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Minori e web: accorgimenti tecnici, tutela e obbligo di vigilanza. il fenomeno del revenge porn

autore: F. D'ambrogio

Sommario: 1. Considerazioni introduttive. - 2. Gli accorgimenti tecnici a supporto della disciplina sulle comunicazioni: il parental control. - 3. La tutela dei minori in rete e il GDPR. - 4. Diffusione di immagini di minori e consenso. - 5. Utilizzo del web da parte di minori: revenge porn.



1. Considerazioni introduttive



I rapporti fra i minori d’età e i più moderni mezzi di comunicazione di massa, negli ultimi anni, hanno costituito l’oggetto privilegiato di studi sociologici, i quali – pur nella diversità delle prospettive – sono concordi nel riconoscere ai nuovi media un ruolo fondamentale nel percorso educativo e formativo delle giovani generazioni. L’attenzione si sposta, oggi, dall’aspetto sociologico a quello giuridico, al quale è intrinsecamente connesso, per i rischi collegati ad un utilizzo privo di controlli di internet e dei nuovi media da parte dei minori. L’evoluzione tecnologica, ed in particolare, la c.d. rivoluzione digitale ha determinato un mutamento di paradigma nel mondo dei media, sino a qualche tempo fa individuabili nella televisione, nella radio, nell’industria cinematografica e nell’editoria. Si sono affermate, invero, nuove categorie di servizi (video on demand, catch up tv, internet protocoltelevision, web tv), che hanno, ormai superato le tradizionali categorie di servizi media, prendendone il posto, soprattutto ad opera delle nuove generazioni – c.d. generazione Z o dei post millennials. La digitalizzazione dei segnali determina, dunque, quale ovvia conseguenza, la possibilità che i contenuti possano circolare su diversi dispositivi ed essere fruiti su piattaforme diverse. Ciò determina due fenomeni, quello della dematerializzazione e della disintermediazione1 . Particolare importanza, per il tema che qui ci interessa, assume l’aspetto della disintermediazione, che fa riferimento al fatto che l’utente possa fruire dei contenuti direttamente, con l’ulteriore possibilità di modificarli o comunque di interagire con essi, senza la interposizione dei classici intermediatori, quali, ad esempio, gli editori tradizionali.

Oggi tali media si affiancano, a pieno titolo, alle tradizionali agenzie di socializzazione, quali la famiglia e la scuola, contribuendo con esse – ma, non di rado, anche in luogo di esse – al delicato processo di conoscenza e rappresentazione della realtà, nonché di definizione e veicolazione di valori, regole e modelli culturali e comportamentali. Tale aspetto, con riferimento ai bambini ed agli adolescenti, determina evidentemente delle straordinarie opportunità in termini di migliore accesso alle informazioni, ma, al pari, comporta anche dei rischi.



2. Gli accorgimenti tecnici a supporto della disciplina sulle comunicazioni: il parental control



Di qui l’esigenza di predisporre un adeguato sistema di tutela, il quale tenga conto dell’enorme influenza che i media sono in grado di esercitare nei confronti di soggetti che, per definizione, non hanno ancora raggiunto un sufficiente grado di maturità psicofisica, e che quindi appaiono maggiormente esposti. Ben si comprende, allora, come mai nella vigente disciplina legislativa della radiotelevisione si rinvengano disposizioni che, considerate nel loro complesso, contribuiscono a delineare uno “scudo protettivo” del minore, guardando tuttavia a quest’ultimo non già come ad un mero “oggetto” di tutela (sempre e comunque “incapace”), bensì come ad un soggetto di diritto in fieri, e senza sminuire l’insostituibile ruolo pedagogico della famiglia. Esse trovano il loro fondamento giuridico tanto in alcune previsioni di carattere generale contenute nella Costituzione, quanto in specifici obblighi derivanti dal diritto internazionale e comunitario. A livello costituzionale, viene dapprima in considerazione l’art. 31 comma 2 Cost., il quale impone alla Repubblica di proteggere “l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo” Ad esso si aggiungono l’art. 21 comma 6 Cost., che individua espressamente nel “buon costume” un li mite alla libertà di manifestazione del pensiero; l’art. 41 comma 2 Cost., che subordina il libero svolgimento dell’iniziativa economica privata alla condizione che essa non si ponga “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”; ma anche, in una prospettiva ancor più ampia, gli artt. 2 e 3 Cost., il cui contenuto precettivo fonda ed illumina quello delle disposizioni precedenti. A livello internazionale, deve richiamarsi, in primo luogo, la Convenzione sui diritti del fanciullo, approvata a New York il 20 novembre 1989 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e ratificata dall’Italia con la l. 27 maggio 1991, n. 176 In particolare, nell’art. 17 della Convenzione si afferma che gli Stati contraenti “riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass-media e vigilano affinché il fanciullo possa accedere ad una informazione ed a materiali provenienti da fonti nazionali ed internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale”; essi, inoltre, “favoriscono l’elaborazione di principi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere”. Senza dimenticare, poi, la Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera, firmata a Strasburgo il 5 maggio 1989 e ratificata dall’Italia con la l. 5 ottobre 1991, n. 327, il cui art. 7 stabilisce che i programmi televisivi “debbono rispettare la dignità della persona umana ed i diritti fondamentali dell’uomo”; non devono “essere contrari alla decenza e tanto meno contenere pornografia”, né “mettere in risalto la violenza oppure essere suscettibili di incitare all’odio razzista”; e allorché presentino contenuti tali da “pregiudicare lo sviluppo fisico, psichico e morale dei fanciulli o degli adolescenti non devono essere trasmessi quando questi ultimi sono suscettibili di guardarli dato l’orario di trasmissione e di ricezione”. A livello comunitario, infine, abbiamo la direttiva del Consiglio del 3 ottobre 1989, n. 89/552/CEE (c.d. direttiva “televisione senza frontiere”), successivamente modificata dalla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 giugno 1997, n. 97/36/CE, i cui contenuti sono stati recepiti, non senza contrasti, dal legislatore nazionale, dapprima con la legge Mammì, e successivamente con la legge Gasparri, e, di poi, con il d.lgs. 28 giugno 2012 n. 120. Occorre subito osservare, però, che la materia in esame – nonostante la sua rilevanza – non trova chiaro assetto in un corpus di norme organico ed esaustivo. Le disposizioni finalizzate alla tutela dei minori, infatti, non diversamente dalle altre che compongono l’articolata disciplina della radiotelevisione, si ricavano attualmente da una pluralità di fonti diverse (e per rango e per natura), affastellatesi via via nel tempo in maniera disordinata ed approssimativa, tanto da rendere non poco difficoltosa la ricostruzione sistematica del quadro normativo di riferimento. Né può dirsi che il problema sia stato alla fine risolto dal varo di un “testo unico della radiotelevisione”, atteso che questo, a dispetto del nome, tutto fa tranne che mettere ordine all’interno di un settore dell’ordinamento così vasto e delicato. La vigente disciplina del sistema radiotelevisivo a tutela degli utenti in generale (artt. 3 e 4 del Testo Unico della radiotelevisione), vieta le trasmissioni che anche in relazione all’orario di messa in onda, possano nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori. Sono altresì vietate scene che presentano scene di violenza gratuita o insistita o efferata, ovvero pornografiche salve le norme speciali per le trasmissioni ad accesso condizionato che comunque impongono l’adozione di un sistema di controllo specifico e selettivo. Inoltre, individua ulteriori precise disposizioni in materia di tutela dei minori e dei valori dello sport nella programmazione televisiva. In materia di tutela dei minori è fondamentale il Codice di autoregolamentazione Tv e minori, approvato il 29 novembre 2002, recepito poi dalla legge 112/2004 e dal Testo Unico della radiotelevisione (art. 34), che ha contribuito, in particolare, ad introdurre un sistema di tutela differenziata per fasce orarie. Le violazioni alle disposizioni del Codice di autoregolamentazione Tv e minori e del Testo Unico della radiotelevisione sono sanzionate dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni oltre che dal Comitato di applicazione del Codice (art. 35 del Testo Unico della radiotelevisione). Con la delibera n. 51/13/CSP l’Autorità ha adottato il nuovo regolamento sulle misure tecniche per i servizi di video on demand dirette ad impedire che i minori accedano a programmi gravemente nocivi, prevedendo che I fornitori di tali servizi implementino una funzione di parental control che inibisca la visione di tali programmi ai minori, declinandone le caratteristiche. Con la delibera n 52/13/CSP l’Autorità ha, poi, individuato i criteri di classificazione delle trasmissioni televisive che possono nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori. I contenuti trasmessi sono qualificati sulla base di due parametri: l’area tematica e le principali modalità rappresentative. Soggetta a controllo dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni è la tutela dei valori dello sport nella programmazione televisiva, di cui alla legge 4 aprile 2007, n. 41 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, recante misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connesse a competizioni calcistiche”. Il Codice di autoregolamentazione dell’informazione sportiva, denominato “Codice media e sport”, individua una serie di misure che emittenti e fornitori di contenuti devono osservare anche al fine di contribuire alla diffusione tra i giovani dei valori di una competizione sportiva leale e rispettosa degli avversari, per prevenire fenomeni di violenza o di turbativa dell’ordine pubblico legati allo svolgimento di manifestazioni sportive. Con delibera n. 165/06/CSP del 22 novembre 2006, poi, l’Autorità ha provveduto a richiamare le emittenti radiotelevisive pubbliche e private e i fornitori di contenuti radiotelevisivi a rispettare nei programmi di intrattenimento, tra l’altro, i principi fondamentali del sistema radiotelevisivo posti a protezione dell’armonico sviluppo fisico, psichico e morale dei minori, evitando il ricorso a contenuti e immagini tali da offenderne la particolare sensibilità. Riassumendo e guardando, nello specifico, alle tecniche di tutela dei minori, possiamo dire che oggi riveste sicuramente un ruolo centrale, in chiave di tutela preventiva, la classificazione dei contenuti in tre ambiti di riferimento: la violenza, che per incorrere nel divieto, deve essere insistita, gratuita ed efferata, la sessualità, con il divieto di pornografia e le tematiche sociali, relazionali e comportamentali con il divieto di trasmettere scene che anche in relazione all’orario di trasmissione, possono nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori nonché la previsione di orari di trasmissione in cui sia prevista una tutela rafforzata per i minori. Delle tre fattispecie, le prime due configurano un illecito di pericolo “astratto” (o “presunto”), laddove la terza configura un illecito di pericolo “concreto” (o “effettivo”). Va tuttavia rilevato che i divieti di che trattasi lasciano un ampio spazio di discrezionalità ai soggetti preposti all’attuazione delle norme, con la conseguenza che, quanto alla violenza, la circostanza che il divieto concerna le sole scene in cui la violenza sia tale da risultare “gratuita o insistita o efferata”, finisce di per sé con l’attribuire specifico rilievo a criteri di congruità e di “continenza”, e quindi al contesto complessivo nel quale siffatte scene s’inseriscono: il che non può non suscitare perplessità in ordine alla sufficiente determinatezza della relativa fattispecie. Come pure, per quanto attiene al divieto di pornografia, va precisato che nel nostro ordinamento non si rinviene una definizione legislativa di “pornografia”. Ed il concetto di “pornografico” non coincide con quello di “osceno”, come definito dall’art. 529 c.p., essendo ravvisabile fra l’uno e l’altro un rapporto di species a genus. Quanto, infine alle scene che possono nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori, in virtù della sua formulazione generica, l’ultima fattispecie si configura propriamente come clausola di chiusura del sistema normativo, sicché essa è destinata ad operare in concreto ogniqualvolta non debba trovare applicazione una delle altre previsioni. Tuttavia, proprio a causa della sua estrema ampiezza, tale fattispecie si rivela non poco problematica. Alla stregua di quali parametri è possibile stabilire se i contenuti di un programma siano davvero tali da arrecare nocumento “allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori”? Posto che si tratta di parametri normativi extra giuridici, i quali attengono alla sfera dell’etica, della morale, dell’antropologia, della psicologia e persino dell’estetica, essi appaiono quanto mai opinabili, per non dire squisitamente soggettivi. Ed ancora: quali sono, in concreto, i “minori” ai quali occorre aver riguardo? È difatti evidente che, all’interno dell’ampia ed eterogenea fascia degli infradiciottenni, altra è la condizione psicofisica dell’infante, altra è quella dell’adolescente ovvero di chi sia ormai prossimo alla maggiore età. Tutto ciò pone inevitabilmente un problema di sufficiente determinatezza, oltre che di effettività del divieto in parola, dal momento che un divieto così configurato rischia non soltanto di non fornire alcuna tutela reale al pubblico dei minori, ma finanche di risolversi in uno strumento di censura nei confronti degli adulti. Ad ogni buon conto, si è già accennato che l’eventuale violazione del divieto in parola deve essere accertata “anche in relazione all’orario di trasmissione” del programma. La ragione è persino ovvia: è notorio che nell’arco della giornata la presenza di spettatori minorenni (da soli o in compagnia di un adulto) si concentra prevalentemente in alcune fasce orarie, mentre risulta più o meno ridotta in altre. Di questo dato di comune esperienza il legislatore stabilisce espressamente che si debba tener conto, prevedendo altresì che proprio in quelle prime fasce orarie la tutela dei minori debba essere in vario modo “rafforzata”. Di qui, attesa l’insufficiente tutela apprestata dalla normativa generale e la pervasività delle informazioni prive di qualsiasi forma di intermediazione, accanto all’attività di classificazione dei contenuti si è proceduto, in parallelo, alla disciplina, mediante attività di co-regolamentazione tra AGCOM (autorità per la garanzia nelle comunicazioni) ed operatori, degli accorgimenti tecnici tali da escludere da parte dei minori la normale fruizione di contenuti classificati a visione non libera. Tale funzione, cd parental control (o controllo parentale) deve inibire l’accesso ai contenuti per adulti, facendo salva la possibilità per l’utente di disattivare la funzione. Una prima attuazione della previsione si è avuta con la del. n. 220/11/ CSP “Regolamento in materia di accorgimenti tecnici da adottare per l’esclusione della visione e dell’ascolto da parte dei minori di film ai quali sia stato negato il nulla osta per la proiezione o la rappresentazione in pubblico, di film vietati ai minori di diciotto anni e di programmi classificabili a visione per soli adulti ai sensi dell’art. 34, c. 5 e 11 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici”. Tale atto fissa le caratteristiche che devono avere i sistemi di parental control, con particolare riguardo ai requisiti di segretezza del codice, che deve essere personale, specifico e individualizzato2 . Il parental control o filtro famiglia, che è il sistema che permette ad un genitore di monitorare o bloccare l’accesso a determinate attività da parte del bambino (siti pornografici, immagini violente o pagine con parole chiave) e anche di impostare il tempo di utilizzo di computer, tv, smartphone e tablet attraverso la creazione per loro un profilo utente personale dal quale farli connettere. I filtri famiglia possono essere applicati su qualsiasi dispositivo, dal pc al tablet, dallo smartphone alla tv. Tutti i sistemi operativi, infatti, da Windows ad Apple a Linux, rispondono ormai alla necessità di tutelare i minori dai pericoli del web; come pure alcune linee telefoniche, e i videogiochi fino ai motori di ricerca. Oltre al controllo dell’attività online attraverso la cronologia del browser è possibile scegliere il sistema di reportistica che consente di essere informati in tempo reale e/o periodicamente sulla navigazione web effettuata. Inoltre, quanto a YouTube, per impedire l’accesso a video con determinate parole chiave, può essere impostata la “modalità di protezione” attraverso il link che si trova in fondo all’home page.



3. La tutela dei minori in rete e il GDPR



Alla luce di quanto sin qui esposto, se è vero che per i programmi televisivi vi è una sorta di canovaccio normativo, ancorché generico, a cui le trasmissioni devono adeguarsi onde assicurare la tutela, implementato dal controllo degli adulti attraverso il sistema del parental control, il web non soggiace agli stessi limiti, sicché maggiore è il pericolo per i minori perché è incontrollato il flusso di informazioni e di relazioni che vengono veicolate attraverso il web. Essa, tuttavia, costituisce anche uno spazio di vita privata dove l’individuo realizza gran parte delle attività esistenziali, sicché appare necessario contemperare la pluralità degli interessi coinvolti: la tutela del minore e la libertà di autodeterminazione dell’individuo. A livello normativo, vi è la delibera n. 481/14/CONS del 23 settembre 2014, con la quale l’AGCOM ha istituito l’Osservatorio permanente delle forme di garanzia e di tutela dei minori e dei diritti fondamentali della persona sulla rete internet al fine di analizzare le problematiche connesse all’utilizzo di internet e dei social network e di verificare l’efficacia delle procedure adottate dagli operatori. I fenomeni oggetto del monitoraggio sono: le minacce, le molestie, il bullismo, l’incitamento all’odio (hate speech) e la diffusione di contenuti deplorevoli. L’Osservatorio opera mediante due direttrici:

– la raccolta, l’elaborazione e la pubblicazione dei dati relativi al comportamento degli utenti rispetto a internet e ai socialnetwork;

– l’analisi delle policies adottate dagli operatori per la salvaguardia dei valori e degli utenti più sensibili e la valutazione della relativa efficacia.

Prima dell’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/679, non essendo possibile individuare un complesso di norme specificamente devolute alla tutela dei minori e dei diritti fondamentali della persona sulla rete Internet, si è richiamata l’attenzione sugli specifici compiti che la normativa vigente attribuisce all’Autorità in tema di tutela dei minori.

1. La legge istitutiva (art. 1, comma 6, lett. b), n. 6 della legge n. 249/97): competenza specifica in materia di tutela dei minori (con attribuzione di ruolo specifico anche all’autoregolamentazione e alla co-regolamentazione).

2. Il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici: principi fondamentali del sistema radiotelevisivo e rispetto per la dignità umana (art. 32, comma 5).

3. Il Decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70: l’Autorità amministrativa competente può limitare la libera circolazione di un determinato servizio della società dell’informazione proveniente da un altro Stato membro “per l’opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento di reati, in particolare la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché contro la violazione della dignità umana” (art. 5, comma 1, lett. a).

Con l’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/679 lo scenario normativo è mutato e si è arricchito di nuove disposizioni:

– Il Considerando n. 38 dispone che: i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali. Tale specifica protezione dovrebbe, in particolare, riguardare l’utilizzo dei dati personali dei minori a fini di marketing o di creazione di profili di personalità o di utente e la raccolta di dati personali relativi ai minori all’atto dell’utilizzo di servizi forniti direttamente a un minore. Il consenso del titolare della responsabilità genitoriale non dovrebbe essere necessario nel quadro dei servizi di prevenzione o di consulenza forniti direttamente a un minore.

– Il Considerando n. 51 specifica che: Il trattamento di fotografie non dovrebbe costituire sistematicamente un trattamento di categorie particolari di dati personali, poiché esse rientrano nella definizione di dati biometrici soltanto quando saranno trattate attraverso un dispositivo tecnico specifico che consente l’identificazione univoca o l’autenticazione di una persona fisica.

– L’art. 4 del GDPR definisce dato personale: qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile (“interessato”); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale.

– L’art. 8 del GDPR stabilisce, poi, che, qualora si applichi l’articolo 6, paragrafo 1, lettera a) [il consenso], per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Gli Stati membri possono stabilire per legge un’età inferiore a tali fini purché non inferiore ai 13 anni – evidenziando e facendo propria la distinzione fra petiteenfantse grands enfants, già esistente nel diritto francese. Per i primi, secondo il legislatore d’oltralpe, prevale l’esigenza di protezione e per i secondi l’esigenza di tutelare i diritti di libertà in quanto hanno raggiunto capacità di discernimento e autonomia gestionale tale da poter esprimere i diritti di libertà che debbono comunque essere contemperati con le facoltà-diritti e con i doveri dei soggetti esercenti la potestà genitoriale Pertanto, alla luce della nuova disposizione comunitaria, il consenso richiesto per il trattamento dei dati personali del minore, e dunque anche per le immagini che possano identificarlo, potrà – a seconda dell’età del minore interessato – essere validamente prestato o dallo stesso minore oppure dal soggetto che ne esercita la responsabilità genitoriale. Precisamente nel caso di minori infrasedicenni (ai sensi dell’art. 8 de GDPR dai 16 e i 18 anni, o dai 13 anni in su a seconda della legislazione dello Stato Membro, in Italia, dai 14 anni in su), saranno questi ultimi a poter scegliere se prestare o meno il consenso al trattamento. Mentre per minori che non rientrino nella fascia di età sopra indicata il consenso, per essere valido, dovrà essere prestato dai soggetti esercenti la responsabilità genitoriale, in vece dei propri figli, concordemente fra loro e senza arrecare pregiudizio all’onore, al decoro e alla reputazione dell’immagine del minore (art. 97 l. n. 633/41). In tale prospettiva il legislatore italiano, col decreto di adeguamento del Codice Privacy (d.lgs. 101/18 art. 2-quinquies), ha fissato il limite di età da applicare in Italia a 14 anni (così come l’Austria) Altri paesi invece hanno fissato l’età minima a 15 anni (Repubblica Ceca, Slovenia, Francia) o 13 anni (Spagna, Svezia, Inghilterra, Danimarca, Estonia, Lettonia, Finlandia e Portogallo). Sempre in tema di utilizzo delle immagini di minori, oltre alla normativa in parte esaminata, meritano altresì approfondimento il provvedimento dell’Autorità Garante n. 75 del 23 febbraio 2017 - Rimozione da un profilo Facebook di provvedimenti giurisdizionali contenenti informazioni relative a un minore e l’art. 7 del codice di deontologia dei giornalisti:

– Al fine di tutelarne la personalità, il giornalista non pubblica i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornisce particolari in grado di condurre alla loro identificazione.

– La tutela della personalità del minore si estende, tenuto conto della qualità della notizia e delle sue componenti, ai fatti che non siano specificamente reati.

– Il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca; qualora, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di legge, il giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, dovrà farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell’interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla “Carta di Treviso”.



4. Diffusione di immagini di minori e consenso



All’esito di quanto esaminato si evince che l’inserimento di foto di figli minori sui social network deve considerarsi un’attività in sé pregiudizievole in ragione delle caratteristiche proprie della rete internet. Il web consente infatti la diffusione dati personali e di immagini ad alta rapidità rendendo difficoltosa e inefficace le forme di controllo dei flussi informativi. Le pubblicazioni, in considerazione delle modalità e della frequenza con cui vengono praticate possono assumere rilevanza giuridica sino ad arrivare a condanne di tipo inibitorio e censure circa il corretto esercizio della responsabilità genitoriale. Infatti, in caso di mancato consenso di entrambi i genitori alla pubblicazione di foto di figli minorenni, dovranno ritenersi violati i diritti all’immagine e alla riservatezza del fanciullo. In caso di infraquattordicenne si dovrà invece tener conto che la volontà dell’interessato può assumere valida rilevanza e in ogni caso tale volontà dovrà essere contemperata, se in contrasto, con le facoltà e gli obblighi dei soggetti che esercitino la responsabilità genitoriale, sempre per la miglior tutela del minore e nei limiti dell’art. 97 comma 2 della l. n. 633/411 ossia senza arrecare pregiudizio all’onore, al decoro o alla reputazione della persona ritratta. In conclusione la pubblicazione di immagini di soggetti minori di età presenta due distinti profili: il primo in ordine alla validità del consenso prestato, secondo le modalità esaminate dell’art. 8 del GDPR, e il secondo con riferimento al corretto esercizio della responsabilità genitoriale che necessita del consenso di entrambi i genitori o comunque dei soggetti esercenti la potestà genitoriale, in ragione della pericolosità del potenziale pregiudizio in capo al minore. Prima dell’entrata in vigore del GDPR, è intervenuta, sul punto una sentenza del Tribunale di Mantova3 , che ha stabilito che non si possono postare sui social network le foto dei propri figli minorenni se l’altro genitore non è d’accordo. È stata la prima sentenza che ha messo nero su bianco che si può chiedere e ottenere dal giudice di inibire la pubblicazione di tali immagini e far rimuovere quelle già diffuse. Il giudice cita anche la normativa di tutela dei minori contenuta nel Regolamento Ue del 27 aprile 2016, entrato in vigore il 25 maggio 2018, secondo cui la immagine fotografica dei figli costituisce dato personale e la sua diffusione costituisce una interferenza nella vita privata. Dunque, considerato che il pregiudizio per il minore è insito nella diffusione della sua immagine sui social network l’ordine di inibitoria e di rimozione va impartito immediatamente. Il dato inibitorio e sanzionatorio di questa decisione è stato poi approfondito in una successiva pronuncia del Tribunale di Roma, che per la prima volta sul tema giunge a prevedere la condanna ad un’astreinte, la penalità di mora di cui all’art. 614-bis c.p.c. per il soggetto che commette la violazione Richiamando le motivazioni addotte dal tribunale di Mantova, una recente sentenza del Tribunale di Rieti, impartisce l’ordine di inibitoria e di rimozione delle immagini di minori infraquattordicenni dai profili social della compagna del padre, prevedendo, altresì, una somma a titolo di penalità di mora ex art. 614-bis c.p.c., sul presupposto della mancata prestazione del consenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, ai sensi del Considerando n. 38 Reg. UE n. 679/16, dell’art. 8 Reg. cit. e del d.lgs. 101/18 art. 2-quinquies (Codice Privacy)4 .



5. Utilizzo del web da parte di minori: revenge porn



La rete costituisce, dunque, una fonte di pericolo maggiore e si distingue dagli altri media in quanto non implica soltanto un elemento di comunicazione, ma anche un elemento di interattività tipico della realtà dei servizi. Essa, tuttavia, costituisce anche un nuovo spazio di vita privata e sociale dove l’individuo realizza parte delle sue attività esistenziali. Qui si pone, dunque, in maniera più decisa il problema del contemperamento della pluralità di interessi coinvolti: la tutela dei minori e la libertà di autodeterminazione dell’individuo in generale, ma anche la necessità di una maggiore consapevolezza nell’utilizzo della rete, allo scopo di evitare nocumento a sé e agli altri. In questo contesto, il fenomeno dell’uso improprio di internet sta assumendo proporzioni gigantesche: secondo la Polizia delle Comunicazioni, infatti, il fenomeno cd del revenge porn ovvero pornografia non consensuale o anche abuso sessuale tramite immagini, sta raggiungendo picchi preoccupanti ed uno studio del 2018 dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza in collaborazione col portale skuola.net ha rilevato che il 6% dei giovanissimi fra gli 11 e i 13 anni, con una prevalenza (2 su 3) di ragazzine, invia abitualmente proprie immagini a sfondo sessuale per via telematica. Aumentando l’età (14-19 anni) aumenta la percentuale (19%) di chi invia, anche al solo partner, materiale intimo. Un altro sondaggio del 2017 riferisce che per molti adolescenti, soprattutto maschi, appare normale filmarsi durante un rapporto sessuale e condividerlo con gli amici. Il problema è sicuramente culturale, in quanto i giovanissimi non hanno la percezione della gravità delle azioni poste in essere, potenzialmente idonee a danneggiare la sfera affettiva e psicologica di una persona anche a distanza di anni. A contrastare tale fenomeno, è intervenuta la l. 19 luglio 2019 n. 69 (c.d. Codice Rosso), che ha introdotto l’art. 612- ter c.p.5 . La norma prevede la necessità del preventivo consenso alla realizzazione, sottrazione, invio, consegna, cessione o pubblicazione di immagini a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati. L’assenza di consenso integra la fattispecie tipica di reato. Ma, nell’applicazione della norma, bisogna intendersi su come va espresso il consenso che esclude il reato, su come incidano i vizi del consenso e sugli effetti della eventuale revoca sulla sua configurabilità. Il consenso, difatti, nella generica formulazione del testo approvato, può essere esplicito, implicito, tacito (accettazione passiva alla ripresa ed alla successiva comunicazione), dato oralmente o per iscritto. Operando una presunzione iuris tantum in favore della vittima, non v’è dubbio che ricadrà sull’imputato, l’onere, oltremodo gravoso, di dover dimostrare di essere stato autorizzato alla comunicazione, diffusione, etc., ovvero ad una sola di queste facoltà. Nell’applicazione della norma vanno, poi, considerati gli eventuali vizi del consenso in relazione alla:

– Consapevolezza (scopo della raccolta del dato/ripresa, limiti alla sua comunicazione o diffusione).

– Capacità (minore età, interdizione o inabilitazione, causa temporanea per malattia, infortunio, abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti); – Libertà (errore, violenza, dolo, art. 1427 c.c.).

Si tratta di una non facile operazione interpretativa, che solo l’applicazione concreta della norma potrà delineare, sulla scorta, soprattutto, di una prognosi postuma che il giudice deve fare all’atto della valutazione di indici esteriori quali la condotta dell’imputato prima e dopo il fatto, la tempistica fra produzione e comunicazione e diffusione, la presenza di correi, etc. Il secondo comma punisce, invece, chi riceve o acquisisce il materiale intimo e pone in essere le condotte del primo comma senza il consenso delle persone riprese, ma con un quid pluris, il fine direcare loro nocumento. Il dolo, difatti, è specifico in quanto l’agente deve essere consapevole, oltre che di porre in essere la condotta tipica, di rappresentare l’ulteriore scopo di arrecare un danno – all’immagine, alla salute, al patrimonio ecc. – al di là della realizzazione dello stesso. Anche qui, dal punto di vista processuale, siamo di fronte ad una probatio diabolica in quanto l’agente dovrà dimostrare di avere concorso nella diffusione senza voler danneggiare nessuno. Sembrerebbe, inoltre, che il consenso richiesto sia ulteriore e diverso rispetto a quello dato per le riprese o per una comunicazione limitata delle immagini, pertanto emergono, anche in questa sede, le medesime problematiche interpretative sopra esposte. Per quanto riguarda le circostanze aggravanti, il terzo comma prevede un’aggravante se i fatti sono stati commessi da persone che hanno o hanno avuto legami affettivi con la vittima e se sono commessi mediante strumenti informatici o telematici Si prevede poi una circostanza ad effetto speciale (da un terzo sino alla metà) qualora la vittima versi in stato di inferiorità psichica o fisica ovvero sia una donna in stato di gravidanza. Le predette circostanze aggravanti sono coerenti con il maggior disvalore penalistico in ragione della qualità della persona offesa e con penetrante incisività del mezzo utilizzato. L’ultimo comma disciplina la condizione di procedibilità che, in coerenza anche sistematica con il precedente art. 612- bis che regola lo stalking è la querela ma entro mesi sei dalla conoscenza del fatto. La remissione, infatti, può essere solo processuale, nelle forme dell’art. 340 c.p.p., anche per evitare che la vittima sia condizionata o costretta alla remissione. Si procede d’ufficio in caso di fatti previsti al quarto comma (aggravanti speciali) e qualora vi sia connessione con un reato più grave (ad es. in caso di suicidio della vittima) il che permette agli inquirenti di indagare anche nel caso in cui la vittima non possa più sporgere querela. Completano il quadro le norme che limitano l’applicazione degli arresti domiciliari anche per i reati in esame (modifica dell’art. 275 co. 2-bis c.p.p.) e che prevedono specifici obblighi di comunicazione al giudice civile (art. 64-bis disp. att. c.p.p.). Questa breve analisi va completata con il richiamo al possibile concorso di norme, tenendo conto che, se la formulazione dovesse rimanere tale, si dovrebbe escludere il concorso sia con la diffamazione aggravata che (a questo punto sarebbe residuale) che il trattamento illecito dei dati personali previsto dal Codice della Privacy. Invece prevarrebbe, in caso di produzione di materiali che coinvolgano minorenni, l’applicazione dell’art. 600-ter comma 1 (produzione) e 2 (commercializzazione), mentre le altre condotte di diffusione (comma 3) e cessione (comma 4) non si configurerebbero, in quanto punite, rispettivamente con una pena da uno a cinque anni e fino a tre anni, salvo aggravanti. La legge 69/19 prevede, inoltre, che entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore, la Polizia di Stato, l’Arma dei carabinieri e il Corpo di Polizia penitenziaria attivino presso i rispettivi istituti di formazione specifici corsi destinati al personale che esercita funzioni di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria in relazione alla prevenzione e al perseguimento dei reati ivi previsti, compreso il reato di cui all’art. 612-ter c.p. Non sono previsti specifici obblighi in capo ai titolari del trattamento e ai gestori di siti internet, né attività di sensibilizzazione scolastica finalizzate alla prevenzione delle condotte di revenge porn, come, invece previsto nella formulazione del testo del d.d.l. n. 1076 presentato in Senato6 .

Questa lacuna normativa costituisce un vulnus che, a parere di chi scrive, andrebbe colmato per garantire l’effettività della tutela, in via preventiva, mediante campagne sociali e scolastiche sull’uso responsabile della rete, e la necessaria responsabilizzazione della società di fronte ad un fenomeno così diffuso; in via giudiziaria successiva, attraverso segnalazioni e diffide ai social network o la proposizione di un reclamo al Garante Privacy per limitare la diffusione del materiale e chiedere l’adozione di idonei provvedimenti, senza dimenticare il ricorso al Giudice per tutelare la propria immagine e la propria riservatezza, sia in via inibitoria che risarcitoria. È, in ogni caso, importantissimo il tempestivo intervento delle Forze di Polizia specializzate che hanno gli strumenti tecnici e giuridici per limitare la diffusione del materiale e per individuare i responsabili delle condotte denunciate.

NOTE

1 Internet e tutela dei minori, in Dir. Informatica, 2011, 6.

2 Prospettive di tutela dei minori nella “over the top television” dopo la riforma del t.u. servizi media audiovisivi, in Dir. Informatica, 2012, 4-5;

3 Tribunale di Mantova, 19 settembre 2017, in Il Caso.it, sez. Giurisprudenza, 18226 del 14 ottobre 2017. Per il Giudice di Mantova, l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce un comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto online dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia. La questione all’esame del Tribunale riguarda il ricorso presentato dal papà di due bambini (di tre anni e mezzo la bimba, un anno e mezzo il più piccolo) che chiedeva al giudice di rivedere le condizioni regolanti i rapporti genitori/figli alla stre gua di supposti gravi comportamenti diseducativi posti in essere dalla madre. Il Tribunale aveva deciso per l’affido condiviso e la residenza dei bambini con la mamma: il giudice ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per rivedere tali accordi, non risultando provata una grave inadeguatezza educativa della donna, ma ha rilevato che, nonostante nell’accordo fosse stato stabilito l’obbligo di non postare le foto dei bimbi sui social e la donna si fosse impegnata a rimuovere quelle già diffuse, in realtà numerose immagini erano state pubblicate ancora successivamente. Comportamento questo – scrive il Tribunale di Mantova – che integra violazione della tutela dell’immagine, contemplata dall’articolo 10 del codice civile, della tutela della riservatezza dei dati personali, prevista dal Codice della privacy, nonché della Convenzione di New York nel punto in cui stabilisce che nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione e che il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti.

4 Tribunale di Roma, I civile, ord. 23 dicembre 2018, in Altalex, 8 gennaio 2018; Tribunale di Rieti, 7 marzo 2019, in Il Familiarista, 25 marzo 2019.

5 Art. 612-ter c.p.: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 5.000 a euro 15.000. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di persona in stato di gravidanza. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio”.

6 Art. 3 d.d.l. 1076 S (Attività di sensibilizzazione volte al contrasto del reato di cui all’articolo 612-ter del codice penate). “1. Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentito il Ministero della giustizia, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge; adotta linee guida per la prevenzione e sensibilizzazione volte al contrasto del delitto di cui all’articolo 1, nelle scuole, anche avvalendosi della collaborazione della Polizia postale e delle comunicazioni e provvede al loro aggiornamento con cadenza biennale. 2. Le linee guida di cui al comma 1, includono per il triennio 2019-2021: a) la formazione del personale scolastico, prevedendo la presenza di un referente in ogni istituzione scolastica; b) la promozione di un ruolo attivo degli studenti, nella sensibilizzazione ad un uso consapevole di internet e dei social media in relazione ai diritti e doveri connessi all’utilizzo delle tecnologie informatiche, anche mediante la realizzazione di apposite attività progettuali aventi carattere di continuità tra i diversi gradi di istruzione o di progetti elaborati da reti di scuole in collaborazione con enti locali, servizi territoriali, organi di polizia, associazioni ed enti; c) la previsione di misure di sostegno e rieducazione dei minori coinvolti”.