inserisci una o più parole da cercare nel sito
ricerca avanzata - azzera

Messaggi sms, whatsapp, e-mail non certificate: quali gli effetti del loro disconoscimento ai sensi dell’art. 2712 c.c.? (nota a Cass Civ., Sez. I, ord. 17 luglio 2019, n. 19155)

autore: R. Ruggeri

La Cassazione torna ancora su un argomento di particolare attualità e rilevanza, vale a dire l’efficacia probatoria dei documenti informatici “semplici”, per tali intendendosi quelli che non recano firma digitale certificata e che non sono pertanto incontestabilmente riferibili all’autore. Questa pronuncia fornisce ulteriori elementi al quadro che la giurisprudenza sta elaborando per confrontarsi con elementi di prova non perfettamente riconducibili alle previsioni codicistiche. Il codice civile, all’art. 2712 del libro V, si occupa di “riproduzioni informatiche”; ma tra i mezzi istruttori che le parti offrono allo scrutinio del giudicante sono sempre più spesso riproduzioni di messaggi intercorsi tra le parti per via informatica, riprodotti su supporto cartaceo. Per “riproduzioni informatiche” sembra più esatto intendere copie informatiche di documenti generati per via informatica: e quindi per esempio file digitali riprodotti – sempre per via informatica – su supporti digitali e così introdotti nel procedimento: chiavette, DVD e consimili; alla più generica classificazione di “rappresentazione meccanica” sembrano invece doversi ricondurre le riproduzioni fotostatiche di schermate contenenti gli scambi avvenuti su piattaforme (informatiche) di servizi di messaggistica (Whatsapp, Telegram, Messenger…). Anche gli SMS (una cui traccia può però ulteriormente desumersi dai tabulati telefonici, che attestano oggettivamente che lo scambio dei messaggi vi è stato, anche se non riproducono il contenuto dei medesimi) vengono nella stragrande maggioranza dei casi (anche per agilità di consultazione da parte dei soggetti del processo) introdotti in giudizio mediante riproduzioni fotostatiche di immediata consultabilità; ed è per questa ragione che le conclusioni cui perviene l’ordinanza in commento, riferite specificamente ad SMS “la cui trascrizione era stata prodotta dalla G., in sede di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo”, possono essere estese alle risultanze probatorie che abbiano ad oggetto più genericamente messaggi che le parti si siano scambiate anche su piattaforme diverse da quelle telefoniche. Il provvedimento in esame non dà infatti alcun rilievo all’elemento che distingue gli SMS dai messaggi scambiati per il tramite di piattaforme informatiche che forniscono servizi di messaggistica, vale a dire la tracciabilità solo dei primi attraverso i tabulati; così che a parere di chi scrive le considerazioni svolte dal collegio investito della fattispecie in esame possono essere agevolmente estese ai casi in cui si discuta dell’efficacia probatoria, e delle modalità necessarie al disconoscimento, delle riproduzioni fotostatiche di messaggi Whatsapp, Telegram, Messenger et similia. Benché individuato in diritto dalla scialba locuzione “rappresentazione meccanica”, spesso il materiale documentato attraverso la fotocopia delle schermate in cui compaiono i messaggi è – soprattutto quanto ai procedimenti in materia familiare – incandescente: il dialogo tra le parti fa riferimento ad elementi certamente riferibili alle questioni dedotte in giudizio e non raramente la coerenza interna degli scambi, anche quanto a modalità comunicative, tono emotivo nonché frequenti ammissioni, basterebbe di per sé sola a confortare il thema probandum di una delle parti. L’attenzione delle contrapposte difese si è quindi spostata sulla riferibilità delle dichiarazioni ai soggetti cui sono ascritte; e la giurisprudenza, forse intimorita dalle pesanti e dirette conseguenze che l’ammissione di detti scambi nel compendio probatorio del processo può produrre, si è soffermata sull’enucleazione di argomenti tesi piuttosto ad estrometterli, così trincerandosi dietro ad una tanto acritica quanto eccessiva valorizzazione della seconda parte dell’unico comma in cui consiste l’articolo 2712 c.c., secondo il quale “le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”. Con molta frequenza i provvedimenti giudiziali in materia si limitano quindi a sancire l’inutilizzabilità degli scambi di messaggi prodotti in giudizio attraverso copie fotostatiche delle schermate dei dispositivi in cui essi compaiono sol che l’altra parte affermi, anche senza motivare, di disconoscerli. Il provvedimento in commento appare invece più ponderato e appagante, onerando chi pretende di far fuoriuscire dal giudizio elementi di prova non raramente decisivi, di una attività più articolata e rispondente alla logica processualcivilistica, per la quale chi afferma qualcosa (nella specie: l’inattendibilità delle produzioni) deve provarlo. La specificità degli scambi di messaggi, la cui verosimiglianza e quindi presumibile verità è accresciuta dalla loro coerenza intrinseca e la cui falsificazione appare ictu oculi ben più laboriosa di quella che atterrebbe a una dichiarazione unica, sembra supportare la disciplina “potenziata” (rispetto a quella che risulta dal dettato letterale dell’art. 2712 c.c.) che l’ordinanza in commento prescrive in ordine alle modalità del loro disconoscimento. Sotto altro profilo si coglie lo sforzo di vivificare le puntuali (ma in larga parte inapplicate) prescrizioni inerenti la fase introduttiva del procedimento di cognizione. Segnatamente, ci si riferisce all’onere sussistente in capo a chi intenda contestare le allegazioni di controparte di farlo “specificamente”, ai sensi dell’art. 167 ma soprattutto 115 c.p.c.: ed è sulla base di questo supporto normativo che l’ordinanza in commento fonda il proprio dictum, per il quale “non era sufficiente una generica contestazione del documento, atteso che il disconoscimento, da effettuare nel rispetto delle preclusioni processuali, anche di documenti informatici aventi efficacia probatoria ai sensi dell’art. 2712 c.c., deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito e concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta”. Il disconoscimento ai sensi dell’art. 2712 c.c. deve essere pertanto “chiaro, circostanziato ed esplicito”: non basta un mero disconoscimento formale, avanti al quale purtuttavia molti giudici di merito ritengono di nulla più potere, e di dovere quindi espungere dal corredo probatorio prima e motivazionale poi ogni argomento che agli scambi di messaggi si colleghi. E invece – argomenta puntualmente il Collegio – “l’eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 2… mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni”. In altre parole: ove colui contro il quale i messaggi sono stati prodotti non dimostri – e non solo semplicemente dichiari – che essi non gli sono riferibili, ovvero abbiano contenuto diverso, il giudice può sempre dare per dimostrato il contrario, anche presuntivamente (i.e.: proprio perché la contestazione non è stata specifica). Questo argomentare rovescia (e auspicabilmente travolge) le conclusioni cui ha per lungo tempo aderito una giurisprudenza di merito timida se non (nel senso detto supra) pilatesca; l’ordinanza in commento torna sull’argomento dopo diversi interventi della Suprema Corte sul punto1 , anche in sede penale2 , e impone una più attenta riflessione circa le modalità e gli effetti (più limitati di quelli, ex art. 215 c.p.c., che scaturiscono dal disconoscimento della scrittura privata intercorsa tra le parti) del disconoscimento della conformità delle riproduzioni di cui all’art. 2712 c.c., circa le presunzioni che si possono cristallizzare, a mente dell’art. 115 c.p.c., a seguito di una contestazione generica, circa la rivisitazione dell’onere allegatorio e probatorio a carico delle parti.

NOTE

1 Cfr. ad esempio Cass. civ., sez. VI, 14 maggio 2018, n. 11606 (reperibile su ilcaso.it): “Il messaggio di posta elettronica (c.d. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime”; Cass. civ. Sez. VI, ord. 6 febbraio 2019 n. 3540 (reperibile in dirittoegiustizia.it), che dichiara inammissibile per manifesta infondatezza il ricorso promosso dalla parte condannata in primo e secondo grado per diffamazione, che lamentava “di aver contestato da subito paternità e contenuto delle mail e che sia illogica l’affermazione della corte d’appello secondo la quale, avendo egli contestato l’alterabilità dei testi word, avrebbe dovuto portare i testi delle mail effettivamente partite dal suo computer”, riportando in motivazione che “la decisione impugnata ha ritenuto che mancasse un formale e tempestivo disconoscimento delle mail inviate, e comunque ha affermato che l’eventuale disconoscimento delle riproduzioni informatiche non sarebbe idoneo ad inficiare del tutto la portata probatoria di tali riproduzioni, ma le avrebbe degradate a livello di presunzioni semplici”. Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2019 n. 5141 (reperibile in dejure.it): “Anche l’efficacia probatoria degli sms è diretta emanazione del principio secondo cui essi formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale sono prodotti non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”. 2 Dove pure si è assistito a un progressivo allargarsi delle maglie attraverso le quali è dato ingresso ai c.d. “documenti informatici” (SMS, e-mail, messaggi Whatsapp…), che alcune sentenze hanno subordinato addirittura al deposito del dispositivo da cui erano tratti (cfr. Cass. pen. Sez. V, sentenza 25 ottobre 2017 n. 49016, reperibile su altalex.com). Cfr., da ultimo, Cass. pen. Sez. V, Sentenza del 22 febbraio 2018, n. 8736 (reperibile su altalex.com), che cassa con rinvio alla Corte d’Appello in sede civile, affermando che “la possibilità di acquisire un documento e di porlo a fondamento della decisione prescinde dal fatto che provenga da un pubblico ufficiale o sia stato autenticato, come parrebbe ritenere la Corte d’Appello… qualunque documento legittimamente acquisito è soggetto alla libera valutazione da parte del giudice ed ha valore probatorio, pur se privo di certificazione ufficiale di conformità e pur se l’imputato ne abbia disconosciuto il contenuto (Sez. 2, n. 52017 del 21 novembre 2014)”.