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La reintegrazione contrattuale della legittima

autore: D. Cavicchi

Sommario: 1. Premessa. - 2. La tutela giudiziale del legittimario. - 3. La reintegrazione meramente patrimoniale della legittima. - 4. La reintegrazione della legittima in senso stretto. - 5. Le pronunce della giurisprudenza. - 6. Questioni applicative. - 7. Considerazioni conclusive.



1. Premessa



Il codice civile, come è noto, prevede un sistema di tutela dei diritti del legittimario. Le norme contenute nella Sezione II, Capo X, Titolo I, Libro II, artt. 553-564 c.c., disciplinano le azioni giudiziali che il legittimario, che ritenga di essere stato leso, può esperire. Nulla, invece, dice la legge in merito alla possibilità che la legittima venga reintegrata per via convenzionale, cioè attraverso un accordo tra i soggetti titolari delle situazioni giuridiche sottese al conflitto, effettivo o potenziale, che si viene a creare in simili ipotesi. Invero, un esplicito riferimento a siffatti accordi è presente nella legge tributaria: l’art. 43 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, Testo Unico imposta successioni e donazioni, stabilisce infatti che l’imposta di successione, nelle successioni testamentarie “si applica in base alle disposizioni contenute nel testamento, anche se impugnate giudizialmente, nonché agli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, salvo il disposto, in caso di accoglimento dell’impugnazione o di accordi sopravvenuti, dell’art. 28, comma 6 o dell’art. 42, comma 1, lettera e)”. Ed ancora, l’art. 30, lett. d) dispone che “la copia autentica dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata dai quali risulta l’eventuale accordo delle parti per l’integrazione dei diritti di legittima” sia allegata alla dichiarazione di successione. Il legislatore fiscale, dunque, si limita a prendere atto del fatto che i privati possono ricorrere allo strumento negoziale per reintegrare i diritti dei legittimari, ed assoggetta il negozio all’imposta di successione. Ma non fornisce alcuna indicazione in ordine alla natura o struttura di tali accordi né chiarisce cosa debba intendersi per reintegrazione della legittima. L’importanza di ricostruire questa figura negoziale in una dimensione civilistica è, tuttavia, evidente, posto ch’essa può svolgere un ruolo importante allorquando si tratti di dare assetto alle pretese o rivendicazioni di un legittimario1 . Può accadere, ed anzi l’ipotesi non è così remota e lontana dalla realtà dei tribunali, che un giudizio intrapreso da un legittimario, che assuma di essere stato leso, venga definito con un accordo tra le parti; oppure che un siffatto accordo prevenga l’instaurazione di una lite. Ciò può avvenire attraverso un riconoscimento dei diritti del legittimario e l’attribuzione allo stesso di beni ereditari corrispondenti alla sua quota di riserva, ovvero attraverso reciproche concessioni tra le parti, con attribuzione al legittimario di beni, anche non necessariamente ereditari, a tacitazione dei suoi diritti di legittima; e ancora, si pensi al caso, invero piuttosto ricorrente, in cui la lite venga definita o prevenuta riconoscendo al legittimario una somma di denaro. A ben vedere, poi, il conflitto potrebbe anche non ricorrere: i soggetti coinvolti potrebbero non essere in disaccordo sul fatto che vi sia una lesione della legittima, ed intendano, con il consenso del legittimario, procedere alla sua reintegrazione. È evidente come siffatte pattuizioni siano possibili, lecite, e riconosceremo in alcune di esse la causa della transazione. Ma il punto che qui si intende affrontare è un altro e più specifico e, sotto questo profilo, emerge la formulazione di un quesito: è consentito alle parti, ai soggetti cui spetterebbe la legittimazione attiva e passiva al giudizio di riduzione, porre in essere degli accordi che pongano il legittimario nella stessa situazione giuridica in cui si troverebbe se ottenesse una sentenza a lui favorevole? O altrimenti, è consentito alle parti stipulare un contratto, una convenzione, che attribuisca al legittimario gli stessi diritti che a lui spetterebbero in caso di esperimento vittorioso dell’azione di riduzione? Solo la risposta a questo quesito consente di chiarire se sia ammissibile o meno una reintegrazione negoziale della legittima assimilabile a quella giudiziale predisposta dal legislatore – e che può, sin da adesso, definirsi, per mera comodità espositiva, accordo di reintegrazione della legittima in senso stretto. Per rispondere a questo quesito è evidente che occorra preliminarmente chiarire quali effetti scaturiscano dalla sentenza di riduzione, cioè in quale situazione si venga a trovare il legittimario che abbia esperito vittoriosamente l’azione di riduzione. Solo partendo da questo dato sarà possibile fare il confronto tra la situazione in cui si trovi il legittimario leso che abbia scelto il rimedio giudiziale e la situazione in cui si trovi il legittimario che scelga, d’accordo con le altre parti, di seguire la via negoziale. Si rende utile, se non necessario, chiarire come operi la tutela giudiziale del legittimario, quale sia la sua posizione al momento dell’apertura della successione e quale la sua posizione a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione2 .



2. La tutela giudiziale del legittimario



Secondo un orientamento che può definirsi ampiamente consolidato3 , il legittimario leso, per effetto della successione necessaria, al momento dell’apertura della successione non acquisisce alcun bene, alcuna quota di eredità né assume la posizione di chiamato. Più precisamente, il legittimario può essere chiamato all’eredità per effetto di testamento o della successione ab intestato, ma in una quota insufficiente ad integrare la sua riserva4 . In tal caso, egli assume la veste di chiamato solo per questa minor quota insufficiente: se intende espandere la vocazione nella misura necessaria ad integrare la quota di riserva, deve esercitare l’azione di riduzione. Il legittimario preterito – o pretermesso – cioè il legittimario non contemplato in un testamento con cui il de cuius abbia disposto di tutte le proprie sostanze, escludendolo5 , rimane estraneo all’eredità e in suo favore non opera alcuna chiamata: non opera la chiamata in forza della successione legittima, in quanto la sua operatività è esclusa dalla presenza di un testamento che dispone dell’universum ius; e parimenti non opera la chiamata testamentaria in quanto il de cuius lo ha escluso dal testamento6 . Se intende conseguire la quota ereditaria che la legge gli riserva, deve esercitare l’azione di riduzione. Che si tratti di mera lesione o di pretermissione, in caso di esperimento vittorioso di tale azione, la sentenza che accoglie la domanda rende inefficaci, in tutto o in parte, nei confronti del legittimario, con effetto dal momento dell’apertura della successione, le disposizioni impugnate7 , nella misura necessaria ad integrare la legittima; da tale inefficacia, discende la vocazione legale del legittimario, il quale consegue quella quota di eredità utile per integrare la riserva. La dichiarazione di inefficacia – totale o parziale – delle disposizioni lesive rimuove l’ostacolo giuridico che impedisce l’operatività della vocazione necessaria in favore del legittimario, per cui il titolo in virtù del quale questi acquista e recupera i beni oggetto delle disposizioni ridotte non è la sentenza bensì, per l’appunto, la vocazione necessaria: il titolo di acquisto del legittimario è di natura legale.

La sentenza di riduzione agisce, in concreto, diversamente per il legittimario pretermesso e per il legittimario meramente leso. Il legittimario pretermesso – in origine, estraneo all’eredità – consegue la qualità di erede, che prima non aveva, per quella quota necessaria e sufficiente a soddisfare i suoi diritti di legittima. Il legittimario meramente leso, in origine chiamato all’eredità per una minor quota insufficiente, se agisce in riduzione contro delle disposizioni testamentarie a titolo universale, espande tale quota fino al limite in cui ciò basti per integrare la riserva8 ; se la lesione deriva soltanto da donazioni fatte in vita dal de cuius o da legati, l’azione di riduzione, mirando a rendere inefficaci siffatte disposizioni nei suoi confronti, produrrà un’integrazione del contenuto della quota di cui egli già risulti titolare per legge o per testamento9 . La tutela giudiziale pone quindi il legittimario vittorioso in riduzione nella posizione di erede e l’accettazione dell’eredità è implicita nell’esercizio dell’azione10: egli consegue i beni che servono per integrare la sua legittima come erede, come avente causa a titolo universale del de cuius. Sul punto, illuminanti le parole di autorevole dottrina: “In forza della sentenza di riduzione i beni legati o donati, si considerano come mai usciti dal patrimonio del defunto. Il suo titolo di acquisto – del legittimario – non è la sentenza, ma la quota di eredità di cui è già investito per vocazione testamentaria o intestata o che gli viene devoluta ex lege per vocazione necessaria in conseguenza della riduzione pronunziata contro l’erede istituito. Il legittimario domanda la legittima in quanto tale, in veste di terzo, ma – ottenuta la riduzione – la prende come erede, cioè come avente causa a titolo universale dal de cuius”11. Come si è detto, quando la riduzione si rivolge contro una disposizione a titolo universale, il legittimario preterito consegue – in forza del predetto titolo legale – la quota ereditaria che la legge gli riserva: per questo motivo viene ad instaurarsi uno stato di comunione ereditaria tra gli eredi testamentari e il legittimario, al quale, per l’effetto, spetterà anche il diritto al possesso pro indiviso dei beni ereditari in una misura corrispondente alla sua quota di riserva.

Si noti, però, che se la riduzione dovesse comportare la totale – e non solo parziale – inefficacia della disposizione lesiva, il legittimario avrebbe diritto alla restituzione di tutti i beni ereditari e quindi non si formerebbe alcuno stato di comunione12. Quando l’azione si rivolge contro un legato di specie o contro una donazione e la riduzione avviene per intero, l’onorato o il donatario perde la proprietà del bene; se, invece, la riduzione è soltanto parziale si costituisce una comunione non ereditaria tra il beneficiario della disposizione ridotta e il legittimario, per la rispettiva quota13. Concludendo, per le sue caratteristiche, l’azione di riduzione viene considerata azione di inefficacia relativa, di natura personale – in quanto esperibile solo contro i beneficiari delle disposizioni lesive – di accertamento costitutivo, con la quale il legittimario fa valere un diritto potestativo14. Non può, tuttavia, sottacersi l’esistenza di due orientamenti diversi che, se pur minoritari, sono stati autorevolmente sostenuti in dottrina15. Il primo afferma che la delazione opererebbe, in favore del legittimario, sin dal momento dell’apertura della successione, di diritto e senza necessità di esperire l’azione di riduzione: il legittimario, anche se preterito, sarebbe chiamato all’eredità già al momento dell’apertura della successione, per cui potrebbe accettare l’eredità e divenire erede16. L’azione di riduzione, secondo questa ricostruzione, non avrebbe la funzione di far operare una vocazione in favore del legittimario bensì quella di far dichiarare inefficaci, totalmente o parzialmente, gli atti lesivi della legittima al fine di fargli conseguire, concretamente, i beni che andrebbero ad integrare la quota riservatagli dalla legge, previo accertamento della lesione della legittima ed individuazione, da parte del giudice, dei beni o dei diritti in genere che dovrebbero rilasciare i coeredi, i legatari e, occorrendo, i donatari17. Il secondo orientamento18 afferma, invece, che il legittimario non avrebbe diritto ad una quota di eredità bensì unicamente a conseguire una parte di attivo del patrimonio del de cuius: poiché nel nostro ordinamento non è configurabile una terza forma di successione, al di fuori di quella legittima e di quella testamentaria, il legittimario avrebbe diritto non ad una quota di eredità bensì a conseguire una parte dell’attivo ereditario – pars bonorum – calcolata secondo la disciplina di cui agli artt. 536 ss. c.c. La riserva si concreterebbe così in una sorta di quota di utile netto, che il legittimario andrebbe ad acquistare in qualità di successore a titolo particolare del de cuius19. All’interno di questo orientamento, v’è, da un lato, chi afferma che le disposizioni lesive, originariamente valide ed efficaci, sarebbero sottoposte alla condizione risolutiva rappresentata dall’accoglimento della domanda di riduzione20; dall’altro, chi sostiene che dette disposizioni sarebbero inefficaci, nei confronti del legittimario leso, sin dal momento dell’apertura della successione, sicché al legittimario stesso spetterebbe, sin da quel momento, un diritto reale sui beni che ne siano oggetto, per la misura eccedente la disponibile21. Così ricostruito, in termini sintetici, il modo di operare della tutela giudiziale del legittimario, si può riprendere il filo del discorso anticipato in premessa e affrontare più direttamente il tema che qui ci occupa: indagare con quale mezzo e con quali effetti i privati possano reintegrare il legittimario leso. Se questo risultato può essere conseguito attraverso negozi che incidano sulla vicenda successoria, secondo il modello di tutela giudiziale che si è visto essere prevalente, oppure attraverso negozi che lascino intatta la successione e si limitino ad attribuire al legittimario beni, ereditari o non ereditari, considerati dalle parti idonei a soddisfare i diritti del legittimario stesso22.



3. La reintegrazione meramente patrimoniale della legittima



Secondo un primo orientamento, sarebbe esclusa, per i privati, la possibilità di stipulare accordi di reintegrazione della legittima idonei a porre il legittimario nella stessa posizione in cui si troverebbe se esperisse vittoriosamente l’azione di riduzione. Questo risultato sarebbe impedito dal principio di unicità della successione, il quale impone che l’eredità si possa devolvere solo per legge o per testamento, rimanendo esclusa una delazione di fonte contrattuale (artt. 457, 458 c.c.). Per questa tesi, l’accordo di reintegrazione potrebbe assolvere solo alla funzione di far conseguire al legittimario quelle utilità economiche che costituiscono il contenuto della sua riserva, ma non potrebbe, neanche indirettamente, incidere sulla vicenda successoria. In altre parole, l’accordo potrebbe prevedere l’attribuzione al legittimario di beni, ereditari o non ereditari, o riconoscergli somme di denaro, ma non potrebbe mai modificare la situazione giuridica che si è venuta a creare a seguito della successione mortis causa: le quote ereditarie, così come configuratesi a seguito della vocazione legale o testamentaria, rimangono invariate e comunque non intaccate dalla presenza dell’accordo, e il legittimario non consegue la qualità di erede, se già non la possiede in forza del testamento o della successione ab intestato23. Così concepiti, gli accordi di reintegrazione della legittima consentono al legittimario di beneficiare di attribuzioni patrimoniali il cui valore ben potrebbe corrispondere a quello della riserva, ma non lo pongono nella stessa situazione giuridica in cui si troverebbe se si avvalesse del rimedio giudiziale: l’azione di riduzione, come visto, produce l’effetto di far operare, in favore del legittimario, una vocazione di natura legale, tale per cui il legittimario preterito consegue la qualità di erede e il legittimario meramente leso espande la propria quota nella misura necessaria ad integrare la riserva, mentre gli accordi – così concepiti – non sarebbero idonei a produrre tale effetto; ne deriva l’impossibilità di assimilare siffatti accordi alla sentenza di riduzione quoad effectum. Per questo motivo si è scelto di qualificare tali accordi come di reintegrazione della legittima in senso lato o di reintegrazione meramente patrimoniale. La reintegrazione patrimoniale della legittima è concepita con varietà di argomentazioni e ricorrendo a diversi schemi negoziali24. Si è così affermato che, qualora non vi fosse contestazione in merito ai diritti spettanti al legittimario – così come configurati dal legislatore – il legittimario stesso e i beneficiari delle disposizioni lesive potrebbero porre in essere un negozio con cui, da un lato, si riconoscono i diritti spettanti al legittimario, dall’altro, si attribuisce a questi una quota sui beni ereditari, nella misura idonea ad integrare la riserva, oppure, in alternativa, gli si assegnano beni ereditari di valore corrispondente. La reintegrazione avverrebbe così attraverso un negozio bilaterale di accertamento produttivo di effetti reali25. Stesso risultato potrebbe conseguirsi, sempre in assenza di lite tra le parti e in un’ottica di riconoscimento dei diritti del legittimario: con un contratto atipico, il quale trasferisca, al legittimario, beni relitti o un’equivalente somma di denaro in misura atta a soddisfare i suoi diritti; oppure con una convenzione novativa, con cui le parti si accordano nel senso di estinguere l’obbligazione legale che trova fonte nella riserva e di sostituirla con una nuova obbligazione avente oggetto o titolo diversi; oppure, ancora, qualora sussista uno stato di comunione tra il legittimario leso ed il beneficiario della disposizione lesiva, con un atto avente funzione divisoria, il quale potrebbe darebbe attuazione all’eventuale prevalente volontà dei comunisti di addivenire ad un apporzionamento26. Qualora, invece, i diritti spettanti ai legittimari fossero oggetto di contestazione, le parti potrebbero porre in essere una transazione: potrebbero porre fine o prevenire la lite ricorrendo allo schema di cui all’art. 1965 c.c., facendosi le reciproche concessioni che integrano la causa di tale contratto27. In questo caso, si afferma, diversamente dall’ipotesi precedente, le parti non addiverrebbero al riconoscimento dei diritti del legittimario e questi non verrebbe soddisfatto integralmente: le parti rimangono libere di assegnare al legittimario una quota di beni o specifici singoli beni – ereditari o non ereditari – o una somma di denaro, il cui valore ben potrebbe non coincidere con quello della riserva. Sotto altra prospettiva, si afferma che la reintegrazione dei diritti del legittimario potrebbe avvenire mediante un negozio unilaterale, che viene definito di offerta di reintegrazione: con esso il beneficiario della disposizione lesiva, da un lato, riconoscerebbe integralmente i diritti del legittimario, dall’altro, formulerebbe, in suo favore, un’offerta di rilascio di beni ereditari o di quote di essi, sino a concorrenza della riserva di legge. L’atto in parola avrebbe, come detto, struttura unilaterale e natura di atto traslativo, inter vivos e a titolo gratuito28. Qualora invece le parti intendessero porre in essere un vero e proprio scambio economico tra il rilascio dei beni oggetto della disposizione lesiva e il pagamento di una somma di denaro a carico del legittimario, si configurerebbe una rinuncia verso corrispettivo e il negozio rientrerebbe nella categoria dei contratti29.



4. La reintegrazione della legittima in senso stretto



Secondo un diverso orientamento, sarebbe consentita ai privati la possibilità di stipulare accordi idonei a porre il legittimario nella stessa posizione in cui si troverebbe se esperisse vittoriosamente l’azione di riduzione. Invero, questa apertura ai poteri dell’autonomia privata sembra essere sostenuta anche dalla dottrina tradizionale, la quale, pur in assenza di percorsi argomentativi dedicati, in più luoghi ha lasciato intendere che siffatti accordi possano incidere sulla vicenda successoria. In questo contesto, già autorevole dottrina aveva affermato che l’accertamento giurisdizionale può essere sostituito da un accordo tra le parti, cioè tra il titolare dell’azione di riduzione e il suo soggetto passivo, aggiungendo che “tali accordi non hanno natura traslativa, non costituiscono né transazione né novazione, ma si inseriscono, modificandola, nella complessa vicenda successoria”30. Si è ancora affermato che la legittima può essere reintegrata non solo per via giudiziale ma anche convenzionalmente, attraverso un accordo delle parti e che tale possibilità sarebbe legislativamente sancita dallo stesso codice civile: l’espressione “domandare la riduzione delle disposizioni lesive della legittima” – si veda ad es., l’art. 557 c.c. – comprenderebbe anche la domanda stragiudiziale di riduzione, e starebbe a significare che il legittimario può conseguire quanto gli spetta anche a seguito di un accordo con il beneficiario delle disposizione stesse31. L’azione di riduzione potrebbe dunque essere sostituita da un “atto di riconoscimento del diritto – del legittimario – da parte del soggetto che, convenuto in riduzione, verosimilmente soccomberebbe”32. Un primo tentativo di ricostruzione sistematica della figura è stato fatto da chi33 ha messo in evidenza come il problema che si pone in subiecta materia sia quello dei confini dell’autonomia privata, e come si tratti di verificare se gli effetti che è in grado di produrre una sentenza, ad esito di un processo, possano essere prodotti anche da un accordo tra i soggetti che, in quel processo, assumerebbero il ruolo di parte. Al quesito, se ciò sia ammissibile, si è data risposta positiva, a condizione che si tratti di diritti che si trovino nella disponibilità delle parti. La tesi muove da un parallelo tra i poteri che, in ambito di effetti costitutivi, l’ordinamento attribuisce, da un lato al giudice e dall’altro ai privati. In ambito giurisdizionale, come è noto, vige, a tal riguardo, un principio di tipicità: l’art. 2908 c.c. stabilisce che l’autorità giudiziaria “può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa” solo ed esclusivamente “nei casi previsti dalla legge”. La dottrina processualistica tende ad evidenziare la portata della norma, dalla quale sarebbe lecito evincere proprio la natura eccezionale della tutela giurisdizionale costitutiva, la quale dovrebbe leggersi in chiave riduttiva34. Si è detto lucidamente che “il giudice risulta essere non la vita immediata dell’ordinamento, ma la sua vita riflessa, l’intervento a posteriori su situazioni così avanzate e maturate da aver dato luogo a contrasto di interessi, a bisogno di protezione giuridica. In questa istituzionale posizione secondaria e derivata non può il giudice avere gli spazi di libertà e di esperienza dei suoi giudicanti, non può in linea generale sostituirsi ad essi, non può vivere la loro vita, e svolgere la loro attività”35. Per questo motivo, la tutela giurisdizionale costitutiva è soggetta al principio di tipicità. Ma, specularmente e per lo stesso motivo, il potere costitutivo dei privati è libero, risponde all’opposto principio di atipicità – arg. ex art. 1321 e 1322 c.c. – e non è soggetto ad alcuna limitazione che non sia la meritevolezza dell’interesse perseguito; sempre che i diritti e le situazioni giuridiche sottese al regolamento contrattuale siano nella disponibilità delle parti. Anche richiamando la disposizione dell’art. 1372 c.c., che attribuisce al contratto forza di legge tra le parti, così invocando la maggior forza vincolante che l’ordinamento conosca, si è detto che il potere negoziale dei privati non può avere efficacia inferiore a quella della sentenza: “essendo impensabile che la sentenza possa avere un’efficacia maggiore di quella della legge”36. Ciò conferma che, fermi i predetti limiti propri dell’autonomia privata, gli effetti conseguibili con gli strumenti alternativi negoziali “non sono inferiori a quelli conseguibili in via giurisdizionale”37. In altre parole, laddove sia riconosciuto al giudice un potere costitutivo, di regola, questo stesso potere dovrà riconoscersi ai privati che siano titolari delle sottese situazioni giuridiche. Ora, nel caso che qui ci occupa, ci troviamo di fronte ad un’ipotesi di tutela giurisdizionale costitutiva che, come si è visto, ha la forza di privare di effetti le disposizione lesive della legittima, consentendo così l’operatività della vocazione legale in favore del legittimario agente in riduzione.

La tesi qui esposta sostiene che identico potere non può essere negato ai privati, in quanto non sussistono validi motivi per impedire la produzione di tale effetto. Anzitutto, si rileva, i diritti in questione sono disponibili, sia dal lato del beneficiario delle disposizioni lesive, sia dal lato del legittimario – come è dato evincere dal fatto che i legittimari, una volta che si sia aperta la successione, possono rinunciare al diritto di domandare la riduzione: art. 557, comma 2, c.c. In secondo luogo, l’accordo non si porrebbe in contrasto con gli artt. 457 e 458 c.c., in quanto esso non rappresenterebbe il titolo della chiamata del legittimario leso: l’accordo, esattamente come la sentenza, si limiterebbe a rendere inefficaci, nei confronti del legittimario, le disposizioni lesive della legittima, consentendo così alla vocazione necessaria di operare in suo favore. Già in altra sede si è detto che “anche in questo caso, analogamente a quanto accade in presenza di una sentenza di riduzione, la convenzione non produrrà effetti traslativi né costituirà il titolo di acquisto dei beni, o di una loro quota, da parte del legittimario: più semplicemente, rendendo inefficace (in tutto o in parte) la disposizione lesiva, l’accordo delle parti consentirà che operi il titolo legale attributivo della quota di eredità”38. La tesi ha trovato successivo riconoscimento in dottrina39, essendosi affermato che l’accordo di reintegrazione della legittima è un negozio con cui le parti – legittimario e beneficiario della disposizione lesiva – accertano la lesione della legittima e privano di efficacia la disposizione stessa, in modo che il trasferimento posto in essere dal defunto, in favore del beneficiario, si consideri come mai avvenuto nei confronti del legittimario. Per l’effetto, questi acquista i beni ereditari, non in forza dell’atto di riconoscimento bensì in forza della vocazione necessaria, dunque di un titolo legale, che si produce in suo favore per effetto dell’atto di riconoscimento. L’accordo in parola viene così configurato, analogamente all’azione di riduzione, come negozio di accertamento costitutivo, che comporta l’inefficacia sopravvenuta delle disposizioni lesive della legittima, personale – in quanto produce effetti solo per il legittimario e i destinatari delle disposizioni lesive che ne siano parte – ma con effetti retroattivi reali – in quanto i suoi effetti retroagiscono al momento dell’apertura della successione non solo tra le parti ma anche nei confronti dei terzi40. Un importante tentativo di ricostruzione organica della figura negoziale idonea a produrre gli stessi effetti che produrrebbe la sentenza di riduzione, si rinviene in un recente contributo monografico, dedicato all’argomento, che si svolge in un’ottica sistematica di ampio respiro41. Ad esito di un percorso argomentativo teso a coordinare regole e principi della materia contrattuale con il sistema delle successioni mortis causa, si giunge a riconoscere la legittimità di quelli che abbiamo definito accordi di reintegrazione della legittima in senso stretto. La ricostruzione tende a rimuovere, per altra via, il principale ostacolo al riconoscimento della legittimità di tali accordi: il contrasto con il principio di unicità della successione, in forza del quale l’eredità non si può devolvere che per legge o per testamento, mentre rimane esclusa la delazione contrattuale (artt. 457, 458 c.c.). La legittimità di tali accordi si fa discendere da un’interpretazione assiologia della disposizione di cui all’art. 457 c.c., la quale, nel momento in cui afferma che l’eredità si devolve, oltre che per testamento anche – e solo – per legge, sarebbe idonea a ricomprendere anche quei meccanismi negoziali attuativi della legge stessa, cioè, nel nostro caso, attuativi della tutela dei legittimari così come concepita dal legislatore42. Se gli accordi, si dice, sono tesi a conseguire quello stesso risultato che il sistema di tutela dei legittimari configura in ipotesi di lesione, essi non si pongono in contrasto con la legge, e segnatamente con l’art. 457 c.c., ma, anzi, ne costituiscono attuazione. Si tratta, per espressa affermazione del suo autore, di un’interpretazione evolutiva della disposizione in esame, che va al di là del suo tenore letterale, e che tenta di individuarne la concreta finalità di tutela, al fine di delimitare il suo concreto ambito di applicazione, in ragione degli obiettivi perseguiti43. Un accordo che persegua le finalità della legge e sia volto a produrre quegli stessi effetti che il legislatore configura con le regole di attuazione dei diritti dei legittimari, non si pone, dunque, in contrasto con la legge ma la attua e, per tale ragione, è idoneo a produrre un acquisto successorio che è, per l’appunto, di natura legale: l’acquisto, infatti, ben potrebbe considerarsi “successorio” in tutte le ipotesi in cui si osservano le condizioni previste dalla legge per la tutela del diritto della legittima44. Così concepito, l’accordo certamente incide sulla vicenda successoria, ma non potrebbe integrare un’ipotesi di patto successorio vietato dalla legge, proprio in quanto tale modificazione è attuativa della legittima; inoltre, non potrebbe dirsi violato il principio di revocabilità del testamento, in quanto esso è destinato ad intervenire dopo la morte del de cuius45; ed ancora, non potrebbe dirsi violato il principio di personalità dell’atto mortis causa, in quanto, attuando la legge, la disposizione del de cuius viene modificata nello stesso modo, e con gli stessi limiti, della sentenza di riduzione46. Escludendo che la tutela giudiziale del legittimario rappresenti un’ipotesi di giurisdizione costituiva necessaria, si giunge ad affermare che non vi sono ostacoli che impediscano ad un contratto attuativo della legge di produrre gli stessi effetti che produrrebbe una sentenza – consentendo, peraltro, il raggiungimento dello stesso risultato per via meno onerosa e più rapida47. Sulla base delle predette premesse ricostruttive, l’accordo in parola viene concepito come contratto ad effetto estintivo-costitutivo, rientrante nella categoria dei contratti caducatori o risolutori, il cui perfezionamento passa attraverso tre fasi: il riconoscimento convenzionale dell’accettazione dell’eredità da parte del legittimario48; l’individuazione convenzionale della reintegrazione; la manifestazione della volontà delle parti di attuare detta reintegrazione mediante la produzione dell’effetto estintivo-costitutivo49. In quanto volto a dare attuazione ad una tutela legale, il contratto in parola viene concepito come dotato di causa atipica meritevole di tutela: la sua funzione economico-sociale è quella della reintegrazione dei diritti dei legittimari, funzione che il legislatore attribuisce espressamente alla sentenza di riduzione, ma che i privati possono far propria sostituendo al provvedimento giurisdizionale un atto di autonomia privata50.



5. Le pronunce della giurisprudenza



Pur in assenza di un consolidato orientamento, si è sancita, in giurisprudenza, la validità e l’efficacia dell’atto con cui il beneficiario della disposizione lesiva aveva riconosciuto i diritti del legittimario leso. Il precedente più significativo è rappresentato da una pronuncia di legittimità51, chiamata a decidere circa la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia. I giudici hanno considerato sussistente uno stato di comunione ereditaria tra l’erede universale del de cuius e la di lui sorella, i cui diritti di legittima erano stati riconosciuti dall’erede stesso. In motivazione si legge il seguente passaggio, determinante ai fini della decisione: “Nel momento in cui l’erede testamentario riconosce a favore del legittimario pretermesso i suoi intangibili diritti successori, quest’ultimo diventa automaticamente partecipe della comunione ereditaria e possessore, con effetto dall’apertura della successione e senza necessità di materiale apprensione, della sua quota di eredità su tutti i beni ereditari, in conformità a quanto dispone l’art. 1146 c.c.”. In altre pronunce52, la Suprema Corte è giunta ad affermare che il legittimario pretermesso può conseguire la qualità di erede, non solo attraverso l’esperimento vittorioso delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, ma altresì attraverso il riconoscimento dei suoi diritti da parte dell’erede istituito.

Si è sempre trattato di ipotesi, però, in cui la Corte ha deciso su questioni che prescindevano dalla rilevanza concreta di un siffatto riconoscimento, onde il principio può dirsi enunciato incidenter tantum. A parte ciò, come esattamente rilevato in dottrina53, non emerge, dalle pronunce, cosa debba intendersi per riconoscimento, e cioè se si tratti di un atto ricognitivo o di un atto di accertamento costitutivo in senso tecnico. Maggiormente significativo un risalente precedente di merito54 che ha esaminato una fattispecie in cui l’erede testamentaria aveva riconosciuto, in due diversi atti pubblici55, i diritti spettanti a due legittimari pretermessi, suoi fratelli. Tale riconoscimento è stato qualificato dal giudice come negozio di accertamento che avrebbe prodotto gli stessi effetti che sarebbero scaturiti dalla sentenza di riduzione se la relativa azione fosse stata esperita con successo: in forza di tale riconoscimento, i legittimari pretermessi sono stati considerati come comproprietari di un immobile facente parte dell’asse ereditario. Infine, in un altro precedente di merito56, un atto finalizzato alla reintegrazione della legittima è stato qualificato come transazione, in quanto si è ritenuta rilevante l’intenzione delle parti di prevenire la lite, facendosi reciproche concessioni: l’erede testamentario aveva trasferito al legittimario una parte dei beni ereditari, ed il legittimario aveva dichiarato di essere stato soddisfatto nelle proprie ragioni successorie.



6. Questioni applicative



Una volta riconosciuta l’ammissibilità del contratto atipico di reintegrazione della legittima in senso stretto, si pongono alcune questioni applicative di cui si dà qui di seguito conto. Secondo una tesi57, all’accordo in parola sarebbe applicabile la disciplina dell’art. 564 c.c., in tema di condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione. Di conseguenza, il legittimario leso58 sarebbe, anzitutto, tenuto alla preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, qualora l’accordo sia volta a ridurre convenzionalmente donazioni o legati di cui siano beneficiari soggetti non coeredi. In secondo luogo, deve imputare alla sua porzione legittima le donazioni ed i legati di cui sia stato beneficiario, sempre che non ne sia stato espressamente dispensato. Chi ammette che l’accordo in parola possa produrre gli stessi effetti della sentenza di riduzione, dovrà anche ricavarne che il legittimario, in forza del titolo legale di cui si è detto, acquisisce i diritti a lui riservati iure successionis, con tutto ciò che ne consegue sul piano degli ulteriori effetti giuridici: subentro nei rapporti del de cuius in qualità di erede; obbligo di pagamento dei debiti ereditari e dei legati; eventuale accrescimento della quota; eventuale imputazione alla quota ereditaria di sopravvenienze attive e passive dell’eredità59. I soggetti dell’accordo saranno, da un lato il legittimario leso, dall’altro i beneficiari delle disposizioni lesive. Si è precisato60 che la partecipazione dei beneficiari degli atti lesivi dovrebbe avvenire con lo stesso ordine che la legge stabilisce per l’ipotesi della riduzione giudiziale: per cui, prima vengono ridotte tutte le disposizioni testamentarie proporzionalmente e successivamente le donazioni, secondo l’ordine previsto dall’art. 555 c.c. Sarebbe, inoltre, ammissibile un accordo che non contempli tutti i beneficiari degli atti lesivi bensì solo una parte di essi: questo accordo – soggettivamente parziale – sarebbe comunque idoneo a realizzare parzialmente la tutela della legittima. Non sarebbe, invece, necessaria la partecipazione degli aventi causa dai donatari o legatari degli atti riducibili: costoro, infatti, non sono legittimati passivi dell’azione di riduzione bensì dell’azione di restituzione, per cui la loro partecipazione all’accordo di reintegrazione della legittima, benché opportuna per ragioni di certezza, non è necessaria. Ed anzi, non solo i terzi aventi causa non sono parti necessarie dell’accordo, ma l’accordo al quale essi non partecipassero, come detto, sarebbe loro opponibile. Ed invero, una volta che si riconosca che l’accordo in parola sia idoneo a produrre gli stessi effetti della sentenza di riduzione, se ne dovrebbe dedurre, quale logico corollario, che tali effetti siano producibili anche verso i terzi, se pur, si intende, entro i limiti di opponibilità della sentenza61. Quanto all’oggetto dell’accordo, si ritiene ch’esso debba conformarsi alla disciplina legislativa dell’azione di riduzione, con il rispetto, tra l’altro, della disposizione dell’art. 560 c.c. In conformità con l’orientamento prevalente in materia, è preferibile che l’integrazione, come nel caso della riduzione giudiziale, avvenga con beni esclusivamente ereditari, anche se si ammette il ricorso a beni personali dei beneficiari delle disposizioni lesive, a condizione che sia rispettato il quantum spettante al legittimario, calcolato secondo il modello legale di reintegrazione62. In merito alla forma, si è sostenuto63 che, poiché il contratto priva di effetti la disposizione lesiva della legittima, che è rappresentata da una disposizione testamentaria o da una donazione, potrebbe applicarsi, anche per ragioni di certezza del traffico giuridico, la regola per la quale l’atto che incide sugli effetti giuridici di un precedente negozio ne deve assumere la stessa forma64. Forma che, in tal caso, sarà quella scritta – ove l’atto colpito dalla riduzione sia un testamento – l’atto pubblico con presenza di testimoni – ove l’atto colpito sia una donazione65. Quanto alla pubblicità, si è rilevato66 che, quando la riduzione convenzionale abbia per oggetto una donazione, l’atto dovrebbe annotarsi a margine della trascrizione della stessa, sulla scorta di un’interpretazione estensiva dell’art. 2655, commi 1 e 4 c.c.; invece, in caso di riduzione di una disposizione testamentaria la trascrizione dovrebbe eseguirsi ai sensi dell’art. 2648 c.c., in quanto l’atto in questione comporta accettazione dell’eredità. Se l’erede che prende parte all’accordo ha già, in precedenza, accettato l’eredità, l’accordo andrebbe anche annotato a margine della trascrizione di siffatta accettazione: come detto, l’accordo modifica la delazione ereditaria e si rende necessario segnalare l’inefficacia parziale sopravvenuta della delazione stessa67.



7. Considerazioni conclusive



Dai rilievi svolti nei paragrafi che precedono, emerge come parte della dottrina e la giurisprudenza ammettano la possibilità, per i privati, di stipulare accordi che producano gli stessi effetti della sentenza di riduzione, con tutto ciò che ne consegue in punto di disciplina. Il mezzo per la produzione dell’effetto viene individuato, dalla dottrina, per lo più in un contratto atipico avente funzione di accertamento costitutivo; mentre la giurisprudenza fa riferimento ad un non meglio precisato atto di riconoscimento dei diritti del legittimario da parte dell’erede istituito. In dottrina68 si è rilevata la compatibilità di un siffatto modello, non solo con la teoria prevalente che vuole il legittimario pretermesso erede solo a seguito dell’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione, ma anche con le altre ricostruzioni della materia69. L’accordo in parola è compatibile con la teoria che concepisce il legittimario come chiamato all’eredità sin dal momento dell’apertura della successione, in quanto, in tal caso, non si pone alla radice il problema della delazione in suo favore: essa opererebbe di diritto alla morte del de cuius, e il contratto assolverebbe comunque alla funzione di rendere inefficaci le disposizioni lesive. Ed è compatibile con la tesi che nega al legittimario, in quanto tale, la qualità di erede, in quanto il contratto, producendo l’inefficacia degli atti lesivi della legittima, consentirebbe al legittimario stesso il recupero dei beni – pars bonorum – a lui riservati. Tutto ciò, si noti, presuppone che la volontà effettiva delle parti sia diretta ad una reintegrazione della legittima coincidente con quella configurata dal legislatore: solo se le parti si prefigurano un siffatto risultato sarà possibile parlare di reintegrazione della legittima in senso stretto. Qualora esprimano una volontà diversa, che faccia emergere la causa di un diverso contratto – ad es., una transazione – o l’intenzione di procedere ad una reintegrazione solo economica e patrimoniale della legittima, l’accordo andrebbe qualificato in conformità a questa diversa volontà, con applicazione di una disciplina ben diversa. L’accordo volto alla reintegrazione solo patrimoniale della legittima70 andrebbe pur sempre qualificato come contratto atipico, ma sarebbe volto unicamente ad attribuire al legittimario i beni necessari a integrare la sua riserva. L’atto potrebbe avere efficacia traslativa e costituirebbe il titolo di acquisto di beni o quote di essi, ma rimarrebbe esclusa l’operatività della vocazione necessaria. Vista la rilevante differenza di disciplina, risulta di fondamentale importanza curare, in fase di redazione del contratto, l’indagine sull’effettiva volontà dei contraenti e fare in modo che tale volontà emerga con sufficiente chiarezza. In caso di dubbio, riteniamo che debba prevalere l’interpretazione volta a configurare un contratto di reintegrazione in senso stretto, il quale riproduce il modello legale di tutela del legittimario, cioè quello ritenuto dal legislatore come il più efficace, onde in assenza di significative indicazioni di segno contrario, deve presumersi l’intenzione delle parti di reintegrare il legittimario negli stessi termini configurati, in via generale e astratta, dal legislatore71.

NOTE

1 Il presente contributo svolge una ricostruzione, proprio ai fini civilistici, della figura negoziale degli accordi di reintegrazione della legittima. Una ricostruzione, è bene premettere, diversa da quella che emerge ai fini tributari, cioè ai fini del suo assoggettamento all’imposta di successione. A tal riguardo si annota che in questo stesso numero di questa Rivista è presente un altro nostro contributo, dal titolo Profili tributari degli accordi di reintegrazione della legittima, nella forma di nota a una recente sentenza della cassazione, che ricostruisce la figura in parola dal punto di vista fiscale, e al quale si rinvia per questo specifico aspetto del tema.

2 Sul punto non si può prescindere dalla ricostruzione contenuta nella fondamentale opera: L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, XLIII, 2, 4a ed. rielaborata a accresciuta, Milano, 2000. Si prescinderà, nella sintesi ricostruttiva che segue, dal considerare l’ipotesi di concorso della successione necessaria con la successione legittima, secondo la disposizione dell’art 553 c.c., che ha sue proprie caratteristiche che non assumono rilevanza in questa sede.

3 Sia in dottrina che in giurisprudenza. In dottrina, nel senso del testo, oltre a Mengoni, op. cit., 80-85, 236 ss., anche: G. groSSo, a. burdeSe, Le successioni. Parte generale, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, XII, 1, Torino, 1977, 85-92; G. taMburrino, Successione necessaria (dir. priv.), in Enc. dir., 1990, 1351 ss.; G. cattaneo, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 5, Successioni, I, 2a ed., Torino, 1997, 458-469; V. carbone, Riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive della legittima, in Dig. disc. civ., 1998, 614-624; A. paLazzo, Le successioni, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, 2a ed., Milano, 2000, 515 ss., 565 ss.; S. deLLe Monache, Successione necessaria e sistema di tutele del legittimario, Milano, 2008, 3-53; id., La successione dei legittimari, in Diritto civile. Norme, questioni, concetti, II, a cura di Amadio e Macario, Bologna, 2014, 735 ss.; M.C. tatarano, La successione necessaria, in Diritto delle successioni, a cura di Calvo e Perlingieri, Napoli, 2008, 483-485 e 518 ss.; M. doSSetti, Concetto e fondamento della successione necessaria, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da Bonilini, III, La successione legittima, Milano, 2009, 21-27; F. gaLgano, Trattato di diritto civile, I, Padova, 2009, 701-707; c.M. bianca, Diritto civile, II, 2, Le successioni, 5a ed., Milano, 2015, 204 ss.; G. boniLini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, 9a ed., Torino, 2018, 198 ss. In giurisprudenza, ex plurimis: Cass. civ., sez. II, 15 giugno 2006, n. 13804, in Notariato, 2006, 670; Cass. civ., sez. II, 29 maggio 2007, n. 12496, in Mass. giur. it., 2007; Cass. civ., sez. II, 29 luglio 2008, n. 20562, in Mass. giur. it., 2008; Cass. civ., sez. I, 20 novembre 2008, n. 27556, in Mass. giur. it., 2008; Cass. civ., sez. II, 13 gennaio 2010, n. 368, in Giust. civ., 2011, I, 217; Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2013, n. 16635, in Giust. civ., 2013, 9, I, 1691; Cass. civ., sez. VI, 26 ottobre 2017, n. 25441, in Mass. Giust. Civ., 2018; Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2018, n. 20971, in Mass. Giust. Civ., 2018.

4 Per comodità espositiva, definiremo il legittimario che si trovi in questa posizione meramente leso, per distinguerlo dal legittimario preterito o pretermesso di cui infra nel testo.

5 Si noti che la giurisprudenza considera il legittimario pretermesso anche nelle ipotesi in cui si apra una successione legittima ma il de cuius abbia disposto in vita dell’intero suo patrimonio. Si veda, ad esempio: Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2013, n. 16635, cit.

6 Per questo motivo, proprio in quanto privo di una vocazione ereditaria, il legittimario pretermesso non è tenuto a far precedere l’azione di riduzione dall’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, ai sensi dell’art. 564 c.c.; mentre a tale accettazione è tenuto il legittimario che, per disposizione testamentaria o per delazione ab intestato, abbia in pari tempo la qualità di erede: Cass. civ., sez. VI, 26 ottobre 2017, n. 25441, cit., Cass. civ., 22 agosto 2018, n. 20971, cit.

7 Le quali quindi non sono nulle o annullabili: esse sono valide ed efficaci ma suscettibili di divenire inefficaci nei confronti del legittimario agente in riduzione. Si tratta di un’ipotesi di inefficacia sopravvenuta relativa.

8 Il legittimario meramente leso – si ripete: già chiamato all’eredità in base al testamento o in forza della successione legittima – cumula il titolo della successione testamentaria o legittima con quello della successione necessaria: Bianca C.M., op. cit., 238.

9 deLLe Monache, Successione necessaria e sistema di tutele del legittimario, cit., 47, ove l’autore precisa che, in questa ipotesi, “l’esercizio dell’azione di riduzione, pur mantenendo essa la sua natura di rimedio volto ad ottenere la dichiarazione giudiziale di inefficacia delle liberalità che eccedono la disponibile, non determina [...] alcuna conseguenza sullo svolgersi della delazione ereditaria, la quale resta governata dal testamento o sottoposta alle regole proprie della successione legittima”. Cfr. Mengoni, op. cit., 86 ss.

10 Deve tuttavia segnalarsi che, secondo un indirizzo giurisprudenziale, che non ha avuto seguito, l’accoglimento dell’azione di riduzione non comporterebbe l’acquisto automatico della qualità di erede da parte del legittimario, bensì la sua chiamata, cioè la nascita del suo diritto ad accettare l’eredità. In tal senso: Cass civ., sez. II, 3 dicembre 1996, n. 10755, in Mass. giur. it., 1996; Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 1999, n. 251, in Mass. giur. it., 1999; Cass. civ., sez. I, 20 novembre 2008, n. 27556, cit.

11 Mengoni, op. cit., 236, 237. Sulla base delle considerazioni esposte nel testo, se l’azione viene esperita dal legittimario preterito, il titolo di acquisto è rappresentato solo dalla vocazione necessaria; invece, nel caso in cui l’azione venga esperita dal legittimario meramente leso, cioè dal soggetto in favore del quale già operi una delazione testamentaria o legittima, si avrà un concorso di delazioni: per l’appunto, un concorso della delazione legittima o testamentaria con quella necessaria. Sul punto, chiaramente: deLLe Monache, Successione necessaria e sistema di tutele del legittimario, cit., 42-52, ed ancora Mengoni, op. cit., 80-85.

12 deLLe Monache, Successione necessaria e sistema di tutele del legittimario, cit., 48.

13 Mengoni, op. cit., 286; deLLe Monache, Successione necessaria e sistema di tutele del legittimario, cit., 49, ove l’autore rileva come la contitolarità, in questo caso, riguardi beni singolarmente individuati. Per l’ipotesi più complessa in cui la riduzione concerna legati obbligatori – di quantità – si leggano i rilievi di Mengoni, op. cit., 272, ove l’autore ipotizza che, in questa ipotesi, l’onere economico della riduzione potrebbe porsi a carico del coerede non legittimario.

14 In questo senso gli autori e i precedenti citati alla nota 3. Secondo qualche voce isolata però l’azione di riduzione avrebbe natura reale e non personale; su questo specifico punto si veda: F. MoncaLVo, Sulla natura giuridica dell’azione di riduzione, in Familia, 2004, I, 177-196. Giova poi ricordare che il sistema di tutela del codice affianca all’azione di riduzione le azioni finalizzate al recupero dei beni oggetto delle donazioni e dei legati, cioè, l’azione di restituzione contro i beneficiari di tali disposizioni e l’azione di restituzione contro i loro aventi causa. Sul punto, in particolare: carbone, op. cit., 615,616; paLazzo, op. cit., 565, 566; bianca, op. cit., 218 ss. In giurisprudenza è nitida la distinzione in Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4130, in Riv. not., 2001, 1503, per la quale “dall’azione di riduzione si distingue l’azione di restituzione (o reintegrazione): mentre l’una è un’azione di impugnativa, l’altra è un’azione di condanna, che presuppone già pronunciata la prima”. Ma si veda anche: Cass. civ., sez. II, 25 luglio 2017, n. 18280, in Mass. Giust. Civ., 2017.

15 Per una sintesi più ampia dei due orientamenti, può leggersi ancora: caVicchi, op. cit., 1022-1025.

16 L’orientamento ha le sue radici nell’opera di cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale, 2, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1962, 364, 530 ss.; ripreso da StoLFi, Sulla figura del legittimario, in Giur. it., 1968, IV, 76-96; Ferrari, La posizione giuridica del legittimario all’apertura della successione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, 491-541; L. bigLiazzi geri, u. breccia, F.d. buSneLLi, u. natoLi, Diritto Civile, 4, Le successioni a causa di morte, Torino, 1996, 233-236, 248; d. barbero, a. LiSerre, g. FLoridia, Il sistema del diritto privato, 3a ed., Torino, 2001, 1187. Sembra aderire a tale orientamento anche R. trioLa, La tutela del legittimario, Torino, 2011, 15, ove l’autore afferma che “sembra preferibile ritenere che a favore del legittimario preterito operi una chiamata ex lege, anche se la stessa sia, di fatto, resa inefficace, fino al vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, dalla concorrente istituzione testamentaria di erede”. Analogamente, orLando, op. cit., 136 ss., ove l’autore parla di chiamata ex lege del legittimario che opera sin dal momento dell’apertura della successione, e che crea una situazione di aspettativa di diritto, la quale si concretizza in delazione con il passaggio in giudicato della sentenza che accerta la lesione e pronuncia la riduzione: ci si troverebbe, così, di fronte ad un fenomeno di tipo condizionale.



17 Da ultimo, l’orientamento sembra essere sostenuto anche da A. tuLLio, La tutela dei diritti dei legittimari, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da Bonilini, III, La successione legittima, Milano, 2009, 544, il quale afferma, ma senza argomentare, che a confutazione dell’orientamento dominante, sarebbe “agevole replicare che la qualità di erede è un presupposto, non già una conseguenza del vittorioso esercizio dell’azione, sicché esso è riconducibile non già al petitum, bensì alla causa petendi”. Di diverso avviso, come detto, e con ampio corredo di motivazioni, gli autori citati alla nota 3.

18 Sostenuto da F.S. azzariti, g. Martinez, Successioni per causa di morte e donazioni, 6a ed., Padova, 1973, 181 ss.; G. azzariti, Il legittimario non erede, in Giust. civ., 1991, I, 471-474; id., Legittimario non erede e azione di riduzione, ibid., I, 715-718; id., Successioni dei legittimari e successioni dei legittimi, in Giur. sist. dir. civ. e comm., fondata da Bigiavi, 3a ed., aggiornata anche da Iannaccone, Torino, 1997, 16 ss.; L. Ferri, Dei legittimari, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1981, 7 ss.; V.E. canteLMo, I legittimari, in Trattato breve delle successioni e donazioni, diretto da Rescigno e coordinato da Ieva, I, 2a ed., Padova, 2010, 533 ss., 597 ss.; SaLVatore, op. cit., 216. In giurisprudenza nello stesso senso una pronuncia rimasta isolata: App. Roma, 12 luglio 2000, in Vita not., 2001, 1, con nota di Criscuoli, La posizione giuridica del legittimario, 87-97.

19 Ferri, op. cit., 11.

20 azzariti, Successioni dei legittimari e successioni dei legittimi, cit., 204, ove

l’autore afferma: “L’adempimento della condizione, nonostante la sua retroattività (art. 646 c.c.), dipende dall’esercizio dell’azione di riduzione e dal processo di accertamento cui dà luogo, sì che la pronunzia sulla riduzione è sostanzialmente costitutiva del titolo di acquisto per il legittimario che, a seguito della risoluzione del diritto dei successori testamentari, diventa titolare dei beni per lui riservati dalla legge”. L’azione di riduzione viene così concepita come azione personale di accertamento costitutivo e la sentenza sarebbe, per il legittimario, il titolo di acquisto dei beni di cui è formata la legittima.

21 Ferri, op. cit., 156-158, ove si precisa che, a seguito di ciò, si andrebbe a formare, sui beni oggetto delle disposizioni lesive, uno stato di comunione ordinaria derivante dal concorso dei diritti riservati al legittimario con i diritti acquistati dai beneficiari delle liberalità. L’azione di riduzione viene così concepita come azione di mero accertamento dell’inefficacia di tali disposizioni.



22 Gli autori che per primi hanno affrontato funditus il problema sono: F. SaLVatore, Accordi di reintegrazione di legittima: accertamento e transazione, in Riv. not., 1996, 211-220; A. buLgareLLi, Gli atti di disposizione della legittima, in Notariato, 2000, 5, 481-496; A. GenoVeSe, L’atipicità dell’accordo di reintegrazione della legittima (Nota a Trib. Milano, 10 maggio 2006), in Nuova giur. civ. comm., 2007, 4, I, 506-513. Seguiti da: D. caVicchi, Accordi per la reintegrazione della legittima, in Contr., 2009, 1020-1039. Importante il contributo monografico di g. orLando, Gli accordi di reintegrazione della legittima, Napoli, 2018. Per una sintesi di informazioni e la lettura di stralci di motivazione di sentenze: S. nappa, La successione necessaria, Padova, 1999, 187-201; M. cannizzo, Accordi di reintegrazione della legittima, in Il diritto privato nella giurisprudenza, cura di Cendon, Le successioni, II, Successioni legittime e necessarie, Torino, 2000, 109-116.

23 Solo la sentenza del giudice avrebbe il potere di produrre un simile effetto. Da ultimo, in questo senso, oltre agli autori infra citati nel presente paragrafo: A. azara, Gli accordi di integrazione della legittima, in Successioni per causa di morte. Esperienze ed argomenti, a cura di Cuffaro, Torino, 2015, 377 ss.; M. criScuoLo, La tutela dei creditori rispetto ad atti dispositivi della legittima, in Successioni e donazioni, diretto da Iaccarino, Torino, 2017, 1442 ss.

24 Per un’ampia sintesi, anche delle argomentazioni sottese, degli orientamenti di cui infra nel testo: caVicchi, op. cit., 1026-1032.

25 SaLVatore, op. cit., 213-218.

26 genoVeSe, L’atipicità, cit., 511.

27 SaLVatore, op. cit., 218-220; buLgareLLi, op. cit., 496; genoVeSe, L’atipicità,

cit., 508 ss., ove l’autore precisa che la transazione potrebbe anche andare a sciogliere uno stato di comunione esistente tra il legittimario leso ed il beneficiario della disposizione lesiva, assumendo così i connotati di una transazione divisoria. Inoltre, precisa ancora l’autore da ultimo citato, sempre nell’ipotesi di conflitto e lite tra le parti, qualora i beneficiari delle disposizioni lesive riconoscessero al legittimario la piena soddisfazione dei suoi diritti, e le parti addivenissero all’accordo al solo fine di evitare l’alea e i tempi del processo, difettando il requisito delle reciproche concessioni, l’atto non si configurerebbe come vera e propria transazione bensì come atto con funzione transattiva.

28 buLgareLLi, op. cit., 493-495, ove l’autore precisa che l’atto produrrebbe anche l’effetto di privare di fondatezza l’azione di riduzione che il legittimario dovesse esperire nonostante l’offerta.

29 buLgareLLi, op. cit., 495, 496.

30 Mengoni, op. cit., 230, ed ivi nota 16, ove l’autore considera rilevante, ai fini dell’equiparazione, anche la normativa tributaria già citata in premessa: art. 43 Testo Unico imposta successioni e donazioni.

31 Ferri, op. cit., 164, 165. Si noti però che questo autore, come si è dato atto (supra nota 21), sostiene la tesi dell’inefficacia di diritto delle disposizioni lesive della legittima, sin dal momento dell’apertura della successione: a seguito di tale automatica inefficacia, il legittimario leso non diverrebbe titolare di una quota di eredità ma acquisterebbe il diritto a conseguire una parte dei beni ereditari, che andrebbe ad acquistare quale successore a titolo particolare del de cuius.

32 boniLini, op. cit., 198, 199.

33 caVicchi, op. cit., 1034 ss., al quale sono riferibili i rilievi che seguono.

34 e.t. LiebMan, Manuale di diritto processuale civile. Principi, a cura di Colesanti, Merlin, Ricci, 6a ed., Milano, 2002, 175; S. La china, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 19, Tutela dei diritti, I, 2a ed., 1997, Torino, 33.

35 La china, op. cit., 33, 34.

36 F.p. LuiSo, Il sistema dei mezzi negoziali per la risoluzione delle controversie

civili, relazione al convegno organizzato dal CSM sul tema Autonomia privata e processo, Roma, 10 giugno 2009, in www.csm.it, sezione Ricerche, 2009.

37 LuiSo, op. loc. cit.



38 caVicchi, op. cit.,1037.

39 g. SantarcangeLo, Gli accordi di reintegrazione di legittima, in Notariato,

2, 2011, 162 ss.; A. torroni, La pubblicità degli accordi di reintegrazione della legittima, relazione al convegno La pubblicità nei registri immobiliari: casi e questioni di interesse notarile, Taormina, 28-29 marzo 2014, promosso dal Comitato Regionale Notarile della Sicilia, in http://www.notaiotorroni.it.; F. FaSano, Accordi di reintegrazione della legittima, in Successioni e donazioni, diretto da Iaccarino, Torino, 2017, 1441 ss. In ordine all’opponibilità ai terzi dell’accordo si avrà modo di tornare più avanti.

40 SantarcangeLo, op. cit., 163.

41 Ci riferiamo alla monografia di orLando, Gli accordi di reintegrazione della legittima, cit.

42 orLando, op. cit., 144, 145.

43 orLando, op. loc. cit.

44 orLando, op. loc. cit.

45 orLando, op. loc. cit.

46 orLando, op. loc. cit.

47 orLando, op. cit., 143, 149-151.

48 orLando, op. cit., 170, 171, ove l’autore precisa che le parti possono sia fissare il quantum della lesione, così come configurata dal legislatore, specificandone il contenuto, sia superare le incertezze sul quantum accertandone convenzionalmente la misura. Con la seguente importante precisazione: qualora le parti determinino convenzionalmente la lesione, prescindendo dalla situazione reale, solo per definire o prevenire una lite, magari facendosi reciproche concessioni, l’accordo declinerebbe nell’area degli atti transattivi o della vera e propria transazione. Avvertenza già contenuta in: genoVeSe, op. cit., 622 ss.

49 orLando, op. cit., 172, ove l’autore precisa che tale effetto è indotto proprio dalla volontà di attuare la legge e viene realizzato per il perseguimento dello stesso effetto innovativo che avrebbe prodotto la sentenza di riduzione.

50 caVicchi, op. cit., 1038; orLando, op. cit., 178. Nel senso, invece, che l’atto sarebbe caratterizzato da una causa solvendi o si configurerebbe come atto meramente esecutivo di un obbligo giuridico: C. parrineLLo, Tutele del legittimario ed evoluzione del sistema, Milano, 2012, 267, nota 64; A. Spatuzzi, L’integrazione pattizia della legittima, in Corr. giur., 2017, 4, 533. Correttamente rileva però orLando, op. cit., 178, che, nel caso di specie, non sussiste alcun obbligo di contrarre delle parti: esse, nell’esercizio della loro autonomia, si determinano liberamente nel senso di produrre gli effetti che avrebbe prodotto la sentenza in caso di esperimento vittorioso dell’azione di riduzione da parte del legittimario.

51 Cass. civ., 4 maggio 1972, n. 1348, in Foro it., 1973, II, 1558, con nota adesiva redazionale di Branca.

52 Cass. civ., 22 ottobre 1988, n. 5732, in Mass. giur. it., 1988; Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1995, n. 12632, in Corr. giur., 1996, 1138, con nota di Morelli; Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2014, n. 1625, in Guid. dir., 2014, 12, 75.

53 orLando, op. cit., 44, nota 62.

54 Trib. Genova, 20 dicembre 1968, in Giur. merito, 1970, I, 420, di cui può

leggersi uno stralcio in nappa, op. cit., 193; cannizzo, op. cit., 113.

55 Un riconoscimento avvenuto peraltro in modo implicito anche se inequivoco: in un primo atto, la beneficiaria aveva dichiarato che uno degli immobili era pervenuto, non soltanto a lei, ma anche ai suoi due fratelli per successione del padre comune; in un secondo atto, aveva dichiarato di essere stata istituita erede, mentre gli altri due fratelli erano stati definiti da lei legittimati.

56 Trib. Milano, 10 maggio 2006, in Nuova giur. civ. comm., 2007, 4, I, 502506, con nota di Genovese, L’atipicità dell’accordo di reintegrazione della legittima, cit.

57 orLando, op. cit., 188 ss.

58 Ed anche il legittimario pretermesso, poiché, come detto, per questo au-

tore anche in favore del legittimario preterito opera la chiamata all’eredità sin dal momento dell’apertura della successione, se pur la delazione sia sottoposta alla condizione dell’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione: supra, § 2, nota 16.

59 orLando, op. cit., 179 ss. caVicchi, op. cit., 1037; SantarcangeLo, op. cit., 163.

60 orLando, op. cit., 186 ss.

61 orLando, op. cit., 155 ss.; SantarcangeLo, op. cit., 163. Contra, motivando dal tenore letterale dell’art. 563, comma 1, c.c. che sembrerebbe collegare l’opponibilità alla sola sentenza di riduzione: L. daMbroSio, Contratti di reintegrazione della legittima e negozio di accertamento, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, 733. Per una replica: orLando, op. cit., 156, 157.

62 orLando, op. cit., 182, il quale avverte che attribuzioni superiori al valore della legittima possono spostare il negozio nell’area dell’accordo di reintegrazione in senso ampio o del diverso contratto la cui causa dovesse emergere ad esito del processo di interpretazione della volontà delle parti. Analogamente, in caso di attribuzioni inferiori al valore della legittima: in questo caso, però, rimarrebbe salva la possibilità, per le parti, di disporre un supplemento a beneficio del legittimario. Per alcune considerazioni in ordine al caso in cui, successivamente alla stipula dell’accordo, si venga a conoscenza di una diversa consistenza del patrimonio ereditario: orLando, op. cit., 183 ss.

63 caVicchi, op. cit., 1038.

64 Come è noto la giurisprudenza tende ad applicare questa regola all’accordo risolutorio di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam: Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2006, n. 25126, in Mass. giur. it., 2006; Cass. civ., sez. II, 6 aprile 2009, n. 8234, in Contr., 2009, 825.

65 Nel senso invece della sufficienza della forma scritta, motivando dall’esistenza di un principio di formalismo nel settore, di cui sarebbero espressione le disposizioni degli artt. 1543 e 1547 c.c.: OrLando, op. cit., 190 ss.

66 caVicchi, op. cit., 1038.

67 torroni, op. cit., § 6.

68 caVicchi, op. cit., 1038.

69 Su cui supra, § 2.

70 Su cui supra, § 3.

71 caVicchi, op. cit., 1039.