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La proposta di legge di riforma in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile

autore: C. Fossati

Sommario: 1. Il quadro di riferimento. - 2. Le nuove Sezioni Unite. - 3. Corsi e ricorsi. - 4. Obiettivo, ridurre la discrezionalità. - 5. Le ragioni ed il significato del disegno di legge.



1. Il quadro di riferimento



In pochi ambiti, come in tema di assegno di divorzio, l’attività interpretativa della giurisprudenza è apparsa così estesa, benché al cospetto di un dato normativo rimasto immutato, quantomeno dalla riforma della legge sul divorzio, art. 5 legge 1° dicembre 1970 n. 898, a seguito delle modifiche apportate dalla legge 6 marzo 1987 n. 74. A giustificare la notevole discrezionalità delle corti si suole affermare che l’attività interpretativa sopperisce alle lacune della legge, ovvero consente di adattare il dato normativo desueto al rinnovato contesto sociale in costante evoluzione1 . Sin dall’introduzione della norma e segnatamente, a seguito della riforma del 1987 che inserì la locuzione mezzi adeguati, la ricerca di un parametro al quale commisurare l’adeguatezza delle sostanze del coniuge istante ha affaticato2 dottrina3 e giurisprudenza4 .

I tentativi di qualificare meglio il nuovo presupposto fissato in capo al coniuge istante, attraverso la precisazione mezzi adeguati ad un dignitoso mantenimento, che pure era stata proposta in sede di lavori preparatori alla riforma del 19875 , non ebbero fortuna.

L’orientamento giurisprudenziale, definito diritto vivente, ovvero giurisprudenza normativa6 , rimasto costante7 dal 1990, a partire dalle pronunce a Sezioni Unite n. 114908 e 114929 , sino al 201710, che ottenne anche l’avvallo della Consulta11, e attribuiva carattere eminentemente assistenziale all’assegno, sul presupposto della prevalenza del criterio dell’inadeguatezza dei mezzi12, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità, ovvero l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, a conservare al richiedente il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, aveva condotto nel tempo a giudicare, da parte di alcuni13, da un punto di vista socio-economico, ingiustificate situazioni che parevano dar vita a rendite parassitarie. Il parametro che faceva riferimento al livello di benessere raggiunto nel corso del matrimonio era stato utilizzato, in assenza di altri, tenendo conto di quanto parimenti introdotto dalla legge di riforma, al comma 9 del medesimo art. 5 “In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita”. Molti giudici di merito si limitavano ad un’analisi comparata dei redditi e patrimoni dei due coniugi, stabilivano il quantum dell’assegno in funzione meramente riequilibratrice, omettendo invece un puntuale esame degli ulteriori parametri e la dovuta considerazione in ordine alla durata del matrimonio14. La prima sezione della Cassazione, con la pronuncia 11504 del 201715, partendo dalla considerazione dei mutamenti economici e sociali intervenuti nel frattempo, ha ritenuto superato il riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e, seppure a norma di legge invariata, ha sostenuto di poter individuare un parametro diverso, che ha rinvenuto nel “raggiungimento dell’indipendenza economica” del coniuge richiedente, in applicazione dell’innovativo principio di autoresponsabilità, utilizzato dai sostenitori del nuovo corso, i cui fondamenti risalgono in realtà a diversi anni addietro16. All’indomani del revirement della prima sezione della Suprema Corte, che ribaltava un trentennio di incontrastata applicazione del riferimento cardine utilizzato sino ad allora, costituito appunto dal tenore di vita, il disorientamento della giurisprudenza, sia di merito17, ma anche di legittimità18, si è palesato in tutta la sua evidenza, tanto da far ammettere che: “Se verrà confermato l’indirizzo restrittivo, la giurisprudenza di merito dovrà organizzarsi per stabilire degli standard, ma probabilmente è necessario un intervento legislativo che affermi il criterio compensativo che è alla base delle legislazioni europee (codice civile francese)”19.



2. Le nuove Sezioni Unite



Se la prima sezione ha assestato un duro colpo all’orientamento precedente che, nonostante non fosse convincente nel configurare una struttura bifasica del giudizio, non rinvenibile nella norma, aveva retto le sorti dell’assegno di divorzio per un trentennio, le nuove Sezioni Unite, con l’arresto 18287 del 201820, attraverso una puntuale ricostruzione delle tesi evolutesi negli anni, hanno chiarito anzitutto che l’orientamento radicale avviato dalla prima sezione – 11504 del 201721 – non può essere seguito, perché lede il principio della solidarietà post matrimoniale di rango costituzionale e comporta una netta recisione fra il regime coniugale e le condizioni di vita successive22, senza un’opportuna, doverosa distinzione fra i casi. Di qui, la scelta di superare entrambe le tesi contrapposte; da un lato, la struttura bifasica del giudizio23, andando oltre il criterio cardine fondato sul tenore di vita24, ma al tempo stesso con la necessità di assegnare dignità alla componente invisibile25, rappresentata dai compiti domestici di cura della famiglia; in modo tale che il concetto di adeguatezza viene ad essere esaminato alla luce dei criteri che secondo la consolidata tradizione giurisprudenziale attenevano solo alla fase della quantificazione dell’assegno e non al momento della sua attribuzione. Si da atto che nel corso degli anni i criteri assistenziale e compensativo sono divenuti sempre meno distinguibili nel giudizio complessivo. La Corte26 riconosce, a seguito della riforma del 1987, gli ampi, incisivi poteri d’indagine del giudice, peraltro potenziati a seguito dell’introduzione della possibilità di accesso alle banche dati automatizzate; poteri d’ufficio che costituiscono una notevole deroga ai principi generali sull’onere della prova, nonostante la natura certamente disponibile dell’assegno divorzile27. Ai criteri presenti nella norma viene assegnata una valenza paritaria, attraverso un forte richiamo al giudice a valutarli tutti e a dar conto in sentenza del percorso argomentativo utilizzato per eventualmente escluderli, ovvero ricomprenderli fra i motivi di accoglimento o rigetto. Il giudice di legittimità giunge quindi, alla conclusione che il parametro attraverso il quale effettuare la valutazione ha natura composita, senza che un criterio prevalga sull’altro, dal momento che gli indici presenti nella norma hanno valore equivalente, in quanto rivelatori della declinazione del principio di solidarietà e pari dignità, desumibili da richiami a norme fondamentali, quali gli artt. 2, 3, 29 Cost., 143, 144 c.c., 8 e 12 CEDU. I parametri non vanno ricercati altrove rispetto alla norma, ma all’interno della stessa, in una valutazione comparata, equi-ordinata, composita. Quelli che in precedenza erano i criteri utilizzati solo nella valutazione del quantum dell’assegno, tornano ora ad essere complessivamente considerati ai fini del giudizio, anche in sede di riconoscimento, pertanto sia nella fase attributiva, sia in quella determinativa dell’assegno. Si parla quindi, di criterio integrato; il profilo assistenziale deve essere calato nell’ambiente sociale del richiedente, che è un contesto costituito da diverse variabili, quali le condizioni personali, ma anche la situazione oggettiva conseguenza della relazione coniugale, i compiti di cura dei figli, il contributo alla carriera del coniuge. Se lo scioglimento del matrimonio cancella con un tratto di penna lo status di coniugi, non altrettanto può fare con riguar do alle scelte di realizzazione personale e di condivisione di vita familiare, specie laddove si sia al cospetto di un rapporto matrimoniale di lunga durata. La Corte si preoccupa altresì di prevenire le obiezioni alla sua interpretazione. Il superamento della distinzione fra criterio attributivo e determinativo dell’assegno non consente al giudice di basare il riconoscimento su un solo elemento, ciò che darebbe nuovamente luogo alla criticata discrezionalità, perché la valutazione integrata degli indici si rende sempre necessaria. In ogni caso, si sostiene che la funzione equilibratrice dell’assegno non è destinata a ricostituire il tenore di vita già goduto in costanza di matrimonio, bensì a riconoscere il contributo fornito alla realizzazione della situazione comparativa, quale si presenta nel momento del giudizio. Il focus non può essere indirizzato né al solo soggetto obbligato, come ad orientare il giudizio in direzione del pregresso tenore di vita, né al solo richiedente, siccome finalizzato all’applicazione del principio di autoresponsabilità, bensì ad un necessario confronto delle situazioni individuali quali scaturiscono dal progetto di vita comune. La funzione perequativa, equilibratrice, dell’assegno di divorzio, torna in evidenza ed assume un rilievo significativo anche rispetto alla funzione assistenziale.



3. Corsi e ricorsi



Il contrastante quadro giurisprudenziale venutosi a creare, tuttora presente a voler sfogliare i repertori, nonostante i chiarimenti delle Sezioni Unite, ha destato non poche perplessità28. In talune pronunce di merito si può trovare un richiamo formale al precedente nomofilattico di legittimità, ma i principi applicati paiono riaprire, quantomeno sottotraccia, all’impostazione più rigida avviata dalla I sezione, la nota sentenza 11504 del 2017. A conferma vi è stato chi, nel negare l’assegno di divorzio, ha richiamato espressamente i principi introdotti dalla sentenza 11504 del 2017 della I Sezione, in luogo delle Sezioni Unite29. Altri30, pur confermando che la funzione dell’assegno è assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa, riconosce quest’ultimo criterio affermando – nel caso di specie – che “la signora (divenuta nel frattempo titolare di pensione ed avendo ereditato immobili e capitali) ha concorso alla conduzione familiare esclusivamente con il proprio lavoro di casalinga accudendo alla casa ed ai figli” e per l’effetto riducendo l’assegno da 2.300,00 a 500,00 euro.

Altri ancora31, pur asserendo di voler fare applicazione dei nuovi criteri fissati dalle Sezioni Unite ai fini del riconoscimento dell’assegno, pervengono ad esiti diametralmente opposti. Per il giudice di primo grado lo squilibrio fra le parti è da ricondurre alle scelte di vita effettuate dalla coppia nel corso del matrimonio; viceversa secondo il giudice di seconde cure vengono in rilievo: la durata non eccessiva del matrimonio, l’assenza di figli, il contributo fornito al ménage non particolarmente significativo, le opzioni endomatrimoniali comunque condivise e non penalizzanti, le prospettive lavorative concrete; elementi tutti apprezzati nel segno dell’esclusione del diritto all’assegno. Recente pronuncia di merito32 sembra riproporre la scomposizione del giudizio sull’assegno in due fasi: quella dell’an, “da risolversi alla luce della comparazione delle rispettive situazioni economico reddituali”, con un forte richiamo alla fase dell’unione coniugale, alla quale farebbe seguito un “giudizio composito – da svolgersi in prospettiva futura – di autosufficienza economica”. Ma se da un lato si riconosce l’intrinseca relatività del parametro dell’adeguatezza dei mezzi, al contempo si attribuisce ancora dignità di riferimento tuttora valido al criterio del tenore di vita, seppure riguardato con prudenza33. Da ultimo, sempre la prima sezione della Cassazione34, in una vicenda simile al precedente del 2017, ribadisce il proprio restrittivo orientamento35, con buona pace della ricostruzione offerta dalle Sezioni Unite. Vi si sostiene che il parametro della conservazione del tenore di vita non ha più cittadinanza nel nostro sistema; che l’onere di provare l’esistenza delle condizioni legittimanti l’attribuzione e la determinazione dell’assegno grava esclusivamente sul coniuge richiedente; che l’assegno svolge l’imprescindibile finalità principalmente assistenziale. Secondo la Corte, il mero dato numerico dello squilibrio economico fra le parti e l’alto livello reddituale del coniuge destinatario della domanda non possono e non debbono far rientrare in gioco, in maniera surrettizia, il parametro della conservazione del tenore di vita matrimoniale, né deve gravare sul coniuge obbligato la prova dell’autosufficienza economica dell’istante. Siamo al cospetto di un’interpretazione autarchica dell’arresto delle sezioni unite, al quale si attribuisce ora questo, ora quel significato, a seconda di ciò che è utile all’affermazione dell’una ovvero dell’altra delle tesi contrapposte.



4. Obiettivo, ridurre la discrezionalità



Al cospetto della efficace immagine della “ennesima torre di Babele nella cittadella della famiglia”36 l’auspicato intervento legislativo appare al presente l’unico argine ipotizzabile, benché non ci si possa illudere che l’intervento riformatore possa risolvere ogni aporia, data l’intrinseca genericità dei pur innovati criteri da un lato, e la tendenziale e segnalata anarchia giurisprudenziale riscontrata dall’altro. Il legislatore ha quindi assunto la consapevolezza di dover porre mano ad una riforma in una materia che impatta sensibilmente sulle condizioni di vita dei cittadini, per circoscrivere il potere dello ius dicere, o quantomeno poter affermare di averlo fatto. Anche alla riforma del 1987 era stato riconosciuto come scopo quello di limitare l’eccessiva discrezionalità consentita dalla norma. A partire dal testo originario della legge 898 del 1970, si è sempre lamentato un eccesso di discrezionalità nella concreta applicazione dei parametri indicati, utilizzati troppo spesso per giustificare ex post una decisione già assunta. L’obiettivo del legislatore della riforma del 1987 era quello di operare il “superamento della natura composita dell’assegno di mantenimento affermatasi sulla scorta del testo originario della legge del 1970”37. Le sentenze gemelle delle Sezioni Unite del 199038 consentivano al giudice del divorzio di non tenere conto di tutti i criteri indicati dalla norma, riconoscendo come possibile semplicemente il dare atto di averli presi in considerazione39. Di qui l’importanza che aveva assunto in allora l’innovato parametro dei “mezzi adeguati”, che assegnava una posizione di rilievo alla componente assistenziale e considerava sufficiente, nell’interpretazione datane, la mera comparazione delle sostanze fra le parti e l’accertamento di una disparità fra i coniugi. Da più parti40 si ritiene non ulteriormente procrastinabile un intervento di riscrittura, quantomeno parziale, del testo di legge, per rendere l’istituto dell’assegno di divorzio, a distanza di cinquant’anni dalla sua introduzione, al passo con il sentimento comune e l’evoluzione sociale, maggiormente conforme ai modelli europei nei quali il principio di autoresponsabilità del singolo viene valorizzato in modo tale da ricondurre l’assegno ad una misura atta al raggiungimento dello scopo solidaristico, senza indebiti arricchimenti o locupletazioni. L’attuale testo dell’art. 5 comma 6 legge divorzio ha dato luogo a rilevanti differenze nelle applicazioni ai casi concreti, a causa di un’interpretazione che tendeva ad equiparare le condizioni per l’assegno di divorzio a quelle previste per l’assegno di mantenimento in sede di separazione. Le Sezioni Unite ne hanno offerto una ricostruzione plausibile, rispettosa dei principi fondamentali di uguaglianza e pari dignità.

Lo squilibrio economico fra le parti può rilevare in funzione perequativa-compensativa, solo ove sia conseguenza del sacrificio di aspettative professionali e reddituali concrete, dovuto a scelte di vita assunte durante il matrimonio. Tutti i criteri enunciati dal comma 6 vanno esaminati specificamente. Dal momento che il tenore della norma è rimasto lo stesso, è prevedibile che vi siano corti che, pur citando il precedente delle sezioni unite, continueranno a dare la prevalenza ad un criterio, di fatto escludendo la valutazione degli ulteriori indici o semplicemente riducendo il peso attribuito agli altri criteri.



5. Le ragioni ed il significato del disegno di legge



Dati i presupposti, la proposta di riforma della materia divorzile, d.d.l. n. C50641, quanto al riconoscimento di un assegno in caso di scioglimento del matrimonio, ma anche dell’unione civile, in corso di esame alle camere42, non consente di affermare che i nodi interpretativi verrebbero sciolti, ciononostante costituisce un passo avanti in questa direzione, nel solco peraltro già tracciato dalla pronuncia 18287 del 201843. L’intento del legislatore della riforma è quello di indicare linee normative idonee a evitare, da un lato, che lo scioglimento del matrimonio arricchisca ingiustamente uno degli ex coniugi, dall’altro, che sia causa di degrado esistenziale per il coniuge economicamente debole, che abbia confidato nel programma di vita del matrimonio, dedicandosi alla cura della famiglia, rinunciando in tal modo a sviluppare una buona formazione professionale ed a svolgere una proficua attività di lavoro o di impresa. La proposta di legge pone in primo piano l’obiettivo al quale deve tendere l’assegno divorzile: quello di equilibrare, per quanto possibile, le disparità che si possono creare nelle condizioni di vita degli ex coniugi a seguito del divorzio. È quanto si rinviene nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge. Il novellato sesto comma della norma viene a costituire, sia per posizione, sia per espressione, il preambolo delle condizioni in forza delle quali il Tribunale, senza alcun automatismo, a seguito di ponderata valutazione, può – non più deve – riconoscere un assegno a favore di un coniuge, elencate di seguito nel successivo nuovo comma 7. Si passa da una funzione eminentemente assistenziale, evincibile dall’attuale locuzione “il Tribunale dispone”, all’espressione contenuta nel nuovo testo “può disporre”, che apre a funzioni diverse, compensativa, perequativa, risarcitoria. A marcare da subito l’impostazione solidaristica della nuova formulazione della norma la soppressione, come presupposto, del requisito della carenza di redditi adeguati, ovvero dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, elementi che erano stati introdotti dalla riforma del 1987 e avevano dato origine alla vexata quaestio del parametro esterno al quale rapportarli.

Scompare quindi l’aggiunta all’articolo introdotta con la legge di riforma del 1987, l’elemento considerato per anni il parametro attraverso il quale effettuare la valutazione del criterio attributivo, benché lo stesso si presentasse orfano di specificazione, che veniva cercata al di fuori della norma. Al suo posto troviamo una ben più articolata costruzione, ovvero: “la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive, anche in considerazione della mancanza di un’adeguata formazione professionale o di esperienza lavorativa, quale conseguenza dell’adempimento dei doveri coniugali nel corso della vita matrimoniale”. Esso costituisce solo uno dei criteri elencati dal testo novellato, in posizione equivalente agli altri, ciò che non dovrebbe fargli assumere il carattere di criterio esclusivamente o prevalentemente attributivo che in precedenza era stato assegnato ai “mezzi adeguati”, anche se solo la concreta applicazione che ne verrà data potrà fornirci effettivo riscontro. I criteri filtro che la giurisprudenza è chiamata ad applicare per pervenire al riconoscimento o meno del diritto all’assegno ed alla sua determinazione – aventi pertanto carattere parimenti attributivo e determinativo – sono riportati nel successivo nuovo settimo comma e ricalcano in buona sostanza i principi espressi dalle Sezioni Unite44, pur con alcuni distinguo ed una significativa differenza nell’ordine delle priorità rispetto al testo vigente. A venire in evidenza ora, posto in cima ai requisiti richiamati, è 1) la durata del matrimonio, la quale sembra assumere i connotati di un prisma attraverso il quale valutare tutti i successivi indicatori elencati. Questi ultimi sono costituiti: 2) dalle condizioni personali ed economiche nelle quali vengono a trovarsi i coniugi a seguito del divorzio; 3) l’età e lo stato di salute del soggetto richiedente; 4) il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed al patrimonio di ciascuno e comune; 5) il patrimonio ed il reddito netto di entrambi; 6) la già segnalata ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive, anche in considerazione della mancanza di un’adeguata formazione professionale o di esperienza lavorativa, quale conseguenza dell’adempimento dei doveri coniugali; 7) l’impegno di cura di figli minori, disabili o comunque non economicamente indipendenti; infine 8) il comportamento complessivamente tenuto da ciascuno in ordine al venir meno della comunione spirituale e materiale. Si conferma quindi una funzione e natura polivalente, composita del mantenimento, come esplicitato dalle Sezioni Unite sin dalla loro prima pronuncia, la n. 1194 del 1974, una funzione del pari assistenziale, perequativa, compensativa, risarcitoria. Rispetto al testo vigente della norma, la proposta si prefigge lo scopo di dettagliare maggiormente i presupposti e di adeguare il testo all’attualità. Così il sintetico richiamo alle condizioni dei coniugi acquista la caratterizzazione “personali ed economiche” e viene delimitata a quelle in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito del divorzio. L’età e lo stato di salute del richiedente entrano esplicitamente a far parte dei requisiti e costituiscono, almeno formalmente, una novità del testo, anche se va rammentato che sino ad oggi erano di fatto richiamati dalla giurisprudenza, recuperati in forza del rinvio alla circostanza che il richiedente si trovi in condizioni di non potersi procurare mezzi adeguati per ragioni oggettive e in questo senso apprezzati come indici supplementari45. Le precedenti sezioni unite – 11490 del 1990 – arrivarono a ricomprendervi “le consuetudini ed il sistema di vita dipendenti dal matrimonio, il contesto sociale ed ambientale in cui si vive (e simili)”. Detti criteri rispondono prevalentemente a quell’esigenza assistenziale da tutti riconosciuta come immanente alla funzione attribuita alla solidarietà post coniugale. Alla funzione più squisitamente compensativa, come riconosciuta anche dalla Cassazione46, si rifà il criterio del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio dei singoli e di quello comune. Di tale contributo la parte richiedente deve fornire la prova con ogni mezzo, anche mediante presunzioni. Alla funzione perequativa si riconducono i criteri che fanno riferimento al patrimonio ed al reddito; nonché alla condizione di ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive. Tra i criteri nuovi che entrano opportunamente a far parte, esplicita, degli elementi dei quali tener conto, vi è l’impegno di cura dei figli comuni minori, disabili o comunque non economicamente indipendenti. La limitazione ai soli figli comuni, oltre a non tener conto dell’evoluzione sociale e giurisprudenziale in tema di genitore sociale, si palesa ingiustificata, in quanto introduce tutele differenziate in relazione a soggetti che andrebbero viceversa tutelati, basti pensare ai figli avuti da una precedente relazione, rientranti a pieno titolo in quel progetto di vita comune della coppia che è posto al centro della valutazione dell’indirizzo della vita familiare al quale fa riferimento l’art. 144 c.c.47. Si può sostenere che verrebbe in tal modo confermata la linea di pensiero secondo la quale l’assegno è dovuto anche al coniuge che abbia redditi propri, laddove la disparità economica sia conseguenza della divisione dei compiti che i coniugi si sono dati nel corso del matrimonio. Snodo cruciale, tuttora punto debole del sistema, tralasciato dal legislatore della riforma, è quello relativo all’onere della prova, soprattutto per ciò che concerne gli elementi negativi che il richiedente l’assegno è chiamato a fornire: mancanza di redditi, ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive; mancanza di un’adeguata formazione; mancanza di esperienza lavorativa. L’orientamento giurisprudenziale affermatosi e lo stesso progetto di legge richiedono nuove efficaci articolazioni probatorie, necessarie a confermare o contrastare l’affermazione48 secondo cui, in presenza di un coniuge non dedito ad attività lavorative, si debba de plano procedere a compensazione, richiedendosi invece la più stringente prova ch’egli abbia effettivamente contribuito alla carriera dell’altro ed alle esigenze della famiglia49.

Scompare invece dall’elenco degli elementi presenti oggi il richiamo alle ragioni della decisione, uno degli indici invero più generici e dalla portata latamente risarcitoria. In proposito le Sezioni Unite del 199050 così si esprimevano: “Con riguardo alle ragioni della decisione, l’assegno ha carattere risarcitorio, dovendo considerarsi sia la valutazione delle cause che hanno condotto allo scioglimento del matrimonio, sia l’interesse che ha il coniuge a tale scioglimento”. Si tratta in effetti dell’indicatore che ha avuto statisticamente il minor numero di applicazioni e che oggi è reso ancor più anacronistico dalla sempre maggiore resistenza delle corti a riconoscere il suo più probabile antecedente, la pronuncia di addebito della separazione. Ciononostante recentissima ordinanza n. 16796 del 1° giugno 2019 fa esplicito riferimento, oltre alla lunga durata del matrimonio, alla addebitabilità della crisi al comportamento tenuto dal coniuge in costanza di matrimonio51. Il progetto di legge recupera però, la funzione prettamente risarcitoria dell’assegno attraverso un nuovo parametro, costituito dal “comportamento complessivamente tenuto da ciascuno in ordine al venir meno della comunione spirituale e materiale”, elemento che tuttavia apre la strada ad una rinnovata, quanto temuta, discrezionalità delle corti. Con il comma 852 viene introdotta la novità, che trova un precedente nella legislazione francese, della possibilità che il contributo al mantenimento sia limitato nel tempo. Il codice civile francese, all’articolo 270 e seguenti, prevede che in sede di divorzio uno degli sposi possa essere chiamato a fornire all’altro una prestazione destinata a compensare la disparità che la rottura del matrimonio può creare nelle rispettive condizioni di vita53. Al giudice è affidato il compito di stabilire siffatta prestazione compensativa, mediante riconoscimento di una somma capitale, ovvero l’attribuzione di un diritto reale, o il pagamento di detta somma dilazionato per un periodo non superiore a otto anni54. Il contributo è calcolato tenendo conto delle necessità del richiedente e dell’obbligato, della situazione al momento del divorzio e dell’evoluzione prevedibile, nonché di altri fattori, come la durata del matrimonio, l’età e le condizioni di salute, la situazione professionale, le conseguenze delle scelte operate in costanza di matrimonio55. Nell’ottica del legislatore francese si è al cospetto di una prestazione unica, eventualmente ripartita sino ad un massimo di otto anni; nel progetto di legge italiano si parla di durata predeterminata dell’assegno, senza tuttavia che sia il legislatore a fissarne il termine massimo, nei casi in cui la ridotta capacità reddituale dell’ex coniuge sia dovuta a ragioni contingenti o comunque superabili, ciò che tuttavia richiede una valutazione prognostica decisamente complessa. Quella dell’obbligazione a tempo è una strada già intrapresa dalla legge 76 del 201656, per quanto concerne l’assegno alimentare in caso di cessazione della convivenza di fatto: laddove il comma 65 dell’unico articolo riconosce che “In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’articolo 438, secondo comma, del codice civile”. In questo caso però la durata è predeterminata dalla legge, mentre nella nuova ipotesi formulata dal disegno di legge, viene lasciata al prudente apprezzamento del giudice. È comunque tangibile il cambio di prospettiva, segno del mutamento dei tempi, fra l’assegno postmatrimoniale, definito tendenzialmente vitalizio57 ed un contributo limitato nel tempo, destinato ad agevolare la ricerca di nuove opportunità. Nel nono comma si ratifica un principio divenuto sostanzialmente diritto acquisito da larga parte della giurisprudenza: quello in forza del quale non solo le nuove nozze e l’unione civile del beneficiario, ma anche una nuova convivenza, sebbene non registrata, determinano il venir meno del diritto all’assegno. Si tratta di un orientamento che si è fatto strada nel corso degli anni duemila58, via via consolidatosi59 e ribadito anche recentemente60, in virtù del quale, più che ai dati formali della coabitazione continuativa fra partner, si guarda alla sostanza del fenomeno: la relazione stabile che realizza una famiglia di fatto produce un effetto estintivo permanente dell’obbligo di contribuzione, che non potrà tornare a rivivere ove la detta relazione di fatto per qualsivoglia motivo si interrompa61. Va notato in conclusione che nel disegno di legge a manca re è soprattutto l’elemento chiave, da tutti segnalato: il parametro al quale agganciare la valutazione di “ridotta capacità reddituale” (l’attuale adeguatezza ovvero inadeguatezza delle sostanze) in capo al richiedente. Il tenore della norma, pur nella versione che si vorrebbe novellata, rischia di generare nella giurisprudenza quell’alternanza fra opposti schieramenti riprodottasi dal 1987 ad oggi: chi a favore della valorizzazione e promozione dell’autonomia economica fra gli ex coniugi da una parte, e chi invece a sostenere la funzione solidaristica, riequilibratrice, compensativa dell’assegno. Sembra quindi che si sia persa l’occasione per circoscrivere, meglio di quanto non si sia fatto sinora, il momento saliente della individuazione della soglia minima. Ove il percorso di discussione del disegno di legge dovesse trovare lo sbocco dell’approvazione presso i due rami del parlamento, si tratterà, come sempre, di verificare l’effettiva tenuta e la concreta applicazione della norma, nella sua forma novellata, per comprenderne a pieno i limiti e le potenzialità, nonché il favore che potrà trovare presso l’autorità giudiziaria deputata alla sua concreta attuazione nelle singole fattispecie sottoposte alla sua attenzione. Dati i precedenti l’operatore pratico sarà chiamato ad un prudente apprezzamento e ad una cauta opera di previsione degli indirizzi interpretativi che potranno formarsi.

NOTE

1 G. PaSCuZZi, La creatività del giurista, Bologna, 2013.

2 La normativa sull’assegno di divorzio non è chiara, è disomogenea e contraddit-

toria, il che ha provocato numerosi affaticamenti della dottrina e della giurisprudenza, G. Bonilini, a. naTale, L’assegno post matrimoniale, in Trattato di Dir. Famiglia, vol. III, Torino, 2870.

3 a. ToTaro, L’assegno di divorzio, in Tratt. Dir. Fam. Zatti, II ed., 2011, 1631 ss., ricorda: “La norma – la cui farraginosa formulazione è sintomatica delle difficoltà incontrate dal legislatore nel dare appagante soluzione al problema dell’assetto dei rapporti tra gli ex coniugi, sul quale convergono differenti istanze ideologiche e si riflettono concezioni anche etiche diverse del matrimonio e del divorzio – rinviene comunque il suo essenziale nucleo precettivo nella parte finale, ove si prevede la corresponsione dell’assegno in favore del coniuge che sia sprovvisto di mezzi adeguati ed incapace di procurarseli”.

4 Secondo un primo orientamento, espresso dalla Corte di Cassazione n. 1322 del 17 marzo 1989: “In materia di assegno di divorzio, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 10 legge 6 marzo 1987 n. 74 all’art. 5, comma quarto, della legge 1 dicembre 1970 n. 898 (applicabili anche ai giudizi in corso al momento dell’entrata in vigore della prima legge), condizione necessaria per affermare il diritto all’assegno – la cui natura risulta eminentemente assistenziale – è che il coniuge richiedente non abbia redditi adeguati, e cioè tali che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello che aveva in costanza di matrimonio; pertanto il giudice del merito, ove accerti l’adeguatezza dei mezzi del richiedente (comprensivi sia dei redditi che dei cespiti patrimoniali che non producono reddito, ma che possono soddisfare i bisogni del proprietario attraverso la loro alienazione), legittimamente rigetta la domanda di assegno senza necessità di esaminare gli altri elementi indicati nella norma”. Secondo altro orientamento, sostenuto dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 1652 del 2 marzo 1990: “A seguito della riforma introdotta dalla legge 6 marzo 1987 n. 74, all’assegno di divorzio è stata riconosciuta dal legislatore (art. 10 legge cit., che ha modificato l’art. 5 legge 1 dicembre 1970 n. 898) natura eminentemente assistenziale, per cui ai fini della sua attribuzione assume ora valore decisivo l’autonomia economica del richiedente, nel senso che l’altro coniuge è tenuto ad ‘aiutarlo’ solo se egli non sia economicamente indipendente e nei limiti in cui l’aiuto si renda necessario per sopperire alla carenza dei mezzi conseguente alla dissoluzione del matrimonio, in applicazione del principio di solidarietà ‘postconiugale’, che costituisce il fondamento etico e giuridico dell’attribuzione dell’assegno divorzile. Pertanto, la valutazione relativa all’adeguatezza dei mezzi economici del richiedente deve essere compiuta con riferimento non al tenore di vita da lui goduto durante il matrimonio, ma ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso, quale, nei casi singoli, configurato dalla coscienza sociale”. Per approfondimenti www.magistraturaindipendente.it/attribuzione-dellassegno-divorzile-evoluzione-normativa-e-contrasti-in-giurisprudenza.

5 Nel corso dei lavori preparatori alla riforma del 1987 si era tentato di inserire nel testo la dicitura dignitoso mantenimento per qualificare meglio l’adeguatezza dei mezzi, ma poi all’ultimo momento, in sede di approvazione, la specificazione sparì.

6 Espressioni che costituiscono la spia del riconoscimento del ruolo fondamentale rivestito dai giudici nell’evoluzione del diritto. La stessa Cassazione ha rivendicato per sé stessa il ruolo di fonte del diritto coniando l’espressione “giurisprudenza normativa”, in Cass., 11 maggio 2009, n. 10741, in Foro it., 2010, I, 141: “È indubbio che il vigente codice civile non rappresenta più l’unica fonte di riferimento per l’interprete in un ordinamento caratterizzato da più fonti, tra cui una posizione preminente spetta alla Costituzione repubblicana del 1948, oltre alla legislazione ordinaria, alla normativa comunitaria, e alla stessa giurisprudenza normativa”. Anche alla recente pronuncia a sezioni unite 18287 del 2018 è stato attribuito “l’impatto di una nuova legge”, B. de FiliPPiS, in nota a Cass. 1 giugno 2019 n. 16796, in Quotidiano giur., 17 luglio 2019, WK.

7 Ne dà conto, fra gli altri, A. laMorGeSe in L’assegno divorzile e il dogma della conservazione del tenore di vita matrimoniale, in QuestioneGiustizia.it, 11 marzo 2016; M. FinoCChiaro ha parlato di una “pressocché monolitica giurisprudenza”, in L’autoresponsabilità prevale sul concetto di assistenzialismo, in Guida dir., 23, 27 maggio 2017.

8 Cass. civ. Sez. Unite, 29 novembre 1990, n. 11490, Foro it., 1991, I, 67, note di E. Quadri, v. CarBone. L’assegno periodico di divorzio, nella disciplina introdotta dall’art. 10 della l. 6 marzo 1987 n. 74, modificativo dell’art. 5 della l. 1 dicembre 1970 n. 898, ha carattere esclusivamente assistenziale (di modo che deve essere negato se richiesto solo sulla base di premesse diverse, quale il contributo personale ed economico dato da un coniuge al patrimonio dell’altro), atteso che la sua concessione trova presupposto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio. Ove sussista tale presupposto, la liquidazione in concreto dell’assegno deve essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. A quest’ultimo fine, peraltro, il giudice del merito, purché ne dia adeguata giustificazione, non è tenuto ad utilizzare tutti i suddetti criteri, anche in relazione alla deduzione e richieste delle parti, salva restando la valutazione della loro influenza sulla misura dell’assegno stesso (che potrà anche essere escluso sulla base della incidenza negativa di uno o più di essi).

9 Cass. civ. Sez. Unite, 29 novembre 1990, n. 11492, in Giur. it., 1991, I, 1, 1410 nota di P. Colella.

10 Con la svolta della sentenza Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2017, n. 11504, in Giur. it., 2017, 6, 1299 nota di A. di MaJo.

11 Corte costituzionale 11 febbraio 2015 n. 11, in Foro it., 2015, 4, I, 1136: “Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 6 l. 1 dicembre 1970 n. 898, come modificato dall’art. 10 l. 6 marzo 1987 n. 74, censurato per violazione degli artt. 2, 3 e 29 Cost. nell’interpretazione di diritto vivente per cui l’assegno divorzile deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. L’esistenza, presupposta dal rimettente, di un ‘diritto vivente’ non trova riscontro nella giurisprudenza del giudice della nomofilachia (che costituisce il principale diritto vivente) secondo la quale, viceversa, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio rileva per determinare in astratto il tetto massimo della misura dell’assegno (in termini di tendenziale adeguatezza al fine del mantenimento del tenore di vita pregresso), ma in concreto, quel parametro concorre, e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nello stesso denunciato art. 5. Tali criteri (condizione reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio, ragioni della decisione) agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto e possono valere anche ad azzerarla. L’erronea interpretazione della norma denunciata, da cui muove il resistente, travolge conseguentemente, in radice, tutte le censure, in ragione di take tale premessa, dallo stesso formulate”.

12 Le sentenze a sezioni unite del 1990 avevano attribuito valore prevalente al nuovo criterio introdotto dalla riforma del 1987 dell’assenza di mezzi adeguati, tanto da ritenere che l’assegno dovesse essere negato se richiesto sulla base di premesse diverse, come il contributo personale ed economico dato da un coniuge al patrimonio dell’altro.

13 Ex pluris: A. laMorGeSe, op. cit.; M. FinoCChiaro, op. cit.; E. al Mureden, Il parametro del tenore di vita coniugale nel ‘diritto vivente’ in materia di assegno divorzile tra persistente validità, dubbi di legittimità costituzionale ed esigenze di revisione, in Fam. e dir., 2014, 694.

14 In questo senso A. CaTTaneo, L’assegno di divorzio: dal criterio misto al tenore di vita, andata e ritorno, in IlFamiliarista.it, 17 luglio 2019.

15 Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2017, n. 11504: “Il giudice del divorzio deve verificare, nella fase dell’an debeatur – con riferimento ai ‘mezzi adeguati’ del coniuge che richiede l’assegno, l’indipendenza e l’autosufficienza economica di ciascuno dei coniugi e non il tenore di vita goduto dal coniuge in costanza di matrimonio mentre, con riguardo al quantum –, deve tener conto, in ossequio al principio della solidarietà economica, di tutti gli elementi indicati dalla norma, quali le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contribuito di essi, il reddito di entrambi”. Giur. it., 2017, 6, 1299 nota di A. di MaJo.

16 In particolare alla sentenza n. 1652 del 1990, che concorse a creare il contrasto di giudicati che portò alle Sezioni Unite del 1990, la quale, innovando rispetto a precedenti orientamenti, stabilì che ai fini dell’attribuzione dell’assegno la valutazione relativa alla adeguatezza dei mezzi economici del richiedente “deve essere compiuta con riferimento non al tenore di vita da lui goduto durante il matrimonio, ma ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso, quale, nei casi singoli, configurato dalla coscienza sociale”. La sentenza è richiamata da G. luCCioli, La sentenza sull’assegno divorzile. Un nuovo che sa tanto di vecchio, in giudicedonna.it, n. 1/2017.

17 G. ServeTTi L’accidentato percorso del giudice di merito nel riconoscimento e nella determinazione dell’assegno di divorzio, in Fam. e dir., 11, 2018, 991; F. danovi, La meritevolezza dell’assegno di divorzio va valutata nel concreto svolgimento della vita coniugale, in Fam. e dir., 4, 2018, 373 commento a Corte d’Appello di Napoli, 22 febbraio 2018: “Anche dopo la sentenza della Cass. n. 11504/2017 non si può ritenere che l’autosufficienza economica rappresenti per sé sola elemento necessariamente impeditivo al riconoscimento dell’assegno di divorzio, poiché quest’ultimo va determinato in una prospettiva di meritevolezza ancorata, sullo sfondo, ai principi di eguaglianza tra i coniugi e di solidarietà, che distingua le modalità di durata e di svolgimento della vita familiare in comune e che tenga in concreto conto di tutti gli apporti (economici e non economici) dispiegati dai coniugi nel corso della vita comune e del tenore di vita dagli stessi condotto in costanza di matrimonio”.

18 Si è tentata la via del compromesso nelle pronunce di Cassazione, sez. VI, 26 gennaio 2018 n. 2042: “Fermo restando il principio per cui l’assegno di divorzio presuppone la mancanza di autosufficienza del beneficiario, devono escludersi pericolosi automatismi che renderebbero autosufficienza o non autosufficienza sempre identiche a se stesse ed eguali per tutti; il coniuge richiedente l’assegno non può riguardarsi come un’entità astratta, ma deve considerarsi come singola persona nella sua specifica individualità”, in Fam. e dir., 2018, 4, 321 nota di A. FiGone; e Cass. civ. Sez. VI-1 Ord., 7 febbraio 2018, n. 3016: “A giustificare l’attribuzione dell’assegno non è lo squilibrio o il divario tra le condizioni reddituali delle parti, all’epoca del divorzio, né di per sé il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente l’assegno rispetto alla situazione (o al tenore) di vita matrimoniale, ma la mancanza della ‘indipendenza o autosufficienza economica’ di uno dei coniugi. Infatti, nella fase del giudizio concernente l’‘an debeatur’ (con la quale in nessun modo può essere confusa la fase del ‘quantum debeatur’), il coniuge richiedente l’assegno, per il principio di autoresponsabilità economica, è tenuto quale ‘persona singola’ a dimostrare la propria personale condizione di non indipendenza o autosufficienza economica, sulla base degli indici sopra indicati in via orientativa. Alle condizioni reddituali dell’altro coniuge può aversi riguardo nell’eventuale fase della quantificazione dell’assegno (unitamente agli altri elementi, di primario rilievo, indicati dalla norma), alla quale è possibile accedere solo nel caso in cui la fase dell’‘an debeatur’ si sia conclusa positivamente per il coniuge richiedente l’assegno”, in Pluris, 2018.

19 d. PelleGrini, La giurisprudenza del Tribunale di Genova dopo la pronuncia della Corte di Cassazione n. 11504 del 2017, su osservatoriofamiglia.it, https://urly. it/32ha, relazione a margine della giornata di studi Il nuovo assegno divorzile dopo la pronuncia della Corte di Cassazione n. 11504 del 2017. Aspetti sostanziali e processuali, Genova, 25 gennaio 2018.

20 Cass. civ. Sez. Unite, 11 luglio 2018, n. 18287: “Ai sensi della l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, dopo le modifiche introdotte con la l. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”, in Quotidiano Giuridico, 2018; Giur. it., 2018, 8-9, 1843 con nota di C. riMini; Corriere giur., 2018, 10, 1186 con nota di A. PaTTi; Fam. e dir., 2018, 11, 1058; Nuova giur. civ., 2018, 11, 1607 con nota di C. BenanTi.

21 Cit. v. nota 12.

22 G. doSi, Resta fondamentale il contributo fornito durante l’unione, in Guida

dir., 32, 2018, 29: “In queste sentenze della prima sezione – affermano le sezioni unite – lo scioglimento del vincolo coniugale, comporta una netta soluzione di continuità tra la fase di vita successiva e quella anteriore. L’autodeterminazione e l’autoresponsabilità costituiscono la giustificazione di questa radicale cesura [...] All’assegno viene di conseguenza riconosciuta una natura giuridica ancorata a una condizione di mancanza ai autonomia economica, da valutare in considerazione della condizione soggettiva del richiedente, del tutto svincolata dalla relazione matrimoniale e unicamente orientata, per il presente e per il futuro, dalle scelte e responsabilità individuali”.

23 La distinzione fra l’accertamento dell’“an” e del “quantum”, secondo l’orientamento invalso dal 1990 al 2017.

24 Entrambe le pronunce, sia la 11504/2017 sia la 11287/2018 concordano sul punto: il tenore di vita non è più parametro al quale deve tendere l’assegno. 25 Chiamata anche capitale invisibile da M. ForTino, in La Nuova Giur. Civ. Comm., 11, 2018, 1704: “La sentenza delle Sezioni unite della Cassazione (n. 18287/2018) attribuisce una funzione perequativo-compensativa all’assegno di divorzio. Esso vale a compensare lo squilibrio tra le condizioni economiche dei coniugi, se quest’ultimo è dovuto al ‘capitale invisibile’, ossia alle capacità professionali e di reddito che uno di essi abbia conseguito grazie al ‘lavoro sommerso’ dell’altro. Una tale impostazione, che determina la necessità di valutare il passato comune dei coniugi, al fine di determinare sia l’an che il quantum dell’assegno, assume una sorta di valenza risarcitoria. Quest’ultima mal si concilia con il principio di autoresponsabilità che, dopo il divorzio, deve governare la vita degli ex coniugi, insieme al dovere di solidarietà

post-coniugale, che costituisce il fondamento dell’assegno di divorzio”.

26 Sempre Cass. civ. Sez. Unite, 11 luglio 2018, n. 18287, cit.

27 G. doSi, Assegno di divorzio e onere della prova, in Lessico di Diritto di Fa-

miglia, 6, 2018.

28 e. andreola, I nuovi presupposti dell’assegno divorzile: la distonia dei giudici di merito, in Corr. giur., 5, 2018, 639, a commento delle pronunce di Tribunale di Udine, Sez. I, 1° giugno 2017 e Tribunale di Arezzo 5 luglio 2017; A. PaTTi “Le critiche espresse nei confronti della sentenza ‘Lamorgese’ hanno determinato un intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che con la pronuncia in commento hanno fatto un ‘passo indietro’ rispetto alla innovativa soluzione elaborata dalla prima Sezione, imponendo una maggiore fedeltà ai criteri previsti alla legge. Inoltre, nonostante le dichiarate intenzioni di adeguare l’ordinamento italiano alle soluzioni prevalenti in Europea, ciò non è accaduto e anche per questa ragione sembra auspicabile che la materia venga disciplinata da una nuova legge, come del resto di recente è avvenuto in molti paesi, tra cui la Germania e la Francia”, in Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Sezioni Unite, Corr. giur. 10, 2018, 1197.

29 Tribunale di Firenze, sentenza 26 aprile 2019, in osservatoriofamiglia.it; 4 luglio 2019; https://bit.ly/2HoTEa7.

30 Corte d’Appello di Firenze, 15 luglio 2019, in osservatoriofamiglia.it, 1 agosto 2019, https://bit.ly/2lHbxce.

31 Tribunale di Pordenone 14 novembre 18, in osservatoriofamiglia.it, 10 maggio 2019; https://bit.ly/2lHtaIU e Corte d’Appello di Trieste, 24 aprile 19, in osservatoriofamiglia.it, 10 maggio 2019; https://bit.ly/2kthyJk.

32 Tribunale di Verona, 31 luglio 2019, in osservatoriofamiglia.it, 27 agosto 2019, https://bit.ly/2kuLp47.

33 In questo senso Cassazione, I sez., 14 febbraio 2019 n. 4523, in IlFamiliarista, con commento di C. SanSò, Ripristinato il criterio del tenore di vita per l’assegno di divorzio, 17 giugno 2019.

34 Corte di Cassazione, I Sezione, 9 agosto 2019, n. 21234, rel. Lamorgese, pluris.com.

35 Quello inaugurato con la sentenza 11504 del 10 maggio 2017, v. nota 12.

36 G. Savi, Il diritto all’assegno divorzile avanti alle corti di merito, ovverossia l’ennesima torre di Babele nella cittadella della famiglia, in Il Diritto di famiglia e delle persone, 1, 2018, 82; definizione che, benché riferita alla fase successiva al revirement della I sezione della Cassazione 11504/2017, si attaglia anche a questa fase di assestamento, ancora carente di orientamenti univoci; benché vi sia chi lo sostiene, tra questi C. CeCCheTTi, in Gli orientamenti della giurisprudenza di merito in tema di assegno di divorzio dopo la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 18287 del 2018, in www.giudicedonna.it, 4, 2018.

37 Relazione della commissione giustizia, senatore Lipari.

38 Corte di Cassazione, Sezioni Unite 24 novembre 1990 n. 11490, 11491

e 11492, cit. v. nota 8.

39 Ancora recentemente in questo senso Cass. Sez. I, 20 febbraio 2018 n. 4091, in Giust. civ. Mass., 2018.

40 a. PaTTi, op. cit.: “Quasi superfluo osservare che nella complessa materia, proprio a causa del mutamento della concezione del rapporto matrimoniale e del suo scioglimento, da tempo avrebbe dovuto intervenire il legislatore. Le sentenze in esame rappresentano pertanto un tentativo – comunque lodevole – di adeguare alla moderna realtà sociale una norma per molti versi obsoleta (art. 5, comma 6, l. 1° dicembre 1970, n. 898). La S.C., in entrambe le occasioni, ha svolto una funzione sostanzialmente legislativa, in una situazione di inerzia e di disinteresse degli organi preposti al necessario aggiornamento dell’ordinamento giuridico italiano”.

41 Dal titolo: Modifiche all’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile, d’iniziativa della deputata Morani, presentata il 12 aprile 2018.

42 Approvato alla Camera il 14 maggio 2019 e trasmesso al Senato.

43 Per B. de FiliPPiS, op. cit., il disegno di legge “non è in contrasto con l’interpretazione fornita dalla sentenza 18287/2018, ma si può dire ne accentua il carattere innovativo”. V. CianCiolo: “Il d.d.l. conferma la strada suggerita dalle Sezioni Unite nel 2018” (Il sì della Camera al d.d.l. in tema di assegno divorzile apre una nuova era, in Diritto24, 19 giugno 2019).

44 Cass. civ. Sez. Unite, 11 luglio 2018, n. 18287, cit.

45 A partire da Cass., sez. 1, 23 novembre 1976 n. 4419, in Giust. civ., 1977, I, 239.

46 Sezioni Unite 28287/2018, cit.

v. CianCiolo, op. cit.: “Il d.d.l. restituisce certamente attualità agli accordi di indirizzo della vita matrimoniale contemplati dall’art. 144 c.c.: spesso la causa della debolezza di uno dei coniugi, nel momento della crisi del matrimonio, vada ricercata nella scelta, più o meno spontanea, di dedicarsi, in via esclusiva o prevalente, alla cura domestica della famiglia, scelta che si traduce, poi, nella perdita completa di chances lavorative o della competitività necessaria all’avanzamento della carriera”.

48 Definita da B. de FiliPPiS, op. cit.: “Presunzione non esplicitamente affermata, ma presente sullo sfondo, come ‘convitato di pietra’”.

49 Spesso l’onere della prova viene invertito, imputandosi al coniuge obbligato al versamento di provare la sussistenza in capo al beneficiario di mezzi adeguati; sul punto la recentissima Corte di Cassazione, I Sezione, 9 agosto 2019, n. 21234, rel. Lamorgese, pluris.com.

50 Cit. v. nota 8.

51 B. de FiliPPiS, Assegno di divorzio dopo matrimonio durato 40 anni e andato

in crisi per colpa del marito, nota a Cass. 1 giugno 2019 n. 16796, in Quotidiano giur., 17 luglio 2019.

52 Dell’art. 5 l. 898/1970 nel testo modificato dal disegno di legge C506 in commento.

53 Article 270: “Le divorce met fin au devoir de secours entre époux. L’un des époux peut être tenu de verser à l’autre une prestation destinée à compenser, autant qu’il est possible, la disparité que la rupture du mariage crée dans les conditions de vie respectives. Cette prestation a un caractère forfaitaire. Elle prend la forme d’un capital dont le montant est fixé par le juge. Toutefois, le juge peut refuser d’accorder une telle prestation si l’équité le commande, soit en considération des critères prévus à l’article 271, soit lorsque le divorce est prononcé aux torts exclusifs de l’époux qui demande le bénéfice de cette prestation, au regard des circonstances particulières de la rupture”.

54 Article 274: “Le juge décide des modalités selon lesquelles s’exécutera la prestation compensatoire en capital parmi les formes suivantes: 1° Versement d’une somme d’argent, le prononcé du divorce pouvant être subordonné à la constitution des garanties prévues à l’article 277; 2° Attribution de biens en propriété ou d’un droit temporaire ou viager d’usage, d’habitation ou d’usufruit, le jugement opérant cession forcée en faveur du créancier. Toutefois, l’accord de l’époux débiteur est exigé pour l’attribution en propriété de biens qu’il a reçus par succession ou donation”.



55 Article 271: “La prestation compensatoire est fixée selon les besoins de l’époux à qui elle est versée et les ressources de l’autre en tenant compte de la situation au moment du divorce et de l’évolution de celle-ci dans un avenir prévisible. A cet effet, le juge prend en considération notamment: la durée du mariage; l’âge et l’état de santé des époux; leur qualification et leur situation professionnelles; les conséquences des choix professionnels faits par l’un des époux pendant la vie commune pour l’éducation des enfants et du temps qu’il faudra encore y consacrer ou pour favoriser la carrière de son conjoint au détriment de la sienne; le patrimoine estimé ou prévisible des époux, tant en capital qu’en revenu, après la liquidation du régime matrimonial; leurs droits existants et prévisibles; leur situation respective en matière de pensions de retraite en ayant estimé, autant qu’il est possible, la diminution des droits à retraite qui aura pu être causée, pour l’époux créancier de la prestation compensatoire, par les circonstances visées au sixième alinéa”.

56 Legge 20 maggio 2016, n. 76, Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, GU Serie Generale n. 118 del 21 maggio 2016; entrata in vigore il 5 giugno 2016.

57 a. ToTaro, L’assegno di divorzio, cit., 1631.

58 Di tale evoluzione da conto la stessa Cassazione nella pronuncia 8 agosto 2003 n. 11975, laddove dichiara: “Va sottolineato come sia venuta lentamente e progressivamente emergendo nella stessa giurisprudenza di questa Suprema Corte (vedi, da ultime Cass. 4158/89; 4761/93; Cass. 5024/97; Cass. 3503/98), la conclusione per cui, allorché la convivenza ‘more uxorio’, si caratterizzi per i connotati della stabilità, continuità e regolarità, tanto da venire ad assumere i connotati della cosiddetta ‘famiglia di fatto’ caratterizzata, in quanto tale, dalla libera e stabile condivisione di valori e modelli di vita (perciò stesso anche economici), il parametro di valutazione dell’‘adeguatezza’ dei mezzi economici a disposizione dell’ex coniuge non possa che registrare una tale evoluzione, recidendo – finché duri tale convivenza e ferma rimanendo, in questa fase la perdurante rilevanza del solo eventuale ‘stato di bisogno’ in sé, ove ‘non compensato’ all’interno della convivenza – ogni plausibile connessione con il tenore ad il modello di vita economici caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, e – con ciò stesso – ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile fondato sulla conservazione di esso”.

59 Cassazionecivilesez.I,3aprile2015,n.6855.L’instaurazionedapartedel coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso; in Foro it., 2015, 5, I, 1527 con nota di G. CaSaBuri.

60 Da ultimo: Cassazione 23 febbraio 2019 n. 5974, La costituzione di una nuova famiglia di fatto da parte dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno divorzile determina la perdita definitiva dell’assegno. Si tratta di un automatismo e non occorre la prova della modificazione in meglio della condizione economica del coniuge cui veniva versato l’assegno a seguito dell’intervenuto divorzio. Guida dir., 2019, 31, 66. Nello stesso senso Cassazione civile, sez. VI, 13 dicembre 2016, n. 25528, in Diritto & Giustizia, 2016, 14 dicembre; Cassazione civile, sez. VI, 5 febbraio 2018, n. 2732, in Diritto & Giustizia, 2018, 6 febbraio; Corte appello di Bologna, sez. I, 20 marzo 2017, n. 703, in Dejure, 2017.

61 Tribunale di Ravenna, 15 gennaio 2018, n. 19: “Costituisce principio indiscusso che la formazione di una nuova famiglia di fatto da parte del coniuge divorziato (o divorziando) determini la perdita definitiva dell’assegno divorzile, al punto che anche qualora tale convivenza cessi si rescinde ogni connessione con il tenore e il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, e con ciò ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile. Ciò peraltro si verifica soltanto quando la nuova convivenza abbia i connotati di stabilità e continuità costituendo un modello di vita in comune analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio, e così, una vera e propria ‘famiglia di fatto’”, in Dejure, 2018.