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Il dimenticato ordine pubblico concordatario

autore: M. A. Catania

Sommario: 1. Premessa. - 2. L’Ordinanza. - 3. Osservazioni critiche. - 4. Conclusioni



1. Premessa



La VI Sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 26 novembre 2019, n. 30900, ha confermato la giurisprudenza delle Sezioni Unite1 respingendo il ricorso proposto dal sig. E.B. avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia che aveva respinto la richiesta avanzata dallo stesso di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario da lui contratto con la sig.ra B.P. il 17 settembre 2011. Il ricorrente aveva addotto, a fondamento della propria istanza, l’insussistenza, nella fattispecie, dei due requisiti di stabilità ed esteriorità della convivenza ultratriennale ritenuti dalla giurisprudenza della Corte ostativi alla delibabilità delle sentenze ecclesiastiche, per aver vissuto con la moglie come “un separato in casa”, sin dai primi mesi di matrimonio meramente formale. Si era difesa con controricorso la moglie.



2. L’ordinanza



La pronuncia in commento trae origine dalla dibattuta e, momentaneamente, “impigrita” interpretazione delle norme sulla delibabilità delle sentenze ecclesiastiche dichiarative di nullità matrimoniale laddove la convivenza tra le parti si sia protratta in modo stabile ed ininterrotto “per oltre tre anni”. La Corte nulla dice sui motivi di ricorso, limitandosi a richiamare la giurisprudenza seguita dalla Corte d’Appello di Perugia2 ritenendo infondata la domanda e ribadendo che il “matrimonio rapporto”, ove protrattosi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario integri una situazione di “ordine pubblico italiano” la cui inderogabilità trova fondamento nei principi di sovranità e di laicità dello Stato, già affermati dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 18/1982 e n. 203/1989. La perdurata convivenza coniugale per un periodo di tre anni viene dunque ritenuta ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità per qualsiasi vizio genetico del “matrimonio-atto”, con ciò la Corte sottolineando come il dato incontroverso (come nel caso in esame) della convivenza continuativa non possa essere messo in discussione a meno che entrambi i coniugi, nell’introduzione del giudizio di delibazione, riconoscano il venire meno dell’affectio coniugalis per l’epoca infratriennale. Secondo la Corte, la sola mancata adesione affettiva, concordemente riconosciuta e manifestata all’esterno risulta in grado di provare la convivenza di ogni valenza riconducibile all’estrinsecazione del rapporto coniugale.



3. Osservazioni critiche



L’ordinanza in esame, pur non recando in sé alcun contributo originale al dibattito aperto tra dottrina e giurisprudenza, limitandosi a richiamare il più recente orientamento della S.C. che risulta cristallizzato a partire dalle pronunce gemelle del 20143 , offre lo spunto per riproporre e richiamare l’attenzione su quelle riflessioni che hanno evidenziato le contraddizioni e le forzature del presente orientamento. Va ribadito l’auspicio che la S.C. voglia rivedere (come, del resto, già avvenuto in passato) il proprio orientamento, poiché l’attuale impostazione evidenzia la non adesione agli accordi tuttora vigenti tra Stato e Chiesa cattolica nonché al Regolamento CE n. 2201/2003, “Relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale”, che all’art. 63 intitolato dei “Trattati con la Santa Sede”, prevede che il Regolamento non si applichi al concordato lateranense dell’11 febbraio 1929 tra l’Italia e la Santa Sede, modificato dall’accordo con protocollo aggiuntivo, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, cosiddetti Accordi di Villa Madama. La disciplina di riferimento per orientarsi nel presente dibattito è, dunque, costituita dall’art. 8.2 degli Accordi di Villa Madama e dagli artt. 796-797 c.p.c., ultrattivi per effetto del richiamo da parte dell’art. 4 lett. b del Protocollo addizionale dei Patti di Villa Madama che recita: b) “Con riferimento al n. 2, ai fini dell’applicazione degli artt. 796 e 797 del codice italiano di procedura civile, si dovrà tener conto della specificità dell’ordinamento canonico dal quale è regolato il vincolo matrimoniale che in esso ha avuto origine”. A tal proposito, si parla di “Ordine pubblico concordatario” per distinguerlo da quello interno e ricollegare al predetto concetto di specificità la finestra di accesso, per mezzo della delibazione, all’ordinamento italiano delle sentenze ecclesiastiche, laddove le divergenze tra i due ordinamenti non rivestano carattere ostativo, essendo riservato quest’ultimo alle sole ipotesi di contrasto tra i due ordinamenti. L’evoluzione giurisprudenziale, ad eccezione di qualche più approfondita sentenza, ha presentato e tuttora presenta importanti contraddizioni che andrebbero eliminate, forse anche facendo ricorso ad uno strumento bilaterale legislativo di pari grado rispetto a quelli la cui attuazione, oggi rebus sic stantibus, restano applicati solo parzialmente e secondo criteri interpretativi volti a limitare il riconoscimento delle sentenze in questione, nel nome dell’invocato baluardo della maggior tutela del coniuge debole. Il concetto sotteso è, infatti, quello secondo il quale la tutela offerta dall’art. 129-bis codice civile, che prevede che il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio sia tenuto a corrispondere all’altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia annullato, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno sofferto; che l’indennità debba comunque comprendere una somma corrispondente al mantenimento per tre anni e che sia tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati, risulti di gran lunga inferiore a quella prevista dall’art. 5 della legge sul divorzio. La S.C., con pronuncia a Sezioni Unite del 18 luglio 2008, n. 198094 , aveva chiarito che “impediscono l’esecutività in Italia della sentenza ecclesiastica solo le incompatibilità assolute potendosi superare quelle relative per il peculiare rilievo che lo Stato si è impegnato con la Santa Sede a dare a tali pronunce”. A dispetto delle premesse, tale pronuncia però precisava che la predetta regola è valida “purché la dichiarata invalidità del matrimonio religioso da parte dei giudici ecclesiastici sia ancorata a fatti oggettivi analoghi a quelli rilevanti per gli stessi fini nell’ordinamento interno”.

In questo modo, veniva evocata una comparazione tra i due ordinamenti, estranea alle intenzioni dei sottoscrittori del Concordato prima e degli Accordi di Villa Madama, poi. Venendo al tema della prolungata convivenza coniugale, va sottolineato come l’ordinamento statale ponga attenzione al matrimonio-rapporto, mentre quello ecclesiastico prenda in considerazione il matrimonio-atto e la sua genesi nell’analisi di nullità, senza alcun interesse verso la durata della convivenza coniugale post nuptias. Le Sezioni Unite, nel 1998, con un parto quadrigemellare5 , avevano riconosciuto la delibabilità di sentenze ecclesiastiche anche in presenza di convivenze durate molti anni, sul presupposto che la prolungata permanenza nel rapporto coniugale non potesse avere effetto sanante dell’invalidità iniziale né potesse essere interpretata come rinuncia a far valere l’originaria causa di nullità6 . Sin dal 2011, la Cassazione7 ha invece avviato un percorso interpretativo cha ha portato alla situazione attuale, ritenendo “ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, pronunciata a motivo del rifiuto della procreazione, sottaciuto da un coniuge all’altro, la loro particolarmente prolungata convivenza oltre il matrimonio”. In buona sostanza, innovando l’orientamento precedente, la decisione ha attribuito rilievo al matrimonio-rapporto, al vero consortio familiare e affettivo, consentendo il superamento dell’originaria causa di invalidità, individuando un limite di ordine pubblico in una vera e propria convivenza come significativa di un’instaurata affectio familiare. Le sentenze gemelle del 2014, va ricordato, sono arrivate dopo la sentenza del 4 giugno 2012, n. 8926 con la quale la Corte aveva dichiarato che “non era possibile far valere come causa ostativa alla delibabilità la circostanza che una sentenza ecclesiastica avesse dichiarato la nullità in violazione di norme imperative previste dall’Ordinamento italiano, proprio perché derogate e superate dallo strumento concordatario”. Né “la convivenza tra i coniugi successiva alla celebrazione” fosse ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio”.



4. Conclusioni



Le motivazioni ripetutamente riportate nelle pronunce di rigetto di domande di delibazione basate esclusivamente sull’eccezione di parte della durata ultratriennale della convivenza coniugale non paiono convincenti sia sotto il profilo della reale appartenenza di tale presupposto all’ordine pubblico interno laddove la sua tutela venga trasferita nella disponibilità della parte e l’esito della delibazione derivi dalla condotta processuale delle parti, sia sotto quello del mancato rispetto della normativa vigente, ferma restando l’attualità dell’art. 4 lett. b del Protocollo addizionale citato. Né pare più attuale giustificare l’orientamento giurisprudenziale in base alla necessità di parificare le tutele del coniuge in buona fede in sede di declaratoria di nullità (art. 129-bis c.c.) a quello divorziato (art. 5 l. div.) laddove, sempre più spesso, l’attualizzazione delle norme alle istanze sociali dimostri un graduale svuotamento delle tutele per il coniuge economicamente più debole in difetto dei presupposti sanciti dalla nota pronuncia a Sezioni Unite della Suprema Corte, n. 18287/20188 . I numerosi disegni di legge giacenti in Parlamento lasciano comprendere come, in un futuro prossimo, perfino l’attuale dibattito potrebbe divenire superfluo. Come autorevolmente osservato9 , “non si può contestare che nell’ordinamento statale la considerazione del rapporto matrimoniale prevalga rispetto alla rilevanza dell’atto di matrimonio ma ciò non comporta necessariamente che il valore da attribuire alla vita coniugale assurga a principio di Ordine pubblico tale da prevalere sull’accertata invalidità originaria del vincolo. Ed anzi a ben vedere, il dato normativo smentisce apertamente l’interpretazione della convivenza coniugale come principio di Ordine pubblico. È vero che l’art. 123 c.c., in tema di invalidità del matrimonio per simulazione, prevede un limite alla proponibilità della relativa azione, tuttavia in altre disposizioni, il legislatore consente di far valere la nullità del vincolo nonostante l’intervenuta convivenza coniugale e addirittura senza precisi limiti di tempo”. Così nei casi di nullità qualora ritorni o sia accertata la sopravvivenza della persona della quale era stata accertata la morte (art. 68 c.c.) ovvero dei casi di invalidità per impedimenti di età, precedente matrimonio, parentela, affinità, adozione o altro, ovvero dopo il recupero della capacità di intendere e di volere del contraente entro un anno dal recupero a prescindere dalla durata della convivenza; oppure dopo la cessazione della violenza o delle cause previste dall’art. 122 c.c. Tutte ipotesi che possono verificarsi anche molti anni dopo l’avvio della convivenza, e quindi a prescindere dal periodo triennale che la Cassazione assurge a criterio di riferimento per l’individuazione della violazione dell’ordine pubblico statale. Si auspica, dunque, una rivalutazione applicativa delle norme, residuando, in difetto, il ricorso alla CEDU per violazione dei diritti in corso.

NOTE

1 Cass. civ., SSUU, n. 16379; Cass. civ., SS.UU., 17 luglio 2014 n. 16380, in www.cortedicassazione.it.

2 Cass. civ., SS.UU. 16739/2014 ed altre successive Cass. civ.n Sez. I n. 8494/2015, in www.cortedicassazione.it.

3 Cass. civ., SS.UU, 17 luglio 2014 nn. 16379 e 16380, in www.cortedicassazione.it.

4 Cass. civ., SS.UU., 18 luglio 2008 n. 19809, in http://pluris-cedam.utetgiuridica.it.

5 Cass. civ., SS.UU., 20 luglio 1998 nn. 4700, 4071, 4702 e 4703, cfr. M. canonico, Delibazione di sentenze ecclesiastiche ovvero il cammello per la cruna dell’ago, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese. it), 2015, 25, consultata il 30 settembre 2017.

6 In tal senso, cfr. canonico, op. cit.

7 Cass. civ., Sez. I, 20 gennaio 2011 n. 1343, in http://pluris-cedam.utetgiuridica.it.

8 Cass. civ., SS.UU., 11 luglio 2018 n. 18287, in http://pluris-cedam.utetgiuridica.it.

9 canonico, op. cit.