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Profili tributari degli accordi di reintegrazione della legittima (nota a Cass. Civ., Sez. Trib., ord. 17 gennaio 2019, n. 1141)

autore: D. Cavicchi

Sommario: 1. Il caso. - 2. La decisione della Corte. - 3. Il commento.



1. Il caso



Il caso sottoposto all’esame della Corte concerne la tassazione di un negozio giuridico, posto in essere da due fratelli, volto a regolamentare alcuni aspetti legati alla successione mortis causa della loro comune madre1 . La decisione, resa nella forma dell’ordinanza, rispetto alla quale consta solo un precedente analogo di legittimità2 , è di particolare rilievo, in quanto affronta, se pure entro i limiti fisiologicamente posti dalla finalità tributaria della pronuncia, la complessa e articolata questione dell’ammissibilità, nel nostro ordinamento, di strumenti negoziali volti a soddisfare i diritti dei legittimari, quale alternativa al mezzo di tutela giurisdizionale. Questi i fatti di causa, per come è dato ricostruirli dalla lettura dell’ordinanza.

La de cuius, madre di due fratelli successibili, mediante testamento olografo, nomina proprio erede universale uno dei due figli, disponendo, in favore dell’altro, un legato in sostituzione di legittima, avente per oggetto beni immobili. Ritenendosi leso nei suoi diritti di legittima, il beneficiario del legato conviene in giudizio il fratello, ma le parti, durante il processo, trovano un accordo, che viene riversato nel verbale di conciliazione giudiziale: il legatario rinuncia al legato, disposto in suo favore, a fronte del riconoscimento di una somma di denaro; la proprietà dei beni immobili oggetto del legato viene trasferita all’altro fratello. In tal modo, precisa l’ordinanza, vengono reintegrati i diritti di legittimario che si assumevano violati. Ne scaturisce un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate. L’accordo viene considerato, dall’ente impositore, come transazione, non comportante trasferimento di proprietà o trasferimento o costituzione di diritti reali e quindi, in quanto tale, soggetto all’imposta di registro, con aliquota del tre per cento, da applicarsi in relazione agli obblighi di pagamento in esso previsti, ai sensi dell’art. 29 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, Testo Unico imposta di registro3 . Il contribuente, invece, sostiene che l’accordo debba considerarsi come rientrante nella categoria degli accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari e che, in quanto tale, sia soggetto all’imposta sulle successioni, ai sensi dell’art. 43 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, Testo Unico imposta successioni e donazioni4 . Il contribuente soccombe in primo e in secondo grado. In particolare, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, nel rigettare l’appello del contribuente e confermare la sentenza di primo grado, afferma che gli accordi transattivi, tesi a reintegrare i diritti dei legittimari, avrebbero natura diversa dagli accordi che scaturiscono da una conciliazione giudiziale e, nel caso di specie, il negozio intercorso tra le parti si concreterebbe, sostanzialmente, in una transazione tra due parti, che non comporta trasferimento o costituzione di diritti reali bensì solo obblighi di pagamento: in quanto tale, sarebbe soggetta alla tassazione di cui al richiamato art. 29 Testo Unico imposta di registro, essendo viceversa inapplicabile l’imposta sulle successioni secondo la previsione dell’art. 43 Testo Unico imposta successioni e donazioni.



2. La decisione della Corte



La Corte di Cassazione, adita dal contribuente, ribalta la decisione della Commissione regionale: cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, in accoglimento del ricorso originario del contribuente, assoggetta l’accordo in parola all’imposta sulle successioni. Vediamo attraverso quale percorso argomentativo i giudici di legittimità giungono a tale conclusione. Giova premettere che la Corte, benché si pronunci in un settore di rilevanza tributaria, e quindi in tema di ambito applicazione di norme tributarie, sembra ambire ad una vera e propria ricostruzione della figura negoziale della cui tassazione si tratta, con espliciti riferimenti a profili prettamente civilistici della fattispecie. Il cuore della motivazione prende le mosse dalla considerazione per cui, in presenza di una lesione dei diritti del legittimario – attuata attraverso negozi di liberalità donativa o mediante disposizioni testamentarie – questi, per la tutela dei propri diritti, in alternativa ai rimedi giudiziali predisposti dal codice civile5 , può avvalersi di uno strumento negoziale, da porre in essere di comune accordo con i beneficiari delle disposizioni lesive. Si tratta, precisa il provvedimento in esame, di un accordo atipico, il cui contenuto è rimesso all’autonomia privata, attraverso il quale le parti possono conseguire il risultato di reintegrare la quota di riserva del legittimario leso o quantomeno di consentirgli di ottenere un valore corrispondente a tale quota. Secondo i giudici, un siffatto accordo tiene luogo della sentenza che accoglierebbe la domanda di riduzione delle disposizioni lesive, ed ha natura non transattiva bensì meramente ricognitiva e di accertamento: con esso, infatti, i contraenti non intendono prevenire o metter fine ad una lite facendosi reciproche concessioni – secondo lo schema dell’art. 1965 c.c. – ma pongono in essere un riconoscimento dell’inefficacia delle disposizioni lesive della legittima, producendo, per l’appunto, un effetto che viene ritenuto equivalente alla sentenza di riduzione.

L’accordo sarebbe, poi, soggetto a trascrizione ai sensi dell’art. 2648, 3° comma, c.c.6 e ai sensi dell’art. 2650 c.c., ai fini della continuità delle trascrizioni, nonché ad annotazione, ai sensi dell’art. 2655 c.c., a margine della trascrizione dell’originario atto di acquisto lesivo. Questa figura negoziale, prosegue la Corte, è ampiamente riconosciuta in dottrina7 e se ne rinviene un esplicito riferimento proprio nel citato art. 43 Testo Unico imposta successioni e donazioni, per il quale, come si è visto, l’imposta sulle successioni si applica anche “agli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata”. Siffatti accordi hanno natura sostanzialmente ereditaria, ed è per questo, si afferma in ordinanza, che sono soggetti all’imposta di successione. Naturalmente, si precisa, i privati rimangono liberi di stipulare un negozio avente natura transattiva – componendo o prevenendo una lite originata dalla lesione dei diritti del legittimario – e facendosi reciproche concessioni: ma, in tal caso, l’accordo sarebbe soggetto alle ordinarie regole in tema di imposta di registro, avuto riguardo agli effetti, anche traslativi, in concreto voluti dai contraenti. Infatti, in tale ipotesi, la successione necessaria non caratterizzerebbe causalmente il negozio ma rileverebbe soltanto come suo presupposto, onde il negozio stesso non avrebbe natura sostanzialmente ereditaria: “le parti litigiose, con la transazione, intendono sostituire una regolamentazione nuova a quella precedente, che aveva dato luogo al contrasto, e per far ciò esse necessariamente dispongono del diritto controverso, per cui le aspettative del legittimario vengono reintegrate in senso puramente economico, evitando nel contempo che in futuro il medesimo possa proporre l’azione di riduzione”8 . Svolte queste premesse, la Corte affronta più direttamente il profilo tributario della vicenda e giunge ad affermare che, per stabilire a quale trattamento impositivo sia soggetto il negozio in esame, è necessario “accertare se le parti abbiano inteso esclusivamente reintegrare i diritti di legittima lesi, ovvero modificare e/o integrare in via negoziale l’assetto della successione, rispetto a quanto disposto dal testatore”. Ebbene, esaminato il contenuto del verbale di conciliazione, la Corte afferma che, con l’accordo raggiunto, le parti hanno posto in essere una determinazione pattizia della legittima e l’hanno conseguentemente reintegrata. Si considera, a tal fine, irrilevante che la reintegrazione sia avvenuta mediante l’attribuzione, al legittimario leso, di una somma di denaro, senza che si sia proceduto ad una nuova determinazione dell’asse ereditario e delle quote spettanti a ciascuno9 : quello che conta, precisano i giudici, è che la finalità perseguita dalle parti, e dalle stesse in concreto attuata, sia la determinazione convenzionale della legittima e la sua conseguente reintegra. Giunta a questa conclusione, la Corte evidenzia, in chiusura, come, in considerazione della ratio dell’art. 43 Testo Unico imposta successioni e donazioni, la veste formale dell’accordo integrativo, sia esso atto pubblico, verbale di conciliazione o scrittura privata autenticata, non assuma rilievo preminente: ciò che rileva è la sussistenza o meno “delle condizioni previste dalla legge per sottrarre l’atto, contenente l’accordo reintegrativo, dall’ambito di applicazione della imposta di registro, mantenendolo – causalmente – nell’orbita della imposizione mortis causa”.



3. Il commento



L’ordinanza della cassazione in esame ha, a nostro avviso, un pregio ed un difetto. Il pregio è quello di aver fornito un’indicazione sufficientemente chiara ed esaustiva sul cosa debba intendersi per accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari ai sensi e per gli effetti dell’art. 43 Testo unico imposta successioni e donazioni, cioè ai fini dell’imposizione fiscale. Il difetto è quello di aver tentato una ricostruzione della figura negoziale valida anche ai fini civilistici ed un raccordo con la normativa tributaria che non sembra essere riuscito. Ma cominciamo con l’illustrare il pregio. Gli accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari sono, dunque, definiti dalla cassazione come tutti quegli accordi che sono volti a reintegrare la quota di riserva o quantomeno ad attribuire al legittimario un valore corrispondente a tale quota. Da questa affermazione e dai rilievi contenuti nella decisione, si desume che la fattispecie ricorrerebbe sia nelle ipotesi in cui le parti procedano “ad una nuova determinazione dell’asse ereditario e delle quote spettanti ad ognuno” sia nelle ipotesi in cui la legittima venga reintegrata mediante l’attribuzione, al legittimario leso, di una somma di denaro, come peraltro avvenuto nel caso di specie. Ciò che conta, pare di capire, ai fini della qualificazione del negozio in termini di accordo diretto a reintegrare i diritti del legittimario, è che le parti tendano, da un lato, a riconoscere i diritti a questo spettanti e, dall’altro, a soddisfarli integralmente, mediante il riconoscimento, a lui, di quote di eredità – la cassazione parla di nuova determinazione dell’asse ereditario e delle quote spettanti ad ognuno – oppure attribuendogli una somma di denaro. I giudici accolgono, quindi, una nozione ampia di reintegra, in cui ciò che rileva è che la successione necessaria si ponga quale presupposto del negozio, giungendo così a caratterizzarlo causalmente: non sembra rilevare il modo in cui i diritti del legittimario vengano soddisfatti bensì la sola circostanza che siffatti diritti vengano riconosciuti e integralmente soddisfatti. Orbene, se questa nozione di reintegra fosse stata concepita solo al fine di definire l’ambito di applicazione della più volte citata norma tributaria, la decisione, a nostro avviso, non avrebbe richiesto precisazioni, ed anzi avrebbe meritato il plauso di aver definito, con sufficiente chiarezza, i presupposti di applicabilità dell’imposta di successione ad una serie di strumenti negoziali che, spesso, vengono utilizzati dai privati per la definizione – per l’appunto stragiudiziale – delle questioni che si pongono in presenza di lesione dei diritti di legittima. Sennonché, i giudici vanno oltre e lasciano intendere che una siffatta definizione sia valida anche ai fini civilistici: la qual cosa, come detto, suscita qualche perplessità. La prima precisazione, che si ritiene doveroso fare, è la seguente. In un passaggio della motivazione, l’ordinanza afferma che, con siffatti accordi, i soggetti interessati riconoscono l’inefficacia delle disposizioni lesive della legittima e perciò essi tengono luogo della sentenza che accoglierebbe la domanda di riduzione delle disposizioni stesse. Il rilievo non si giustifica. Si consideri, infatti, che il sistema di tutela giudiziale, predisposto dal codice civile, opera nel seguente modo: la sentenza che accoglie la domanda di riduzione rende inefficaci, con effetto dal momento dell’apertura della successione, nei confronti del legittimario leso, le disposizioni lesive della legittima che siano state oggetto di impugnazione, nella misura necessaria ad integrarla; da tale inefficacia, deriva la vocazione legale del legittimario, il quale consegue quella quota di eredità utile per integrare la riserva10. Per effetto della sentenza di riduzione, il legittimario pretermesso – quindi, in origine estraneo all’eredità – consegue la qualità di erede per quella quota necessaria e sufficiente a soddisfare i suoi diritti di legittima; il legittimario leso, in origine chiamato all’eredità per quella minor quota insufficiente a soddisfare i suoi diritti, espande siffatta quota fino al limite in cui ciò basti per integrare la riserva. La tutela giudiziale opera, quindi, con modalità che pongono il legittimario vittorioso in riduzione nella posizione di erede: i beni che servono per integrare la sua legittima egli li consegue come erede, come avente causa a titolo universale del de cuius. Se questo è il modo di operare della successione necessaria11, va da sé che gli accordi di reintegrazione della legittima, così come concepiti dalla cassazione, con la decisione in esame, non sono sempre e comunque idonei a tenere luogo della sentenza di riduzione, posto che tra di essi la Corte annovera anche quelli che non comportano attribuzione al legittimario di quote ereditarie. Il sistema giudiziale di tutela del legittimario passa necessariamente attraverso l’attribuzione, a questi, di una quota di eredità; il sistema negoziale concepito dalla Corte sembra, invece, prescindere da questa necessità, poiché comprende anche l’ipotesi in cui al legittimario leso vengano attribuiti beni o una somma di denaro, senza che si addivenga ad una nuova determinazione delle quote ereditarie. L’accordo che prescinda dalla rideterminazione delle quote ereditarie, però, non si può dire che tenga luogo della sentenza di riduzione, perché questa, come visto, opera in modo diverso; né può dirsi che un siffatto accordo renda inefficaci le disposizioni lesive della legittima: se così fosse, vi sarebbe necessaria rideterminazione delle quote ereditarie. Con ciò non si vuole inficiare la decisione della Corte, ma si ritiene opportuno chiarire che gli accordi di reintegrazione della legittima, così come concepiti dall’ordinanza in commento, non riproducono – rectius: possono non riprodurre, ove non rideterminino le quote ereditarie – il risultato prefigurato dal legislatore col sistema di tutela giudiziale del legittimario. E la questione, si noti, non è nominalistica: la situazione in cui viene a trovarsi il legittimario leso che – per effetto di sentenza o di accordo di reintegrazione della legittima – diventi erede o espande la sua quota di eredità, è ben diversa da quella in cui viene a trovarsi il legittimario che vede riconoscersi una somma di denaro, o un bene, prescindendo dalla rideterminazione delle quote ereditarie. Possiamo allora concludere affermando che la nozione di accordi di reintegrazione di legittima proposta dalla Corte, può certamente avere valenza in campo tributario e considerarsi idonea a definire l’ambito di applicazione dell’art. 43 Testo unico imposta successioni e donazioni, ma con la seguente precisazione: siffatta nozione comprende accordi – quelli che non contemplano una rideterminazione delle quote ereditarie – che non tengono luogo della sentenza di riduzione e non accertano l’inefficacia delle disposizioni lesive della legittima bensì dispongono di beni in favore del legittimario leso (c.d. accordi dispositivi). Ne consegue che, laddove si ritenesse che, sul piano civilistico, accordi di reintegrazione della legittima sono soltanto quelli che producono un effetto coincidente con quello che produrrebbe la sentenza di riduzione, si configurerebbe una nozione fiscale di siffatti accordi diversa da quella civilistica. Ciò, si noti, non costituisce necessariamente una sfasatura del sistema, posto che, come già rilevato in dottrina12, è ben possibile concepire distinte aree di rilevanza di una stessa figura giuridica identificata con un certo nomen, di talché, ai fini tributari, si possono far rientrare in essa fattispecie che non coincidono perfettamente con quelle di rilevanza civilistica. La spiegazione e la giustificazione di questa circostanza si rinviene nel fatto che il legislatore tributario, spesso, opera per fini diversi da quelli perseguiti dal legislatore civile, e tende a valorizzare gli aspetti funzionali della fattispecie, che prevalgono sulla considerazione di quelli strutturali13. La categoria fiscale degli accordi in parola, dunque, ricomprende, legittimamente, anche ipotesi in cui l’effetto voluto dalle parti non coincide con l’effetto della sentenza di riduzione, in quanto l’intento del legislatore è quello di favorire la definizione stragiudiziale delle controversie ereditarie, specie laddove esista il consenso di tutti i soggetti coinvolti, ed il ricorso alla giurisdizione si risolverebbe in un aggravio inutile, anche per lo Stato stesso. Per questo, il legislatore, per la finalità fiscale, ha concepito una nozione ampia di accordi di reintegrazione, includendovi anche quelli c.d. dispositivi: tutti i negozi che in quella nozione sono ricompresi possono definirsi atti fiscalmente mortis causa. Con la precisazione però che l’equiparazione agli atti mortis causa vale solo ai fini fiscali: civilisticamente si tratta, infatti, di atti inter vivos, posto che essi intervengono quando la successione si è già aperta e l’evento morte si è già verificato; in altre parole, difetta il requisito dell’efficacia dell’atto subordinata alla morte14. L’assoggettamento all’imposta di successione dovrebbe aversi, si afferma in dottrina, anche nei casi in cui l’accordo preveda il trasferimento di beni non ereditari: anche se, in tal caso, non potrebbe parlarsi di accordo per la reintegrazione della legittima in senso stretto, si considera rilevante favorire la soluzione negoziale di ogni possibile controversia possa sorgere dalla lesione dei diritti dei legittimari15. Con ciò si è dato conto della portata del principio espresso dalla decisione in commento, che contribuisce a definire la nozione tributaria degli accordi di reintegrazione della legittima; mentre argomentazioni più complesse e articolate, che questa sede non può ospitare, richiederebbe l’indagine sulla nozione civilistica di siffatti accordi e l’analisi e studio della loro struttura; onde il rinvio ad altro contributo a tali aspetti specificamente dedicato16.

NOTE

1 Il presente commento si appunta prevalentemente sui risvolti tributari della decisione. In questo stesso numero di questa Rivista è presente, sotto il titolo La reintegrazione contrattuale della legittima, un altro nostro contributo, che sviluppa gli aspetti più prettamente civilistici degli accordi di reintegrazione della legittima, alla cui lettura si rinvia per una più completa analisi di questa figura negoziale.

2 Si tratta di Cass. civ., sez. I, 10 marzo 1992, n. 2869, in Mass. Giust. Civ., 1992, in riferimento all’ambito di applicazione dell’art. 29 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, ora art. 43 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, Testo Unico imposta successioni e donazioni. Sul punto, dal tenore simile, ma inerenti ad abrogata normativa tributaria: Cass. civ., 18 giugno 1956, n. 2171, in Foro pad., 1957, I, 815; Cass. civ., 24 novembre 1981, n. 6235, in Giust. civ., 1982, I, 965. Stralci delle motivazioni di entrambe le sentenze si possono leggere in S. nappa, La successione necessaria, Padova, 1999, 192, 196. Per riferimenti al trattamento tributario degli accordi di reintegrazione della legittima: A. torroni, La pubblicità degli accordi di reintegrazione della legittima, relazione al convegno La pubblicità nei registri immobiliari: casi e questioni di interesse notarile, Taormina, 28-29 marzo 2014, promosso dal Comitato Regionale Notarile della Sicilia, in http://www.notaiotorroni.it, nonché gli autori citati in prosieguo di commento.

3 Il quale stabilisce che: “Per le transazioni che non importano trasferimento di proprietà o trasferimento o costituzione di diritti reali l’imposta si applica in relazione agli obblighi di pagamento che ne derivano senza tenere conto degli obblighi di restituzione né di quelli estinti per effetto della transazione; se dalla transazione non derivano obblighi di pagamento l’imposta è dovuta in misura fissa”.

4 Il quale stabilisce che: “Nelle successioni testamentarie l’imposta si applica in base alle disposizioni contenute nel testamento, anche se impugnate giudizialmente, nonché agli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, salvo il disposto, in caso di accoglimento dell’impugnazione o di accordi sopravvenuti, dell’art. 28, comma 6 o dell’art. 42, comma 1, lettera e)”.

5 Il riferimento è, naturalmente, al sistema di tutela giudiziale contenuto nella Sezione II, Capo X, Titolo I, Libro II, artt. 553-564 c.c.

6 In quanto, evidentemente, viene considerato atto che importa accettazione tacita dell’eredità.

7 Sul punto ci sia consentito il rinvio a d. caVicchi, Accordi per la reintegrazione della legittima, in Contr., 2009, 1020 ss. In argomento, diffusamente, anche il recente contributo monografico di G. orLando, Gli accordi di reintegrazione della legittima, Napoli, 2018.

8 Così espressamente, in motivazione, l’ordinanza in commento, cui si riferiscono, in prosieguo di paragrafo, in assenza di diversa indicazione, i periodi virgolettati.

9 Nello stesso senso, come anticipato: Cass. civ., sez. I, 10 marzo 1992, n. 2869 cit., in relazione ad un caso in cui le parti, conciliatesi nel corso del giudizio di appello, erano addivenute ad una determinazione pattizia della legittima, e della reintegra conseguente, mediante l’attribuzione al legittimario leso di un terreno, probabilmente facente parte dell’asse ereditario (ma la circostanza di tale appartenenza non emerge con chiarezza dalla motivazione della sentenza).

10 La ricostruzione in questi termini costituisce orientamento ampiamente consolidato in dottrina e in giurisprudenza. In dottrina si vedano, per tutti: L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, XLIII, 2, 4a ed. rielaborata a accresciuta, Milano, 2000, 80-85, 236 ss.; A. paLazzo, Le successioni, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, 2a ed., Milano, 2000, 515 ss., 565 ss.; S. deLLe Monache, Successione necessaria e sistema di tutele del legittimario, Milano, 2008, 3-53; id., La successione dei legittimari, in Diritto civile. Norme, questioni, concetti, II, a cura di Amadio e Macario, Bologna, 2014, 735 ss.; c.M. bianca, Diritto civile, II, 2, Le successioni, 5a ed., Milano, 2015, 204 ss.; G. boniLini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, 9a ed., Torino, 2018, 198 ss. In giurisprudenza, ex plurimis: Cass. civ., sez. II, 13 gennaio 2010, n. 368, in Giust. civ., 2011, I, 217; Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2013, n. 16635, in Giust. civ., 2013, 9, I, 1691; Cass. civ., sez. VI, 26 ottobre 2017, n. 25441, in Mass. Giust. Civ., 2018; Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2018, n. 20971, in Mass. Giust. Civ., 2018.

11 Per un cenno agli orientamenti minoritari che ricostruiscono in modo diverso la tutela giudiziale del legittimario, ci sia consentito il rinvio ancora una volta a: caVicchi, op. cit., 1022-1024.

12 orLando, op. cit., 21 ss. Già in precedenza: SaLVatore, Accordi di reintegrazione di legittima: accertamento e transazione, in Riv. not., 1996, 220, ed ivi in particolare nota 21.

13 orLando, op. cit., 22.

14 nappa, op. cit., 198.

15 In tal senso: orLando, op. cit., 200.

16 A questo argomento, come anticipato in apertura di commento, sarà dedi-

cato il nostro contributo, presente su questo stesso numero di questa Rivista, dal titolo La reintegrazione contrattuale della legittima.