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Maternal preference vs gender neutral child custody: un falso problema? (nota a App. Napoli, sent. 27 luglio 2019)

autore: R. Ruggeri

La sentenza che si annota, pronunciata dalla Corte di Appello di Napoli su ricorso promosso dalla madre dei due minori del cui affidamento si discute, riforma il disposto della sentenza di primo grado, che aveva sancito l’affido condiviso ad entrambi i genitori dei due figli – un maschio e una femmina, rispettivamente di 12 e 6 anni – con loro collocamento prevalente presso il padre, che aveva mantenuto la residenza nel luogo della convivenza familiare. La madre aveva a suo dire interrotto la convivenza in ragione dei comportamenti violenti assunti dall’ex compagno, esitati in un ordine di protezione e in diversi procedimenti penali a carico del medesimo. Essa, ricorrente in appello, aveva al momento della crisi familiare trasferito la propria residenza da Aversa (NA) a San Giorgio in Mantova (MN), dove conviveva con un nuovo compagno; aveva portato con sé la figlia – che aveva allora cinque anni – lasciando il figlio di sei anni più grande con il padre: anche – allegava – in ragione dei comportamenti alienanti da quest’ultimo agiti verso il minore in odio della madre. La CTU disposta dal giudice di prime cure aveva dato risultati “standard”: evitando di prendere in considerazione le, o posizione sulle, evidenze circa la violenza familiare erotta nel corso della crisi di coppia, si limitava ad esortare i genitori, anche per il tramite della gestione delle problematiche inerenti l’esercizio coordinato della genitorialità, a superare la conflittualità e fondava sul rilievo “del comprensibile desiderio della piccola D. della vicinanza del fratello maggiore D.…” nonché sulla apodittica preferenza verso la riunione della fratria, la conclusione dell’affido condiviso con residenza privilegiata presso il padre anche della piccola D., che pur sino ad allora aveva vissuto con la madre. La pronuncia annotata, con la quale la Corte d’Appello riforma risolutamente la sentenza di prime cure, dando al figlio dodicenne residenza privilegiata presso il padre e lasciando – in continuità con la situazione di fatto – la sorellina alle cure prevalenti della madre, si segnala per l’ampia motivazione con la quale fonda un dispositivo che contrasta le indicazioni della CTU disposta in primo grado. Ampia e piuttosto interessante in quanto, tra le altre cose, (ri)afferma espressamente un principio (quello della “maternal preference”) la cui precisa individuazione concettuale – per tale intendendosi la sua enucleazione come criterio decisorio in tesi fallace – è dovuta ad una giurisprudenza minoritaria piuttosto recente1 , che afferma esso debba essere sostituito da quello della “gender neutral child custody”. Facciamo un passo indietro: a partire dalla metà degli anni dieci di questo secolo la giurisprudenza civile ordinaria (per tale intendendosi quella che si esprime in sede di tribunale ordinario definendo procedimenti di separazione, divorzio, regolamentazione dei rapporti tra genitori e figli che con brutta locuzione si definiscono “non matrimoniali”) comincia a mutuare – in particolare dai procedimenti che vengono incardinati avanti ai tribunali per i minorenni in tema di stepchild adoption – un atteggiamento critico rispetto a principi asseritamente tralatizi, che vedono affermata la necessità per i bambini – soprattutto in tenera età – di essere accuditi in modo pressoché esclusivo e comunque decisamente prevalente dalla madre in ragione della sua affermata (insita) maggior attitudine, naturale e culturale, di rispondere alle esigenze dei minori. Questa giurisprudenza afferma invece, dirompentemente in una cultura matricentrica come quella italiana, che l’attitudine all’accudimento dei bambini anche in età tenerissima e prescolare sarebbe invece “gender neutral” vale a dire non definita dal genere; e che ove entrambi i genitori si propongano come collocatari prevalenti dei figli, la scelta del giudice dovrà essere orientata da criteri diversi da quello che riposa esclusivamente sul genere dei genitori. In altre parole: non è detto che sia la mamma in quanto tale (i.e.: genitore di sesso femminile) ad essere il genitore più adatto a prendersi prevalentemente cura dei figli, nemmeno se questi siano in tenera età2 . Emblematica di questo tuttora controverso orientamento è la ormai ben nota pronuncia del Tribunale di Milano, risalente all’ottobre 2016, che si contrappone, forse un po’ polemicamente, alla pronuncia3 con la quale, giusto un mese prima, la Suprema Corte aveva ribadito che il criterio della c.d. “maternal preference” era valido e consolidato e costituiva un importante elemento da valutare in concreto e valorizzare prioritariamente rispetto ad altri, nel precipuo interesse del minore. Afferma invece il provvedimento del Tribunale milanese che “il criterio discretivo tra diverse soluzioni possibili è quello dell’interesse preminente del minore”4 . Il problema sembra mal posto: l’interesse preminente del minore è il fine cui la decisione deve tendere, non il criterio discretivo; e in verità terreno comune alle due pronunce è l’adozione, come criterio sostanzialmente assorbente, del principio di precauzione5 , al di là delle posizioni ideologiche astrattamente individuabili (“maternal” vs “gender neutral child custody”). Nell’un caso – quello risolto dal decreto del Tribunale di Milano che invoca il gender neutral – la bambina infine non collocata prevalentemente presso la madre risultava infatti, all’epoca dei fatti dedotti in giudizio, già coabitare stabilmente da lungo tempo con il padre; nell’altro – quello portato all’attenzione della Cassazione, che conferma una sentenza di Corte d’Appello militante per il maternal – i due bambini di tre e cinque anni erano già stati dalla madre portati con sé in altra città ove risiedeva la sorella di quella, altra città la permanenza nella quale impediva l’affidamento paritario dei figli minori già concordato tre anni prima in sede di separazione consensuale tra i coniugi (due magistrati: l’uno, il marito, con funzioni inquirenti, l’altra di prima nomina). Non può sottacersi, inoltre, che la pronuncia di legittimità “rintuzzata” da Trib. Milano 13-16 ottobre 2019 passa in rassegna, mostrandone la fragilità, tutti gli elementi che il provvedimento di primo grado aveva valorizzato in favore del collocamento dei due minori presso il padre, e che insieme concorrevano ad integrare l’unico argomento ivi addotto a favore di questo, vale a dire quello della opportunità di non compromettere il radicamento dei bambini sul territorio6 . Il c.d. principio della maternal preference sembra quindi costituire un falso presupposto logico. È esso piuttosto il concreto apprezzamento di quanto accade “plerumque”: i bambini, i figli (piccoli, di età prescolare o scolare) sono accuditi prevalentemente dalle madri: che ciò sia per natura o cultura è problema che non attiene certo al giuridico. Se il criterio della maternal preference non risulti – come afferma Trib. Milano – supportato scientificamente è perché di questa copertura scientifica non c’è bisogno: il giurista in questo caso non applica una legge, ma indaga il fatto. E il fatto dice che, soprattutto in Italia, la consuetudine di accudimento è delle madri. Così che spesso il provvedimento che si censura – quasi astiosamente – come applicazione del criterio della maternal preference e che privilegia come collocataria prevalente dei figli minori la madre “in quanto tale”, è piuttosto l’esito di una ricognizione in fatto circa le consuetudini della famiglia che cerca regolamentazione, e si palesa in ultima come esplicitazione del principio di “precauzione”: se fino ad ora i figli sono stati prevalentemente accuditi dalla madre7 , opina il giudice della crisi familiare, così continuerà ad essere; salvo siano evidenziate ragioni forti per le quali ciò si rivela in contrasto con l’interesse preminente dei minori. Se i figli, allegano entrambe le parti o si dimostra, erano accuditi da entrambi i genitori, il collocamento sarà il più possibile paritetico, salva la considerazione dei disagi che il pendolarismo rigoroso comporta per i figli (e al cui proposito dovrebbe riapparire la finalità cui i provvedimenti devono tendere, vale a dire il benessere dei minori, davanti al quale qualsivoglia criterio, anche quello fondamentale della bigenitorialità, deve cedere il passo). I problemi insorgono quando la consuetudine di accudimento non è invalsa (ad esempio la coppia genitoriale si separa allorché il figlio sia appena, o ancora non, nato). La maternal preference cui in questi casi spesso tuttora si tributa ossequio deriva la propria apodittica forza non solo dall’ineludibile dato naturale, ma anche da non pochi studi psicologici, ormai assurti a fatto notorio, che vedono nella diade madre figlio una simbiosi che è pericoloso se non intrinsecamente dannoso eludere quantomeno nei primi tre anni di vita del bambino. Pregiudizi? Dati di realtà? Non è questa la sede per affrontare la vexata quaestio. È però fondamentale che la giurisprudenza si interroghi e dibatta sulla maternal preference, che da criterio implicito viene così emancipato ad argomento, seppur in tesi fallace, con ciò rendendosi più trasparente e consapevole l’iter logico motivazionale da porre a base di decisioni delicate e importanti come quelle che devono regolamentare la vita familiare dei minori.

NOTE

1 Cfr. da ultimo Trib. Venezia, 22 marzo 2019, 8, rinvenibile in www.iltuoforo.it), che riassume efficacemente le posizioni sul punto.

2 In questo solco si pongono le linee guida con le quali la Sezione Famiglia del Tribunale di Brindisi ha eliminato, nel marzo 2017, il concetto di collocamento prevalente dei figli minori di genitori non più conviventi a favore di un coinvolgimento quotidiano di entrambi genitori nella crescita e nell’educazione dei figli, che devono vedersi assicurate pari opportunità di frequentare entrambi i genitori anche se non necessariamente trascorrendo tempi identici con ciascuno di loro. Si segnala, in giurisprudenza, Trib. Lecce, sez. I, sentenza 16 maggio 2017, n. 2000, in Banca Dati Pluris On Line, che dispone il collocamento paritario del figlio minore presso i genitori anziché individuare il genitore collocatario prevalente. Va sottolineato che dette Linee Guida, in parte apprezzabili per l’intento deflattivo del contenzioso separativo, risultano adottate a seguito di un intervento (“seminario”) tenutosi il 3 marzo 2017 in Brindisi, nel quale è stato principale relatore il presidente nazionale dell’associazione “Crescere Insieme”, Marino Maglietta, mediatore familiare e professore di fisica, molto vicino alle associazioni dei padri separati. Molti dei concetti fotografati dalle suddette Linee guida hanno poi costituito l’ossatura del d.d.l. c.d. “Pillon” (n. 735/2018), che dalla intercambiabilità sostanzialmente assoluta tra i genitori trae conclusioni abnormi e contrarie all’interesse dei figli (es. abolizione dell’assegno di contributo al mantenimento e dell’assegnazione della casa già familiare).

3 Cass. civ. sez. I, 14 settembre 2016 n. 18087, in Foro It., 2016, 11, 1, 3447.

4 Trib. Milano, sez. IX, decreto13-16 ottobre 2016, relatore G. Buffone: che fa leva sulla considerazione secondo la quale il criterio discretivo tra diverse soluzioni possibili è quello dell’interesse preminente del minore “non potendo al contrario trovare applicazione quello da alcuni definito come ‘principio della maternal preference’ (nella letteratura di settore: Maternal Preference in Child Custody Decisions), poiché criterio interpretativo non previsto dagli articoli 337-ter e ss. del codice civile ed invero in contrasto con la stessa ratio ispiratrice della legge 54 del 2006 sull’affidamento condiviso” (rinvenibile sul sito www.Il caso.it).

5 Così espressamente Trib. Milano, decr. 13-16 ottobre 2016: “La soluzione preferibile è quella di mantenere lo stato dei fatti (principio di precauzione); come anche ha affermato la Suprema Corte (Cass. Civ., sez. I, 4 giugno 2010 n. 13619), allorché sussista conflitto genitoriale e il giudice sia chiamato a stabilire il luogo in cui i minori debbano fissare la propria residenza, deve in particolare tenersi conto del tempo trascorso dall’eventuale avvenuto trasferimento, dell’acquisito delle nuove abitudini di vita, di cui è sconsigliabile il repentino mutamento, a maggior ragione se questo debba comportare un distacco dall’uno dei genitori con cui sia pregressa la convivenza stabile (Corte App. Catania, sez. famiglia, persona, minori, decreto 16 agosto 2013)” (rinvenibile sul sito www.Il caso.it) e implicitamente Cass. civ., 14 settembre 2016 n. 18087, cit. in nota 3.

6 Cass. civ. sez. I, 14 settembre 2016 n. 18087, cit.: “Quanto all’altro argomento utilizzato dal primo Giudice occorreva considerare che il C. (magistrato ordinario inquirente ed all’epoca della domanda di revisione in servizio presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vasto) era stato nelle more trasferito alla Procura presso il Tribunale di Chieti, per cui quel radicamento sembrava destinato ad interrompersi in ogni caso. Non senza considerare che i minori non risultavano avere parenti in Vasto (i nonni paterni risultano risiedere in [omissis], anche se si recavano a [omissis] con una certa assiduità, per stare coi nipoti) e che alla loro età era estremamente agevole e naturale farsi nuovi amici, sia nell’ambito scolastico che in quello sportivo”.

7 Come è ancora, in Italia, nella maggioranza dei casi.