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Quale difesa dei genitori: da Medea ad Anna Karenina

autore: M. Labriola

Sommario: 1. La voce dell’infanzia. - 2. L’emotività, la passione e i ruoli di genere che gravano sui figli. - 3. La stanza dell’avvocato. - 4. Le altre stanze



1. La voce dell’infanzia



Nel 1998 il sociologo del diritto, Eligio Resta, pubblicava un interessante e, per di più, toccante saggio sull’infanzia ferita, l’in-fante quale soggetto mancante di parole nel senso etimologico del termine1 . Ecco la recensione della critica letteraria sul libro: “Un secolo di ‘carte’, convenzioni, statuti ha sancito diritti e tutele nei confronti dell’infanzia. In realtà, nel mondo della globalizzazione, la sua condizione è ancora più degradata. Scandalo ed emergenza criminale coprono la disattenzione quotidiana nella sfera pubblica e nella vita privata e l’infanzia è sempre più vittima del mondo adulto”. La tendenza dei moderni Stati occidentali è quella di inondare l’infanzia di iper-protezione normativa, la predisposizione dei genitori è quella dell’iper-cura, tuttavia, spesso, manca empatia2 , per l’incapacità diffusa, a vari livelli, di immedesimarsi negli altri fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo. Oggi crediamo che i bambini siano facilmente traumatizzabili, creature indifese, come emerge dalle pagine del volume di Stefano Benzoni, neuropsichiatra infantile. L’attenzione, in questi ultimi anni, si è spostata sul bambino definendo malanno psicologico qualunque difficoltà dello stesso. La sua supposta fragilità ha, invece, assai poco di naturale ed è piuttosto parte integrante di una “costellazione ideologica in cui la sensazione di essere vittime di minacce esterne è divenuta parte delle apprensioni dei genitori di oggi”3 . Emerge, quindi, un paradosso, e cioè: al ritenere o presumere che si faccia sin troppo per i figli fa da contraltare l’inadeguatezza nell’avvertire i bisogni degli stessi, individui senza parole per dirla con il prof. Resta. Quindi, la voce dell’infanzia ed anche i silenzi, criptati da adulti apprensivi, nel tempo sono stati interpretati – non sempre compresi – attraverso una lente arbitraria su cui pesa la parzialità di una visione egocentrica. Tra l’altro, alle volte i genitori hanno difficoltà nel crescere emotivamente e forniscono risposte carenti ai figli, anteponendo i propri dolori e il loro vissuto personale. Storicamente l’infanzia è stata trasportata dall’invisibilità assoluta ad essere oggetto di analisi ed attenzione.



2. L’emotività, la passione e i ruoli di genere che gravano sui figli



I sentimenti e la passione obnubilano, si appanna uno sguardo realistico e si diventa miopi, la frustrazione abbandonica non ammette tregua, è difficile contenere l’ansia e controllare l’ira quando la decisione di separarsi è subìta e non agita. Per comprendere da quanto tempo i tormenti amorosi dimorino nell’animo umano e quanto, a causa del soffrire, la presenza dei figli diventi di colpo incorporea, va compiuto un passo indietro servendosi dalla letteratura. Nelle storie che seguono sono descritte due donne che simboleggiano la dedizione femminile per l’uomo e le sue estreme conseguenze, eros e thanatos. La prima riguarda una donna distrutta dal tradimento del compagno che ha sposato un’altra. Il dialogo qui riprodotto è tra due persone che commentano lo stato d’animo di grande prostrazione di una amica: “Questa risulta la fortuna più grande, quando una donna non sia in disaccordo con suo marito. Ora, però, tutto è ostile, gli affetti più cari vengono meno. Infatti, dopo aver tradito gli stessi figli, l’uomo giace a letto di nozze. E l’infelice, disonorata, reclama a gran voce giuramenti ed invoca il grandissimo patto di fedeltà stipulato con la mano destra. Giace senza mangiare, abbandonandosi ai dolori, consumandosi per tutto il tempo in lacrime, da quando ha capito di essere stata oltraggiata dal suo compagno, senza mai alzare gli occhi né sollevare il volto da terra. Odia i suoi figli e non prova gioia a rivederli. Ma ecco giungere i suoi figli, che hanno smesso di giocare, e che nulla sanno delle disgrazie della loro madre” e, rivolgendosi ai figli della donna, dicono: “In casa entrate, sarà bene o figli. E tu tienili quanto più possibile in disparte, e fa sì che non accostino la madre esacerbata. Io già l’ho vista che li guardava con occhio di furia, Come se accinta a qualche male”.

L’altra narrazione si riferisce ad una donna che vive un dramma esistenziale, è una protagonista della letteratura ottocentesca. Ella si sente tradita e trascurata dall’amante cui ha dedicato la sua intera vita, ed abbandona, con grande dolore, il figlio concepito col marito, trascurandolo per seguire la propria passione amorosa, tanto da esclamare “Conosco i miei istinti”. Nel finale la donna non si cura del dolore che potrà provocare alla figlia più piccola, nata dalla relazione con il suo nuovo uomo, lanciandosi sotto un treno e pronunciando queste ultime parole “Signore, Perdonami tutto!”. La prima donna è Medea4 . Euripide rappresenta la sua tragedia nel 431 a.C. Medea è una “barbara”, Giasone, l’uomo con cui ha vissuto passione e gioie, deve sposare una “nobile” e l’abbandona, lei condanna se stesa ad infelicità imperitura ammazzando i figli per rendere, altresì, infelice l’uomo che ha amato con trasporto. L’altra donna è Anna Karenina5 . L’epilogo è questo: lungo la strada di casa Anna confessa al marito la sua relazione con il conte Vronskij. Karerin non le chiede il divorzio e proibisce all’amante di incontrarsi con Anna. Di seguito, Anna dà alla luce una bambina e va via con il suo amato. Ma muore infelice. Si noti come la voce dell’infanzia non abbia alcun suono in queste pagine tragiche piene di pene d’amore. Leggendo questi passi vengono in mente tutte quelle dolorose manifestazioni di genitori cui è toccata in sorte una separazione non condivisa e che mostrano per i figli, ancora oggi, una penosa indifferenza. I casi di queste due donne, che hanno un grande valore simbolico, sono più toccanti perché il ruolo della madre, così come storicamente assegnato, è di cura e di amorevolezza, il legame con l’infanzia è valorizzato quale unica funzione della loro vita. Ma, al contempo, sono compagne di uomini che le rifiutano e patiscono lo stigma sociale, la prima della assenza di nobiltà, la seconda dell’adulterio. La genitorialità maschile assume connotati diversi. Nell’antica Roma, il paterfamilias domina ed amministra il nucleo di persone con cui “convive” (moglie, parenti, figli e servi spesso adottati), ne detta le regole e ne decide le sorti patrimoniali e personali (attraverso la patria potestàs acquisisce anche il diritto di rifiutare un figlio o dispone della vita e la morte di questi). Al padre spetta perfino la scelta del riconoscimento del figlio precedentemente depostogli davanti dalla balia. Egli, quindi, in segno di gradimento, lo solleva da terra. Questo gesto concretizza la paternità. In particolar modo durante il primo periodo imperiale, i figli sono una “cosa”, una proprietas del padre. Rappresentano, quindi, solo la continuità della specie e la garanzia di futuri investimenti umani, nella guerra e nel lavoro, per gli uomini e, nel patrimonio, attraverso il matrimonio, per le donne. Ed ancora, nelle corti feudali la presenza dei famuli (o famigli) riveste un’importanza capitale ampliando il concetto di famiglia – non necessariamente unita nel vincolo matrimoniale – essendo questi spesso nobili che si mettono al servizio del feudatario, in pratica figli adottivi. Nonostante i secoli che ci separano da queste narrazioni, il disinteresse dei padri per l’infanzia nella società si “perdona” di più e, in un certo senso, non stupisce. Difformemente, una donna che abbandona o trascura i figli è una “pessima” madre. Nel 1981, la filosofa francese Elisabeth Badinter rivoluzionava il concetto di “senso materno” dimostrando come in realtà i sentimenti genitoriali non siano distinguibili tra loro, né attribuibili al genere6 . Sembra, tuttavia, ancora pesare l’assioma “i figli sono delle madri”, così si legittimano certi comportamenti paterni e si autorizzano le madri a negoziare tempi di permanenza dei figli, in maniera unilaterale. Il tema dell’infanzia sembra focalizzarsi sulla diversa intensità, in base al sesso (papà o mamma), dell’amore genitoriale. In ragione di questo background culturale, sulla scelta del collocamento dei figli in Italia si dà la prevalenza alle madri. Tale questione si presta ad una circolarità, madri e padri, uomini e donne che soffrono, nello stesso quadro i figli sono sullo sfondo. Ritorniamo al punto da cui si è partiti: l’incorporeità dell’infanzia nel conflitto familiare.



3. La stanza dell’avvocato



Il cliente-genitore va guidato verso le necessità della prole a prescindere dal genere, l’impegno e la attenzione vanno spesi in egual misura. Durante la complessa attività dell’avvocato, fare emergere le contraddizioni comportamentali degli adulti può ottenere dei risultati solo nella misura in cui ci si imbatta in qualcuno che riesca a cogliere quanto il proprio disagio rischi di espandersi nella vita dei figli. Molti racconti familiari sono il segnale della secondarietà dei figli. L’incapacità degli adulti di mantenere una condizione di salvaguardia nei confronti dei ragazzi è uno degli aspetti più sottovalutati nelle crisi familiari, sia quelle più subdolamente striscianti sia quelle in cui si consuma una vera e propria violenza. “Mia moglie non fa la mamma”, “mio marito si disinteressa dei bambini”, queste reazioni possono essere dettate da una percezione soggettiva del ruolo dell’altro o proiettive del proprio disagio. Ma cosa pensano veramente i figli dei loro genitori? Quando una persona, che vive una crisi di coppia, entra nella stanza dell’avvocato ha già attraversato le forche caudine della consulenza con i parenti e gli amici ma, non molto spesso, capita che quello stesso genitore/partner in crisi, si sia già rivolto alle strutture di sostegno alla famiglia private o pubbliche esistenti sul territorio, o ad un ufficio di mediazione familiare. La prima difficoltà dell’avvocato familiarista, nell’approccio col cliente, sta nel creare quel trait d’union tra le istanze emotive – che sono quasi sempre prevalenti – e le richieste di risoluzione del problema tecnico-giuridico, per fornire le risposte di tutela possibili nell’ambito della separazione, del divorzio, della gestione della filiazione non matrimoniale e della disfunzione genitoriale. La tutela dei figli è il primo passo da cui partire. Talvolta, il rapporto già esistente tra genitori e figli si presenta inadeguato a trovare quelle soluzioni di benessere, successive alla rottura del rapporto di coppia, “è stato infatti dimostrato che è nella relazione con i genitori che il bambino costruisce la propria visione del mondo e di sé nel mondo, attribuendo significati alla realtà e costruendo una propria identità personale. La tutela del minore non può quindi prescindere dalla tutela del legame che questi ha con la sua famiglia d’origine”7 . È importante comprendere preliminarmente le peculiarità di ogni famiglia. Gli iniziali equilibri che regolano i rapporti nelle famiglie ed i riconoscimenti dei ruoli attribuiti ai suoi componenti, nel momento di crisi, si spezzano, producendo un’interruzione nella comunicazione e nella condivisione delle scelte educative, costringendo spesso i figli ad una schizofrenica altalena tra un genitore e l’altro. Se il difensore si muove, nelle strategie processuali, spinto dal dolore che gli viene comunicato dal cliente, significa che è in atto un’identificazione con i suoi sentimenti. Il rischio di tale identificazione è quello che la tutela del minore sarà subordinata al “benessere apparente” di uno dei due genitori. Il compito degli avvocati, nell’ambito del diritto di famiglia, è quello di guardare tra le maglie di un racconto familiare, per intendere il malessere dei figli, al fine di indicare al genitore eventuali strumenti di supporto alla genitorialità. In alcune famiglie “multiproblematiche” è presente il rischio di una interruzione o un condizionamento del processo di sviluppo del minore che, se severo, richiede interventi per la sua maggior protezione. L’adattamento dei figli alla situazione di crisi familiare è tanto più agevole qualora il dialogo tra i genitori non sia interrotto da un livello di altissima conflittualità. “La rottura coniugale, pertanto, può essere benefica o nociva per i minori, a seconda che riduce o aumenta la quantità di stress cui sono esposti. In particolare, se la separazione viene percepita come inaspettata, sgradita e incontrollabile, aumenta le situazioni stressanti (come il calo del tenore di vita, la perdita di contatto con un genitore e lo spostamento dell’abitazione) e può portare ad una serie di conseguenze come bassi risultati scolastici, problemi emotivi, comportamentali, perdita di affetto per i genitori, difficoltà a formare, a lungo termine, rapporti intimi”8 . La separazione fisica tra persone che prima erano conviventi all’interno di una stessa casa è elemento di fragilità e segna un nuovo corso nella vita degli individui, approfondendo tali debolezze si potranno specificare gli strumenti di tutela. La divisione tra gli individui – perché a distaccarsi non sono solo i partners ma anche i loro figli – è un evento dinamico, in evoluzione ed implica un percorso in più fasi, quella iniziale della scelta/decisone e, in molti casi, dell’abbandono, quella giudiziaria e quella della elaborazione più o meno consapevole del contenuto del provvedimento del giudice. In quest’ultima fase, il compito dell’avvocato è quello di aiutare il cliente ad accettare quelle dinamiche giudiziarie che non è sempre semplice comprendere. Nella prassi di tutti i tribunali italiani l’applicazione del modello di affidamento condiviso, probabilmente, ha delineato un positivo percorso verso una maggiore consapevolezza genitoriale, ma ha indotto, di contro, l’utilizzo strumentale del potere di “veto” su di una scelta relativa al minore per bloccare il corretto sviluppo educativo dello stesso. Così come l’alta percentuale di collocamenti presso le madri, con ciò che comporta anche in termini di alloggio, può avere elementi disfunzionali rispetto alla verifica delle necessità e i bisogni della prole9 .

La conflittualità esercita sul figlio uno stress che i genitori possono non essere in grado di gestire, perché troppo presi dalla loro lite per condividere con empatia le sue difficoltà. Il difensore ha l’obbligo deontologico di favorire il mantenimento di un legame familiare, suggerendo le modalità per la ripresa di una sana collaborazione e comunicazione tra gli adulti. La reazione del figlio, di fronte alla separazione, può implicare che gli assesti familiari vengano fortemente condizionati a seconda dei rapporti di forza e dalle alleanze con un genitore o con l’altro, oppure dal pregiudizio psicologico derivante da un “conflitto di lealtà” nei confronti dei due genitori.



4. Le altre stanze



Prima o dopo l’inizio di un giudizio è contemplata la possibilità che intervengano operatori esterni presenti sul territorio (assistenti sociali, consultoriali, psicologi, mediatori familiari). A tali interventi non sarà possibile sottrarsi, quindi il rapporto con ciò che è fuori della stanza dell’avvocato deve essere gestito con competenza. La presa in carico da parte di un servizio sociale può presentare degli aspetti di problematicità. Nel momento in cui gli operatori tenderanno ad intervenire in maniera normativa in un contesto di tensione, un componente della famiglia si potrà sentire tradito e si spezzerà la fidelizzazione necessaria al percorso. Anche qui, la difficile ricucitura della fiducia o la conduzione del rapporto sarà compito dell’avvocato, senza però derogare ai principi di tutela a cui è improntato il suo mandato. Poiché le numerose ore di ascolto del cliente, da parte del suo avvocato/confessore, portano una visione abbastanza significativa delle complessità della famiglia, è necessario che il dialogo con gli operatori sociali non venga mai interrotto. È importante sapere che, quanto più il servizio o lo psicologo conosca o venga messo a parte delle dinamiche di quella famiglia, anche sotto il profilo giudiziale, tanto più il suo intervento sarà satisfattivo. Risulta sempre più imprescindibile, per le motivazioni su riportate, che l’avvocato esperto in diritto di famiglia coniughi, nello svolgimento della propria attività, quelle istanze di tutela giurisdizionale con contestuali sistemi di intervento nei confronti delle famiglie, nel prioritario benessere del bambino, con ciò attuando una forma sinergica tra le varie competenze professionali. È opportuno riempire di contenuti rilevanti il dettato dell’art. 337-ter c.c., ciò impone il tener in dovuta considerazione quel diritto del figlio “a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore”. Tuttavia, come già analizzato, sia l’equilibrio sia la continuità son venute meno nella famiglia disgregata ed in crisi. La rabbia, l’ira, la ritorsione, la rivalsa – che fanno parte della gamma delle emozioni umane – che trascinano Medea ed Anna Karenina nell’abisso, dimentiche di se stesse e dei figli, non si sono trasformate in emozioni positive sol perché le norme interne o i trattati internazionali attuali impongono una maggiore attenzione ai minori di età. Questo significa che l’avvocato non debba aderire a richieste, falsamente protettive, di uno dei due genitori di limitare l’accesso all’altro, è fondamentale che si comprenda quanto questa esigenza risponda al reale interesse del minore o ad afflati possessivi. In alcuni casi, che non sono infrequenti, proprio l’alta conflittualità dei genitori ha portato all’allontanamento dei minori10. Prima di giungere alle sanzioni più significative, la sospensione e la decadenza della responsabilità genitoriale, è necessario che il difensore ne comprenda la portata in termini di tutela del minore. La conclusione cui perviene questa breve analisi è, in verità, una domanda aperta: la precipua funzione dell’avvocato del genitore è quella di indurre l’adulto a guardare il mondo con occhi di bambino? Certamente questo giurista non dovrà essere solo in questo difficile compito, anche l’affiancare esperti di mediazione e conciliazione o operatori sociali, dovrà essere frutto di professionalità e abilità forense.

NOTE

1 e. reSta, L’infanzia ferita. Un nuovo patto tra generazioni è il vero investimento politico per il futuro, Roma-Bari, 1998.

2 emp{átheia} ‘passione’, comp. di en ‘in’ e p{áthos} ‘affetto, in https://www. garzantilinguistica.it/.

3 S. benzoni, Figli fragili, Roma-Bari, 2018.

4 eurìpide, Medèa, 431 a.c. (traduzione di E. Romagnoli), http://www.filosofico.net

5 LeV toLStoj, Anna Karenina, pubblicato nel 1877.

6 e. badinter, L’amore in più. Storia dell’amore materno (XVII-XX secolo), Roma, 1981.

7 Relazione del Comune di Parma a sostegno della genitorialità

8 L. MigLiorini, n. rania, Psicologia sociale delle relazioni familiari, Bari, 2008.

9 g. Laurini, g. Ferrando, Genitori e figli: quali riforme per le nuove famiglie,

in Notariato, 2012, 30.

10 Tribunale Como, 13 maro 2019; in Diritto di Famiglia e delle Persone (Il) 2019, 3, I, 1180; Cass. civ., sez. I, 16 maggio 2019, n. 13274, La sindrome da allontanamento parentale e l’onere di verifica del giudice, nota di Tantalo, in Diritto & Giustizia, 2019, 89, 11.