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Le sezioni unite e la natura giuridica della divisione (nota a Cass. Civ., Sez. Un., sent. 7 ottobre 2019, n. 25021)

autore: G. Piccardo

Sommario: 1. Il caso e le questioni affrontate. - 2. Normativa urbanistica e scioglimento della comunione ereditaria. - 3. La natura giuridica della divisione ereditaria. - 4. L’applicabilità del regime urbanistico della comunione convenzionale alla divisione giudiziale. - 5. La divisione parziale dell’asse ereditario e la divisione endoconcorsuale. - 6. Gli effetti della sentenza sotto il profilo civilistico e notarile. - 7. Conclusioni.



1. Il caso e le questioni affrontate La sentenza in commento trae origine da un’azione di scioglimento della comunione ereditaria promossa da un curatore fallimentare nei confronti dei due coeredi del soggetto fallito, in relazione ad un immobile sopraelevato abusivamente negli anni settanta del secolo scorso.

I giudici di primo e secondo grado respingevano le domande proposte dalla curatela, sul presupposto dello scioglimento della comunione ereditaria come atto tra vivi soggetto alle disposizioni di cui all’articolo 40 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (“Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edili zie”) e precisamente alla nullità degli atti aventi ad oggetto diritti reali relativi ad immobili realizzati prima dell’entrata in vigore della legge suddetta, nei quali non risultino indicate le menzioni urbanistiche indicate nell’articolo sopra citato. A supporto della suddetta tesi, le Corti di merito precisavano, altresì, che nel caso di specie non operasse l’esenzione del comma 5 dell’articolo 40 della legge sopra citata, in quanto applicabile esclusivamente a procedure esecutive e/o concorsuali. A seguito di proposizione di ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo, il Giudice di legittimità rimetteva alle Sezioni Unite la questione relativa alla natura (inter vivos o mortis causa) dell’atto di divisione, con specifico riferimento all’applicabilità o meno della normativa urbanistica sopra citata, nonché alla natura dichiarativa o costitutiva della divisione ereditaria. Le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, superano l’orientamento espresso dalla dottrina tradizionale e dalla giurisprudenza nettamente prevalente della natura dichiarativa della divisione per affermare, invece la natura della divisione ereditaria quale atto inter vivos, ad effetti reali costitutivi-distributivi e come tale soggetto all’applicazione della vigente disciplina di cui agli articoli 40 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e 46 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico per l’edilizia).



2. Normativa urbanistica e scioglimento della comunione ereditaria



La questione giuridica sottoposta alle Sezioni Unite della Suprema Corte, relativa all’applicabilità del regime delle nullità urbanistiche previste dall’articolo 40 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 alle comunioni ereditarie, deriva dalla diversa formulazione del testo normativo dell’articolo suddetto, il quale fa riferimento ad atti tra vivi relativi a diritti reali, con esclusione di quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia e/o servitù rispetto a quello dell’articolo 46 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (“Testo Unico per l’Edilizia”), applicabile ad edifici costruiti successivamente al 17 marzo 1985 oggetto, tra l’altro, di atti tra vivi di scioglimento di diritti reali1.

La suddetta, diversa, formulazione normativa aveva indotto i giudici di legittimità a prendere posizione nel senso di escludere la nullità degli atti di scioglimento della comunione di edifici non in regola sotto il profilo urbanistico, realizzati in data anteriore al 17 marzo 1985, data di entrata in vigore della legge. La posizione sopra riferita era, peraltro, assolutamente conforme alla tesi dottrinale pressoché univoca, la quale ha tradizionalmente ritenuto l’abusività di un fabbricato compreso nella massa ereditaria, quale ipotesi limitativa della possibilità di richiedere lo scioglimento della comunione, ereditaria o ordinaria che fosse. A fronte di tale orientamento, va rilevata la posizione totalmente difforme della giurisprudenza di legittimità la quale, almeno a partire dall’anno 2001, ha ritenuto che la nullità di cui all’articolo 40 della legge 47/85 andasse limitata solamente agli atti aventi natura inter vivos con esclusione, pertanto, degli atti mortis causa e di tutti quegli atti connessi ai medesimi, come la divisione ereditaria, in quanto conclusivi della vicenda successoria. La dottrina, anche successivamente alla presa di posizione della Suprema Corte, è rimasta ferma nel ritenere applicabile alla divisione ereditaria la disciplina urbanistica-edilizia vigente, in forza di tre, dirimenti considerazioni, e precisamente:

– la formulazione letterale dell’articolo 40 della legge 47/85, che esclude dal suo ambito di applicazione solamente i terreni in sede di divisione ereditaria;

– la natura di atto inter vivos della divisione ereditaria;

– la ratio della disciplina urbanistica vigente, posta a protezione di interessi pubblici di contrasto dell’abusivismo edilizio. Le Sezioni Unite della Suprema Corte intervengono, con la sentenza in commento, a chiarire i principi sopra esposti, nonché a comporre il contrasto interpretativo insorto e ritenendo, con un’impostazione di ragionamento logico-sistematica, che l’articolo 40 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 sia applicabile a tutti gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali immobiliari, indipendentemente dagli effetti giuridici degli atti medesimi; e ciò, in forza della necessaria omogeneità delle situazioni disciplinate dagli articoli 40 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e 46 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. La nullità contemplata dalla normativa urbanistica è quella meramente “testuale”, così come statuito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 8230 del 2 marzo 20192.



3. La natura giuridica della divisione ereditaria



All’affermazione del principio di diritto dell’applicabilità della vigente disciplina urbanistica agli atti di divisione consegue, quale corollario, la qualificazione della divisione quale atto inter vivos, in contrasto con la precedente giurisprudenza della stessa Suprema Corte, che lo aveva qualificato quale atto mortis causa2 . Le Sezioni Unite assumono la posizione sopra riferita in forza della tesi di fondo secondo la quale gli atti mortis causa sono esclusivamente quelli in cui la morte rappresenta l’unico evento in forza del quale si producono gli effetti dell’atto (stante il divieto di patti successori nel nostro ordinamento), come nelle ipotesi di cui agli articoli 587 (testamento), 564 co. 2 c.c. e 737 c.c.(dispensa da imputazione e collazione in sede di azione di riduzione). Poiché, osserva la Suprema Corte, gli effetti della divisione sono mera conseguenza della volontà negoziale espressa delle Parti o di una sentenza di divisione giudiziale, in caso di mancato accordo tra i coeredi, la divisione medesima non può che essere qualificata come atto inter vivos, così come la divisione ordinaria, dalla quale si differenzia, tuttavia, per la fonte costitutiva (successione nel caso di comunione ereditaria, negozio plurilaterale nel caso di comunione ordinaria) e per l’oggetto (universalità della comunione ereditaria, comprendente anche i crediti del de cuius, parziale in quanto relativa a soli diritti reali, la comunione ordinaria). Entrambe le tipologie di divisione hanno in comune natura ed effetti e possono essere oggetto di scioglimento sia in forma volontaria che giudiziale. La tesi tradizionalmente sostenuta dalla Corte di Cassazione si fondava, essenzialmente, sul presupposto dogmatico della divisione quale atto conclusivo del procedimento successorio, in stretta correlazione all’efficacia retroattiva della successione a causa di morte, in ossequio al disposto dell’articolo 757 c.c.3 .

La conseguenza di siffatta impostazione è la qualificazione della divisione come atto avente natura dichiarativa, in continuità con la tradizione giuridica risalente al codice civile napoleonico e mutuata dal legislatore postunitario del 1865. Peraltro, la tesi tradizionale della natura meramente dichiarativa della divisione è stata quella seguita, sino ad oggi, dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalente4 . In questa prospettiva dogmatica, la divisione avrebbe, dunque, natura di negozio di accertamento il cui mero fine sarebbe quello di consentire l’individuazione dell’oggetto del diritto in capo al partecipante alla comunione (in concreto: la quota di titolarità del condividente), senza che a quest’ultimo possano essere attribuiti nuovi diritti in forza dello scioglimento della comunione medesima. Il titolo di acquisto per il singolo comunista sarebbe, pertanto, la successione e non l’atto di scioglimento della divisione, come confermerebbe la disciplina in materia di trascrizione, ed in particolare l’articolo 2646 c.c., secondo il quale la trascrizione dell’atto di divisione avrebbe la mera funzione di pubblicità notizia, diversamente dall’articolo 2644 c.c. che riconosce alla trascrizione degli atti traslativi indicati dall’articolo 2643 c.c. la natura di pubblicità opponibile ai terzi. La natura dichiarativa della comunione ereditaria è stata elaborata, nella dottrina meno recente, al fine di qualificare la divisione come “negozio di accertamento”, vale a dire finalizzato al mero accertamento della proprietà dei beni oggetto di divisione per tutto il perdurare della comunione, con il corollario dell’assimilazione concettuale tra negozi dichiarativi e negozi di mero accertamento, nonché dell’elaborazione di una surrogazione tra quota ereditaria e beni assegnati in divisione (v. sul punto nota n. La giurisprudenza di legittimità pressoché uniforme, peraltro, conformemente alla al pensiero della dottrina tradizionale, ha fondato il proprio convincimento sulla scorta della considerazione della costituzione del titolo di acquisto del bene al momento dell’apertura della successione che ha dato origine alla comunione ereditaria, senza che la divisione successiva possa avere alcuna incidenza sull’incremento degli effetti dell’atto dal quale trae origine la comproprietà; e ciò, in quanto trattasi di atto modificativo della situazione originaria sotto il profilo meramente qualitativo, essendo già avvenuto, con la successione, l’acquisto del bene da parte del coerede comproprietario del bene medesimo. La tesi tradizionale non è stata condivisa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte le quali, con la sentenza in commento, sul presupposto della divisione quale atto inter vivos che trova il proprio fondamento nella volontà delle parti e non nell’evento morte, hanno ritenuto di qualificare la divisione atto di natura costitutiva. La Suprema Corte giunge alle conclusioni sopra esposte sulla base tre, fondamentali argomentazioni giuridiche: – la retroattività di cui all’articolo 757 c.c. può riguardare esclusivamente atti aventi natura costitutiva, e non anche atti meramente accertativi di una realtà giuridica;

– la divisione, quale valido titolo di acquisto di beni immobili, opererebbe solamente sotto il profilo economico, in quanto l’acquisizione di una quota della massa divisionale, in via esclusiva, non costituirebbe incremento del patrimonio del condividente;

– la divisione comporterebbe, necessariamente, un effetto traslativo per i condividenti, come nel caso di acquisto della quota mediante un diverso atto (es. vendita), con conseguente causa attributiva-distributiva del negozio di divisione. Dunque, nella prospettiva ermeneutica adottata dalle Sezioni Unite, la divisione si connota quale contratto plurilaterale, ad effetto reale e con finalità distributiva. La teoria della natura costitutiva della divisione assume quale tesi di fondo, l’attribuzione all’articolo 757 c.c. di una fictio legis consistente nella retroattività della’efficacia specificativa dell’assegnazione dei beni ai condividenti a far data dall’apertura della successione, con la conseguenza di considerare il condividente proprietario del bene assegnato da quel momento, anche se in realtà, l’attribuzione del diritto reale sul bene medesimo è successiva all’apertura della successione, con effetti distributivi-traslativi. Nella prospettiva sopra riferita, fatta propria dalle Sezioni Unite, dunque, l’acquisto del bene in forza della divisione ereditaria è soggetta alle medesime regole relative agli atti traslativi, fatto salvo il diritto di proprietà del bene in capo al comproprietario, che seppur limitatamente ad una quota e non per l’intero bene.



4. L’applicabilità del regime urbanistico della comunione convenzionale alla divisione giudiziale



L’applicazione della vigente normativa urbanistica alla divisione troverebbe applicazione, secondo le Sezioni Unite, non solo con riferimento alle divisioni contrattuali, bensì riguardo anche a quelle giudiziali, in forza del principio, già affermato dalla stessa Corte5 , secondo il quale la regolarità urbanistica degli immobili oggetto di divisione, quale condizione dell’azione di divisione ai sensi dell’articolo 713 c.c.6 , sarebbe rilevabile d’ufficio dal Giudice in ogni stato e grado del procedimento.



5. La divisione parziale dell’asse ereditario e la divisione endoconcorsuale



Ulteriore questione affrontata nella sentenza in commento è la possibilità di procedere, per i condividenti, alla divisione parziale dell’asse ereditario, con esclusione del bene non regolare sotto il profilo urbanistico. Sul punto, le Sezioni Unite affermano, in continuità ad un precedente, risalente, orientamento della stessa Corte7 , che il principio di universalità della divisione ereditaria di cui all’articolo 762 c.c., può essere derogato per volontà unanime di tutti i condividenti o per via giudiziaria, qualora non venga richiesto dai coeredi convenuti in giudizio l’ampliamento della domanda di parte attrice, mediante istanza di divisione di ulteriori beni immobili facenti parte della massa ereditaria8 . Nel caso in cui nella suddetta massa dovessero ricadere beni non regolari sotto il profilo urbanistico, le singole porzioni non potranno tenere conto di tali beni, senza che il consenso degli altri condividenti alla loro divisione possa assumere rilievo di sorta, stante la nullità, in tal caso, dell’atto, comminata dalla normativa urbanistica vigente. Inoltre, con riferimento all’applicabilità o meno della normativa suddetta alle divisioni c.d. “endoesecutive”, vale a dire apertesi all’interno di procedimenti espropriativi immobiliari, le Sezioni Unite ne affermano l’esclusione, in quanto, in questi casi, la divisione sarebbe meramente funzionale all’espropriazione della quota, così come gli atti di divisione contrattuali o giudiziali, promossi dal Curatore nell’ambito dei procedimenti di crisi di impresa.



6. Gli effetti della sentenza sotto il profilo civilistico e notarile



La sentenza in commento costituisce un importante novità giurisprudenziale che avrà effetti innovativi con riferimento a diverse questioni e problematiche ancora aperte e dibattute, lasciando aperti interrogativi ai quali la dottrina e la giurisprudenza dovranno dare, in seguito, risposta. In particolare, l’affermazione della natura costitutiva e non dichiarativa della divisione, avrà quale conseguenza immediata la sua validità quale titolo di acquisto della proprietà degli immobili oggetto della massa ereditaria per i condividenti, anche ai sensi dell’articolo 1159 c.c., con superamento della tesi che ravvisa quale titolo astrattamente idoneo, ai sensi della suddetta disposizione, l’acquisto del bene da parte de cuius9 . Inoltre, sotto il profilo strettamente notarile, la sentenza avrà rilievo con riferimento alla verifica della caduta o meno in comunione legale dei beni oggetto di assegnazione in sede di divisione10, non tanto in relazione ai beni direttamente assegnati ai condividenti in sede di divisione (stante la retroattività dell’acquisto ai sensi dell’art. 757 c.c.), bensì alle quote eventualmente oggetto di scambio con altri condividenti, che potrebbero far sorgere la necessità dell’intervento del coniuge del comunista, in sede di atto notarile, al fine di dichiarare o meno l’esclusione del bene dal regime di comunione legale, ai sensi dell’art. 179, comma 1, lett. f) c.c. Infine, di non poco rilievo, sotto il profilo processuale, è l’incidenza della individuazione della natura giuridica della divisione con riferimento alla competenza dell’autorizzazione dell’assegnazione dei beni in caso di condividenti incapaci, in relazione all’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, come prescritto in tali casi dalla legge (art. 473 c.c.). Infatti, se la tesi della natura dichiarativa fa devolvere la competenza suddetta al Tribunale, in composizione collegiale, previo parere del g.t., ai sensi dell’art. 747 c.p.c., la natura costitutiva-attributiva della divisione comporta l’esclusione della natura ereditaria per il bene oggetto di divisione, con conseguente passaggio di competenza al solo Giudice Tutelare, ai sensi degli articoli 375 c.c. o, in caso di condividenti minori di età, dell’articolo 320 c.c.



7. Conclusioni



La sentenza delle Sezioni Unite in commento innova e supera il precedente, consolidato, orientamento, con l’adesione della Suprema Corte alla tesi dottrinale e giurisprudenziale che ritiene la divisione un atto di natura costitutiva e non meramente dichiarativa, con conseguenti, importanti ricadute pratiche, soprattutto in relazione all’attività notarile. Inoltre, le Sezioni Unite chiariscono che l’unica divisione avente natura mortis causa è quella testamentaria, dipendente dalla mera volontà del testatore, superando in modo netto la teoria della retroattività, posta a fondamento della concezione della divisione quale atto di natura dichiarativa. Infine, di particolare rilievo, è la conseguenza della necessità della verifica da parte dei Notai (come, peraltro, è sempre avvenuto, nella prassi notarile) e, a seguito della sentenza, anche da parte dei Giudici nel’ambito dei procedimenti per divisione giudiziale o endoesecutivi, della regolarità urbanistica degli immobili oggetto di divisione, correlata ad una nullità, quella urbanistica, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in quanto di ordine pubblico. Con l’affermazione del suddetto principio, peraltro, la Suprema Corte svolge un importante ed apprezzabile opera di coordinamento ed uniformazione giuridica tra i principi in materia di divisione e quelli in materia di nullità urbanistica, di cui alla pronuncia a Sezioni Unite 22 marzo 2019 n. 8230, in ottemperanza al compito nomofilattico che il nostro ordinamento le assegna specificamente.

NOTE

1 L’articolo 40 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 recita, testualmente: “Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’articolo 31 ovvero se agli atti stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione di cui al sesto comma dell’articolo 35”. L’articolo 46 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 recita, testualmente: “1. Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù. 2. Nel caso in cui sia prevista, ai sensi dell’articolo 38, l’irrogazione di una sanzione soltanto pecuniaria, ma non il rilascio del permesso in sanatoria, agli atti di cui al comma 1 deve essere allegata la prova dell’integrale pagamento della sanzione medesima. 3. La sentenza che accerta la nullità degli atti di cui al comma 1 non pregiudica i diritti di garanzia o di servitù acquisiti in base ad un atto iscritto o trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda diretta a far accertare la nullità degli atti. 4. Se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa. 5. Le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. L’aggiudicatario, qualora l’immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria”.

2 Per la ricostruzione dello sviluppo del dibattito di cui al testo, cfr. in dottrina: G. Iaccarino, Successioni e donazioni, tomo II, Milano, 2017, 1655 ss; V. Lenoci, Divisione, Torino, 2006, il quale evidenzia la necessità di limitare la circolazione degli immobili abusivi e, quindi, privi di valore, sino a quando non venga rilasciato idoneo titolo abilitativo in sanatoria, anche nel caso di divisioni giudiziali. In giurisprudenza v. Cass. 28 novembre 2001 n. 15.133, pubblicata in Vita not., 2002, 1, 331; conforme Cass., 1 febbraio 2010 n. 2313, pubblicata in Giur. It., 2010, 11, 2387, la quale precisa che la nullità urbanistica in oggetto si fonda sull’esigenza di informare l’acquirente dell’immobile della condizione urbanistica del bene, ma non il condividente, già titolare di una quota del bene in forza della successione. La tesi della Suprema Corte, espressa nelle pronunce sopra citate, ha trovato il parere contrario di diverse Corti di merito, le quali si sono allineate alla posizione della dottrina; v., ex multis, Trib. Marsala 14 dicembre 2006, pubblicata in Corriere del merito, 2007, 3, 305; Trib. Palermo 16 marzo 2009, inedita, citata da Iaccarino, op. cit., 1658, la quale, in particolare, ha rilevato che la divisione ereditaria non può avere natura di atto mortis causa in quanto finalizzata alla sostituzione di una quota di comproprietà su un bene con la proprietà del bene stesso, seppur essa abbia origine dalla successione del defunto. Inoltre, ha rilevato l’irrilevanza del dato normativo della retroattività della divisione di cui all’articolo 757 c.c. rispetto alla natura costitutiva della divisione. Quanto sopra deve essere, oggi, coordinato con quanto statuito dalla citata sentenza Cass. SS.UU., 2 marzo 2019 n. 8230, pubblicata in NGCC, 2019, 4, 717 ss., con nota di Natoli; in Studium Juris, 2019, 12, 1469 ss., con nota di Dianin, la quale, come precisato, ha statuito il seguente principio di diritto: “La nullità comminata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, art. 46, e dalla l. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., c. 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità ‘testuale’, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve essere riferibile proprio a quell’immobile”.

3 L’articolo, rubricato “Diritto dell’erede sulla propria quota”, testualmente, recita: “Ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, anche per acquisto all’incanto e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari”.

4 Per la tesi tradizionale e nettamente maggioritaria in dottrina, della natura dichiarativa della divisione, vedasi: G. Branca, Della proprietà. Comunione. Art. 1100-1172, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoia e Branca, Bologna-Roma, 1951, 1-48, per la tesi della comunione ereditaria quale negozio dichiarativo di accertamento; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1953, 568; G. Mirabelli, voce Divisione dir. civ. in Novissimo Digesto italiano, Torino, 1975, 35; L. Mengoni, Gli acquisti a non domino, 3a ed., Milano, 1994; G. Giannattasio, Delle Successioni. Divisione Donazione, in Comm cod. civ, Torino, 1980; F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XII edizione, Napoli, 2006, 525 ss., secondo il quale l’eventuale efficacia traslativa della divisione sussisterebbe solamente nel caso in cui i condividenti decidessero una diversa redistribuzione del patrimonio comune in diversa proporzione rispetto a quanto di loro spettanza sulla base delle quote astratte; per la dottrina notarile v. per tutti, G. Capozzi, Succesioni e Donazioni, tomo II, Milano, 2015, 1313 ss., il quale, pur aderendo alla tesi contraria, oggi sostenuta dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, rileva come la tesi della natura dichiarativa della divisione abbia trovato, storicamente, la propria ragione più che in motivi giudici in ragioni meramente pratiche, legate alla necessità di evitare una doppia imposizione fiscale, in sede di successione e in sede di divisione. In giurisprudenza, tra le sentenze più recenti, ex multis: Cass. 7 novembre 2017 n. 26.351, in CED Cassazione, Rv 645953-01; Cass. 5 agosto 2011 n. 17061, pubblicata in Vita not., 2012, 2, 641, con nota di Castellano; Cass. 29 marzo 2006 n. 7231, in Mass. Giur. It., 2006. Per la tesi della natura costitutiva-distributiva della divisione, in dottrina: G. Capozzi, Successioni e Donazioni, tomo II, Milano, 2015, 1315; P. Forchielli, F. Angeloni, Della divisione, art. 713-768, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja, Branca, Roma, 2000, 37; G. Amadio, S. Patti, La divisione ereditaria, in Notariato e Diritto di famiglia, collana diretta da Laurini, Milano, 2013, 44; R. Trezza, Lo scioglimento della comunione ereditaria, approfondimento giuridico del 8 novembre 2019 apparso sulla pagina web: https://www.giustiziainsieme. it, consultata in data 14 gennaio 2020. In giurisprudenza, tra le pronunce più recenti: Cass. 29 marzo 2006 n. 7231, in CED Cassazione, Rv 588121; Cass. 10 gennaio 2014 n. 406, in CED Cassazione, Rv 628923.

5 Cfr. Cass 17 gennaio 2003 n. 630, pubblicata in Vita not. 2003, 270.

6 L’articolo 713 c.c., rubricato “Facoltà di domandare la divisione”, recita: “I coeredi possono sempre domandare la divisione. Quando però tutti gli eredi istituiti o alcuni di essi sono minori di età il testatore può disporre che la divisione non abbia luogo prima che sia trascorso un anno dalla maggiore età dell’ultimo nato. Egli può anche disporre che la divisione dell’eredità o di alcuni beni di essa non abbia luogo prima che sia trascorso dalla sua morte un termine non eccedente il quinquennio. Tuttavia in ambedue i casi l’autorità giudiziaria, qualora gravi circostanze lo richiedano, può, su istanza di uno o più coeredi, consentire che la divisione si effettui senza indugio o dopo un termine minore di quello stabilito dal testatore”.

7 Cfr. Cass 16 marzo 1978 n. 1323 in CED Cassazione Rv 390684-01; Cass. 24 marzo 1977 n. 1145 in CED Cassazione Rv, 384806-01, entrambe richiamate nella sentenza in commento.

8 Cfr., ex plurimis, nella giurisprudenza più recente, Cass 8 aprile 2016 n. 6931, pubblicata in Notariato, 2016, 3, 241.

9 Si precisa, per completezza, che nemmeno la dichiarazione di successione non potrebbe costituire titolo di provenienza ai fini della proprietà dei beni, in quanto adempimento di mero carattere fiscale, relativo al mero pagamento dell’imposta di successione. Autorevole dottrina (v. G. Rizzi, La divisione immobiliare nella sentenza n. 25021-19 delle Sezioni Unite della Cassazione, approfondimento giuridico del 17 ottobre 2019, apparso sulla pagina web notarile Federnotizie: https://www.federnotizie.it, consultata in data 3 gennaio 2020), ha rilevato che sotto il profilo strettamente pratico la sentenza in commento non avrà alcun riflesso in termini di tassazione degli atti di divisione, né sotto il profilo della conformità catastale degli immobili ai sensi dell’art. 1-bis della legge 27 febbraio 1985 n. 52; circa l’attestazione di prestazione energetica, l’autore esclude la necessità dell’attestato suddetto in forza dell’assenza di effetto traslativo della divisione. Ne esclude, in ogni caso, la necessità, in caso di divisione senza conguaglio. In punto obbligo di allegazione dell’AP. E all’atto di divisione, per completezza di informazione si segnala la posizione, in dottrina, di F.M. Bava, La divisione ereditaria quale atto inter vivos avente natura costitutiva, in I Contratti, 2019, 6, 615 ss., ed in particolare 625 ss., secondo la quale non si potrebbe escludere la necessità di allegazione dell’attestato di prestazione energetica all’atto di divisione qualora sia previsto un conguaglio, in quanto reattivo ad una eccedenza avente natura di vendita a titolo oneroso.

10 Sul punto, si veda la recentissima pronuncia Cass. Sez. II 12 marzo 2019 n. 7027, pubblicata in Notariato, 2019, 3, 265.