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La difficile determinazione dell’assegno di divorzio (nota a Cass. Civ., Sez. I, sent. 9 agosto 2019, n. 21234)

autore: V. Cianciolo

Il caso



Un matrimonio durato vent’anni. Lui un top manager con un reddito annuo di circa quattro milioni e mezzo di euro. Lei un ex igienista dentale che si è dedicata alla famiglia abbandonando il lavoro. Si arriva alla rottura e anche i ricchi piangono. Ma forse, no. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Genova affermavano che l’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato verificando l’idoneità dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione del tenore di vita precedente. Nel caso di specie, la Corte d’Appello pronunciatasi nell’aprile del 2018 – quindi, antecedentemente alla pronuncia delle Sezioni Unite del 2018 che interverrà di lì a poco e che cancellerà “il tenore di vita” quale parametro di riferimento per la definizione del quantum dell’assegno divorzile – ha ritenuto di dover fare applicazione in concreto, dei presupposti per la corresponsione della mensilità di cui all’art. 5, l. div., tenuto conto non solo del tenore di vita considerato in sede di separazione, ma anche della condizione dei coniugi, della durata del matrimonio, dell’apporto personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare, dei redditi rispettivamente percepiti dalle parti, dei cespiti dagli stessi posseduti e in particolare del fatto, che l’ex marito era l’Amministratore delegato di una nota Società con un reddito annuo di circa € 4.500.000,00. Alla luce di questi principi, la corte territoriale genovese riconosceva alla donna un assegno mensile di 20.000 € ritenuto adeguato per condurre un’esistenza dignitosa, tenendo conto della rilevante disparità della situazione economica delle parti poiché il marito era un manager, titolare di redditi molto elevati, mentre la moglie aveva abbandonato il lavoro per dedicarsi alla famiglia. Secondo gli Ermellini, la sentenza incorre in una violazione dei principi in tema di riparto dell’onere della prova poiché era la moglie richiedente l’assegno che doveva dimostrare la mancanza di mezzi adeguati o comunque, l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Inoltre, dai fatti era poi emerso che l’uomo aveva donato alla moglie una villa del valore di circa 750.000,00 € come casa per le vacanze, ma non aveva dimostrato altre fonti di reddito della moglie. Sul punto non risulta chiaro – elemento decisivo questo, per capire quale fosse “l’adeguatezza dei mezzi” della donna – se la somma di € 600.000,00 elargita dal marito alla moglie per l’acquisto dell’immobile donato, fosse servita per acquistare la villa oppure se fosse stata data in aggiunta. Gli Ermellini dunque, precisano, alla luce dei nuovi parametri fissati dalle Sezioni Unite che: “Il parametro dell’inadeguatezza dei mezzi o dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, va, riferito sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente e quindi, all’esigenza di garantire detta possibilità al coniuge richiedente, sia all’esigenza compensativa del coniuge più debole per le aspettative professionali sacrificate, per avere dato, in base all’accordo con l’altro coniuge, dimostrato e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge… Nell’ambito di questo accertamento lo squilibrio economico tra le parti dell’alto livello reddituale del coniuge destinatario della domanda non costituiscono, da soli, elementi decisivi per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno”. Queste le motivazioni che hanno portato il Palazzaccio alla decisione di cassare la sentenza impugnata, rinviando alla corte d’appello, in altra composizione, per un nuovo esame della questione.



Le questioni sottese



Le Sezioni Unite hanno affermato che il carattere perequativo dell’assegno divorzile emerge essenzialmente dall’attenta valutazione da parte del giudice di tutte le circostanze indicate all’inizio del co. 6° dell’art. 5 l. div. Tali elementi rendono rilevanti, ai fini del riconoscimento e della quantificazione dell’assegno, le eventuali disparità che hanno caratterizzato il percorso di vita familiare delle parti, acquisendo così un ruolo causale rispetto all’attribuzione del diritto. L’aver escluso il dato normativo relativo all’an del diritto all’assegno – adeguatezza dei mezzi – e averlo supplito con i criteri indicati nella prima parte del comma 6° dell’art. 5 l. div., hanno condotto le Sezioni Unite del 2018 ad affermare la necessità di “abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno”: sia l’an che il quantum saranno stabiliti ove si accerti che “l’eventuale rilevante disparità della situazione economica-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del matrimonio sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare”, individuate “nel sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti […] nella durata del matrimonio […] nelle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili anche in relazione all’età del coniuge richiedente ed alla condizione del mercato del lavoro”. L’assegno divorzile, di natura composita (assistenziale e perequativa/compensativa) e non meramente assistenziale, va riconosciuto in applicazione del principio di solidarietà post-coniugale, ispirato ai parametri costituzionali di cui agli artt. 2 e 29 Cost., tenendo conto dei criteri equiordinati previsti dall’art. 5, co. 6, I. 898/1970 e preferendo a un criterio assoluto e astratto, che valorizzi l’adeguatezza o l’inadeguatezza dei mezzi, una visione che propenda per la causa concreta e la contestualizzi nella specifica vicenda familiare, tramite la valorizzazione dell’intera storia coniugale nel suo completo evolversi e la realizzazione una prognosi futura che consideri le condizioni (di età, salute, ecc.) dell’avente diritto. Nel caso in esame, si può supporre che la moglie, dopo il matrimonio, d’accordo con il marito, proprio contando sui consistenti redditi di quest’ultimo, abbia lasciato il proprio lavoro di igienista dentale per dedicarsi integralmente alle esigenze familiari. In questo caso, un assegno divorzile le potrebbe essere certamente riconosciuto adottando quale sicuro parametro per la sua determinazione, il confronto fra la situazione in cui si sarebbe trovata la parte debole, se non avesse lasciato il lavoro, con quella in cui si trova, avendo lasciato il lavoro, facendo affidamento sul matrimonio. L’assegno dovrebbe essere precisato nella misura necessaria e sufficiente per colmare il divario fra le due situazioni. Questa è anche in buona sostanza, il discrimen fra le sentenza Grilli n. 11504 del 2017 della Sezione I, e quella delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018. Quest’ultima ha il grande pregio di ricollocare al suo posto la solidarietà post-coniugale, proprio perché reinserisce la famiglia nel suo contesto, quello etico sociale presidiato dagli articoli 2, 3 e 29 Cost. Solo così, si spiega l’affermazione racchiusa nell’arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018, della funzione assistenziale, compensativa e perequativa dell’assegno de quo, la quale serve proprio a riconoscere il ruolo ed il contributo dell’ex coniuge economicamente più debole alla vita familiare, alla formazione del patrimonio ed allo svolgimento dell’attività professionale dell’altro coniuge. In questa prospettiva il giudice, nell’accertare se e in quale misura debba essere riconosciuto l’assegno divorzile preteso, è tenuto, una volta comparate le condizioni economico patrimoniali delle parti e ove constati l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente e l’impossibilità di procurarseli per ragioni obbiettive, ad accertare rigorosamente le cause di una simile situazione alla luce dei parametri indicati dall’art. 5, co. 6, l. 898/1970, verificando in particolare, se la divergenza sia l’effetto del contributo fornito dal richiedente alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all’età dello stesso e alla durata del matrimonio. Al giudice del divorzio è demandato quindi, il compito di valutare, caso per caso, se, pur in ipotesi di autosufficienza economica, propriamente intesa, del coniuge richiedente l’assegno la condizione dello stesso risulti oggettivamente più debole, non quale effetto automatico dello scioglimento del vincolo, bensì per effetto di scelte condivise tra i coniugi durante il matrimonio risultate poi penalizzanti per il coniuge che si assuma destinatario dell’assegno. La quantificazione dell’assegno andrà, poi, compiuta non tenendo a parametro il pregresso tenore di vita o l’autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato a un simile contributo. Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha mancato di attribuire all’assegno riconosciuto la funzione equilibratrice-perequativa che esso doveva necessariamente avere, omettendo di verificare in maniera appropriata se l’inadeguatezza dei mezzi della richiedente e l’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive fosse saldamente ancorata alle caratteristiche e alla ripartizione dei ruoli endofamiliari. Questa indagine non solo è viziata da una immotivata presunzione di orientamento delle scelte di vita della richiedente verso attività casalinghe avvenuta di comune accordo, ma, soprattutto, trascura di considerare il fattore causale da cui determinare “se” e “in quale misura” un simile eventuale orientamento abbia inciso sulle potenzialità professionali e reddituali. Tale omissione ha finito per pilotare la decisione della corte territoriale attribuendo valore determinante alla comparazione della situazione economico-patrimoniale delle parti rispolverando in buona sostanza, il criterio del tenore di vita. Solo una scrupolosa indagine del fatto che lo squilibrio economico delle parti al momento del divorzio è la conseguenza del sacrificio da parte di un coniuge a favore delle necessità familiari, giustifica il riconoscimento di un assegno perequativo, ossia, di un assegno finalizzato a colmare tale squilibrio. In assenza della prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo motivato da una esigenza assistenziale, qualora il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa. La vicenda esaminata deve indurre ad un’ulteriore riflessione, ossia che era ampia la discrezionalizà del giudice seguendo i criteri della giurisprudenza precedente alla sentenza Grilli n. 11504 del 2017: attraverso quei criteri, stabiliva a favore del coniuge più debole un assegno che aveva nella somma “tendenzialmente” necessaria a mantenere il tenore di vita matrimoniale, solo il tetto massimo. La concreta determinazione dell’importo riconosciuto era rimessa sostanzialmente al suo arbitrio che invece, con i criteri indicati dalle Sezioni Unite, non ha spazio per operare.