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L’interesse concreto del minore nell’accertamento dello status filiationis (nota a Trib. Modena, sent. 27 settembre 2019)

autore: S. Galante

Sommario: 1. Il best interest of the child nelle azioni di accertamento della filiazione. - 2. Il caso oggetto di giudizio: la preliminare questione dello status della minore al momento della proposizione della domanda. - 3. Segue: la qualificazione giuridica dell’azione giudiziale. - 4. La ragione più liquida e l’interesse concreto del minore.



1. Il best interest of the child nelle azioni di accertamento della filiazione



Benché con la riforma sulla unicità dello stato di figlio non sia più prospettabile una vera e propria contrapposizione tra le azioni di stato legittimo e le azioni di stato riferite alla filiazione naturale, la “dicotomia”1 di cui all’originario impianto codicistico è ancora in essere, il che crea notevoli dubbi interpretativi e, conseguentemente, applicativi, in primo luogo quanto alla identificazione del regime di accertamento giudiziale applicabile nei singoli casi concreti. In tale situazione, l’operatore del diritto – oggi più che mai – avverte dunque l’esigenza di orientare la propria interpretazione sulla base di punti fermi che possano supportare il primario bene da tutelare, ovverossia l’immanente valore del best interest of the child2 che non può e non deve soffrire limitazione alcuna, nella sua tutela, a seconda che venga in rilievo nelle azioni di accertamento della filiazione “legittima” o di quella “naturale”: l’applicazione unitaria dei diversi strumenti giudiziali, tutti aventi quale comune denominatore e, al tempo stesso, obiettivo, la tutela unica dello status filiationis è dunque da ricollegare al menzionato criterio fondamentale, di creazione anche sovra-statuale e di valenza necessariamente universalistica, in quanto legata alla salvaguardia dell’individuo-figlio in sé. Premesso che “l’affermazione della necessità di considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano è fortemente radicata nell’ordinamento sia interno sia internazionale”3 , occorre dunque che l’applicazione giudiziale della singola azione sia ricondotta all’attuale ordine pubblico costituzionale, che in un’ottica anche antidiscriminatoria – ovverossia inscindibilmente legata al rispetto del principio di uguaglianza – afferma e promuove la famiglia come luogo di affetti concreti del figlio4 , in quanto tali da privilegiare rifuggendo, necessariamente, qualsiasi automatismo applicativo5 . Come chiaramente affermato dalla Suprema Corte la famiglia è sempre incentrata sui rapporti effettivi che si instaurano tra i suoi componenti, di modo che al diritto spetta ricercare un equilibrio che permetta di contemperare gli interessi eventualmente in conflitto, avendo sempre come riferimento il prevalente e reale interesse del minore6 . Enunciato, per la prima volta, nella Dichiarazione Universale dei diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1959, il best interest of the child costituisce oggi moderno principio informatore di tutta la normativa a tutela del minore e deve incontestabilmente trovare applicazione nelle azioni di stato – anche a prescindere dal dato normativo – in quanto azioni dirette per definizione a costituire o rimuovere lo status filiationis nei confronti di uno, ovvero di entrambi, i genitori e, dunque, destinate ad incidere fortemente sulla vita del minore stesso, sin dalla sua origine. Affermata, dunque, la indubbia preminenza dell’interesse del minore nell’accertamento del rapporto di filiazione, occorre altresì precisare che la recente giurisprudenza di merito e di legittimità nonché, da ultimo, anche la Corte costituzionale, hanno mutato il precedente orientamento e superato la aprioristica coincidenza tra il favor veritatis ed il favor minoris, così chiarendo che detta materia esclude qualunque automatismo connesso all’accertamento della genitorialità biologica, facendo invece dipendere il mutamento dello status dall’accertamento del concreto interesse del minore7 . Premesso che il principio di verità biologica non è assoluto ma va guardato nell’ottica del concreto interesse del figlio adeguandosi, in una vera e propria prospettiva sistemica, al nuovo contesto sia legislativo (nazionale ed internazionale) sia storico-culturale, la giurisprudenza e la dottrina impongono dunque concordemente un bilanciamento tra l’esigenza di affermare la verità biologica e l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari, in una crescente considerazione del diritto all’identità non necessariamente correlato alla verità biologica8 , posto il fatto che – alla stregua dell’evoluzione normativa anche sovranazionale in materia – componente indefettibile del favor minoris è il riconoscimento del diritto alla continuità degli affetti. Sottolinea il Giudice di legittimità che tale bilanciamento non può costituire il risultato di una valutazione astratta, essendo invece sempre necessario l’accertamento in concreto dell’interesse del minore in tutte le vicende che lo riguardano, specie quanto alle conseguenze del provvedimento richiesto sul suo sviluppo, dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale9 . Si pone, dunque, il problema specifico dell’interesse del minore alla conoscenza della verità dei fatti. In conformità all’art. 8 CEDU – ed alla giurisprudenza della Corte Edu – la verità biologica è solo una delle componenti dell’identità personale del minore e come tale concorre con le altre di modo che “è proprio l’interesse del minore a dover guidare il giudice nel contemperamento delle esigenze del singolo caso concreto, prescindendo da valutazioni aprioristiche e tenendo presente che, secondo la Corte Edu, il superiore interesse del minore va inteso in maniera evolutiva”10.

In accoglimento della tratteggiata evoluzione anche normativa il Giudice modenese, soffermandosi in particolare sulle azioni giudiziali con le quali si accerta e si dichiara uno status, nel caso in esame ha applicato i criteri giurisprudenziali necessari onde valutare la rispondenza dell’eventuale riconoscimento del legame di filiazione all’effettivo interesse della minore coinvolta, nonché per valutare, sulla base di un giudizio prognostico, il possibile rischio e/o pregiudizio derivante da detto riconoscimento allo sviluppo psico-fisico della medesima. Detti criteri sono stati così individuati dal Tribunale di Modena: l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari, la condizione identitaria già acquisita, non necessariamente correlata alla verità biologica ma ai legami effettivi e personali sviluppatisi all’interno della famiglia attuale, l’esigenza di uno sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale, il percorso di vita e la personalità del richiedente, nonché l’eventuale accertamento di gravi carenze come figura genitoriale. Il Giudice investito del caso ha dunque ritenuto opportuno – stante l’evidenza delle risultanze istruttorie su cui infra – a tutela dell’equilibrio psico-fisico della minore coinvolta nell’azione giudiziale, riservare l’indagine genetica richiesta dal ricorrente all’esito del summenzionato accertamento dell’effettivo interesse della minore alla eventuale modifica del suo status, alla stregua dei sovraindicati criteri, così riconoscendo alla verifica del best interest of the child il ruolo di vero e proprio faro che illumina l’iter decisorio sin dal suo inizio, determinandone la scansione – anche logica – nella trattazione dell’ordine delle questioni.



2. Il caso oggetto di giudizio: la preliminare questione dello status della minore al momento della proposizione della domanda



La vicenda giudiziale affrontata dal Tribunale di Modena trae origine da un “ricorso per il riconoscimento del figlio naturale” volto ad accertare, a mezzo del test del DNA, la paternità del ricorrente nei confronti di una minore, convenendo in giudizio la madre, coniugata con il ricorrente al momento della nascita, sia in proprio che quale esercente in via esclusiva la responsabilità sulla minore stessa. La minore, anche se nata in costanza di matrimonio, è stata riconosciuta dalla madre quale figlia naturale: il competente Ufficiale di stato civile, all’uopo interpellato, ha infatti attestato che la madre, al momento della dichiarazione di nascita della figlia, aveva dichiarato quest’ultima come nata dall’unione della dichiarante non già con il marito, ma con un uomo non parente né affine nei gradi che ostano al riconoscimento, conseguentemente trasmettendo alla figlia il solo cognome materno. La fattispecie verte dunque su un caso in cui l’Ufficiale dello stato civile ha ricevuto, tramite la dichiarazione di nascita11, una dichiarazione di filiazione naturale, resa dalla madre ancorché sposata. Come noto, la donna coniugata può riconoscere come figlio naturale anche un figlio nato in costanza di matrimonio ma dall’unione con un uomo diverso dal marito, poiché se il minore viene denunciato come naturale, tale diventa il suo status anche se la madre è coniugata. Ed invero, come precisato dalla Corte di Cassazione, la presunzione ex art. 231 c.c., non opera per il semplice fatto della procreazione da una donna coniugata, ma solo in quanto vi sia un atto di nascita di figlio legittimo di modo che, quando risulti che la madre abbia dichiarato il figlio come naturale, resta esclusa l’operatività di quella presunzione e difetta lo status di figlio legittimo12. In siffatti casi non è necessario il disconoscimento, ai sensi dell’art. 235 c.c., né si frappone alcun altro ostacolo all’azione per la dichiarazione giudiziale della paternità naturale di persona diversa dal marito. La posizione soggettiva di figlio legittimo non si consegue, dunque, in modo automatico, per la mera sussistenza del vincolo coniugale tra i genitori e del parto ad opera della moglie, ma mediante la formazione dell’atto di nascita, sicché la presunzione di cui all’art. 231 c.c. ha l’esclusiva funzione di integrare l’atto di nascita, al quale deve essere riconosciuto valore determinante ai fini dell’attribuzione dello status13. Da ciò deriva che la presunzione legale di paternità contemplata dalla menzionata norma non sorge, qualora dall’atto di nascita risulti che il figlio è stato dichiarato dalla madre come figlio naturale e quindi come non concepito ad opera del marito, atteso che in tale ipotesi viene a mancare il titolo attributivo dello status di figlio legittimo. Detta impostazione – che il Giudice modenese ha espressamente richiamato – è stata, con fermezza, più volte affermata dal Supremo Collegio14. La dottrina, conseguentemente, ha precisato che: “la madre […] possiede una priorità nella costituzione dello stato del figlio, poiché riconoscendolo per prima acquista la responsabilità genitoriale sullo stesso (art. 317 bis c.c.), compresa l’attribuzione del proprio cognome (art. 262 c.c.) e può opporsi al riconoscimento da parte del padre (art. 250 c.c.): non si instaura il legame di filiazione automatico nei confronti del nato se la madre stessa non lo vuole”15. Ne consegue che la donna coniugata, la quale abbia concepito il figlio con persona diversa dal marito, deve ritenersi ammessa al riconoscimento fin dalla dichiarazione di nascita, indipendentemente dal fatto che sia intervenuto un previo riconoscimento del padre, e secondo la dottrina “questo orientamento giurisprudenziale sembra ora trovare riconoscimento proprio nel nuovo testo dell’art. 239, III co., c.c.”16. In forza pure della nuova normazione dettata dal Testo unico dello stato civile, anche in materia di anonimato materno, l’operatività delle presunzioni che regolano l’accertamento della filiazione matrimoniale è dunque subordinata alla volontà della madre17. In questi termini, chiarisce il Giudice modenese, tale facoltà materna “può essere esercitata laddove il figlio sia nato da una relazione extraconiugale al fine di consentire, contestualmente o successivamente, il riconoscimento da parte del padre naturale”. Pervero, viene in rilievo anche la delicata questione del rapporto fra le azioni di status e l’eventuale azione di rettifica delle risultanze degli atti dello stato civile, problematica oggetto di recente approfondita analisi da parte della Suprema Corte, in una pronunzia interessantissima in materia di acquisizione dello status del nato da procreazione medicalmente assistita avvenuta all’estero successivamente alla morte del marito, il quale all’uopo aveva prestato il proprio consenso anche all’utilizzo post mortem18 del suo seme a tal fine crioconservato. In questo caso, la madre, presentandosi all’Ufficiale di stato civile, ha sostenuto trattarsi di filiazione legittima, sebbene fossero trascorsi ben oltre i 300 giorni di cui all’art. 232 c.c. ai fini dell’operatività della presunzione e, ricevuto il rifiuto dell’Ufficiale, vi si è opposta per via giudiziaria fino ad arrivare in Corte di Cassazione, ove è stato invece affermato il diritto del figlio a vedersi riconosciuto lo status legittimo. Nella sentenza testé menzionata, il Supremo Collegio provvede dunque ad una profonda digressione in tema di confini fra l’azione di rettifica dell’atto dello stato civile, ex artt. 95 e 96 d.P.R. n. 396 del 2000 e la vera e propria azione di status (in questo caso reclamo ex art. 234 c.c.). Come chiarito dalla più attenta dottrina in materia, tale confine appare – anch’esso – alquanto fumoso19. Espone la Suprema Corte che l’azione di rettificazione ex art. 95 d.P.R. n. 396 del 2000 “non investe, in sé, il fatto contemplato nell’atto di stato civile, ma la corrispondenza fra la realtà del fatto e la sua riproduzione nell’atto suddetto, cioè tra il fatto, quale è nella realtà (o quale dovrebbe essere nell’esatta applicazione della legge) e quale risulta dall’atto dello stato civile. Il non verificarsi di tale corrispondenza può dipendere da un errore materiale o da un qualsiasi vizio che alteri il procedimento di formazione dell’atto, sia esso dovuto al dolo dell’Ufficiale che lo redige o ad un suo errore, anche se scusabile in quanto imputabile ad uno dei soggetti chiamati dalla legge a fornire gli elementi per la compilazione dell’atto”. È esattamente nella possibilità che l’errore sia imputabile anche ad uno dei soggetti che rendono le dichiarazioni sulle quali si basa la compilazione dell’atto da parte dell’Ufficiale di stato civile che si individua la maggior possibile contiguità con una azione di status di codicistica disciplina essendone, fondamentalmente, del tutto identici i presupposti. In tal senso depone, peraltro, anche l’ampio potere giudiziale di cognizione, che non soffre alcun particolare limite nell’azione di rettifica, benché diversa da una ordinaria azione di status. Chiarisce, infatti, al riguardo la Corte come nel procedimento de quo, vertente sulla verifica della corrispondenza alla verità di una richiesta attestazione e non già di un giudizio di costituzione diretta di uno status filiationis, il Giudice disponga di una cognizione piena sull’accertamento della corrispondenza di quanto richiesto dal genitore in relazione alla completezza dell’atto di nascita del figlio con la realtà generativa e di discendenza genetica e biologica di quest’ultimo20, in piena conformità con quanto previsto ex art. 96 d.P.R. n. 396 del 2000. Peraltro, è evidente che, forzando l’impostazione della Suprema Corte, si potrebbe giungere, inevitabilmente, a legittimare l’esperibilità delle azioni di status sotto forma di azioni di rettifica degli atti dello stato civile, con soluzione senza dubbio non condivisibile per palese illogicità, posto che “la filiazione si prova con l’atto di nascita iscritto nei registri di stato civile (art. 236 c.c.) e che, dunque, una volta completato l’atto con la sottoscrizione dell’ufficiale di stato civile, il rapporto di filiazione risulterà costituito come indicato nell’atto: di conseguenza, eventuali contestazioni, modifiche o variazioni in rito, investiranno lo status del figlio e richiederanno l’attivazione delle relative azioni”21. In altri termini, una indebita applicazione dell’elaborazione giurisprudenziale surriferita rischierebbe di vanificare la certezza, oltre che dei confini fra le differenti azioni di stato, anche fra dette azioni e quelle di rettificazione degli atti dello Stato civile, che invece devono rimanere chiaramente collegate – in quanto a tale funzione ontologicamente destinate – alla correzione degli errori materiali e alla integrazione degli atti incompleti22. Quanto alla fattispecie oggetto della sentenza in commento, pur ritenendosi doveroso dar conto della succitata impostazione giurisprudenziale, occorre puntualizzare che, nella denegata ipotesi si ritenesse astrattamente proponibile in siffatti casi l’azione di rettifica dell’atto dello stato civile ex art. 95 e ss. d.P.R. n. 396 del 2000, ciò equivarrebbe a negare in radice la stessa facoltà della madre di dichiarare il figlio come nato da unione con uomo diverso dal marito, degradando detta possibilità, giuridicamente riconosciuta in forza delle summenzionate pronunzie della Suprema Corte, a disciplina meramente transeunte e recessiva di fronte alla semplice azione di rettifica in parola.



3. Segue: la qualificazione giuridica dell’azione giudiziale



Ciò premesso, quanto allo status della minore coinvolta nell’azione giudiziale, il Tribunale di Modena, considerato che era stata evocata in giudizio la sola madre, rimasta contumace, rilevato – in conformità alla giurisprudenza anche costituzionale in materia – che qualora si prospettino situazioni di conflitto d’interessi, anche in via potenziale, spetta al giudice procedere alla nomina di un curatore speciale23, ha nominato il Curatore della minore medesima, nella persona di legale del Foro modenese. Detto Curatore, nell’espletare la propria funzione difensiva, sin da subito ha rilevato, in linea preliminare, l’erronea qualificazione del procedimento da parte del padre, essendo di per sé inammissibile nella fattispecie un “ricorso per il riconoscimento del figlio naturale” ex art. 250 c.c., nonché posto in corretta luce il fatto che il giudizio doveva prioritariamente vertere sull’accertamento del concreto interesse della minore ad una eventuale acquisizione dello status di figlia del ricorrente. Muovendo, pertanto, dalla fondamentale valutazione dell’interesse concreto della minore, il Curatore ha proposto istanza affinché il Giudice disponesse una relazione del Servizio Sociale ed Educativo competente per territorio sulle condizioni di vita della minore, sui rapporti affettivi dalla medesima instaurati con la madre, con il padre, nonché con la sorella ed i rispettivi nuclei familiari, sulla capacità di discernimento della minore (anche ai fini di una sua eventuale audizione da parte del g.i.), sul percorso di vita del padre, sulla sua residenza effettiva, sulla sua idoneità genitoriale, riservando la c.t.u. genetica solo all’esito della relazione del Servizio Sociale, sempre e comunque alla condizione che l’eventuale attribuzione alla minore dello status di figlia del ricorrente non risultasse contraria al suo preminente e concreto interesse, primario bene da tutelare. Si è posto dunque in giudizio l’essenziale problema preliminare della esatta qualificazione dell’azione giuridica esercitata dal ricorrente, che il Giudice ha escluso potesse essere ricondotta al rimedio di cui all’art. 250 c.c. In linea di principio, viene immediatamente in rilievo l’azione di reclamo dello stato di figlio, diretta a fare accertare giudizialmente il rapporto di filiazione nei casi previsti, con elencazione non tassativa24, dall’art. 239 c.c., fra i quali quello in cui l’attore intenda reclamare uno stato di figlio conforme ad una presunzione di paternità diversa da quella in base alla quale egli è stato iscritto nell’atto di nascita25. Si pone, conseguentemente, l’evidente problema della legittimazione attiva all’azione stessa, ex art. 249 c.c. spettante al solo figlio, con la precisazione che in caso di sua minore età, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 249, 5° co., e 244, 6° co. c.c., l’azione può essere promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che abbia compiuto gli anni quattordici, ovvero del p.m. o dell’altro genitore quando si tratti di minore infraquattordicenne. Peraltro, occorre dare atto del fatto che l’azione codicistica di reclamo è esperibile solo ed esclusivamente a seguito dell’azione di contestazione, con la precisazione che la rimozione dello stato preesistente può effettuarsi anche nel medesimo giudizio di reclamo, con l’azione di contestazione o con quella di disconoscimento della paternità, quando lo stato risultante dall’atto di nascita sia stato accertato nei confronti della partoriente e del coniuge in base alle regole degli artt. 231 e 232 c.c.26. Occorre senza dubbio rammentare, così come espressamente richiamata nella sentenza oggetto di studio – pur discostandosene motivatamente il Giudice modenese – la precedente soluzione fornita dal Tribunale di Messina, con sentenza successiva alla nota riforma del 2013 della disciplina. Nella vicenda oggetto della pronunzia messinese, il padre aveva proposto azione di reclamo ex art. 239, 3° co., c.c. nei confronti della moglie separata che aveva dichiarato il figlio – nato prima che fossero decorsi 300 giorni dall’omologa della separazione consensuale – come proprio figlio non coniugale, così escludendo che al medesimo fosse riconosciuto lo status di figlio nato nel matrimonio. Il Tribunale di Messina, in sintesi, in detta fattispecie ha ritenuto “possibile riconoscere in capo al genitore che non abbia alcuno status, la legittimazione ad agire con la azione di reclamo dello stato di figlio, seppur… nella forma di azione di accertamento positivo”27.

In dottrina, le posizioni sono da sempre oltremodo variegate. Parte autorevole degli Autori ritiene che l’azione in parola possa essere promossa anche dai genitori, poiché “essi sono legittimati ad agire per l’accertamento della filiazione in quanto tale accertamento risponde al loro diritto allo stato di genitori”28. Altra parte degli interpreti indica con certezza il rimedio dell’azione di reclamo per l’ipotesi in cui la donna coniugata abbia riconosciuto il figlio al momento della nascita, “impedendo l’accertamento automatico della paternità ex art. 231 c.c. e consentendo invece il riconoscimento da parte di un altro uomo. Lo stesso esito può poi verificarsi quando la partoriente coniugata abbia espresso la volontà di non essere nominata nell’atto di nascita ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. n. 396/2000: anche in tal caso l’accertamento automatico della paternità del marito della donna è impedito ed è invece possibile il riconoscimento da parte di un altro uomo. Tali riconoscimenti potrebbero tuttavia non essere veritieri, mentre potrebbe essere autentica la paternità del marito della madre, e cioè la paternità conforme alla presunzione di cui all’art. 231. L’accertamento giudiziale di tale paternità diviene allora possibile mediante reclamo, ma sempre previa impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ex art. 263, nonché, a quanto pare, laddove la partoriente abbia espresso la volontà di non essere nominata, previa rinuncia all’anonimato”29. Secondo il medesimo orientamento, già prima della riforma del 1975, una parte della dottrina30 aveva criticato la mancata previsione della legittimazione genitoriale nella disciplina codicistica, posto che anche i genitori, in quanto parti necessarie del rapporto oggetto di accertamento e titolari di un vero e proprio diritto allo stato genitoriale, possono avere interesse a conseguirne autonomamente l’accertamento. Inoltre, a differenza della filiazione extramatrimoniale, la filiazione matrimoniale non sarebbe suscettibile di accertamento volontario ad opera dei genitori, sicché l’esclusione della loro possibilità di agire in reclamo sembra effettivamente dar luogo a un’irragionevole disparità di trattamento31, che dovrebbe dar luogo non tanto ad un’interpretazione estensiva del dettato normativo da parte dell’interprete, bensì ad un intervento correttivo del legislatore o del giudice delle leggi32. La legittimazione attiva dei genitori all’azione di reclamo è invece negata da quella parte della dottrina che, fondandosi sulla lettera dell’art. 249 c.c., osserva che il dato normativo conduce in maniera univoca a circoscrivere la legittimazione attiva al solo figlio ed ai suoi discendenti escludendo che i genitori possano agire, nomine proprio, per reclamare lo stato di legittimo del proprio figlio33. Secondo altro interessante orientamento dottrinale, il marito-padre è legittimato ad un’azione di accertamento positivo della legittimità del figlio – diversa da quella di reclamo ex art. 249 c.c. riservata soltanto al figlio ed ai discendenti – che si ricava dal sistema delle azioni processuali civili34. In altri termini, nell’ipotesi di donna coniugata che ha riconosciuto il figlio come proprio ma procreato fuori dal matrimonio, per il marito si apre la possibilità dell’azione atipica di accertamento, mentre il padre biologico ha invece la possibilità di procedere al riconoscimento, salvo assenso materno o del figlio ultraquattordicenne, ovvero autorizzazione del giudice (art. 250 c.c.)35. Altra autorevole dottrina ha opportunamente osservato che, rispetto all’originaria disciplina codicistica, il comma 4 dell’art. 249 c.c. afferma che tra i genitori vi è litisconsorzio necessario, ma lascia irrisolta la questione relativa alla legittimazione attiva dei medesimi. Peraltro, la tesi di chi ritiene l’azione di reclamo esperibile nomine proprio anche dai genitori trova, nella nuova disciplina, ulteriori argomenti. Infatti, nel comma 3 del nuovo art. 249 c.c. si legge: “quando l’azione è proposta nei confronti di persone premorte o minori o altrimenti incapaci, si osservano le disposizioni dell’articolo 247”; detta disposizione, dunque, include tra i legittimati passivi i minori, benché tra i “minori”, legittimati passivi, possano annoverarsi anche persone che, prima della maggiore età (al sedicesimo anno), abbiano contratto matrimonio (con le prescritte autorizzazioni), siano divenute genitori e siano state pure convenute in un giudizio di reclamo (assistite dal curatore). Conseguentemente, tra i legittimati passivi occorre ascrivere anche i figli “minori”. Da qui discenderebbe, secondo l’opinione in commento, un’indiretta affermazione della legittimazione dei presunti genitori a proporre l’azione di reclamo. Ulteriore conferma della legittimazione attiva e passiva, tanto dei genitori quanto del figlio, discenderebbe – sempre in base all’orientamento dottrinale in commento – anche dal rinvio, disposto dal comma 3 dell’art. 249 c.c., all’art. 247 c.c., che sembra presupporre una possibile legittimazione passiva del figlio e, di conseguenza, una legittimazione attiva dei genitori nel giudizio di reclamo36. Conclusivamente, come chiarito dalla pronunzia in commento, se da un lato il legislatore del 2013 non è intervenuto sul diritto – ammesso non da una espressa disposizione normativa ma dalla dottrina e dalla giurisprudenza in via interpretativa – della madre coniugata di riconoscere il figlio come proprio e di padre ignoto e di escludere in tal modo l’operatività della presunzione di concepimento in matrimonio, dall’altro la medesima riforma non ha assolutamente chiarito quale sia l’azione all’uopo esercitabile in giudizio dal marito per far affermare, eventualmente, la propria genitorialità. In buona sostanza, seguendo l’analisi giuridica del Tribunale di Modena, le soluzioni sono, alternativamente, o l’attribuzione anche al padre della legittimazione attiva all’azione di reclamo della legittimità – impostazione che richiede, all’evidenza, una decisa forzatura del dato testuale di cui all’art. 249 c.c., che attribuisce la legittimazione attiva al solo figlio – oppure l’attribuzione al padre di una azione di accertamento positivo dello status, necessariamente atipica. Al riguardo, il Giudice modenese, muovendo dalla considerazione che il legislatore ha disciplinato in maniera esaustiva le azioni di stato, anche in correlazione alle esigenze pubblicistiche di certezza e stabilità, ha escluso la configurabilità di azione atipica di accertamento dello status genitoriale37e precisato che la mancata previsione della legittimazione del genitore alla proposizione dell’azione di reclamo – posto che “l’univoco tenore della norma segna infatti il confine in presenza del quale il tentativo di interpretazione deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale (Corte cost. 78/2012)” – non potrebbe che condurre, nella fattispecie, alla rimessione degli atti alla Corte costituzionale.



4. La ragione più liquida e l’interesse concreto del minore



L’iter logico-giuridico seguito dalla sentenza si evidenzia di assoluto rilievo in quanto pone la valutazione del best interest of the child quale prima e preliminare (anche ai sensi dell’“ordine” di cui all’art. 118 disp. att. c.p.c.) questione oggetto di decisione, attuando così in detta sede decisionale la più efficace tutela del rilievo principale, per non dire della precedenza assoluta, del principio in parola. Occorre, infatti, ancora una volta sottolineare che, nella pronuncia in esame, il Giudice ha espressamente accolto, a tutela dell’equilibrio psico-fisico della minore, l’istanza del Curatore – istanza alla quale ha aderito, peraltro, lo stesso ricorrente – volta ad accertare, prima di effettuare l’indagine genetica, il concreto interesse della minore ad una sua eventuale acquisizione dello status di figlia del ricorrente.

Esaminato, approfonditamente, lo stato dell’arte in materia di azione di reclamo ex artt. 239-249 c.c., il Giudice modenese, onde immediatamente valutare, anzitutto, detto interesse concreto della minore all’eventuale verifica della sua discendenza biologica dal ricorrente, oltre alla legittimazione attiva di quest’ultimo all’azione giudiziale esercitata, ha richiamato il principio della “ragione più liquida” in ciò affidandosi ad una delle linee guida di tale principio che è rappresentata dal “criterio dell’evidenza”38. La sentenza esprime, sul punto, un orientamento spiccatamente innovativo, risultando inedita l’applicazione al diritto della famiglia del criterio della “ragione più liquida”; il Giudice ha infatti anteposto – con scelta costituzionalmente orientata – la valutazione, nel merito, del best interest of the child della minore coinvolta alla soluzione della complessa questione pregiudiziale della legittimazione attiva del ricorrente all’azione di reclamo. Come noto, in forza del richiamato criterio, logico e giuridico, della “ragione più liquida” la domanda può essere respinta sulla base della soluzione di una questione assorbente e di più agevole e rapido scrutinio, pur se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre secondo l’ordine previsto dagli artt. 276 c.p.c. (riferito, appunto, alle pregiudiziali di rito) e 118 disp. att. c.p.c. Come chiarito dalla pronunzia in commento detto principio, ricollegabile al canone della economia processuale, oltre che ad esigenze di celerità e speditezza anche costituzionalmente protette ex artt. 24 e 111 Cost.39, sulla base di una elaborazione giurisprudenziale assolutamente univoca, consente al giudice di esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale40, “imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica”. Ciò premesso il Giudice, chiarito “il quadro normativo e giurisprudenziale in cui si colloca la vicenda in esame” ha proseguito l’iter decisionale osservando che “nel caso di specie, anche volendo ritenere il vulnus non sanabile in via interpretativa risulterebbe comunque superfluo investire la Corte costituzionale della questione al fine di ottenere l’emanazione di una pronuncia additiva che estenda al padre la legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di cui all’art. 249 c.c. in quanto l’azione […] risulterebbe comunque infondata nel merito”. Il Tribunale di Modena ha, dunque, esaminato gli esiti dell’indagine all’uopo svolta dal Servizio Sociale incaricato, nonché le risultanze di causa relative, anzitutto, alla personalità ed alla storia di vita del ricorrente, con particolare riguardo al pregresso rapporto con la minore coinvolta nell’azione giudiziale. Il rapporto affettivo e relazionale della minore con il ricorrente è risultato del tutto inesistente, posto che il medesimo non ha mai dimostrato alcun interessamento nei confronti della minore, salvo agire in giudizio ai fini dell’accertamento dello status – come vedremo, con significativa tempistica – solo dopo aver ricevuto un provvedimento di espulsione dall’Italia. Dall’istruttoria è infatti emerso che il ricorrente, condannato ad anni 2, mesi 2, giorni venti per il reato di estorsione, reiterata, nonché ad anni 4, con applicazione della misura di sicurezza obbligatoria dell’espulsione dallo Stato italiano, per reiterata cessione illecita di sostanze stupefacenti – condotte tutte successive alla nascita della minore – nessun contatto ha mai cercato di instaurare con la minore, né – tanto meno – si è mai in alcun modo posto il problema delle necessità, morali e materiali, della medesima, instaurando invece il procedimento che ha dato luogo alla pronuncia in commento diciotto giorni dopo aver ricevuto il provvedimento di espulsione dall’Italia. In altri termini, è emerso dagli atti di causa che il ricorrente non si è mai in alcun modo interessato della minore, sin dalla nascita della stessa, e non ha dimostrato alcun interessamento nei confronti della medesima nemmeno con la proposizione della azione giudiziale in oggetto, azione nella quale il ricorrente non ha espresso la benché minima volontà di svolgere un ruolo genitoriale effettivo “non formulando alcun progetto per la minore né allegando le modalità con le quali intenderebbe far fronte ai propri obblighi anche sotto il profilo economico”. Dall’altro lato, il Giudice ha esaminato le risultanze in atti relative al travagliato percorso di vita della minore coinvolta nella vicenda giudiziaria, ed è così emersa la situazione di “una minore il cui equilibrio psico-fisico, faticosamente raggiunto, è fragile e deve essere salvaguardato” di modo che “ogni accertamento che dovesse venire disposto al fine di stabilire se la minore sia o meno figlia del ricorrente sarebbe di indubbio pregiudizio sull’armonico sviluppo fisico-psichico in atto nonché turbativo dell’evoluzione positiva in corso”. In particolare, la relazione del Servizio Sociale incaricato ha evidenziato che la minore, dopo una prima infanzia molto travagliata, è stata inserita in un contesto familiare ed abitativo del tutto adeguato; la madre è supportata dalla propria rete parentale, nonché aiutata dalla stabilità affettiva ricostituita con il compagno e le figlie. Chiarissimo il passaggio, sul punto, della decisione: “Il Collegio recepisce pertanto le valutazioni già espresse dal Giudice Istruttore, condivise dal Curatore Speciale e dal PM, secondo cui è superflua ed inopportuna l’ammissione di CTU genetica in quanto il diritto costituzionalmente garantito (art. 30 Cost.) dei genitori di istruire ed educare i figli, pur essendo un diritto soggettivo, costituisce l’affermazione di un munus in capo al genitore, che deve tuttavia armonizzarsi con il positivo sviluppo del minore, non potendo in alcun modo costituirne un pregiudizio”. Conclusivamente, il Tribunale di Modena, affermando che la questione pregiudiziale della legittimazione attiva del padre all’azione di reclamo sarebbe stata “oggettivamente complessa” ed avrebbe imposto “probabilmente l’intervento della Corte costituzionale”, ha rigettato nel merito la domanda avanzata dal ricorrente – dopo averla giuridicamente ricondotta al paradigma dell’azione codicistica di reclamo – in quanto dai fatti di causa è emersa l’infondatezza dell’azione esercitata, per contrasto con l’interesse concreto della minore all’eventuale accertamento di paternità del ricorrente, interesse concreto che il Giudice ha massimamente valorizzato, ponendone la valutazione quale questione al contempo preminente e preliminare rispetto ad ogni altra.

NOTE

1 M. SeSta, Manuale di diritto di famiglia, VIII ed., Milano, 2018, 358. Per la considerazione del fatto che è “mancato un intervento del legislatore della riforma sulla questione, fondamentale per larga parte della dottrina ed anzi imprescindibile, dell’unificazione dei fatti di accertamento della filiazione. In altri termini, non può dirsi che l’eguaglianza di status consegua necessariamente alla parità, attuata sul diverso piano del rapporto di filiazione, perché il rapporto, com’è stato efficacemente evidenziato, “non è lo status ma, si potrebbe dire, lo presuppone, e lo status, a sua volta, presuppone l’accertamento della filiazione, senza il quale infatti non conosceremo di quale compagine familiare faccia parte il figlio” [g. boniLini, Lo status o gli status di filiazione?, in Fam. Pers. Succ. 2006, 686]: v. S. SteFaneLLi, Gradi di accertamento e titoli costitutivi, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco; a. SaSSi, F. ScagLione, S. SteFaneLLi, Le persone e la famiglia, vol. 4, Milano, 2018, 237.

2 Sul “rilievo interpretativo fondamentale” (Cass., sez. I, 29 luglio 2015, n. 16043, in Giust. Civ. Mass., 2015 e in Diritto&giustizia.it, 30 luglio 2015, in materia di sottrazione internazionale di minori) del concetto di best interest of the child (di cui agli artt. 8 e 14 della CEDU) e sull’evoluzione di detta nozione, sulla scorta della elaborazione normativa sovranazionale, si rinvia al recentissimo S. SoneLLi, L’interesse superiore del minore. Ulteriori “tessere” per la ricostruzione di una nozione poliedrica, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2018, 4, 1373. L’art 3 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, 20 novembre 1989, prevede che “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. Nel diritto interno, si rammenta la legge 12 luglio 2011, n. 112, Istituzione dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, ex art. 1 espressamente creata al fine di assicurare la piena attuazione e la tutela dei diritti e degli interessi delle persone di minore età, in conformità a quanto previsto dalle convenzioni internazionali, con particolare riferimento alla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e alla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e resa esecutiva dalla legge 20 marzo 2003, n. 77, nonché dal diritto dell’Unione europea e dalle norme costituzionali e legislative nazionali vigenti. Circa l’ottica sistemica secondo la quale occorre “rileggere” il reciproco rapporto fra le fonti nazionali e quelle internazionali, si rinvia a Corte cost., 26 maggio 2017, n. 123, in Guida dir., 2018, 5, 31.

3 Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272, in Guida dir., 2018, 5, 66. Per l’affermazione, emblematica ed illuminante, secondo la quale “L’adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (artt. 8 e 14), alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (art. 2, comma 2), ed infine l’entrata in vigore della c.d. f. U.E (art. 21), in uno con la pressione dei mutamenti sociali, hanno spostato il baricentro verso il precetto di uguaglianza, senza distinzione per nascita, consacrato nell’art. 3 Cost.”, si rinvia a S. SteFaneLLi, Caratteri e funzione dello stato, in SaSSi, ScagLione, SteFaneLLi, Le Persone e la famiglia, cit., 84. Come ribadito dalla Suprema Corte, “La centralità dell’interesse del minore nelle azioni di stato è stata più volte affermata dalla Corte costituzionale... A tale principio ormai acquisito in ambito internazionale corrisponde analogo indirizzo dell’ordinamento interno, nel quale ‘l’interesse morale e materiale del minore ha assunto carattere di piena centralità’ (Corte costituzionale, n. 31 del 2012)”: così Cass., sez. I, 22 dicembre 2016, n. 26767, in Foro. It., 2017, 1, I, 119.

4 L’impareggiabile espressione è di S. SteFaneLLi, Procreazione medicalmente assistita, relazione del 14 settembre 2019 alla Scuola di alta formazione specialistica in diritto di famiglia dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia e, id., Riconoscimento automatico del secondo padre nella gestazione per altri, nota a Trib. Milano, sez. VIII, 24 ottobre 2018, n. 2934, in IlFamiliarista.it.

5 Quali recenti rintracci normativi della valorizzazione dell’interesse concreto del minore v. la legge 19 ottobre 2015, n. 173, Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare, che ha doverosamente valorizzato l’interesse del minore alla conservazione di legami affettivi che sicuramente prescindono da quelli di sangue, ovvero la legge 7 aprile 2017, n. 47, Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati, laddove al suo art. 6 prevede che le indagini familiari relative al minore non accompagnato vengano eseguite “esclusivamente nel suo superiore interesse”. Fra le varie applicazioni giurisprudenziali, è da ricordare anche l’interpretazione che esclude qualsiasi automatismo nell’attribuzione del cognome al figlio minore, imponendo al Giudice la valutazione in concreto dell’esigenza di evitare un danno alla personalità sociale del minore (Cass., 11 settembre 2015, n. 17976, in Foro it., 2016, 1, I, 135). Inoltre, sottolinea il Giudice di legittimità, che “in proposito deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte in merito alla necessità di un accertamento in concreto dell’interesse del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di uno sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale (Cass., 23 settembre 2015, n. 18817; Cass., 8 novembre 2013, n. 25213; Cass., 19 ottobre 2011, n. 21651; Cass., 27 giugno 2006, n. 14840; Cass., 30 maggio 1997, n. 4834; Cass. 24 settembre 1996, n. 8413)”: così Cass., 22 dicembre 2016, n. 26767, cit.

6 Cass., sez. I, 30 settembre 2016, n. 19599, in Foro it., 11, I, 3329.

7 M. porceLLi, La contestazione ed il reclamo dello status di figlio legittimo, in Dir. Fam. Pers., 2012, 1770 ss. In tema di azioni di status l’ascolto del minore è certamente necessario, anche se espressivo di una volontà non vincolante per il giudicante, nell’ambito del percorso decisionale che il giudice del merito è tenuto a sviluppare per attuare il doveroso bilanciamento tra favor veritatis e favor minoris, onde la sua omissione, per i rilevanti effetti che possono derivarne non solo sul piano procedimentale ma anche su quello sostanziale, non può trovare giustificazione né nel dubbio circa la capacità di discernimento del minore né su ragioni di mera opportunità: in tal senso v. Cass., ordinanza 6 novembre 2019, n. 28521, in Diritto&giustizia.it, 7 novembre 2019.

8 Così Cass., sez. I, 27 marzo 2017, n. 7762, in Foro it., 2017, 5, I, 1533, espressamente richiamata anche nella sentenza oggetto della presente nota, e Cass., sez. I, 22 dicembre 2016, n. 26767, cit.

9 Così Cass., sent. 27 marzo 2017, n. 7762 e 22 dicembre 2016, n. 26767, cit. Fra le più recenti, v. anche Cass., ord. 6 novembre 2019, n. 28521, cit.

10 Corte EDU, 28 giugno 2007, Wagner c. Lussemburgo, in c. caMpigLio, La genitorialità nelle coppie same-sex: un banco di prova per il diritto internazionale privato e l’ordinamento di stato civile, in Fam. e dir., 2018, 10, 928. In tal senso depone anche altra recentissima pronunzia della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, 6 novembre 2018 8 maggio 2019, n. 12193, in Dir. Fam. Pers., 2019, 3, I, 1062, ove è stato ulteriormente consacrato “il richiamo a una pluralità di indici normativi, collegati tra loro ed interpretati alla luce dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte EDU, dai quali ha tratto la convinzione che il modello di genitorialità cui s’ispira il nostro ordinamento nell’attuale momento storico non possa più considerarsi fondato esclusivamente sul legame biologico tra il genitore ed il nato, ma debba tener conto di nuove fattispecie contrassegnate dalla costituzione di un legame familiare con quest’ultimo, in conseguenza della consapevole assunzione da parte del primo della responsabilità di allevarlo ed accudirlo”. Peraltro, anche il Giudice delle Leggi – con una notissima pronunzia additiva – ha sotto diversa angolazione affrontato il diritto del minore all’accesso alle proprie origini e, come noto, quanto al minore nato da donna che ex art. 30 d.P.R. n. 396/2000 ha deciso di mantenere l’anonimato nell’atto di nascita, ha conformato l’ordinamento italiano alle fonti sovranazionali. Esaminando il caso, la Corte costituzionale precisa che: “anche il diritto del figlio a conoscere le proprie origini – e ad accedere alla propria storia parentale – costituisce un elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona, come pure riconosciuto in varie pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo. E il relativo bisogno di conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale. Elementi, tutti, affidati alla disciplina che il legislatore è chiamato a stabilire, nelle forme e con le modalità reputate più opportune, dirette anche a evitare che il suo esercizio si ponga in collisione rispetto a norme – quali quelle che disciplinano il diritto all’anonimato della madre – che coinvolgono, come si è detto, esigenze volte a tutelare il bene supremo della vita. [...] Sul piano più generale, una scelta per l’anonimato che comporti una rinuncia irreversibile alla ‘genitorialità giuridica’ può, invece, ragionevolmente non implicare anche una definitiva e irreversibile rinuncia alla ‘genitorialità naturale’: ove così fosse, d’altra parte, risulterebbe introdotto nel sistema una sorta di divieto destinato a precludere in radice qualsiasi possibilità di reciproca relazione di fatto tra madre e figlio, con esiti difficilmente compatibili con l’art. 2 Cost. In altri termini, mentre la scelta per l’anonimato legittimamente impedisce l’insorgenza di una ‘genitorialità giuridica’, con effetti inevitabilmente stabilizzati pro futuro, non appare ragionevole che quella scelta risulti necessariamente e definitivamente preclusiva anche sul versante dei rapporti relativi alla ‘genitorialità naturale’: potendosi quella scelta riguardare, sul piano di quest’ultima, come opzione eventualmente revocabile (in seguito alla iniziativa del figlio), proprio perché corrispondente alle motivazioni per le quali essa è stata compiuta e può essere mantenuta” (Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, in Dir. Fam. Pers., 2014, 1, 13 ss.).

11 Circa detta dichiarazione, il Ministero dell’Interno (Massimario per l’ufficiale di stato civile 2012) indica che: “La registrazione dell’evento nascita costituisce un diritto della persona, riconosciuto dal nostro ordinamento: fino a quando non esiste l’atto di nascita, non esistono per la persona, che pure è nata, i diritti civili che la collegano con l’ordinamento giuridico (diritto al nome, all’identità personale), pur sussistendo i diritti fondamentali della persona, come quello alla vita, alla salute, alla dignità. Di conseguenza, la dichiarazione di nascita deve essere accettata, anzi essa è un atto dovuto nei confronti del bambino: in presenza di una attestazione di nascita o di unadichiarazionesostitutivadicuiall’art.30,comma3deld.P.R.396/2000,l’ufficiale di stato civile formerà il relativo atto, dopo aver accertato l’identità del dichiarante o dei dichiaranti”.

12 Cass., 10 ottobre 1992, n. 11073, in Dir. Fam. Pers., 1993, 468; v. anche, nella giurisprudenza di merito, Trib. Rimini, 24 marzo 1995, in Riv. It. medicina legale e dir. sanitario, 1996, 1502. Sul punto v. r. caLVigioni, Filiazione fuori dal matrimonio e rettificazione giudiziale dell’atto di nascita, commento a Trib. Torino, 21 dicembre 2017, in Fam. e dir., 2018, 5, 485 ss.

13 V. Cass., 19 aprile 2010, n. 9300, in Diritto&Giustizia.it, 2010, e Trib. Milano, 25 gennaio 2012: entrambe le pronunzie sono citate in S. SteFaneLLi, Gradi di accertamento e titoli costitutivi, cit., 236, ove l’Autrice precisa che il disposto di cui all’art. 231 c.c. “non opera per il semplice fatto della procreazione da donna coniugata, ma solo quando vi sia un atto di nascita di figlio matrimoniale a seguito di dichiarazione della partoriente in tal senso, mentre, quando risulti che la stessa abbia dichiarato il figlio come nato fuori dal matrimonio, difettando l’operatività di detta presunzione e del conseguente status di figlio matrimoniale, non è necessario il disconoscimento, né si frappone alcun ostacolo alla dichiarazione giudiziale verso persona diversa dal marito”. Aggiunge l’Autrice che “Il Testo unico dello stato civile ha rivoluzionato, in questi termini, il sistema codicistico che si voleva imperniato su un accertamento automatico della maternità e della paternità legittima, realizzando specialmente attraverso la previsione dell’anonimato l’attuazione del contrario principio volontaristico, costituendo quello che è stato efficacemente definito un ‘privilegio della maternità’, da altri definito ‘arbitrio’, che risulta rafforzato dalla possibilità del riconoscimento prenatale materno, da cui il padre resta escluso ove manchi il consenso della gestante” (ibid., 237 s.).

14 Cass., sent. 2 aprile 1987, n. 3184, in Nuova giur. Civ. Com., 1987, I, 702; Cass., 5 aprile 1996, n. 3194, in Foro it., 1997, I, 2996; Cass., 27 agosto 1997, n. 8059, in Fam. e dir., 1998, 79.

15 r. caLVigioni, I minori e lo stato civile, in R. caLVigioni, L. paLMieri, t. pioLa, I minori e i servizi demografici. Adempimenti di anagrafe e stato civile, Ravenna, 2018, 30. Circa la spiccata componente volontaristica “caratterizzante l’ordinamento italiano in relazione all’instaurazione del vincolo di filiazione tra partoriente e figlio”, in materia di diritto della donna a non essere nominata nell’atto di nascita ex art. 30 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, v. e. boLondi, L. baLeStra, La filiazione nel contesto europeo, in Fam. e dir., 2008, 3, 312.

16 e. biLotti, Commentario del codice civile, diretto da E. gabrieLLi, Della Famiglia, a cura di G. di roSa, II ed., Torino, 2018, art. 239, 59. In tal senso, l’Autore indica l’insegnamento di M. SeSta, Manuale di diritto di famiglia, VI ed., Padova, 2016, 337, mentre in senso contrario indica C.M. bianca, Diritto civile, II, La famiglia, VI ed., Milano, 2017, 406.

17 SteFaneLLi, Gradi di accertamento e titoli costitutivi, cit., 236.

18 Cass., Sez. I, sent. 15 maggio 2019, n. 13000, in Dir. fam. pers., 2019, 3, I, 1117.

19 Per l’affermazione che “se l’ufficiale di stato civile non aveva commesso errori, se anzi aveva applicato correttamente la norma, se l’atto di nascita era stato formato secondo legge, resta difficile sostenere che doveva essere rettificato e che, invece, non si trattasse di azione di stato, da affrontare a parte, semplicemente attribuzione giudiziale di paternità con conseguente filiazione nel matrimonio. Ma se così fosse, il concetto di rettificazione richiamato dalla Cassazione, potrebbe essere applicato a tutte le ipotesi di riconoscimento di filiazione non riportate nell’atto di nascita in quanto, in ogni caso, si tratterebbe di mancata corrispondenza fra la realtà del fatto e la sua riproduzione nell’atto suddetto, ma il discrimine dovrebbe essere dato proprio dalla legittimità o meno del comportamento dell’ufficiale dello stato civile, dal fatto che l’atto sia stato formato nel pieno rispetto della normativa vigente e, quindi, la rettificazione dell’atto sconfinerebbe in un’azione di stato tendente ad affermare il rapporto di filiazione che l’ufficiale di Stato civile non avrebbe potuto registrare se non operando contra legem”, v. la chiarificatrice analisi di r. caLVigioni, La Cassazione sulla fecondazione post mortem. Il ruolo dell’ufficiale di stato civile tra rettificazione dell’atto ed azione di stato, in I servizi demografici, 2019, 10, 30 s., ed in partic. nota 11, ove l’Autore riporta: “In tal senso, il Tribunale di La Spezia con ordinanza del 5 luglio 2019, respinge la richiesta ai sensi dell’art. 95 del d.P.R. 396/2000 del Procuratore della Repubblica tendente ad ottenere l’annullamento dell’atto di riconoscimento di un padre nei confronti di un minore già riconosciuto alla nascita dall’altro padre, precisando che si verte nell’ipotesi di contestazione dello stato di figlio e che il Pubblico Ministero non ha legittimazione attiva a proporre tale tipo di azione”.

20 Cass., 15 maggio 2019, n. 13000, cit.

21 r. caLVigioni, La Cassazione sulla fecondazione post mortem. Il ruolo dell’uffi-

ciale di stato civile tra rettificazione dell’atto ed azione di stato, cit., 34 s.

22 Molto chiaramente: M. SeSta, Manuale di diritto di famiglia, cit., 360.

23 Corte cost., 11 marzo 2011, n. 83, in Giur. Cost., 2011, 2, 1264. Come

noto, emblematicamente la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo stabilisce che “L’infanzia ha diritto ad un aiuto e ad una assistenza particolari”: in termini, la successiva Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176, afferma che “il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita”. Per l’affermazione che “Il curatore speciale del mino-

re è una figura sempre più importante all’interno del panorama giudiziario italiano.

Sebbene tale soggetto fosse inizialmente circoscritto ai soli procedimenti di adottabilità,

l’influenza delle Convenzioni Internazionali (la Convenzione di New York sui diritti

del fanciullo del 1989 e la Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei mino-

ri del 2006), nonché di autorevoli pronunciamenti della Consulta (il riferimento è alla

nota sentenza n. 83/2011) ha orientato la giurisprudenza di merito ad una sempre più

pregnante valorizzazione del ruolo del curatore speciale quale autonomo rappresen-

tante del minore” v. g.o. ceSaro, La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la figura

del curatore speciale del minore, in Fam. e dir., 2019, 10, 937. Quanto alla cornice

normativa interna rammentiamo, innanzi tutto, la legge costituzionale 23 no-

vembre 1999 n. 2 che ha riformato l’art. 111 Cost., imponendo espressamente

il rispetto del principio del contraddittorio in “ogni processo”, la legge 28 marzo

2001 n. 149, Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’a-

dozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice

civile, oltre alla legge 20 marzo 2003 n. 77, Ratifica ed esecuzione della Convenzio-

ne europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996.

Sul piano processuale, può dirsi sussistente il conflitto di interesse tra il minore

ed il suo rappresentante legale allorché quest’ultimo sia portatore, anche solo in

potenza ed in astratto, di un interesse personale a che la controversia possa avere

un esito diverso da quello che sarebbe invece corrispondente all’interesse del

minore (Cass. 16 novembre 2000, n. 14866, in Giust. Civ. Mass., 2000, 2349).

24 SeSta, Manuale di diritto di famiglia, cit., 374.

25 SeSta, Manuale di diritto di famiglia, cit., 373.

26 E. biLotti, Commentario del codice civile, diretto da Gabrielli, Della Famiglia, a cura di g. di roSa, II ed., Torino, 2018, art. 239, 54. Nel contributo, l’Autore specifica peraltro che “Questa sistemazione delle azioni di stato relative alla filiazione matrimoniale, che distingue tra azioni di accertamento negativo (il disconoscimento di paternità e la contestazione) e azioni di accertamento positivo (il reclamo), è stata da ultimo messa radicalmente in discussione da SASSI”, in SaSSi, ScagLione, SteFaneLLi, La filiazione e i minori, cit., 363, ove si argomenta come, a seguito della riforma del 2013, reclamo e contestazione sarebbero divenute azioni del tutto analoghe e speculari, di modo che entrambe le azioni sarebbero idonee a “produrre effetti acquisitivi o privativi a seconda della fattispecie cui sono riferite e del petitum introdotto nel giudizio, che delimita la cognizione del giudice”.

27 Così Trib. Messina, 3 marzo 2016, in DeJure.it: “(In dottrina) si è ritenuto che se il vincolo di filiazione non è attestato da alcun titolo di stato, ai genitori non possa essere negato il potere di reclamare lo status di genitori, in virtù del loro sicuro interesse a far valere il proprio rapporto genitoriale: in detti casi, dunque, dovrebbe ritenersi ammissibile la proposizione della azione di reclamo da parte del genitore intesa come azione di accertamento positivo. Inoltre la dottrina, a seguito della riforma della disciplina della filiazione, ha affermato che il nuovo testo dell’art. 249 c.c. pur non contenendo espresso riferimento alla legittimazione attiva dei genitori, avrebbe comunque creato dei nuovi spazi interpretativi che consentirebbero di riconoscere detta legittimazione. Si è affermato, infatti, che, a differenza di quanto previsto nella precedente formulazione dell’art. 249 c.c. – nella quale era previsto che l’azione di reclamo si sarebbe dovuta proporre ‘contro entrambi i genitori’ – il 4° comma del nuovo art. 249 c.c. precisa che ‘nel giudizio devono essere chiamati entrambi i genitori’ con disposizione coincidente con quella di cui all’art. 248 c.c. in materia di contestazione di stato. Pertanto, i genitori non sono più indicati come ‘contraddittori’ necessari bensì come litisconsorti necessari, come avviene nell’ipotesi della contestazione dello stato di figlio ex art. 248 c.c. nella quale i genitori, litisconsorti necessari, sono legittimati passivi qualora la azione sia proposta ‘da chiunque vi abbia interesse’ mentre hanno legittimazione attiva quando propongono l’azione, seppur – si è rilevato –l’art. 249 c.c., a differenza dell’art. 248 c.c., non contiene la indicazione specifica relativa alla legittimazione attiva dei genitori. Un altro argomento, tratto dalla nuova disciplina in materia di filiazione, riguarda la previsione del nuovo comma 3 dell’art. 249 c.c. nella parte in cui afferma che ‘quando la azione è proposta nei confronti di persone premorte o minori o altrimenti incapaci, si osservano le disposizioni di cui all’art. 247 c.c.’, nel senso che il riferimento al minore come legittimato passivo consentirebbe di ritenere ammissibile una legittimazione attiva del genitore. In ultimo la dottrina ha evidenziato che l’art. 249 c.c. contiene un richiamo alla previsione di cui all’art. 245, 2° comma c.c. secondo cui ‘quando il figlio si trova in stato di interdizione ovvero versa in condizioni di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi, l’azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice’ mentre ‘per gli altri legittimati l’azione può essere proposta dal tutore o, in mancanza di questo, da un curatore speciale, previa autorizzazione del giudice’. Il riferimento a tale previsione, contenente il richiamo ad ‘altri legittimati’, dunque, potrebbe far ritenere anche la sussistenza della legittimazione attiva dei genitori”.

28 c.M. bianca, Diritto civile, vol. 2.1., La Famiglia, Milano, 2014, 380.

29 biLotti, Commentario, cit., 60. Altro autore, M. doSSetti, riporta in maniera adesiva la tesi condivisa di c.M. bianca e da g. chiappetta [La riforma della filiazione, a cura di c.M. bianca, Padova, 2015, 491] ed osserva che “se è stato concepito dai coniugi prima del venir meno del vincolo, o prima della separazione, l’azione con cui viene chiesto l’accertamento del concepimento nel matrimonio è sicuramente l’azione di reclamo (art. 239 e 249 c.c.), anche se sono i genitori a proporla, poiché l’oggetto del giudizio, ossia lo stato di figlio nato nel matrimonio, appare il medesimo. [...] Sarebbe allora sufficiente affermare che, nel caso di specie, il legislatore ha eccezionalmente esteso la legittimazione all’azione anche ai genitori, mentre sarebbe esorbitante ritenere che sia stata introdotta una nuova azione di stato”. In tal senso: M. doSSetti, M. Moretti, c. Moretti, La nuova filiazione. Accertamento e azioni di stato, Bologna, 2017, 142.

30 a. cicu, La Filiazione, II ed., Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, Torino, 1969, 79. La tesi esposta dall’Autore in parola, che affermava positivamente la legittimazione attiva anche dei genitori, faceva leva sull’art. 30 Cost., norma che presuppone il diritto del genitore ad ottenere l’accertamento del rapporto di filiazione, considerato anche che la legge disciplina detto diritto all’accertamento del rapporto di filiazione a favore del genitore naturale, che può volontariamente riconoscere il proprio figlio, di modo che in ossequio al canone della ragionevolezza occorre sia accordata tutela equivalente anche al genitore legittimo.

31 biLotti, Commentario, cit., 157.

32 id., op. ult. cit. Nello stesso senso: a. ricci, Codice della famiglia, a cura di Sesta, Milano, 2015, 1005, nonché lo stesso M. SeSta, voce Azioni di stato legittimo, Enc. Giur. Treccani, IV, 1988, 74.

33 M. di nardo in (a cura di) g. coLLura, L. Lenti, M. MantoVani, Trattato di diritto di famiglia. Filiazione, 2a ed., v. II, Milano, 2012, 293 s. Per l’affermazione che: “A nostro parere, premesso che il genitore che voglia ovviare ad un’errata iscrizione dello status del figlio nei registri di stato civile può certamente agire per la rettificazione dell’atto quando si tratti di far valere solo una difformità tra le risultanze anagrafiche e quelle che dovrebbero essere nella realtà secondo le previsioni di legge (Tra le altre, in questo senso, Cass., 16 dicembre 1986, n. 7530, in Foro it., 1987, I 1, 1097) non può escludersi che, in linea di principio, il genitore potrebbe avere un proprio meritevole interesse a far accertare lo stato del proprio figlio, ma ostativo al riconoscimento di un’autonoma legittimazione attiva ai genitori appare il testo normativo che non sembra lasciare spazio per una lettura che estenda la titolarità dell’azione di reclamo della legittimità” v. M. di nardo, L’azione di reclamo dello stato di figlio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da p. zatti, vol. II, Il nuovo diritto della filiazione, a cura di L. Lenti, M. MantoVani, Milano, 2019, 209.

34 a. paLazzo, La filiazione, in (diretto da) A. cicu, F. MeSSineo, L. Mengoni, P. SchLeSinger, Trattato di diritto civile, II ed., Milano, 2013, 327 s. Nel medesimo senso: g. deniSe, Codice della Famiglia, diretto da Di Marzio, Milano, 2018, 857 s.

35 SteFaneLLi, Gradi di accertamento e titoli costitutivi, cit., 239. L’Autrice richiama all’uopo anche l’orientamento di a. paLazzo, di cui alla precedente nota, specie laddove il medesimo sottolinea che l’azione paterna “è un’azione di accertamento positivo che si ricava dal sistema delle azioni processuali civili, e che può essere compresa nella sua funzione e struttura attraverso il sistema delle prove presuntive che caratterizza le azioni di stato della filiazione” (paLazzo, La filiazione, cit., 326).

36 c. ciraoLo in (a cura di) M. bianca, Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, 75 ss.

37 Così discostandosi dalla sovra riportata pronunzia messinese.

38 Per l’affermazione che l’operatività del principio della “ragione più liquida” in presenza di cumulo alternativo di domande fa sì che, in relazione alla domanda non esaminata, non possa parlarsi né di rigetto implicito, né di esame omesso ovvero apparente, verificandosi per contro un semplice fenomeno di assorbimento: Cass., 21 dicembre 2018, n. 33117, in Foro it., 2019, 5, I, 1701 e Cass., 23 luglio 2018, n. 19503, in Giust. Civ. Mass., 2018; in precedenza, v. Cass., Sez. Un. 18 novembre 2015, n. 23542, in Giust. Civ. Mass., 2015 e in Diritto&giustizia.it, 17 febbraio 2016.

39 V. anche Cass., 28 maggio 2014, n. 12002, in Giust. Civ. Mass., 2014. In dottrina, v. a. arSeni, Il rasoio di Occam: quando il principio della ragione più liquida prevale su quello dispositivo, in Personaedanno.it. Circa la “rinnovata visione dell’attività giurisdizionale” con la quale il principio in parola è connesso: Trib. Reggio Emilia, 7 dicembre 2017, n. 1327, in Ilcaso.it. Per altra interessante applicazione v. Trib. Vercelli, 9 maggio 2016, in Dejure.it, con commento di S. aLunni, Principio della ragione più liquida: rito e merito nell’ordine di trattazione, in Giur. It., 2016, 12, 2623.

40 Cass., Sez. Un., 8 maggio 2014, n. 9936, in Giust. Civ. Mass., 2014 e in Diritto&giustizia.it, 30 luglio 2014. Nella giurisprudenza di merito v. Trib. Modena Sez. lav., 7 febbraio 2018, n. 506, in Giurisprudenzamodenese.it ove si afferma che il rigetto nel merito della domanda rende superfluo l’esame dell’eccezione di prescrizione, in applicazione del principio processuale “della ragione più liquida”. Sul punto, v. anche: Cass., Sez. Un., 18 dicembre 2008, n. 29523, in Foro it., 2009, 11, I, 3099 e, in precedenza, lo stesso Tribunale di Modena, che ha più volte richiamato il criterio in parola. v., fra le altre, Trib. Modena, Dott. Pagliani, 22 marzo 2019, n. 412, in Giurisprudenzamodenese.it: “La causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, pur se logicamente subordinata, senza necessità di esaminare previamente (o successivamente) le altre, anche sostituendo – nella prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio costituzionalizzata dall’art. 111 Cost. – il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare codificato dall’art. 276 c.p.c. (Trib. Modena, Dott. Rimondini, sent. 25 settembre 2017, n. 1677)”.