allo scioglimento per volontà di entrambe le parti o per recesso unilaterale di una di esse. È possibile che il decesso di una delle parti dell’unione civile avvenga prima che si verifichi lo scioglimento ma dopo che sia stato dato impulso alla procedura per ottenerlo: le parti, o una di esse, hanno manifestato la volontà di scioglimento dinanzi all’ufficiale dello stato civile, ai sensi del comma 24; oppure è stata proposta la relativa domanda giudiziale o avviata la procedura di negoziazione assistita, secondo le norme richiamate dal comma 25. In tutte queste ipotesi, si rileva18, l’unione civile rimane in essere fino alla pronuncia di scioglimento, con tutti i diritti che ne derivano, compreso quello di succedere mortis causa, qualora, nel frattempo, una delle parti deceda. Si tratta peraltro di un’ipotesi speculare a quella che si verifica in caso di separazione personale dei coniugi, nel corso della quale ciascuno di essi conserva i diritti successori ove non vi sia stato addebito – art. 548, comma 1, c.c. – anche allorquando la separazione stessa sia conseguenza della scelta di un solo coniuge. Rimane tuttavia il dato normativo, sopra riferito, per il quale le norme del codice civile in tema di separazione non sono richiamate dalla legge che regolamenta le unioni civili, onde in relazione al rapporto che ne scaturisce non sarebbe lecito parlare né di addebito né di separazione legale, con conseguente inoperatività dell’art. 548 c.c.



4. Le norme sulla successione legittima



Il comma 21 richiama, come si è detto, l’intero titolo II del libro II del codice civile, cioè l’insieme delle norme che disciplinano la successione legittima – artt. 565-586 c.c. In virtù di questo rinvio, l’unito civilmente non è soltanto legittimario ma anche successibile legittimo, per cui le norme concernenti il coniuge superstite, eventualmente in concorso con altri soggetti, sono ad esso applicabili19. Ne consegue che, mancando in tutto o in parte la successione testamentaria, si farà luogo, per la parte non contemplata dal testamento, alla successione legittima – art. 457 c.c. – e l’unito civilmente sarà chiamato all’eredità alla stregua del coniuge, collocandosi così al primo posto nella categoria dei successibili20. In applicazione delle norme sul concorso, in presenza di figli del de cuius, il partner dell’unione concorrerà con gli stessi, per cui ad esso spetterà la metà dell’eredità se alla successione concorre un solo figlio, un terzo in presenza di più figli – art. 581 c.c. Anche in questo caso, considerando che l’unione civile può essere contratta soltanto da persone dello stesso sesso, il concorso tra il partner superstite e i figli dovrebbe presentarsi come meno ricorrente nella pratica; rimane tuttavia la possibilità che un siffatto concorso discenda dalla presenza di figli del de cuius avuti al di fuori dell’unione civile, o dal ricorso della coppia alla fecondazione artificiale ovvero dall’adozione da parte di un partner del figlio dell’altro. In assenza di figli, l’unito civilmente concorrerà con gli ascendenti o con i fratelli e le sorelle del de cuius, ovvero con gli uni e con gli altri, e ad esso saranno devoluti i due terzi dell’eredità – art. 582 c.c.

Come per la successione necessaria, il richiamo delle norme sulla successione legittima è avvenuto in blocco, senza limitazioni. Tuttavia, per le ragioni spiegate in precedenza, deve escludersi l’applicabilità dell’art. 585 c.c., che disciplina l’ipotesi della successione legittima del coniuge separato: aderendo alla tesi per cui la separazione legale non può trovare applicazione all’unione civile, deve per coerenza ritenersi inapplicabile la disposizione testé richiamata. Per cui, sino a quando l’unione civile non si sciolga per causa differente dalla morte o dalla dichiarazione di morte presunta di una delle parti, quella superstite sarà chiamata all’eredità, nonostante avesse avviato la procedura di scioglimento dell’unione medesima – salva, si intende, l’operatività della successione testamentaria ove il de cuius avesse in tal senso disposto21. Rileva ai nostri fini la circostanza per cui la l. n. 76 del 2016, all’art. 1, comma 5, abbia dichiarato applicabili all’unione civile le norme dettate dal codice in tema di matrimonio putativo, cioè le disposizioni di cui agli artt. 128, 129 e 129-bis c.c.: ciò comporta, come già evidenziato in dottrina, l’applicabilità, all’unito civilmente putativo superstite, dell’art. 584 c.c., dettato in tema di successione del coniuge putativo22. Naturalmente, la qualità di successibile legittimo viene meno in caso di scioglimento dell’unione civile, ma è importante evidenziare che il comma 25 l. n. 76 del 2016, dichiara applicabili all’unione civile, tra gli altri, gli artt. 9 e 9-bis l. 1 dicembre 1970, n. 898, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio. Ne consegue che, in caso di morte del partner dell’unione, la parte superstite, ricorrendo le condizioni di legge, avrà diritto sia alla pensione di reversibilità o a una quota di essa – art. 9, commi 2 e 3, l. cit. – sia all’assegno periodico a carico dell’eredità – art. 9-bis l. cit. – secondo i criteri e la disciplina contenuti nelle disposizioni richiamate. Entrambe le norme sopra citate, considerano rilevante, ai fini del diritto alla pensione di reversibilità e all’assegno a carico dell’eredità, il fatto che il coniuge superstite non passi a nuove nozze. Considerando che gli uniti civilmente “non si uniscono in nozze” ma “costituiscono un’unione civile” – art. 1, comma 2, l. n. 76 del 2016 – si rende necessario un adattamento delle norme stesse alle peculiarità dell’unione. Per cui, in tutti in quei casi in cui le norme elevano l’assenza di nuove nozze a elemento costitutivo del diritto, esso dovrà riconoscersi, a favore del partner superstite, solo ove questi versi in una situazione di stato libero, dovendosi considerare come impeditiva sia la celebrazione di un nuovo matrimonio sia la costituzione di una nuova unione civile23.



5. Le norme sulla collazione



Il comma 21 dichiara applicabili alle parti dell’unione civile anche le disposizioni contenute nel capo II, titolo IV del libro II del codice civile, cioè le norme dettate in tema di collazione – artt. 737-751 c.c. Ne consegue un ampliamento dei soggetti tenuti alla collazione, in quanto a quelli già contemplati da dette norme – i figli, i loro discendenti e il coniuge – si aggiunge la parte superstite dell’unione civile, si intende in alternativa al coniuge. Dunque, anche quest’ultima, concorrendo alla successione, è tenuta a conferire ai coeredi quanto ha ricevuto dal de cuius per donazione, diretta o indiretta, salva la dispensa nei limiti della quota disponibile e salvo il caso di donazioni di modico valore – artt. 737, 738 c.c. Sul punto, si è rilevato che si tratta di un’estensione più che opportuna, in quanto un mancato richiamo della relativa disciplina avrebbe comportato un trattamento di favore per l’unito civilmente, il quale si sarebbe giovato, in danno degli altri coeredi, di un’esenzione del tutto ingiustificata24. Un problema di coordinamento di norme si pone nei seguenti termini. L’art. 741 c.c. assoggetta a collazione una serie di spese fatte dal defunto a favore dei suoi discendenti. Si tratta delle spese per assegnazioni fatte a causa di matrimonio, per l’avviamento all’esercizio di un’attività produttiva o professionale, per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore o per pagare i loro debiti. Queste elargizioni vengono dette “donazioni di sistemazione”, in quanto hanno come scopo quello di soddisfare particolari esigenze di vita del congiunto beneficiario: il loro assoggettamento a collazione si fonda sulla presunzione che il donante anticipi al donatario una parte dell’eredità proprio al fine di far fronte a siffatte esigenze, quando si riveli necessario intervenire25. Tra queste donazioni soggette a collazione, come detto, rientrano le assegnazioni fatte dal de cuius al discendente a causa di matrimonio, tra le quali si annoverano la donatio propter nuptias, in cui la celebrazione del matrimonio assurge a vera e propria condizione sospensiva della donazione, nonché tutte quelle elargizioni che vengono poste in essere in occasione e per il matrimonio, quali, ad esempio, le spese per il corredo nuziale che eccedono notevolmente la misura ordinaria – infatti, se tali spese non eccedessero siffatta misura, sarebbero esenti da collazione in ragione della disposizione di cui all’art. 742, comma 2, c.c. Ora, per quanto qui rileva, si pone il seguente problema: la l. n. 76 del 2016, allorquando al comma 21 opera il rinvio alle norme sulla successione mortis causa, stabilisce che tali norme si applicano “alle parti dell’unione civile” e non “al rapporto” nascente dall’unione, la qual cosa ha portato a dubitare dell’applicabilità, all’unione stessa, di quelle norme che, in tema di collazione, hanno quale presupposto applicativo il matrimonio. E così, venendo al problema che qui ci occupa, si è dubitato che la disposizione dell’art. 741 c.c., sia applicabile all’unione civile nella parte in cui assoggetta a collazione le assegnazioni fatte dal de cuius ai discendenti a causa di matrimonio, proprio in quanto gli uniti civilmente non celebrano fra di loro alcun matrimonio. Se tale disposizione non fosse applicabile all’unione civile, le assegnazioni fatte a causa dell’unione stessa, non sarebbero soggette a collazione, o per lo meno la collazione non potrebbe operare in virtù di un’applicazione diretta di tale norma; semmai, la collazione potrebbe imporsi per altra via, e cioè, si ipotizza, in ragione della generale previsione dell’art. 737 c.c., che assoggetta a collazione tutte le donazioni, dirette o indirette.

Stesso problema applicativo si pone in relazione alla norma di cui all’art. 742 c.c., la quale stabilisce che non sono soggette a collazione le spese per le nozze; mentre quelle per il corredo nuziale lo sono solo per la parte che eccede notevolmente la misura ordinaria e tenuto conto delle condizioni economiche del defunto. Anche in questo caso, poiché gli uniti civilmente non celebrano, tra loro, vere e proprie nozze, e poiché in tale rapporto non si può parlare di corredo nuziale, si dubita dell’applicabilità della norma alle spese sostenute dal de cuius, in favore del discendente, per la cerimonia che dovesse tenersi per celebrare la formazione dell’unione civile e a quelle sostenute per fornire al discendente un corredo in funzione dell’unione. In dottrina26, si è proposto di considerare le elargizioni previste dagli artt. 741 e 742 c.c., alla stregua di liberalità d’uso – art. 770, comma 2, c.c. – ovvero di adempimenti in esecuzione di un dovere morale e sociale ai sensi dell’art. 2034 c.c. – obbligazioni naturali – e ciò al fine di evitare che le spese ordinarie effettuate in occasione dell’unione civile del discendente abbiano un trattamento diverso da quelle fatte in occasione del matrimonio. Il rilievo si giustifica e porta, a noi pare, a conclusioni coerenti con la ratio che ha ispirato il legislatore nel concepire il sistema della collazione nel suo complesso. La ricostruzione e il coordinamento delle norme come sopra proposti, porta alla seguente conclusione: le spese sostenute per la celebrazione dell’unione civile e per il relativo corredo, che non eccedano notevolmente la misura ordinaria – art. 742 c.c. – possono farsi rientrare nell’alveo delle liberalità d’uso – art. 770, comma 2, c.c. – ed in quanto tali non sono soggette a collazione giusta la disposizione dell’ultima comma dell’art. 742 c.c.; le spese per assegnazioni fatte a causa dell’unione civile – art. 741 c.c. – possono farsi rientrare nell’ambito delle donazioni, dirette o indirette, ed in quanto tali rimangono soggette a collazione ex art. 737 c.c.



6. Le norme sul patto di famiglia



L’ultimo gruppo di norme richiamate dal comma 21 è costituito dalle disposizioni sul patto di famiglia, cioè dagli artt. 768-bis-768-octies, contenuti nel capo V-bis, titolo IV del libro II del codice civile. Anche la parte dell’unione civile può, dunque, avvalersi dello strumento del patto di famiglia per la trasmissione, in favore dei suoi discendenti, dei mezzi, azienda o partecipazioni societarie, attraverso i quali esercita la propria attività di impresa. Trattandosi di unione tra persone dello stesso sesso, il concorso della discendenza con una parte dell’unione sarà, nella pratica, poco ricorrente; tuttavia, come già rilevato, tale concorso potrà derivare dalla presenza di figli avuti da un partner al di fuori dell’unione o dal ricorso alla fecondazione assistita o all’adozione da parte di un partner del figlio dell’altro. In punto di disciplina varranno le norme di cui alle disposizioni richiamate, integrate dall’apparato interpretativo dottrinale e giurisprudenziale formatosi in materia. Qui basterà annotare che la rilevanza della presenza dell’unito civilmente potrebbe emergere anche qualora l’unione sopravvenisse alla stipula del patto27: in quanto legittimario sopravvenuto, l’unito civilmente potrebbe far valere i diritti che gli spettano ai sensi dell’art. 768-sexies c.c., e cioè chiedere, ai beneficiari del contratto, il pagamento della somma di cui all’art. 768-quater, comma 2, c.c., vale a dire una somma corrispondente al valore della quota di legittima, aumentata degli interessi legali.



7. Le norme sulle indennità del prestatore di lavoro



Il comma 17 dell’art. 1 l. n. 76 del 2016, stabilisce che “in caso di morte del prestatore di lavoro, le indennità indicate dagli articoli 2118 e 2120 del codice civile devono corrispondersi anche alla parte dell’unione civile”. Si tratta, come è noto, nel primo caso, dell’indennità c.d. sostitutiva del preavviso di recesso dal rapporto di lavoro, che il datore è tenuto a corrispondere in caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro – art. 2118, ult. comma, c.c.; nel secondo caso, dell’indennità c.d. di trattamento di fine rapporto28 – art. 2120 c.c. Giova ricordare che tali indennità, sotto l’aspetto successorio, sono disciplinate dall’art. 2122 c.c., il quale prevede che, in caso di morte del prestatore, esse devono corrispondersi al coniuge, ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo. Se tra questi aventi diritto non vi è accordo circa la ripartizione delle indennità, vengono ripartite secondo il bisogno di ciascuno. Ove, poi, manchino le persone indicate nel primo comma, le indennità sono attribuite secondo le norme sulla successione legittima, ma, nel medesimo caso, rimane salvo il diritto del lavoratore subordinato di disporne per testamento – art. 2122, comma 3, c.c., da leggersi alla luce del noto intervento della Corte costituzionale del 197229. Infine, la norma sancisce la nullità di ogni patto anteriore alla morte del prestatore di lavoro circa l’attribuzione e la ripartizione di dette indennità – art. 2122, comma 4, c.c. Come detto, la legge sulle unioni civili ha stabilito che le indennità spettano “anche” alla parte superstite dell’unione civile, la quale va quindi ad ampliare l’elenco dei soggetti ai quali esse spettano. Tuttavia, un problema di coordinamento si pone in quanto, come si è visto, la legge sulle unioni civili richiama gli artt. 2118 e 2120 c.c. ma non l’art. 2122 c.c.30, per cui, considerando che le norme del codice civile non espressamente richiamate dalla legge non sono applicabili all’unione civile – giusta, come si è visto in premessa, la riserva posta dall’art. 20 l. n. 76 del 2016 – si è dubitato dell’applicabilità di tale norma al rapporto che ne deriva. La qual cosa porterebbe alla conseguenza, invero irragionevole, per cui il partner superstite dell’unione civile avrebbe diritto, in alternativa al coniuge, alle indennità, ma, a differenza del coniuge, non sarebbe soggetto al concorso con gli altri soggetti, secondo la disciplina prevista dall’art. 2122 c.c. Ciò ha portato parte della dottrina31 a prospettare, in ragione proprio dell’impedimento legislativo ad applicare alle unioni civili le norme codicistiche non espressamente richiamate, una possibile incostituzionalità della disposizione di cui al comma 17, per il mancato rinvio all’art. 2122 c.c., in quanto portatrice di un trattamento differenziato del tutto ingiustificato. Una siffatta conclusione, basata su una lettura meramente formale della norma di rinvio, pare però eccessiva, ed è possibile, a nostro avviso, giungere a conclusioni diverse. Invero, l’applicabilità dell’art. 2122 c.c. alla parte dell’unione civile potrebbe recuperarsi attraverso un’interpretazione logico-sistematica delle norme coinvolte32. La legge che regolamenta le unioni civili ha come scopo quello di parificare, a determinati fini, la posizione della parte dell’unione al coniuge, in punto di diritti, cioè di posizioni di vantaggio, e in punto di doveri. Nel corpo della legge – rilievo sistematico – ogni qual volta sia stata richiamata una certa normativa, il richiamo ha avuto il predetto scopo: quello di parificare il trattamento dell’unito civilmente a quello che la legge già riserva al coniuge. Ora, nel nostro caso, la regola per cui la parte dell’unione civile avrebbe diritto alle indennità in parola ma senza concorrere, a differenza del coniuge, con gli altri congiunti del de cuius, sarebbe affetta da evidente illogicità, in quanto si risolverebbe in un ingiustificato trattamento di favore per il partner, e si porrebbe altresì in contrasto con lo scopo generale perseguito dal legislatore. A conforto di questa soluzione, è possibile valorizzare anche un elemento di natura letterale: il comma 17, come visto, afferma che le indennità devono corrispondersi “anche” alla parte dell’unione civile, lasciando così intendere ch’essa non è la sola beneficiaria di tali erogazioni bensì lo è, in alternativa al coniuge, unitamente ad altri soggetti, id est in concorso con altre persone, che non possono essere che quelle indicate dall’art. 2122 c.c., secondo le regole dispositive ivi previste33. È ben vero che un rinvio espresso alla citata norma codicistica sarebbe stato opportuno34, ma è altrettanto vero che il richiamo agli artt. 2118 e 2120 c.c., non può che implicare il rinvio implicito a tutta la disciplina delle indennità ivi contemplate; per cui, ai fini della distribuzione delle relative somme, la parte dell’unione civile si colloca in posizione analoga a quella del coniuge ed è soggetta al concorso e alle regole di cui all’art. 2122 c.c.35.

Per lo stesso motivo, le indennità in parola non confluiscono nell’attivo ereditario che si viene a formare in caso di morte di una parte dell’unione civile, ai fini dell’applicazione dell’imposta di successione: l’art. 12, lett. c) d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, t.u. in materia di imposta sulle successioni e donazioni, esclude dall’attivo ereditario le indennità di cui all’art. 2122 c.c., riferendosi evidentemente, dal punto di vista sostanziale, alle due indennità previste rispettivamente dagli artt. 2118 e 2120 c.c., le quali, in virtù della legge del 2016, hanno ora come beneficiario anche il partner superstite dell’unione36.



8. Il diritto al sepolcro



In virtù del principio generale di equivalenza, sancito dal comma 20 l. n. 76 del 2016, a ciascuna parte dell’unione civile spetta il diritto al sepolcro37, sia nella forma di ius sepulchri – facoltà di essere seppellito – sia nella forma di ius inferendi in sepulchrum – facoltà di seppellire altri in un dato sepolcro. Per cui, ciascun partner acquista il diritto di farsi seppellire nel sepolcro familiare dell’altro, ed al partner superstite spetta ogni decisione inerente la sepoltura della parte deceduta, ivi compresa la decisione di ordinare la cremazione del corpo38. Invero, già l’art. 79 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, Approvazione del regolamento di polizia mortuaria, stabilisce al primo comma che “la cremazione di ciascun cadavere deve essere autorizzata dal sindaco sulla base della volontà testamentaria espressa in tal senso dal defunto. In mancanza di disposizione testamentaria, la volontà deve essere manifestata dal coniuge e, in difetto, dal parente più prossimo individuato secondo gli articoli 74 e seguenti del codice civile e, nel caso di concorrenza di più parenti nello stesso grado, da tutti gli stessi”. Con il sopravvenire della l. n. 76 del 2016, all’unito civilmente spetta lo stesso diritto del coniuge – in alternativa ad esso – così come configurato nella detta disposizione. Alla parte dell’unione civile spetta ancora il diritto di ottenere l’affidamento dell’urna cineraria, posto che la sorte delle ceneri – ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e), l. 30 marzo 2001, n. 130 – è quella della tumulazione, dell’interramento o dell’affidamento ai familiari, tra i quali non vi è dubbio che rientri, a questi fini, anche il partner civile39. Salvo naturalmente che la parte interessata non abbia manifestato, in un atto mortis causa, una diversa volontà, come ad esempio la volontà di cremazione e dispersione delle proprie ceneri in luogo pubblico. Alla parte dell’unione civile spetta, infine, anche il c.d. diritto di sepolcro secondario, cioè il diritto di poter accedere in luogo ove si trovano le spoglie del partner defunto40.

NOTE

1 G. BONiliNi, La successione mortis causa della parte superstite dell’unione civile, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. BONiliNi, V, Unione civile e convivenza di fatto, Torino, 2017, 294; e. ferNaNdes, Il regime successorio degli uniti civilmente e dei conviventi di fatto, in Comparazione e diritto civile, www.comparazionedirittocivile.it, del settembre 2017 (consultato il 25 febbraio 2020), 13; M.M. WiNkler, La successione mortis causa, in Unione civile e convivenza. Commento alla l. 20 maggio 2016, n. 76, aggiornato ai dd.lgs. 19 gennaio 2017, nn. 5, 6, 7 e al d.m. 27 febbraio 2017, Milano, 2017, 342.

2 WiNkler, La successione, cit., 342.

3 G. BONiliNi, La successione testamentaria della parte superstite dell’unione ci-

vile, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. BONiliNi, cit., 308, al quale si rinvia per un’esaustiva rassegna di strumenti di cui il testatore, unito civilmente ad altri, può avvalersi per regolamentare la successione del partner superstite.

4 f. padOViNi, Il regime successorio delle unioni civili e delle convivenze, in Giur. it., 2016, 7, 1818.

5 V. BarBa, Le norme applicabili all’unione civile, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, cit., 101; M. fiOriNi, Profili di interesse notarile nello scioglimento delle unioni civili di cui alla legge 20 maggio 2016, n. 76, in Riv. not., 2017, 188.

6 BarBa, Le norme applicabili all’unione civile, cit., 102 ss.

7 fiOriNi, Profili, cit., 188.

8 G. BONiliNi, L’applicabilità delle norme sull’indegnità a succedere alle persone unite civilmente, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. BONiliNi, cit.

9 ferNaNdes, Il regime, cit., 16. 10 BONiliNi, op. ult. cit., 297.

11 Per una prima disamina della norma si veda, in dottrina: F. OliVierO, “Sospensione della successione” e indegnità: a proposito dell’art. 5, legge 11 gennaio 2018, n. 4, in Nuove leggi civ. comm., 2019, 2, 310-344.

12 G. BONiliNi, L’applicabilità, alla parte dell’unione civile, delle norme che governano la successione necessaria del coniuge superstite, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. BONiliNi, cit., 299.

13 BONiliNi, op. ult. cit., 300.

14 ferNaNdes, Il regime, cit.,17; luMe, Sub. Art. 1, comma 20, cit., 21; BONiliNi,

op. ult. cit., 301; C. rOMaNO, Unioni civili e convivenze di fatto: una prima lettura del testo normativo, in Not., 2016, 333, 339; B. de filippis, Unioni civili e contratti di convivenza. Aggiornato alla legge 20 maggio 2016 n. 76, Padova, 2016, 220.

15 BONiliNi, op. ult. cit., 301.

16 BONiliNi, op. loc. ult. cit.

17 Questa è l’opinione allo stato dominante, in tal senso: BONiliNi, op. ult.

cit., 301; ferNaNdes, Il regime, cit., 17; fiOriNi, Profili, cit., 189; WiNkler, La successione, cit., 342. In termini più generali, in relazione all’applicabilità delle norme sulla separazione alle unioni civili, si veda: M. GattusO, Scioglimento dell’unione, in Unione civile e convivenza, Milano, 2017, 352; A. fiGONe, Lo scioglimento delle unioni civili e la risoluzione dei contratti di convivenza, in La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, 263; de filippis, Unioni civili, cit., 222. Ancora sul punto, si leggano le osservazioni critiche di: G. OBertO, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, in La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, cit., 55, nonché i rilievi processualistici di: F. daNOVi, L’intervento giudiziale nella crisi dell’unione civile e della convivenza di fatto, in Fam. e dir., 2016, 10, 998; F. tOMMaseO, Profili processuali della legge sulle unioni civili e le convivenze, in Fam. e dir., 2016, 10, 994.

18 BONiliNi, op. ult. cit., 302.

19 G. BONiliNi, La successione legittima della parte superstite dell’unione civile, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. BONiliNi, cit., 306.

20 WiNkler, La successione, cit., 343; G. CasaBuri, La disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, in Unioni civili e convivenze: la nuova legge. Lettura operativa e possibili soluzioni, a cura di G. CasaBuri, I. GriMaldi, Ospedaletto, 2016, 76.

21 BONiliNi, op. ult. cit., 307.

22 BONiliNi, op. ult. cit., 308.

23 GattusO, Scioglimento, cit., 373, ove l’autore giunge a questa conclusione

ricorrendo all’applicazione analogica della disposizione in esame.

24 ferNaNdes, Il regime, cit., 19.

25 A. alBaNese, La collazione, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, diretto da G. BONiliNi, Milano, 2009, 519.

26 G. COrradi, L’applicabilità delle norme sulla collazione alle persone unite civilmente, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. BONiliNi, cit., 313.

27 ferNaNdes, Il regime, cit., 19; G. BONiliNi, L’applicabilità delle norme sul patto di famiglia alle persone unite civilmente, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. BONiliNi, cit., 318.

28 La quale, giova rilevare, spetta anche al partner, in misura percentuale, dopo lo scioglimento dell’unione, al ricorrere dei presupposti previsti dall’art. 12-bis l. 1 dicembre 1970, n. 898, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, richiamato, insieme ad altre disposizioni, dall’art. 1, comma 25, l. n. 67 del 2016.

29 Corte cost., 19 gennaio 1972, n. 8, in Rass. giur. en. eletr., 1972, 4, 485, con nota di G. saNtOrO-passarelli, Riflessioni sulla natura giuridica delle indennità spettanti ai superstiti in caso di morte del lavoratore.

30 Come già rilevato in dottrina, nella sua prima formulazione, la legge del 2016 prevedeva l’applicabilità all’unito civilmente superstite dell’art. 2122 c.c., ma in via definitiva si è optato per un rinvio, non meramente formale, bensì sostanziale, cioè si è preferito esplicitare che il partner superstite sia beneficiario delle indennità previste e disciplinate dagli artt. 2118 e 2120 c.c.: f. MastrOBerardiNO, La successione della persona unita civilmente nelle indennità previste dagli artt. 2118 e 2120 cod. civ, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. BONiliNi, cit., 323.

31 fiOriNi, Profili, cit., 190.

32 Come già prospettato da: ferNaNdes, Il regime, cit., 20.

33 MastrOBerardiNO, La successione, cit., 323, ss.

34 Come evidenziato da: L. Balestra, Unioni civili, convivenze di fatto e “model-

lo” matrimoniale: prime riflessioni, in Giur. it., 2016, 7, 1783.

35 M. GattusO, Altre disposizioni del codice civile, in Unione civile e convivenza.

Commento alla l. 20 maggio 2016, n. 76, aggiornato ai dd.lgs. 19 gennaio 2017, nn. 5, 6, 7 e al d.m. 27 febbraio 2017, Milano, 2017, 218.

36 MastrOBerardiNO, La successione, cit., 325.

37 Sul diritto al sepolcro in generale, si veda per tutti: G. BONiliNi, Il diritto

al sepolcro, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, diretto da G. BONiliNi, Milano, 2009, 789-855.

38 In tal senso: G. BONiliNi, L’applicabilità di altre norme, di diritto successorio, alle persone unite civilmente. In particolare, del diritto al sepolcro, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. BONiliNi, cit., 328; ferNaNdes, Il regime, cit., 21; WiNkler, La successione, cit., 343.

39 In materia, invero, era già intervenuta una pronuncia di merito che aveva riconosciuto analogo diritto al convivente legato al de cuius da una relazione stabile, nel caso di specie omosessuale: Trib. Treviso, 15 dicembre 2014, in IlFamiliarista.it, 22 aprile 2015, con nota adesiva di a. fiGONe, Convivenza tra persone dello stesso sesso e diritto all’affidamento delle ceneri del partner dopo la cremazione.

40 BONiliNi, op. ult. cit., 328; ferNaNdes, Il regime, cit., 21; WiNkler, La successione, cit., 343.