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La consulenza tecnica nei conflitti familiari: l’accertamento delle capacità genitoriali

autore: B. Lanza

Sommario: 1. La consulenza tecnica come strumento di indagine: il doppio registro della valutazione. - 2. La formazione degli albi dei consulenti tecnici presso il tribunale. - 3. Le norme processuali sulla consulenza tecnica e la loro applicazione. - 4. Il tentativo degli ordini professionali di rispondere alle problematiche sollevate dalla consulenza tecnica psicologica: i protocolli di famiglia a ciò dedicati. - 5. L’integrazione degli ordini professionali e la creazione di documenti comuni per arrivare ad una buona consulenza tecnica. - 6. Conclusioni.



1. La consulenza tecnica come strumento di indagine: il doppio registro della valutazione



La consulenza tecnica è uno degli strumenti più utilizzati nei contenziosi di famiglia per accertare le capacità genitoriali delle parti. Essa fornisce al giudice elementi di conoscenza e di comprensione per stabilire la collocazione o la tipologia di affidamento della prole, nonché l’esercizio concreto delle responsabilità genitoriali; ipotesi questa in cui potrebbero essere oggetto di indagine la disciplina della frequentazione con il genitore non collocatario ma anche, ad esempio, l’impatto sulla prole di un significativo mutamento di residenza del genitore collocatario. Possono svolgere le funzioni di consulente tecnico i medici-psichiatri, gli psicologi2 , ma anche gli assistenti sociali che, in base al loro ordinamento, possono lavorare in regime di libera professione3 ; ne sarebbero, invece, esclusi i pedagogisti e gli psicopedagogisti4 . L’incarico è attribuito dal giudice, ma il percorso valutativo è deciso in autonomia dal consulente in base alle proprie conoscenze e competenze specialistiche; conoscenze che questi dovrebbe previamente esplicitare, indicandone i fondamenti teorici accreditati all’interno della comunità scientifica. Il chiarimento è necessario perché in questa materia non vi è un unico sapere psicologico, bensì più modelli teorici di riferimento, tutti legittimi, ma non equivalenti tra loro e potenzialmente tali da far pervenire ad una diversa conclusione5 anche rispetto alla medesima fattispecie concreta. Oggi, infatti, in ambito psicologico si registrano due concezioni della genitorialità: la prima, più risalente ed in deciso declino, che determina l’adeguatezza genitoriale in base alle caratteristiche della personalità; la seconda di tipo relazionale, più recente e maggiormente accreditata, che concepisce la genitorialità come una funzione triangolare integrata che si realizza nell’interazione tra i due genitori e la prole. Qualora si assuma come riferimento la prima tipologia di valutazione, si corre il rischio di attribuire rilievo esclusivo al criterio della continuità della relazione con la figura di cura primaria che, generalmente, è individuata nella madre in funzione del quotidiano accudimento; la seconda concezione, invece, apre il ventaglio delle possibilità superando preconcetti che, storicamente, hanno definito le decisioni in tema di collocamento della prole6 . Scegliere tra l’una o l’altra concezione, quindi, non è un’azione neutra soprattutto alla luce della legge 54/2006: se la forma ordinaria di esercizio della genitorialità è l’affidamento condiviso, assumere come presupposto una delle due metodologie di valutazione può condurre in tema di collocamento a diverse conclusioni. L’elaborato peritale, pertanto, dovrebbe necessariamente chiarire in premessa la metodologia applicata; quindi fotografare la realtà familiare e l’intreccio delle relazioni esistenti tra genitori e tra genitori e figli, allargato se necessario ai terzi significativi; quanto raccolto, secondo criteri scientifici, dovrebbe sostenere7 il giudicante nella sua decisione per stabilire le migliori condizioni di esercizio della responsabilità genitoriale. Valutare due genitori è un’operazione complessa che non si limita all’esame delle loro qualità personali, ma ne osserva le competenze relazionali e sociali e la capacità di interagire con la prole in modo protettivo e rassicurante rispetto alle loro esigenze8 : il consulente tecnico dovrebbe acquisire elementi e metterli in rapporto tra loro senza piegarli a personali considerazioni di tipo sociologico e culturale9 . Deve, quindi, essere preliminarmente risolta una delicata questione, ossia quale sia la preparazione e la competenza dei periti scelti per lo svolgimento dell’incarico; gli effetti di una consulenza frutto di un giudizio, o peggio di un pregiudizio, riverberano sugli adulti, ma soprattutto sui minori esposti a decisioni che possono compromettere e danneggiare la loro capacità evolutiva e di relazione.



2. La formazione degli albi dei consulenti tecnici presso il Tribunale



In questa prospettiva è utile conoscere come vengano redatti gli albi dai quali l’autorità giudiziaria attinge i nominativi dei professionisti disposti ad assumere l’incarico di consulente tecnico. Gli artt. 13-23 delle disp. att. c.p.c. ne regolano la formazione, i criteri di accesso e la tenuta, oltre a prevedere procedimenti disciplinari e sanzioni. La formazione dell’albo è rimessa al Presidente del Tribunale e ad un comitato, composto dal Procuratore della Repubblica, da un consigliere dell’ordine degli avvocati e da un consigliere delle varie categorie professionali coinvolte. Il consulente è tenuto a rispettare le norme deontologiche del proprio ordinamento10, la cui violazione dà origine anche ad un procedimento disciplinare interno a detta commissione e con previsione delle relative sanzioni, secondo quanto disposto dagli artt. 21-20 disp. att. c.p.c. L’art. 16 disp. att. del c.c. indica i requisiti per l’iscrizione all’albo dei consulenti. A loro volta, gli ordini professionali di riferimento stabiliscono i titoli specifici necessari per legittimare la domanda di iscrizione, ad esempio la durata minima di appartenenza al relativo ordine professionale11. A questo proposito, il 24 maggio del 2018 il Consiglio Nazionale Forense, unitamente al Consiglio Superiore della Magistratura ed alla Federazione Nazionale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, ha sottoscritto un protocollo d’intesa per l’armonizzazione dei criteri e delle procedure di formazione degli albi dei periti e dei consulenti tecnici12. Il documento, come recita l’art. 1, dovrebbe orientare la revisione degli albi dei periti e dei consulenti tecnici presso i tribunali attraverso linee guida coerenti con le normative e rendere equilibrati i criteri, le modalità di revisione e la successiva tenuta degli albi stessi in base a standard condivisi a livello nazionale. Lo scopo sarebbe quello di garantire all’autorità giudiziaria un contributo professionalmente qualificato e adeguato alla complessità della materia. L’art. 4 del citato protocollo individua, tra gli elementi di valutazione per l’iscrizione all’albo dei consulenti dopo il conseguimento della specializzazione, l’esercizio della professione “orientativamente” per un periodo non inferiore a 5 anni, un curriculum formativo post-universitario nella rispettiva disciplina oppure scientifico; in alternativa la presenza di titoli accademici. Tuttavia, nella valutazione complessiva dei criteri per l’accesso, alla durata di iscrizione al rispettivo albo professionale viene attribuita un’importanza relativa tenuto conto che l’assenza di detto requisito potrebbe essere compensata dalla particolare qualità del profilo professionale emergente dagli altri elementi di valutazione. Sembrerebbe, quindi, che l’anzianità di iscrizione non sia un elemento fondamentale, con ciò riducendo la portata e l’importanza dell’esperienza. In questa prospettiva, l’avverbio “orientativamente” andrebbe anche a risolvere i problemi di coordinamento con alcuni ordini provinciali dei medici e degli odontoiatri, che richiedono per l’iscrizione all’albo dei consulenti tecnici una durata inferiore (anni tre) o addirittura senza limiti temporali13; ed anche con altri ordini, come ad esempio quello nazionale degli psicologi, che hanno deliberato un’anzianità di iscrizione limitata. La posizione espressa da questi organismi sembrerebbe essere accomunata da un unico denominatore: un’istintiva forma di protezione verso i giovani iscritti per consentire loro un ampio accesso alle varie espressioni del loro lavoro14. In realtà, al perito chiamato ad accertare le capacità genitoriali dovrebbe essere richiesta una pratica maggiore, non essendo sufficiente che questa sia rimessa solo agli studi o ai titoli accademici: il professionista deve disporre di una giusta distanza da fattori emotivi e da proiezioni personali tali da contagiare il suo processo di analisi; né si può escludere che nel collegio peritale la presenza di consulenti di parte, più anziani professionalmente, facciano scattare meccanismi, legati al timore reverenziale o al desiderio di autoaffermazione, che potrebbero interferire sull’oggettività del processo valutativo. Accertare, in senso lato, le capacità di un genitore è un’abilità che si acquisisce nel tempo e non certo solo per titoli. Non è sufficiente dimostrare di “poter fare”, ma occorre esprimere “il saper fare”; il dovere di competenza impone al perito di spiegare, in modo chiaro e comprensibile, la metodologia operativa applicata, i dati oggettivi rilevati e coordinarli tra loro, esponendo il proprio percorso logico ed argomentativo15. L’osservazione di un fenomeno nonché la capacità di diagnosi e di prognosi passano anche attraverso l’esperienza pratica e l’applicazione di un bagaglio culturale costruito nel tempo. A questo proposito si segnala quanto suggerito nel Protocollo sulla consulenza tecnica di Torino all’art. 2, ult. co., che invita i consulenti dotati di maggiore esperienza ad affiancarsi giovani professionisti, prima della loro nomina quali esperti del giudice16; in questo modo chi aspira ad iscriversi nell’albo coordina il percorso formativo teorico con l’esercizio pratico della valutazione, acquisisce tecniche e metodi di ascolto che non si apprendono esclusivamente attraverso la preparazione scientifica. L’aspetto quantitativo non è, però, l’unico elemento di cui si dovrebbe tener conto nel consentire l’accesso all’albo. La qualità della prestazione professionale imporrebbe al consulente di dichiarare l’ambito di competenza prevalente. Per quanto riguarda gli psicologi, la legge n. 56 del 18 febbraio 1989 istitutiva del loro ordinamento, si limita a dare la definizione della professione indicando i requisiti per l’esercizio dell’attività di psicologo e/o di psicoterapeuta. Il professionista che deve valutare un minore, tuttavia, dovrebbe essere in possesso di competenze specifiche in tema di psicologia infantile e dell’età evolutiva, analogamente a quanto accade, sebbene con ordinamenti professionali diversi, agli psichiatri e neuropsichiatri infantili. È, quindi, opportuno che nell’albo dei periti del Tribunale sia declinato lo specifico ambito di operatività per scongiurare il pericolo che, ad esempio, tecniche di ascolto orientate agli adulti siano indiscriminatamente applicate ai minori. Il consulente psicologo, quindi, che per limiti ordinamentali, non può spendere la qualifica di specialista in psicologia infantile o dell’età evolutiva potrà però dichiarare di avere acquisito una competenza in detta materia senza incorrere in violazioni deontologiche17.



3. Le norme processuali sulla consulenza tecnica e la loro applicazione



La consulenza tecnica viene disciplinata dagli artt. 61 e ss. del c.p.c. Il perito assiste il giudice durante il procedimento laddove siano richiesti approfondimenti con particolari conoscenze tecniche o scientifiche; egli ha l’obbligo di prestare la propria attività, salvi i motivi di astensione declinati dall’art. 51 c.p.c. e speculari alle cause di astensione del giudice, atteso il ruolo di terzietà che il professionista dovrebbe assumere nei confronti dei soggetti coinvolti nel procedimento giudiziario. Tra i motivi che impongono l’astensione del consulente tecnico dall’incarico conferito, va prestata attenzione al n. 4 del citato articolo, ossia all’espressione “ha dato consiglio”. L’ipotesi potrebbe riferirsi alla conoscenza che un perito abbia avuto di una vicenda familiare in qualità, ad esempio, di psicoterapeuta di uno dei componenti del nucleo familiare sottoposto ad accertamento o di uno stretto congiunto. In tal caso, l’assetto valutativo potrebbe essere inquinato da conoscenze acquisite in ambito extragiudiziale tali da intaccare la sua neutralità. Il perito presta giuramento e agisce nel rispetto del contraddittorio di cui all’art. 111 co. 2 Cost., ed agli artt. 191-209 3. Le norme processuali sulla consulenza tecnica e la loro applicazione La consulenza tecnica viene disciplinata dagli artt. 61 e ss. del c.p.c. Il perito assiste il giudice durante il procedimento laddove siano richiesti approfondimenti con particolari conoscenze tecniche o scientifiche; egli ha l’obbligo di prestare la propria attività, salvi i motivi di astensione declinati dall’art. 51 c.p.c. e speculari alle cause di astensione del giudice, atteso il ruolo di terzietà che il professionista dovrebbe assumere nei confronti dei soggetti coinvolti nel procedimento giudiziario. Tra i motivi che impongono l’astensione del consulente tecnico dall’incarico conferito, va prestata attenzione al n. 4 del citato articolo, ossia all’espressione “ha dato consiglio”. L’ipotesi potrebbe riferirsi alla conoscenza che un perito abbia avuto di una vicenda familiare in qualità, ad esempio, di psicoterapeuta di uno dei componenti del nucleo familiare sottoposto ad accertamento o di uno stretto congiunto. In tal caso, l’assetto valutativo potrebbe essere inquinato da conoscenze acquisite in ambito extragiudiziale tali da intaccare la sua neutralità. Il perito presta giuramento e agisce nel rispetto del contraddittorio di cui all’art. 111 co. 2 Cost., ed agli artt. 191-209 nomina, a norma dell’art. 201 c.p.c., del perito di parte che in sinergia con il legale vigila sul corretto svolgimento della perizia; il secondo, di cui si dirà nei paragrafi 4 e 5, attraverso l’individuazione di una serie di condotte condivise e buone prassi che concorrono al regolare andamento della consulenza. Il perito di parte, infatti, è concreta espressione del diritto alla difesa che rende tangibile attraverso la molteplicità delle sue funzioni: egli partecipa alle riunioni indette dal legale con la parte in funzione dell’apertura della consulenza tecnica e ne sollecita la necessità quando aspetti problematici emergessero durante la perizia; vigila sul rispetto della metodologia scientifica adottata e sulla correttezza anche deontologica del consulente tecnico d’ufficio; segnala, attraverso la verbalizzazione di cui all’art. 195, co. 1, c.p.c., la necessità o meno di acquisire elementi di valutazione, ad esempio attraverso i servizi sociosanitari o i terzi significativi; partecipa ad eventuali udienze di chiarimento sull’elaborato peritale che il tribunale dovesse disporre20. In questo contesto, la stretta collaborazione tra il difensore della parte ed il suo consulente diventa essenziale perché il rispetto delle norme processuali da un lato, coniugato al rigore scientifico dei processi di analisi, concorre al buon funzionamento della consulenza.



4. Il tentativo degli ordini professionali di rispondere alle problematiche sollevate dalla consulenza tecnica psicologica: i protocolli di famiglia a ciò dedicati



Il diritto alla difesa ed il rispetto al contraddittorio sono tutelati anche dalla creazione di linee guida oppure da protocolli diretti a regolamentare le condotte dei consulenti nella modalità di acquisizione delle informazioni e nelle relazioni con la parte e i suoi periti, gli avvocati e l’autorità giudiziaria. In questa prospettiva è abbastanza frequente rilevare che avvocati e magistrati si siano dotati all’interno dei Protocolli di Famiglia dei rispettivi fori, di apposite sezioni a ciò dedicate, regolamentando, in un’ottica esclusivamente tecnico-giuridica, le operazioni peritali dei consulenti tecnici. Dell’argomento si sono occupati, ad esempio, il Tribunale di Treviso, di Vicenza, Pistoia, Lucca, Siena, Firenze, Pescara, Salerno, Reggio Calabria e l’ultimo, in ordine di tempo, Venezia21. In senso analogo altri ordini, come quello degli psicologi, hanno tentato di esprimere delle linee guida per il corretto svolgimento della consulenza tecnica da parte degli iscritti; questa categoria professionale ha prodotto in proposito alcuni documenti che, in modo diretto o indiretto, si sono occupati della tecnica di elaborazione. L’ordine del Lazio, ad esempio, ha con delibera ratificato delle linee guida per l’ascolto dei minori nelle separazioni e nei divorzi, creando un’apposita sezione per la valutazione delle competenze genitoriali. Il documento, di elevato profilo, raccoglie, altresì, le esperienze sull’ascolto di vari tribunali, una panoramica dei quesiti che alcuni fori utilizzano per accertare la collocazione o la tipologia di affidamento dei minori22, mettendo a disposizione dei propri iscritti la diffusione di modelli operativi diversi a cui ispirarsi nell’esercizio delle proprie funzioni. L’ordine degli psicologi della Toscana ha creato “Le buone prassi per lo psicologo consulente tecnico d’ufficio e di parte”23, ove ha dettagliatamente declinato, sotto forma di articoli, i diritti e doveri dei consulenti tecnici di parte; analogamente l’ordine del Veneto, con delibera del 24 settembre 2012, ha approvato “Nuovi requisiti auspicabili di buone pratiche per lo psicologo nell’ambito della psicologia giuridica forense”24. Gli elaborati citati rappresentano, però, l’orientamento di una sola categoria professionale e non sono la sintesi del necessario coordinamento tra figure professionali diverse, il cui denominatore unico dovrebbe essere l’accertamento della condizione del minore e la miglior soluzione da adottare nella patologia della famiglia.



5. L’integrazione degli ordini professionali e la creazione di documenti comuni per arrivare ad una buona consulenza tecnica.



Ad integrare quanto decritto in precedenza esistono documenti che rappresentano il tentativo di diversi professionisti e della magistratura di condividere linguaggio e procedure virtuose. Il 17 marzo 2012, a Milano, ad esito del convengo relativo alla consulenza tecnica in materia di affidamento dei figli a seguito di separazione dei genitori, sono state elaborate delle linee guida25, alla cui redazione hanno concorso figure professionali differenti dotate di competenze in psicologia, psichiatria e neuropsichiatria, legate al mondo accademico e giuridico, unitamente ad alcuni magistrati, anche minorili, ed avvocati. I singoli partecipanti, tuttavia, non rappresentavano un ordine professionale: infatti, l’ordine nazionale degli psicologi ha patrocinato l’iniziativa, mentre l’ordine degli avvocati ne ha ratificato successivamente con delibera il contenuto. Il protocollo ha inquadrato le funzioni dell’esperto e gli obiettivi della valutazione. In particolare, ha suggerito che nella valutazione delle capacità genitoriali per regolamentare la frequentazione del minore con entrambi i genitori, o escludere dall’affidamento uno o entrambi, il consulente debba tener conto di alcuni criteri: delle funzioni di cura e protezione, riflessiva, empatica-affettiva, organizzativa, scolastica, sociale e culturale nonché, da ultimo, ma non certo per importanza, il criterio dell’accesso all’altro genitore. In questo modo il gruppo di lavoro ha confermato che la seconda tipologia di valutazione in tema di capacità genitoriali, di cui si è detto in apertura, appare quella maggiormente accreditata. Il documento è, dunque, orientato alla formazione del contenuto della perizia, ossia il metodo da applicarsi, l’osservazione e l’elaborazione della consulenza indicando, altresì, dei criteri di stesura, ma non si occupa di dirimere anticipatamente i rapporti tra tutte le figure professionali coinvolte. Tuttavia, se una buona consulenza, e quindi una buona valutazione, si fonda anche sulla garanzia del rispetto al contraddittorio e sulla condivisione degli strumenti da adottare, si deve concludere che quanto embrionalmente prodotto dal tribunale di Milano dovrà passare attraverso il riconoscimento degli ordini professionali coinvolti e dei servizi socio-sanitari. A questi ultimi spesso, ad esito di una consulenza tecnica, viene chiesto un supporto psicologico per le parti oppure un monitoraggio della situazione se non, addirittura, vengono individuati come affidatari dei minori. La specialità della materia, la delicatezza dei temi e dei dati sensibili trattati, genera problematiche che non possono risolversi nell’elaborazione di linee guida che riguardino solo la tecnica di redazione di una consulenza; si pensi, ma si tratta solo di una parte degli aspetti controversi, alla delicata questione sopra accennata della presenza degli avvocati alle operazioni peritali; alla conservazione di dati sensibili acquisiti; alla partecipazione nelle operazioni peritali di collaboratori dei consulenti tecnici d’ufficio, come i tirocinanti ed alla necessità che la loro presenza sia autorizzata dal Giudice, ed al coordinamento con i servizi socio-sanitari da coinvolgere o già coinvolti nel caso. Ai dubbi sollevati hanno dato un tentativo di riposta norme protocollari espressione di integrazione di professionalità diverse, magistrati, avvocati, psicologi, medici, assistenti sociali e servizi sociosanitari. Per dare corpo a questa dimensione processuale è stato autorevolmente sostenuto26 che la consulenza tecnica riproduce, all’interno del proprio setting di lavoro psicologico, l’ordine simbolico tipico del contenzioso giudiziario. Per questo motivo è necessario che l’esperto sia consapevole di dover rispettare nel proprio ambito operativo le regole del processo: ad esempio, la visibilità delle operazioni, la necessità di garantire il contraddittorio e la possibilità per le parti di farsi sostenere dai propri periti. La posizione dei consulenti, infatti, non è uguale a quella che assumono come psicoterapeuti nel consueto contesto di intervento clinico o diagnostico; nonostante il loro comportamento debba conformarsi agli stessi parametri tecnico scientifici, il loro operato si deve svolgere in conformità ai principi dell’ordinamento inserendosi in un contesto dialettico formato da una pluralità di interlocutori ossia i genitori, i rispettivi consulenti di parte, gli avvocati ed il giudice. Nel contempo la parte giuridica di questo processo, in particolare gli avvocati, dovrebbe essere consapevole di trovarsi in un assetto differente da quello correntemente esercitato ed essere cosciente che il lavoro del perito, subordinato funzionalmente al contesto giudiziario, non può essere omologato all’esclusiva logica del diritto, rendendolo di fatto inutile. Il primo documento che nell’arco di dieci anni si è evoluto integrando ruoli e funzioni diversi tra loro è il protocollo d’intesa per l’adozione di linee guida in materia di consulenza tecnica nei procedimenti di diritto di famiglia di Verona, che, partendo da una modesta sezione contenuta nel Protocollo in materia di Famiglia, siglato il 13 febbraio 2009, è stato sottoscritto unitamente ad alcuni ordini professionali ed ai servizi socio-sanitari il 9 novembre 2012, sino all’ultima stesura avvenuta il 3 dicembre 2018, che ha visto anche la partecipazione dell’ordine degli psicologi del Veneto. Tra le previsioni che hanno concorso a rendere effettivo il rispetto del contraddittorio, particolare rilievo assumono gli artt. 2 e 3 relativi all’integrazione della consulenza ed alla verbalizzazione e documentazione delle attività peritali, nonché gli artt. 8 e 9 che disciplinano compiti e ruolo del consulente tecnico di parte e rapporti di questo con il CTU. L’art. 2 valorizza la funzione del consulente, il quale dovrà accertarsi che la propria valutazione rimanga nell’alveo dei fatti e documenti acquisiti al processo, soprattutto dopo il maturare dei termini di cui all’art. 183, co. 6 c.p.c. e fatte, comunque, salve le sopravvenienze; infatti, l’autonomia del consulente tecnico non è così ampia da consentirgli di esaminare ogni elemento o richiesta portata alla sua conoscenza27. In base alle norme protocollari citate, il rispetto del contradditorio ed il diritto alla difesa si estrinsecano anche attraverso la corretta narrazione delle fasi della CTU come, ad esempio, la verbalizzazione degli incontri contenente l’oggetto della seduta, il tipo di formato scelto (colloquio di coppia, individuale, di famiglia), dell’audizione dei minori, della visita domiciliare o della somministrazione del disegno congiunto28 e, soprattutto, le eventuali osservazioni o suggerimenti dei consulenti di parte ed i rilievi fatti al consulente tecnico d’ufficio. In questa prospettiva sarebbe censurabile la condotta del perito di parte che, completato l’elaborato peritale e prospettandosi un esito infausto per il proprio assistito, suggerisca di integrare la perizia con strumenti diagnostici (ad esempio la somministrazione di test sulla personalità) la cui necessità non è mai stata evidenziata nel corso delle operazioni peritali; o ancora, la mancata contestazione di una metodologia adottata durante la perizia sia trasformata alla fine del percorso valutativo come elemento di nullità. Va, inoltre, considerata la necessità di un raccordo con l’attività dei servizi sociosanitari. Non può escludersi, infatti, che, a fronte di un progetto peritale quale potrebbe essere l’affidamento al servizio territorialmente competente, esito di una elaborata consulenza tecnica, l’affidatario manifesti un diverso intendimento rispetto alle valutazioni del consulente tecnico o non le ritenga concretamente praticabili proponendo eventuali soluzioni alternative. Nel caso in cui tra le valutazioni del perito e quelle raccolte dai servizi, oppure tra le soluzioni prospettate dai consulenti e la fattiva praticabilità delle stesse da parte degli operatori, non vi sia un coordinamento, si dovrà ricorrere all’autorità giudiziaria per dirimere il conflitto. Altra importante esperienza di integrazione di conoscenze diverse è il citato protocollo di Torino. Il documento, che ripropone l’impianto del Protocollo di Verona di cui riproduce alcune parti, si diversifica per la presenza all’interno del gruppo di lavoro dei magistrati minorili e della Procura presso il Tribunale per i Minorenni nonché di quella ordinaria, con l’importante estensione delle norme protocollari ai procedimenti de potestate29.



6. Conclusioni



I recenti fatti che la cronaca giudiziaria ha portato all’attenzione offrono spunti di riflessione sugli strumenti possibili per contenere, in chiave protettiva nei confronti dei minori, le derive che hanno portato, e potrebbero condurre, ad allontanare ingiustamente i minori dalle loro famiglie o a limitare l’esercizio della responsabilità genitoriale. Per contenere questi effetti negativi, pur sempre possibili e legati a queste decisioni, è necessario uno sforzo di integrazione delle professionalità coinvolte nei procedimenti che riguardano i minori. Occorre sia condiviso un linguaggio e creati modelli operativi condivisi per salvaguardare l’interesse del minore ad essere cresciuto nella propria famiglia d’origine, a mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori ed in particolare con il genitore presso il quale non hanno collocazione, nonché a ricostruire legami forzatamente interrotti. Le norme protocollari, quindi, rappresentano la sinergica espressione di competenze diverse e tracciano il percorso valutativo, senza tuttavia interferire nella modalità concreta dell’elaborazione che rimane una funzione tipica del consulente tecnico d’ufficio e del suo ordine professionale. In questo caso l’ordine dei medici e degli odontoiatri o degli psicologi potranno continuare ad elaborare quelle linee guida strettamente connesse ai contenuti ed alla corretta modalità di acquisizione degli stessi. Questa modalità operativa è l’unica in grado di ridurre il margine di discrezionalità riconducibile ad elementi soggettivi che dovrebbero essere estranei ad un processo valutativo, come la consulenza intesa quale setting terapeutico. È necessario, quindi, superare la logica della corporazione, che spesso sottende gli ordinamenti professionali, e che le parti coinvolte si rendano concretamente disponibili ad un confronto che passa attraverso il reciproco riconoscimento del ruolo e della funzione dell’altro.

NOTE

1 V. cigoLi, in La consulenza tecnica familiare nei procedimenti di separazione e divorzio, Milano, 2014, 9; si veda anche M. MaLagoLi togLiatti, S. Mazzoni, Osservare, valutare e sostenere la relazione genitori figli, Milano, 2006.

2 Denominatore comune ad entrambe le categorie professionali è l’abilitazione alla psicoterapia che si consegue superato l’esame di stato per l’abilitazione ed una scuola di specializzazione in psicoterapia. L’essere psicoterapeuta, in entrambe le categorie professionali non è una condizione per essere iscritti di nell’albo dei consulenti tecnici, anche se garantisce l’acquisizione di un notevole bagaglio di conoscenze.

3 L’Ordine degli Assistenti sociali è stato istituito con la legge n. 84 del 23 marzo 1993; la normativa ha stabilito l’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo professionale per svolgere la professione in regime di lavoro autonomo o di lavoro dipendente. Tale ordine, che rivendica la possibilità di poter essere iscritto negli albi dei consulenti tecnici, allo stato non ha prodotto né a livello nazionale, né a livello regionale linee guida per regolamentare l’accesso; in ogni caso agli appartenenti a detto ordine è precluso fare diagnosi di personalità. Si veda anche A. cordiano, in La consulenza tecnica nei procedimenti in materia di famiglia: ricostruzione teorica e profili di responsabilità professionale, in www.comparazionedirittocivile.it, per l’ampia bibliografia citata.

4 Non rientrano tra i soggetti qualificati all’espletamento di una consulenza tecnica gli esperti in pedagogia o psicopedagogisti; si tratta di soggetti che non sono iscritti ad un albo e non hanno uno specifico statuto deontologico. La legge n. 4 del 11 febbraio 2013 ha dato un inquadramento all’attività di questi professionisti, che svolgono attività che consistono nelle prestazioni di servizi o di opere a favore di terzi ed esercitate abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale. Secondo, alcuni autorevoli autori, una consulenza d’ufficio pedagogica o psicopedagogica si porrebbe sullo stesso piano di una consulenza richiesta ad un sociologo o ad un filosofo; così, G.B. caMerini, R. di cori, F. piSano, U. SabateLLo, G. Sergio, R. Vacondio, in Manuale psicoforense dell’età evolutiva, Milano, 2018, 95.

5 cigoLi, op. cit., 2014, 41. Secondo l’autore il percorso valutativo non dovrebbe essere scelto dal giudice, ma dal consulente ed effettuato in scienza, che rimanda al suo sapere psicologico e richiede l’esplicitazione dei modelli teorici di riferimento; e coscienza, riferibile alla dimensione soggettiva e riguarda il suo senso etico ed il suo onesto e corretto operare.

6 cigoLi, op. ult. cit., 41-42.

7 Secondo la Corte di Cassazione si incorre in vizio di motivazione, denun-

ciabile in sede di legittimità, se l’elaborato recepito per relationem si avvalga di teorie non ancora consolidate sul piano scientifico e se il giudice a fronte delle specifiche censure formulate dalla parte e integralmente trascritte nel ricorso per Cassazione, non risulti aver esposto in modo puntuale le ragioni della propria adesione alla consulenza tecnica d’ufficio, né abbia verificato il fondamento scientifico della medesima; Cass., sez. I, 20 marzo 2013 n. 7041.

8 caMerini, VoLpini, in op. cit., 1163. Gli autori precisano che l’idoneità genitoriale è definita dai bisogni e dalle necessità dei figli in base ai quali il genitore attiverà le proprie qualità e risorse personali, tali da garantire lo sviluppo psichico, affettivo, sociale e fisico. La valutazione di queste specifiche competenze non si riduce, quindi, al profilo di personalità ed al suo funzionamento, ma si deve articolare prendendo in considerazione diversi aspetti e diversi parametri. Il manuale offre, altresì, una vasta panoramica dei criteri scientifici adottati per valutare le capacità genitoriali delle parti.

9 In una consulenza tecnica d’ufficio avente ad oggetto la domiciliazione di due minori di 6 e 10 anni allontanatisi dall’abitazione familiare con la madre, la quale aveva intrecciato una relazione affettiva con il proprio cognato si legge: “I minori Paolo e Paola sono nati e cresciuti fino all’inizio del 2009 a... piccolo paese adagiato sulle verdi e splendide colline che declinano verso il Lago di Garda in una casa molto bella e panoramica, vicinissima all’abitazione dei nonni paterni, a quella degli zii... e... della cugina..., a due passi dalla scuola e dalla Chiesa. È un luogo dove i rumori della città sono lontanissimi e dove tutto sembra scorrere lentamente in una serenità quasi bucolica. Gli affetti sembravano fluire senza tempo in uno scambio costante di aiuto e solidarietà reciproca. L’armonia naturale che traspare da questa Arcadia svanisce improvvisamente verso la fine del 2008, durante le feste di Natale, quando la coppia... inaspettatamente e traumaticamente per tutti si rompe all’improvviso”. Ed ancora “il tradimento di Paola... tragedia familiare, tutti si sono sentiti traditi ed ingannati dalla relazione intrecciata tra i due cognati amanti”. L’incipit dell’elaborato non depone certamente a favore della madre che si è allontanata dall’abitazione familiare, dipinta come un’Arcadia, con i figli; inoltre, l’utilizzo ripetitivo di parole come tradimento ed amanti, hanno orientato tutta la consulenza tecnica permeata da valutazioni di natura soggettiva, traendo conclusioni legate più ad un concetto etico personale di famiglia che non ad una valutazione oggettiva.

10 Portale della federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, sez. Federazione, v. Codice Deontologico, in https://portale. fnomceo.it; Portale del Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi, sez. Lo psicologo, v. Codice Deontologico degli Psicologi Italiani in https://www.psy.it/; Portale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, consiglio nazionale, sezione La professione, v. Codice Deontologico in www.cnoas.it.

11 Con delibera del 20 settembre 2003 il Consiglio Nazionale degli Psicologi ha indicato i requisiti minimi per l’inserimento negli elenchi degli Esperti e degli Ausiliari dei Giudici presso i Tribunali: l’anzianità di iscrizione all’albo degli psicologi di almeno tre anni, uno specifico percorso formativo post laurea in ambito di psicologia giuridica e forense; specifiche competenze relative alle aree di svolgimento dell’attività (clinica, psicodiagnostica, del lavoro e delle organizzazioni, eccetera). Per operare nell’area dell’età minorile sono necessarie particolari competenze relative alla psicologia dello sviluppo e alle dinamiche della coppia e della famiglia. L’ordine degli psicologi del Lazio prevede, invece, una durata minima di iscrizione all’albo degli psicologi di anni 5 in https://www. ordinepsicologilazio.it/psicologi/ctu-ctp/. Si veda Protocollo di intesa tra il Tribunale di Firenze, Corte di Appello di Firenze, Procura Generale presso la Corte di Appello, Procura della Repubblica di Firenze, Ordini e Collegi Professionali, Camera di Commercio di Firenze, APE Toscana, Camera Civile di Firenze che ha esplicitato i requisiti richiesti per iscriversi e permanere nell’albo dei CTU del Tribunale di Firenze e sottoscritto il 14 dicembre 2017 si veda www.tribunale. firenze.giustizia.it.

12 Protocollo d’intesa per l’armonizzazione dei criteri e delle procedure di formazione degli albi dei periti e dei consulenti tecnici https://www.consiglionazionaleforense.it.

13 Delibera n. 52/2007 del Consiglio dell’Ordine dei Medici di Venezia in www.omceovenezia.it.

14 La legge n. 25 del 24 febbraio 2005, aveva introdotto anche importanti modifiche in tema di abilitazione al patrocinio a spese dello stato riducendo da sei a due anni l’anzianità di iscrizione al relativo albo; non si è forse tenuto nel debito conto che le domande più numerose di ammissione al patrocinio si collocano proprio nell’area del diritto di famiglia. Questa significativa riduzione evidenzia l’intento protettivo della categoria verso i giovani iscritti. Tuttavia, in materia in cui oltre alle competenze giuridiche vengono richiesti anche altri requisiti, non sembra che in questo modo si sia tutelato, adeguatamente, l’utente.

15 In questo senso con ampie argomentazioni si veda a. ScoLaro, La consulenza tecnica nel conflitto familiare, l’affidamento dei figli l’assegnazione della casa familiare e gli oneri di mantenimento, Torino, 2014, 21.

16 Si veda Protocollo d’intesa sulle buone prassi per la consulenza tecnica d’ufficio in materia di conflitto familiare e protezione giudiziaria dei minori presentato ad un convegno del 7 ottobre 2019 https://www.ordineavvocatitorino.it.

17 Il Protocollo di intesa per l’adozione di linee guida in materia di consulenza tecnica nei procedimenti di diritto di famiglia, di Verona del 3 dicembre 2018, all’art. 1 prevede specificatamente che sia indicato l’ambito di attività prevalente il che risolve i problemi ordinamentali dell’ordine degli psicologi in tema di specializzazione in www.ordineavvocati.vr.it, sez. documenti.

18 Per l’ampia motivazione in proposito si veda caMerini, di cori, SabateLLo, Sergio, op. cit., 91 ss.

19 caMerini, di cori, SabateLLo, Sergio, op. loc. cit.

20 M. gennari, M. MoMbeLLi, L. pappaLardo, G. taManza, L. toneLLato, in La consulenza tecnica familiare nei procedimenti di separazione e divorzio, Milano, 2014, 145 ss. Gli autori evidenziano la gamma di compiti della c.t.u. ed in particolare l’importanza dei colloqui clinici preliminari ad inquadrare il problema e a costruire un adeguato assetto di lavoro. Colloqui che potranno svolgere una funzione di contenimento rispetto ai sentimenti provocati dalla separazione, potenziando una qualche funzione rielaborativa rispetto alle rappresentazioni che la parte fornisce sul contesto o sullo scenario relazionare connesso al conflitto genitoriale. Non si può dimenticare, infatti, che il periziando potrebbe trovarsi in una condizione di importante disagio psicologico. Ed ancora ScoLaro, op. cit., 56 ss.

21 Altri tribunali, invece, si sono occupati dell’organizzazione di Protocolli, cooperando con una molteplicità di ordini professionali, orientadosi alla disciplina della corretta formazione e tenuta degli albi dei consulenti tecnici ed alla corretta distribuzione degli incarichi in senso lato. Si veda, a titolo esemplificativo, in tal senso il Protocollo di Arezzo in www.ordineavvocatiarezzo.it, sezione protocolli, 9.

22 Si veda Linee guida per l’ascolto del minore nelle separazioni e divorzi, del 5 aprile 2008, in https://www.ordinedeglipsicologilazio.it.

23 Le buone prassi per lo psicologo consulente tecnico d’ufficio e di parte in ambito civile, giugno 2017, in https://www.ordinepsicologitoscana.it.

24 Si veda https://wwwordinepsicologiveneto.it; l’Ordine degli psicologi del Veneto ha altresì elaborato un interessante documento, rivolto a coloro che volessero intraprendere l’attività di consulente tecnico d’ufficio, avente ad oggetto la valorizzazione dello psicologo consulente in ambito civile; il documento presenta un profilo di rilevanza poiché descrive ruolo e funzioni di CTU dall’angolo visuale dello psicologo.

25 Si vedano le Linee Guida in tema di consulenza tecnica in materia di affidamento dei figli a seguito di separazione dei genitori: contributi psicoforensi in https://www.osservatoriofamiglia.it.

26 In questo senso si legga cigoLi, op. cit., 31 ss.

27 ScoLaro, in op. cit., 9 ss. ritiene che il principio secondo il quale la CTU non può rimediare all’inerzia delle parti in relazione all’onere di allegazione e di prova sul loro incombente, sarebbe temperato dalle affermazioni con cui la suprema corte, sempre più frequentemente, ha ritenuto ammissibile l’iniziativa dei CTU volta ad acquisire ogni elemento necessario all’espletamento del proprio incarico; in tale prospettiva quindi il consulente tecnico nell’espletamento del proprio incarico potrebbe assumere anche di propria iniziativa informazioni da terzi ed acquisire ogni elemento necessario a dare un’esauriente risposta ai quesiti che gli sono sottoposti dal giudice purché si mantenga nell’ambito prettamente tecnico scientifico che gli compete.

28 A questo proposito si segnala un’interessante pubblicazione di M. gennari, G. taManza, Il disegno congiunto della famiglia. Uno strumento per l’analisi delle relazioni familiari, Milano, 2012.

29 Rimangono esclusi da questa pur importante esperienza di confronto i servizi sociosanitari a cui, come detto, va attribuita una parte rilevate nell’espletamento della consulenza tecnica sia per quanto potrebbe portare a supporto della consulenza tecnica per pregressi accertamenti, sia per il ruolo di affidatari in senso lato o di controllori dell’operato dei genitori ad esito della citata consulenza. Dal tavolo di lavoro risulterebbero escluse anche le associazioni di avvocati familiaristi presenti nel territorio; ma questo può attribuirsi al fatto che la categoria forense ritenesse di essere rappresentata comunque dall’ordine professionale.