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Riflessioni sulla tutela del soggetto debole tra responsabilità genitoriale e amministrazione di sostegno in una prospettiva de iure condendo

autore: G. Vecchio

Sommario: 1. Profili di diritto sostanziale. - 1.1. L’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti del soggetto “debole”. - 1.2. Interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno. - 2. L’unificazione degli istituti in una prospettiva de iure condendo. - 3. Profili processualcivilistici. - 3.1. La differenziazione delle tutele processuali. - 3.2. Discipline a confronto fra il procedimento di amministrazione di sostegno e quello di interdizione inabilitazione. - 4. Verso un giudice tutelare unico in una prospettiva de iure condendo.



1. Profili di diritto sostanziale 1.1. L’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti del soggetto “debole”



La prima forma di protezione del soggetto “debole”1 risiede nel diritto/dovere dei genitori di prendersi cura dei propri figli. Il matrimonio impone ad ambedue i genitori “l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli” (art. 147 c.c.) e gli stessi doveri gravano sui genitori dei figli naturali in forza dell’art. 30 Cost. il quale dispone “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”. Si è osservato che l’art. 30 Cost. non può essere letto prescindendo dall’art. 2 Cost., perché, anche al minore, spetta l’esercizio delle libertà fondamentali, e di ciò deve tenersi conto nel delineare il contenuto della responsabilità genitoriale. I genitori hanno l’obbligo di contemperare l’esercizio della responsabilità con il rispetto della personalità e delle libertà costituzionali del minore2 . Il figlio ha diritto ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni; di crescere in famiglia; di mantenere rapporti significativi con i parenti3 .

In merito a quest’ultimo punto, l’art. 318 c.c. dispone che il figlio sino alla maggiore età o all’emancipazione, non può abbandonare la casa dei genitori o del genitore che esercita su di lui la responsabilità genitoriale né la dimora da essi assegnatagli. Nel caso in cui lo faccia senza il permesso dei genitori, i genitori possono richiamarlo ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare. L’allontanamento dalla casa familiare potrebbe, tuttavia, essere manifestazione di una libertà fondamentale come nel caso di grave dissidio con i genitori. In tal caso, si ritiene che il contrasto con i genitori debba essere risolto dal tribunale dei minorenni, ex art. 333 c.c., il quale dovrebbe tenere nel debito conto i desideri del minore4 . La responsabilità genitoriale, ai sensi dell’art. 316 c.c., impone ad entrambi i genitori di tenere conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori, di comune accordo, stabiliscono la residenza abituale del minore. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza, ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei. È previsto l’intervento del giudice solo in caso di disaccordo; infatti, questi, sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Se il contrasto permane, il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio.

Il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori del matrimonio, è fatto dai genitori, l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi. Il genitore che non esercita la responsabilità genitoriale vigila comunque, sull’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita del figlio. Il profilo di responsabilità dei genitori investe anche l’area della responsabilità extracontrattuale; infatti, ai sensi dell’articolo 2048 c.c., il padre e la madre, o il tutore sono imputabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c. discende da una presunzione iuris tantum di non aver impartito al minore un’educazione ed un’istruzione consona alle proprie condizioni familiari e sociali. Tale onere, peraltro, a volte non viene connesso esclusivamente alla titolarità della responsabilità genitoriale, ma più propriamente al rapporto parentale in sé e per sé considerato, sì che siffatta incombenza sussisterebbe anche in capo al genitore al quale non sia attribuito l’esercizio della stessa. Unica esimente è la prova di non aver potuto impedire il fatto5 . Tutto quanto sinora precisato, si riversa anche sul tema della rappresentanza ben espresso dall’art. 320 c.c. norma questa che si limita a regolare solo parte degli atti che competono ai genitori nell’ambito di esercizio della responsabilità genitoriale, riguardando esclusivamente gli atti aventi contenuto patrimoniale. L’ambito della responsabilità genitoriale è nondimeno più ampio, in quanto essa si estende anche all’esercizio dei diritti personali che spettano al minore6 . Tra i diritti non aventi carattere patrimoniale che sono esercitati dai genitori va ricordato, in primo luogo, l’esercizio del diritto di querela per i reati compiuti in danno del minore. Nel caso in cui il minore abbia compiuto i quattordici anni, esso spetta anche al minore personalmente, fermo restando che i genitori possono ugualmente proporre querela nonostante ogni contraria volontà, espressa o tacita, del minore (art. 120 c.p.). Il legislatore ha anche stabilito le ipotesi in cui i genitori (od anche uno solo di questi) si trovino in una situazione di conflitto di interessi col minore per cui, se sorge conflitto di interessi patrimoniali7 tra i figli soggetti alla stessa responsabilità genitoriale, o tra essi e i genitori o quello di essi che la esercita in via esclusiva, il giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale. Se il conflitto sorge tra i figli e uno solo dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, la rappresentanza dei figli spetta esclusivamente all’altro genitore8 .

La responsabilità genitoriale non cessa con la maggiore età. L’art. 337-septies c.c. sancisce che, il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto. Questa preliminare disamina è necessaria per introdurre il tema dei figli maggiorenni portatori di handicap grave a cui si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori. Si ritiene, comunque, che il giudice non possa limitarsi a prevedere a loro tutela delle misure fondate sulla semplice equiparazione con i figli minori, ma deve andare al di là di quanto stabilito dalla legge. All’atto pratico ciò implica, non solo il dovere dei genitori di assolvere al compito di garantire al figlio tutto il necessario sostentamento economico, ma anche di non far mancare al figlio accudimento e cure. Quando il figlio maggiorenne è portatore di un handicap di particolare gravità, necessita di forme di “protezione” non ordinarie che si concretizzano in forme di cure speciali (basti pensare al carattere permanente delle stesse, al fatto che spesso non tutte queste cure siano delegabili, all’impegno economico che comportano). Ciò comporta una speciale regolamentazione del diritto di frequentazione e di visita. Il figlio maggiorenne portatore di handicap ha diritto alle tutele economiche previste in favore dei figli minori. La particolarità del caso viene rappresentata da una realtà dinanzi alla quale emergono casi di disabilità che impediscono – ed impediranno in futuro – al soggetto “debole” di non poter far fronte al proprio sostentamento economico in via autonoma; basti pensare che i trattamenti economici statali percepiti dal disabile in ragione del proprio handicap (ad es. l’accompagnamento) devono considerarsi, ormai pacificamente, emolumenti indipendenti dal mantenimento dovuto dai genitori, avendo finalità meramente assistenziali. Inoltre, la valutazione del diritto e della misura dell’assegno in favore del figlio maggiorenne portatore di handicap va riferita sempre alla tendenziale possibilità per il figlio di fruire del tenore di vita goduto quando la famiglia era unita. Diversa la fattispecie che è prevista per il figlio disabile che sia divenuto maggiore d’età, capace di intendere e volere, nel giudizio di separazione, a cui non si applicano le norme sul suo affidamento, ma solo sull’eventuale diritto al mantenimento; valutate le circostanze, il giudice potrà disporre il versamento, in forma diretta, di un assegno periodico in favore di quest’ultimo, quando il giovane non sia economicamente autosufficiente. Vi possono essere casi in cui il soggetto “debole” si trovi in una condizione psico-fisica tale da poter essere parte di un procedimento di interdizione, inabilitazione, oppure di amministrazione di sostegno, per cui la responsabilità genitoriale lascia spazio ad altre forme di protezione.



1.2. Interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno



Con la legge 9 gennaio 2004 n. 69 , che ha introdotto l’Amministrazione di Sostegno, è esplicita “la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente” (art. 1). Il principio generale è, oggi, quello della piena capacità del soggetto, salve le limitazioni previste in funzione dell’esclusiva finalità di protezione delle persone “deboli”, definite come coloro che siano privi in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana. Avendo, tuttavia, il legislatore mantenuto gli istituti tradizionali dell’interdizione e dell’inabilitazione, si è posto il non semplice problema del loro coordinamento con l’AdS. Infatti, è stata inserita la parte fondamentale della disciplina del nuovo istituto direttamente nel codice civile, negli artt. 404-41310, collocati immediatamente prima dei tradizionali istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, lasciati in vigore dalla novella, sia pure con taluni non marginali adattamenti. Tuttavia, proprio nella scelta del legislatore, da più parti criticata in dottrina, di introdurre l’istituto dell’amministrazione di sostegno senza sostituirlo agli altri preesistenti, ma semplicemente affiancandoli, può scorgersi la causa delle maggiori difficoltà che sono fino ad oggi emerse nella interpretazione e nella applicazione di questo nuovo strumento. La maggioranza della dottrina11, invero, aveva auspicato, e auspica tuttora, che l’interdizione e l’inabilitazione venissero abrogate e sostituite completamente − in conformità a quanto realizzato, ad esempio, negli ordinamenti tedesco, austriaco e spagnolo12 − da un unico istituto di protezione, quale l’AdS, misura più flessibile e in grado di apprestare la tutela più ido nea in relazione alla specifica ipotesi di debolezza fisica o psichica della persona13. In questa prospettiva prevale nella prassi la tendenza ad attribuire, alle forme tradizionali di incapacità legale di agire, una funzione residuale per “ipotesi marginali, quando le circostanze del caso concreto non lasciano altre vie d’uscita per tutelare la persona”14. A distanza di 14 anni dall’entrata in vigore dell’AdS, tale “residualità” dell’applicazione dell’interdizione e dell’inabilitazione si è tradotta, molto spesso, in desuetudine degli istituti tradizionali in favore di un’applicazione sempre più generale dell’AdS. Sul piano del diritto positivo, l’amministrazione di sostegno richiede due concomitanti presupposti (art. 404 c.c.): a) l’esistenza di un’infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica; b) l’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. A sua volta, la pronuncia di interdizione (o, nei casi di minore gravità, di inabilitazione) può essere emanata in presenza di tre concomitanti requisiti (art. 414 c.c.):

a) la condizione di abituale infermità di mente;

b) l’incapacità di provvedere ai propri interessi;

c) la necessità della pronuncia stessa per assicurare l’adeguata protezione della persona. Si tratta di comprendere, allora, quando e perché la necessità di un’adeguata protezione della persona richieda la pronuncia di interdizione. Sul punto si registra un contrasto giurisprudenziale che vede parte della giurisprudenza15 sostenere che l’AdS sarebbe istituto “inidoneo” nel caso di malattia grave. Questo criterio è stato definito16 avente carattere “qualitativo”, perché suddivide le ipotesi di infermità tra quelle meno gravi o con concrete prospettive di regressione e quelle più gravi ed irreversibile, applicando al primo caso l’istituto dell’amministrazione di sostegno e al secondo caso la pronuncia di interdizione. Pertanto, l’interdizione troverebbe applicazione concreta nei casi qualitativamente più gravi dove il soggetto “debole” si trovi in una situazione di non poter far fronte ai suoi bisogni di vita quotidiana. Attenta dottrina17 ha rilevato, però, che questa interpretazione, ancorché suggestiva, è smentita da più ampie considerazioni di carattere sistematico. Anzitutto, come si è ricordato, l’art. 404 c.c. non consente affatto di escludere che l’AdS sia applicabile a persone affette da infermità mentale tenden zialmente permanente18. All’interdetto, infatti, la normativa consente di mantenere ambiti di capacità naturale19, sicché l’applicazione del criterio sopra illustrato dovrebbe coerentemente condurre a ritenere sempre inapplicabile l’istituto dell’interdizione. L’art. 427, 1 co., c.c.20, inserito dalla l n. 6 del 2004, induce a ritenere che la ratio della scelta dell’interdizione non possa essere quella di protezione utilizzabile per i casi di infermità mentale assoluta e irreversibile. Parte della giurisprudenza sostiene, invece, che occorre privilegiare il rimedio protettivo dell’interdizione per la necessità di “inibire al soggetto di esplicitare all’esterno capacità viziate che espongano sé od altri a possibili pregiudizi”21. La persona potrebbe infatti, presentare stati di alternanza tra condizioni di buona/errata lucidità, oppure lo stesso stato di lucidità possa risultare di difficile riconoscibilità da parte di estranei. In tal caso, la dottrina ha sostenuto che il malato può non essere adeguatamente tutelato da una misura − quale l’AdS − che il legislatore ha disciplinato come funzionale ad uno specifico “oggetto” e ad “atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario” (art. 405, 5° comma, n. 3 c.c.)22. Una pluralità di norme e di istituti continuano a stabilire regole che presuppongono l’interdizione e fanno da essa derivare effetti che la legge non riconosce, invece, all’AdS23. Sembrerebbe, pertanto, non essere centrale la questione circa il grado di capacità di intendere e di volere. Anche la giurisprudenza di legittimità e della Corte costituzionale, negli interventi avutisi in argomento, sembra avere accolta una siffatta prospettiva24.

A sua volta, la Suprema Corte25, chiamata a tracciare il discrimen tra vecchie e nuove forme di protezione dell’incapace, ha disatteso il criterio “quantitativo”, correlato, cioè, al diverso grado di incapacità manifestato dal soggetto. L’interdizione può rivelarsi necessaria, invece: a) ove si tratti di soggetto che si trovi in condizioni di abituale infermità, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi di gestire un’attività di una certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni, b) ovvero nei casi in cui appaia necessario impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sé, eventualmente anche in considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione che porti detto soggetto ad avere contatti con l’esterno. Tuttavia, successivamente, la giurisprudenza26 ha escluso che la necessità di precludere all’interessato la possibilità di compiere atti negoziali imponga la scelta dell’interdizione. Occorre considerare, infatti, che ben può il giudice graduare il progetto di sostegno in modo tale da escludere che l’incapace possa svolgere un’attività negoziale pregiudizievole, fermo restando il diritto, assicurato al beneficiario dall’art. 409 c.c., di conservare la capacità di agire per gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno. Infatti, ai sensi dell’art. 405, co. 5, nn. 3 e 4 c.c., il giudice tutelare, nel proprio decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, indica l’oggetto dell’incarico, gli atti che lo stesso amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario e quelli che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore, fermo restando che nell’applicazione della misura deve aversi riguardo alle esigenze del beneficiario stesso, alla cui cura e ai cui interessi deve essere esclusivamente orientata la scelta dell’amministratore di sostegno27.



2. L’unificazione degli istituti in una prospettiva de iure condendo



Il complessivo quadro della legislazione e dell’interpretazione giurisprudenziale non può che indurre ad auspicare una futura complessiva rivisitazione dell’intera materia dell’incapacità e degli effetti sul piano dei rapporti familiari, obbligatori e contrattuali, per giungere a uno statuto generale di protezione della persona affetta da infermità mentale, per restituire armonia e chiarezza a una disciplina che spesso oggi si rivela frammentaria e potenzialmente suscettibile di applicazioni diversificate. A ben vedere già oggi si potrebbe arrivare alla stessa conclusione leggendo ed interpretando le disposizioni già in vigore con una ottica nuova. Grazie al combinato disposto degli artt. 404, 411 e 429 c.c. è possibile infatti estrapolare delle caratteristiche comuni tra gli istituti quali tra tutti: a) la possibile temporaneità della misura (art. 404 c.c. e art. 429 c.c.); b) la parificazione (potenziale) degli effetti grazie al potere del giudice tutelare sancito dall’art. 411, IV c.c. di disporre, nell’atto di nomina dell’amministratore di sostegno, determinati effetti, limitazioni o decadenze previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o inabilitato. Queste caratteristiche permettono già oggi al giudice di utilizzare l’amministrazione di sostegno per ogni caso di tutela del soggetto debole e creare, caso per caso, la più corretta tutela giuridica del soggetto debole28. Comunque, la necessità di ripensare, anche sul piano legislativo, al problema della sofferenza psichica, è attuale e, forse, indifferibile a seguito dell’emanazione della legge 22 giugno 2016, n. 11229, conosciuta come legge ‘dopo di noi’30. L’obiettivo è quello di garantire al sofferente psichico di vivere in condizioni di normalità, considerato, peraltro, che l’integrazione sociale è un diritto del disabile sancito dalla Convenzione delle N.U. del 13 dicembre 2006, ratificata con l. 3 marzo 2009, n. 18.



3. Profili processualcivilistici

3.1. La differenziazione delle tutele processuali



Gli aspetti comuni di diritto sostanziale, tra amministrazione di sostegno ed interdizione e inabilitazione, emergono gra zie al combinato disposto degli artt. 404, 411 e 429 c.c. da cui è possibile estrapolare: a) la possibile temporaneità delle misure (art. 404 c.c. e art. 429 c.c.); b) la parificazione (potenziale) degli effetti grazie al potere del giudice tutelare sancito dall’art. 411, IV c.c. di disporre, nell’atto di nomina dell’amministratore di sostegno, determinati effetti, limitazioni o decadenze previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o inabilitato. Pertanto, ci si poteva aspettare che il legislatore unificasse anche sotto il profilo processuale gli istituti. La scelta, invece, è stata quella di individuare per l’amministrazione di sostegno solo l’applicazione di alcune norme processuali sancite per il processo di interdizione e inabilitazione31. Infatti, mentre per il processo di interdizione e inabilitazione sono previste norme speciali di cui al capo II del Titolo II del c.p.c. con gli artt. 712 e ss., per il procedimento di amministrazione di sostegno, l’unica disposizione processuale è contenuta nell’art. 720-bis c.p.c. Quest’ultima norma appare però evidentemente scarna di contenuto con un richiamo espresso ai soli artt. 712, 713, 716, 719 e 720 del c.p.c. Indipendentemente dai profili processuali comuni tra i due istituti, che saranno affrontati nel paragrafo successivo, il primo tema da approfondire riguarda la natura diversa tra i due strumenti processuali scelti dal legislatore per la tutela, vuoi dell’amministrazione di sostegno e vuoi per i processi di interdizione e inabilitazione. Infatti, mentre per l’amministrazione di sostegno il procedimento ha natura di volontaria giurisdizione32, il processo di interdizione e inabilitazione ha natura contenziosa. Varie le motivazioni che definiscono tale differenza. Per quanto riguarda l’amministrazione di sostegno tali motivazioni si possono sintetizzare: 1) nel fatto che il procedimento avrebbe chiari profili pubblicistici ed infatti è previsto l’intervento del p.m., 2) nel fatto che in tale procedimento non si mira ad un accertamento di uno status, 3) nell’inidoneità al giudicato, 4) nel fatto che il provvedimento conclusivo del procedimento sia un decreto motivato, 5) ed infine nel fatto che tale decreto sia modificabile e revocabile. Queste motivazioni non convincono. L’intervento del p.m. e l’eventuale profilo pubblicistico non è sicuramente un indice del fatto che il procedimento abbia o meno natura di volontaria giurisdizione; al riguardo basti pensare, per esempio, ai procedimenti in materia di separazione e divorzio contenziosi dove è previsto l’intervento del p.m. ove non si è mai pensato di attribuire a tali procedimenti la natura di volontaria giurisdizione. Non convince nemmeno l’inidoneità al giudicato, infatti, in entrambi i procedimenti i provvedimenti hanno di fatto una forma di giudicato rebus sic stantibus, come ogni altro provvedimento in materia familiare (si pensi alla possibilità di modifica dei provvedimenti ex art. 710 c.p.c., art. 9 l. 898/70, art. 337-quinquies c.c.). Inoltre, entrambi gli istituti sottostanno alla disciplina prevista dall’art. 720 c.p.c. secondo la quale i provvedimenti sia di interdizione e inabilitazione sia di amministrazione di sostegno possono essere revocati. Altrettanto privo di pregio risulta il fatto che il provvedimento dell’autorità giudiziaria rivesta, nell’amministrazione di sostegno, la forma del decreto. Ben può un procedimento avente natura contenziosa concludersi nella forma del decreto. I provvedimenti camerali rivestono, normalmente, la forma del decreto motivato, ma possono assumere, per espresso volere del legislatore, la forma della sentenza o dell’ordinanza (art. 737 c.p.c.); non si dubita della natura giurisdizionale degli stessi, confermata dall’attribuzione dei relativi poteri al giudice ordinario. Risulta evidente che, mentre nei procedimenti di interdizione e inabilitazione vi sia un accertamento di uno status33, la stessa cosa non si può dire per l’amministrazione di sostegno, in cui la conservazione della capacità di agire e la ratio della normativa del 2004 mira a salvaguardare il soggetto sotto il profilo di una mera gestione di interessi34. Questo ragionamento però non regge alla prova del fatto che vi può essere il caso in cui il giudice tutelare disponga ex art. 411, IV comma c.c., nell’atto di nomina dell’amministratore di sostegno, determinati effetti, limitazioni o decadenze previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o inabilitato. Se questo sia possibile, allora, per rendere coerente il sistema delle tutele processuali andrebbe prevista, nei casi di cui all’art. 411, IV c.c., una forma di conversione del rito, da volontaria giurisdizione a contenzioso perché, diversamente, la normativa processuale tipica del processo di interdizione e inabilitazione sarebbe aggirata in modo illegittimo. Sul punto la fase di raccordo tra i due diversi tipi di procedimento è disciplinata dall’art. 413, 4 comma c.c.35 norma che disciplina il passaggio da amministrazione di sostegno a interdizione e inabilitazione, e dall’art. 418, 3 comma c.c.36 che prevede il passaggio da interdizione o inabilitazione ad amministrazione di sostegno. In particolar modo, l’art. 413, 4 comma c.c., dal punto di vista processuale, va quindi, coordinato con l’art. 411, 4 comma c.c. sopra richiamato perché se è vero che il giudice nell’atto di nomina dell’amministratore di sostegno può disporre, determinati effetti, limitazioni o decadenze previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o inabilitato, dobbiamo chiederci se ogni volta che il giudice si trova ad applicare tale norma debba o meno disporre la informativa al pubblico ministero per l’apertura del processo di interdizione o inabilitazione. Rispondere in modo negativo a tale domanda significherebbe sostenere che il giudice tutelare del procedimento di amministrazione di sostegno, nelle forme del procedimento di volontaria giurisdizione, e non del processo contenzioso di interdizione e inabilitazione, emette provvedimenti del giudice ordinario. La giurisprudenza37 ha seguito questa interpretazione ed ha risolto il problema prevedendo in queste ipotesi l’obbligo di difesa tecnica da parte dell’amministrato. In verità, tale conclusione non convince dal punto di vista sistematico perché la natura dei procedimenti è diversa e le garanzie processuali del processo contenzioso di interdizione e inabilitazione non sono quelle della volontaria giurisdizione per le motivazioni sopra espresse. Si arriva così al paradosso per cui alcuni effetti dell’interdizione e inabilitazione possono essere dati non nella forma e nelle garanzie del processo contenzioso38, che il legislatore ha scelto proprio a tutela del soggetto debole, ma nelle modalità deformalizzate del procedimento di volontaria giurisdizione, seppur nel rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio. Per cui il processo contenzioso è prerogativa solo della pronuncia costitutiva sullo status, ma perde inesorabilmente tale primato per quanto riguarda la previsione giudiziale degli effetti, sul soggetto debole, scaturenti dallo stesso status. È in questa contraddizione che si insidia la possibilità di prevedere (de iure condendo) una possibile comunanza anche processuale tra gli istituti, con le evidenti garanzie processuali del rispetto del diritto di difesa e di contraddittorio che ogni procedimento giurisdizionale deve avere.



3.2. Discipline a confronto fra il procedimento di amministrazione di sostegno e quello di interdizione inabilitazione



Evidenziata nel precedente paragrafo la differente natura tra il procedimento di amministrazione di sostegno ed il processo di interdizione e inabilitazione, dal punto di vista processuale sono più i punti di contatto tra le due normative che le differenze. Quest’ultime si registrano prevalentemente nei casi in cui: a) il giudice competente per l’amministrazione di sostegno è il giudice tutelare, mentre il giudice dell’interdizione e inabilitazione è il tribunale ordinario in forma collegiale; b) la fase decisoria per l’amministrazione di sostegno sfocia in un decreto motivato immediatamente esecutivo, mentre il giudizio di interdizione e inabilitazione si conclude con sentenza avente effetto costitutivo con effetti che decorrono dal giorno della pubblicazione della stessa ex art. 421 c.c.; c) la differenza circa il provvedimento conclusivo dei procedimenti si ripercuote sotto il profilo dell’impugnazione dove, mentre per l’amministrazione di sostegno il decreto del giudice tutelare è reclamabile alla Corte d’Appello ex art. 739 c.p.c., per la sentenza di interdizione e inabilitazione è proponibile appello (ed in generale tutte le impugnazioni che la legge concede contro le decisioni emanate nel processo ordinario di cognizione) innanzi alla Corte d’Appello con citazione. In tutti e tre i casi però ad una differenza di forma non si accompagna una differenza di contenuto; infatti seppur davanti a giudici diversi, l’autorità giudiziaria, prima dell’emissione del provvedimento, dovrà vagliare il grado di disabilità della persona, dovrà cogliere le reali esigenze del soggetto debole, sia di natura esistenziale che di salute, dovrà fare una attenta valutazione dei bisogni della persona, valutazioni che saranno anche oggetto di eventuali motivi di impugnazione. I punti in comune invece sono molti: 1) la domanda in entrambi i casi si propone con ricorso, anche per il richiamo esplicito all’art. 712 c.p.c.; 2) non è configurabile litisconsorzio necessario con i soggetti indicati all’art. 407 c.c.39; 3) la legittimazione attiva è nel caso dell’amministrazione di sostegno dello stesso soggetto beneficiario (anche se minore interdetto o inabilitato) oltre a tutti i soggetti previsti dall’art. 417 c.c. e, quindi, di fatto paritetica alle ipotesi di cui all’interdizione e inabilitazione; 4) la competenza per territorio è del giudice del luogo in cui la persona ha la residenza o il domicilio ex art. 404 c.c., competenza per territorio inderogabile ex art. 28 c.p.c. vista la partecipazione del pubblico ministero; 5) l’audizione del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, disciplinata dall’art. 407, secondo comma c.c. è preordinata all’acquisizione, da parte del giudice, dei bisogni e delle richieste del soggetto debole, norma che trova la sostanziale corrispondenza nell’art. 714 c.p.c. in tema di interdizione e inabilitazione; 6) dal punto di vista istruttorio in entrambi i procedimenti vi è una accentuazione dei poteri istruttori del giudice, per cui in dottrina40 si è sostenuta l’inapplicabilità della regola in ordine all’onere della prova; 7) in entrambi i procedimenti è prevista la possibilità del ricorso in cassazione; 8) la legittimazione alle impugnazioni è riservata a tutti coloro che avrebbero avuto diritto di proporre la domanda introduttiva41.



4. Verso un giudice tutelare unico in una prospettiva de iure condendo



La necessità di un organo (pubblico) che eserciti le funzioni di controllo e garanzia rispetto a determinate attività che riguardano la persona disabile, non può essere messa in discussione. Compiti affidati alla giurisdizione, ma allo stesso tempo si ritiene necessario un superamento dello schema attuale al fine di dare piena attuazione ad un coordinamento tra poteri del giudice nell’amministrazione di sostegno e giudice dell’interdizione e inabilitazione già previsto dall’art. 413, 4 co. c.c. Se già oggi il giudice tutelare può “disegnare” un provvedimento di amministrazione di sostegno con effetti sovrapponibili di fatto all’interdizione e inabilitazione, ben si potrà prevedere, dal punto di vista sostanziale, uno status unico del soggetto debole, a cui lo Stato, con l’intervento giurisdizionale, risponde offrendo la “veste” più appropriata per la cura ed interesse dello stesso indicando volta per volta anche le eventuali limitazioni alla capacità e la previsione di un soggetto, sia esso nominato amministratore o curatore, preposto alla cura ed interesse dello soggetto bisognoso. Dal punto di vista processuale, visti i sopra descritti elementi comuni tra i due procedimenti di amministrazione di sostegno e interdizione o inabilitazione, ben si possono superare le differenze che ancora permangono prevedendo un unico procedimento, di giurisdizione formalmente volontaria42, ma comunque avente natura contenziosa43 (non potendo prevedere quali effetti, anche limitativi della capacità, possa il giudice sancire per il soggetto debole) davanti al giudice ordinario nelle forme di un procedimento camerale con tutte le garanzie in ordine al diritto di difesa e di contraddittorio, che forma un giudicato rebus sic stantibus, con la partecipazione del pubblico ministero ed una accentuazione dei poteri istruttori del giudice, il cui provvedimento sarebbe appellabile sempre con rito camerale innanzi alla corte d’appello, provvedimento ricorribile in cassazione. Emesso il provvedimento che offre la tutela del soggetto debole dovrà essere prevista una fase non contenziosa innanzi al giudice tutelare, fase di raccordo tra l’amministratore/curatore, in ordine sia ai doveri di rendiconto che alle eventuali problematiche anche attuative che potrebbero sorgere in ordine all’applicazione concreta dei bisogni del beneficiario. Dall’altro lato è necessaria, la previsione per legge di un albo degli amministratori/curatori da cui il Giudice possa attingere nella scelta del soggetto migliore a cui affidare tale compito, non sempre semplice, e prevedere per gli stessi amministratori/curatori corsi formativi appositi per la conoscenza dell’istituto e per l’iscrizione ed il mantenimento allo stesso.

NOTE

1 Definito come colui che sia privo in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana.

2 a. TraBuCChi, Il “vero interesse del minore” e i diritti di chi ha l’obbligo di educare, in RDC, 1988, I, 717.

3 Il figlio ha dei doveri nei confronti dei genitori: deve rispettare i genitori; contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa; obbligo di risiedere presso la casa dei genitori.

4 M. GiorGianni, sub artt. 315-318, in Comm. Cian-Oppo-Trabucchi, IV, Padova, 1992, 341.

5 “La responsabilità del genitore, per il danno cagionato da fatto illecito del figlio minore trova fondamento, nell’art. 2048 c.c., in relazione ad una presunzione ‘iuris tantum’ di difetto di educazione. La prova liberatoria richiesta ai genitori dall’art. 2048 c.c. di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore capace di intendere e di volere consiste nella dimostrazione non del mero fatto materiale della lontananza, bensì di avere – in adempimento dell’obbligo imposto ad entrambi i genitori dall’art. 147 c.c. ed indipendentemente pertanto dall’esercizio della potestà – impartito al minore Un’educazione e un’istruzione consona alle proprie condizioni familiari e sociali”. Trib. Cagliari, 21 giugno 2001, in Riv. Giur. Sarda, 2002, 407, nota di S. ruBiu.

6 a. CiCu, La filiazione, in Tratt. Vassalli, III, 4, Torino, 1969, 371; L. Ferri, Della potestà dei genitori, in Comm. Scialoja-Branca, sub artt. 315-342, Bologna-Roma, 1988, 63.

7 Questione che ha anche una evidente ripercussione sul piano processuale dove il tema del conflitto di interessi pone l’attenzione sulla rappresentanza processuale del minore.

8 “La nomina di un curatore speciale è necessaria qualora non sia stato nominato un tutore o questi non esista ancora al momento dell’apertura del procedimento, ovvero, come si diceva, nel caso in cui sussista d’interessi, anche solo potenziale, tra il minore ed il suo rappresentante legale. Tale conflitto è ravvisabile in re ipsa nel rapporto con i genitori, portatori di un interesse personale ad un esito della lite che può essere diverso da quello vantaggioso per il minore, mentre nel caso in cui a quest’ultimo sia stato nominato un tutore il conflitto dev’essere specificamente dedotto e provato in relazione a circostanze concrete, in mancanza delle quali il tutore non solo è contraddittore necessario, ma ha una legittimazione autonoma e non condizionata, che può liberamente esercitare in relazione alla valutazione degli interessi del minore”. Cass. civ., Sez. VI-1, 8 giugno 2016, n. 11782, in Banca Dati De Jure.

9 “Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali”.

10 Gli articoli erano originariamente destinati all’affidamento dei minori e all’affiliazione, e poi abrogati dalla l. 4 maggio 1983, n. 184.

11 G. Bonilini, Amministrazione di sostegno e interdizione giudiziale, in Pers. fam. succ., 2007, 488. S. CanaTa, I requisiti soggettivi dell’interdizione e dell’inabilitazione, in G. Ferrando (a cura di), Amministrazione di sostegno, interdizione, inabilitazione, incapacità naturale, Bologna, 2012, 411 ss. G. Ferrando, Diritti di natura personale e familiare, in G. Ferrando, Amministrazione di sostegno, interdizione, inabilitazione, incapacità naturale, cit., 167 ss.; M. SeSTa (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015, 1519 ss.; R. MaSoni, Amministrazione di sostegno, in F. di MarZio (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2018, 115 ss.; F. BarTolini, Interdizione e inabilitazione, in F. di MarZio (a cura di), Codice della famiglia, cit., 175; cfr. G. Bonilini, a. ChiZZini, L’amministrazione di sostegno, Padova, 2004, 15; C.M. BianCa, Premessa, in L’amministrazione di sostegno, a cura di S. PaTTi, Milano, 2005, 2, secondo il quale nella riforma “è mancato l’auspicato colpo d’ala dell’abolizione degli istituti dell’interdizione e della inabilitazione [che] ... sono rimasti con tutto il loro carico penalizzante ed emarginizzante: basti pensare all’incapacità matrimoniale e donativa sancita a carico dell’interdetto”. Di “mancanza di coraggio del legislatore” parla F. ruSCello, Amministrazione di sostegno e consenso ai trattamenti terapeutici, in Fam. dir., 2005, 89; dello stesso Autore si veda, altresì, “Amministrazione di sostegno” e tutela dei “disabili”. Impressioni estemporanee su una recente legge, in Studium Juris, 2004, 2, 149. M. Paladini, Amministrazione di sostegno e interdizione giudiziale: profili sistematici e funzionalità della protezione alle caratteristiche relazionali tra il soggetto debole ed il mondo esterno, in Riv. dir. civ., 2005, 5, 20585.

12 G. Cian, L’amministrazione di sostegno nel quadro delle esperienze giuridiche europee, in Riv. dir. civ., 2004, II, 481-495; E. Calò, Autonomia e autodeterminazione del beneficiario, in L’amministrazione di sostegno, a cura di S. PaTTi, cit., 55-72; G. auTorino STanZione, Le amministrazioni di sostegno nelle esperienze europee, ivi, 81-101; numerosi richiami anche in S. PaTTi, La nuova misura di protezione, cit., 105-113.

13 In questo senso, ampiamente, e. Calò, Amministrazione di sostegno. Legge 9 gennaio 2004 n. 6, Milano, 2004, 71.

14 Così, S. PaTTi, L’amministrazione di sostegno: continuità e innovazione, in Quaderni Familia, Milano IV, 219. Per l’assoluta “eccezionalità” dell’interdizione, P. Cendon, Un altro diritto per i soggetti deboli, cit., 55-56.

15 “Così grave che non consenta al soggetto di relazionarsi in qualche modo (anche molto attenuato) con l’esterno, prevedendo la legge ‘percorsi di dialogo’ da attuare direttamente tra organi tutelari ed amministratore e amministrando/amministrato [audizione dell’interessato; assistenza dell’amministratore di sostegno nel compimento di atti giuridici che l’amministrato compie pur sempre in prima persona, e non totale supplenza/sostituzione dell’amministratore nei confronti del beneficiario; informazioni che il beneficiario deve ricevere dall’amministratore di sostegno ex art. 410 c.c.]”, Trib. Ancona, sez. dist. Jesi, decr. 17 marzo 2005, in www.filodiritto.com.

16 Così in M. Paladini, Amministrazione di sostegno e interdizione giudiziale: profili sistematici e funzionalità della protezione alle caratteristiche relazionali tra il soggetto debole ed il mondo esterno, cit., 20585.

17 M. Paladini, Amministrazione di sostegno e interdizione giudiziale: profili sistematici e funzionalità della protezione alle caratteristiche relazionali tra il soggetto debole ed il mondo esterno, cit., 20585.



18 Allo stato delle acquisizioni medico-scientifiche.

19 F.Giardina,Lacondizionegiuridicadelminore,Napoli,1984.Peririferimenti alla casistica M. Paladini, Amministrazione di sostegno e interdizione giudiziale: profili sistematici e funzionalità della protezione alle caratteristiche relazionali tra il soggetto debole ed il mondo esterno, cit., 20585: L’interdetto giudiziale, in seguito all’approvazione della legge 13 maggio 1978 n. 180 è ammesso all’elettorato attivo e passivo. La donna interdetta può domandare l’interruzione volontaria della gravidanza (art. 13, legge 22 maggio 1978 n. 194). Nell’ambito del rapporto obbligatorio, l’interdetto può adempiere all’obbligazione e non può impugnare il pagamento a causa della propria incapacità (art. 1191 c.c.). In materia contrattuale, all’incapacità legale può corrispondere una condizione di capacità di intendere e di volere del rappresentante, il cui contratto vincolerà validamente il rappresentato (art. 1389 c.c.). Nella responsabilità civile, l’interdetto risponde personalmente del fatto illecito ove sia capace di intendere o di volere (art. 2046 c.c.).

20 “Nella sentenza che pronuncia l’interdizione o l’inabilitazione, o in successivi provvedimenti dell’autorità giudiziaria, può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’interdetto senza l’intervento ovvero con l’assistenza del tutore, o che taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore”.

21 Trib. Milano 21 marzo 2005, Giur. mer., 2005, 2343, in G. CaMPeSe, Il giudice tutelare e la protezione dei soggetti deboli, Milano, 2008.

22 M. Paladini, Amministrazione di sostegno e interdizione giudiziale: profili sistematici e funzionalità della protezione alle caratteristiche relazionali tra il soggetto debole ed il mondo esterno, cit., 20585.

23 Sempre per una puntuale ricostruzione in M. Paladini, Amministrazione di sostegno e interdizione giudiziale: profili sistematici e funzionalità della protezione alle caratteristiche relazionali tra il soggetto debole ed il mondo esterno, cit., 20585: l’impedimento matrimoniale dell’interdetto (art. 85 c.c.), la sostituzione fedecommissaria può essere disposta validamente soltanto in favore dell’interdetto (art. 692 c.c.); la facoltà di domandare la separazione giudiziale dei beni a causa dell’interdizione o inabilitazione dell’altro coniuge; limitazioni e rappresentanze processuali sono previste anche in materia di filiazione (artt. 245, 247, 266, 273 c.c.); l’incapacità dell’interdetto per infermità di mente di redigere testamento (art. 591 c.c.) e di donare (art. 774 c.c.); l’interdetto e l’inabilitato non possono essere nominati amministratori di società di capitali (art. 2382 c.c.).

24 La Corte costituzionale con la sentenza n. 440 del 9 dicembre 2005 ha escluso l’illegittimità costituzionale della nuova normativa per la presunta insussistenza di “chiari criteri selettivi” tra le diverse forme di protezione, che lascerebbe il giudice sostanzialmente “arbitro” di scegliere tra interdizione e AdS. La Corte ha affermato, infatti, che spetta “al giudice il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità; e consente, ove la scelta cada sull’amministrazione di sostegno, che l’ambito dei poteri dell’amministratore sia puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto. Solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle ben più invasive misure dell’inabilitazione o dell’interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, estesa per l’inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione e per l’interdetto anche a quelli di amministrazione ordinaria”.

25 Affermando al contrario che, con l’AdS, “il legislatore ha inteso configurare uno strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto, che si distingue dalla interdizione non sotto il profilo quantitativo, ma sotto quello funzionale: [...] soltanto la specificità delle singole fattispecie, e delle esigenze da soddisfare di volta in volta, poss[o]no determinare la scelta tra i diversi istituti, con l’avvertenza che quello della interdizione ha comunque carattere residuale, intendendo il legislatore riservarlo, in considerazione della gravità degli effetti che da esso derivano, a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura”. Cass., sez. I, 12 giugno 2006 n. 13584, in Corriere giur., 2006, 11, 1529 con nota di N. BuGeTTi; in Guida dir., 2006, 36, 53; in Fam. e dir., 2007, 1, 31 nota di M. SeSTa; Fam. pers. succ., 2007, 5, 410 nota di F.M. SBarBaro; Giur. it., 2009, 1, 134 nota di A. FaBBriCaTore.

26 Cass., sez. I, 22 aprile 2009 n. 9628, in Nuova giur. civ., 2009, 10, 1, 963 nota di n. BuGeTTi; in Fam. e dir., 2010, 1, 15 nota di M. GoZZi; in Giur. it., 2010, 2, 316 nota di G. riSPoli.

27 Cass. civ. sez. I, 1 marzo 2010 n. 4866 in Giur. it., 2010, 11, 2301 nota di C. ruFo SPina, L. CarBonara.

28 Contra M. Paladini, Amministrazione di sostegno e interdizione giudiziale: profili sistematici e funzionalità della protezione alle caratteristiche relazionali tra il soggetto debole ed il mondo esterno, cit., 20585, secondo cui: “È pur vero che il giudice tutelare, nel provvedimento con il quale nomina l’amministratore di sostegno, o successivamente, può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni (art. 411, comma 4°, c.c.), ma ciò conferma implicitamente che lo stesso legislatore del 2004 ha assunto dell’interdizione e dell’inabilitazione le nozioni di ‘regime di protezione generale’ del soggetto debole che presenti una potenziale vulnerabilità nei rapporti con i terzi, al punto da consentire al giudice di trapiantare sul terreno dell’AdS norme limitative previste dagli istituti tradizionali”.

29 Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare.

30 Art. 1 legge 22 giugno 2016, n. 112, finalità. La presente legge disciplina misure di assistenza, cura e protezione, nel superiore interesse delle persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale, nonché in vista del venir meno del sostegno familiare, attraverso la progressiva presa in carico della persona interessata già durante l’esistenza in vita dei genitori.

31 F. danovi, Il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno (l. 9 gennaio 2004, n. 6), in RDP, 2004; S. delle MonaChe, Prime note sulla figura dell’amministratore di sostegno, in NGCC, 2004, II; R. deMonTiS, Nota a varie sentenze sull’applicabilità o meno del ministero di un difensore, in GI, 2006; F. di MarZio, Amministrazione di sostegno e difesa tecnica, nota a decreto del G. tut. di Roma 19 febbraio 2005 e a decreto del G. tut. di Modena 22 febbraio 2005, in www. filodiritto.com; G. Gennari, L’indecifrabile confine tra amministrazione di sostegno e interdizione, nota a A.538/2006, in FPS, VI, 2006; G. GraSSelli, Procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno e non necessità di assistenza da parte di un difensore, in www.altalex.com; A. ProTo PiSani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2002; M. SeSTa, Amministrazione di sostegno e interdizione: quale bilanciamento tra interessi patrimoniali e personali del beneficiario?, nota a C.13584/2006, in FD, 2007, I.

32 È un tipo di giurisdizione diretta non a risolvere controversie, ma alla gestione di un negozio o di un affare, per la cui conclusione è necessario l’intervento partecipativo di un terzo (il giudice) estraneo ed imparziale che collabora con le parti allo scopo di costituire un determinato rapporto giuridico, in quei casi in cui la legge non consente ai privati di provvedervi autonomamente. È una forma di giurisdizione non direttamente destinata alla tutela di diritti soggettivi, ma preordinata alla gestione di interessi, che dà vita a provvedimenti giurisdizionali con funzione autorizzativa-omologativa; ben può avere anche la funzione risolutiva di conflitti, direttamente incidente su diritti soggettivi, che esige il ripristino di tutte quelle garanzie processuali (l. MonTeSano, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1994, 18 ss.; a. CarraTTa,, Processo camerale (diritto processuale civile), in Enc. dir., Annali, III, Milano, 2010, 1014 ss.; a. ChiZZini, La revoca dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, Padova, 1994, 152 ss.).

33 e. FaZZalari, La giurisdizione volontaria, Padova, 1953, 195, secondo cui la natura del processo sarebbe volontaria, ma la forma contenziosa. Secondo S. SaTTa, Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, Milano, 1968, 329, il processo sarebbe volontario con forme contenziose. F. CarneluTTi, Lezioni di diritto processuale civile, II, Padova, 1930, 130 sottolinea come non c’è lite ma richiesta di modificazione di una condizione giuridica preesistente.

34 F. danovi, Il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno (l. 9 gennaio 2004, n. 6), in RDP, 2004. Anche per l’amministrazione di sostegno è però stata sostenuta la tesi della natura contenziosa del procedimento in quanto si concluderebbe comunque con un provvedimento che va ad incidere sullo status della persona sottoposta a protezione con effetto ablativo, anche se parziale, della capacità di agire di quest’ultimo. F. ToMMaSeo, Amministrazione di sostegno e difesa tecnica in un’ambigua sentenza della Cassazione, nota a C.25366/2006, in FD, 2006, I; id., Ancora sulla difesa tecnica di ufficio nell’amministrazione di sostegno, nota a App. Milano, 11 gennaio 2005 e T. Modena, 22 febbraio 2005, in FD, 2005, II; id., Ancora sulla difesa tecnica nell’amministrazione di sostegno, in FD, 2005; id., Amministrazione di sostegno e difesa tecnica, in FD, 2004.

35 “Il giudice tutelare provvede altresì, anche d’ufficio, alla dichiarazione di cessazione dell’amministrazione di sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario [...] in tale ipotesi, se ritiene che si debba promuovere giudizio di interdizione o di inabilitazione, ne informa il pubblico ministero, affinché vi provveda”.

36 Secondo cui “se nel corso del giudizio di interdizione o di inabilitazione appare

opportuno applicare l’amministrazione di sostegno, il giudice, d’ufficio, o ad istanza di parte dispone la trasmissione del procedimento al giudice tutelare”,

37 “Il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno, il quale si distingue, per natura, struttura e funzione, dalle procedure di interdizione e di inabilitazione, non richiede il ministero del difensore nelle ipotesi, da ritenere corrispondenti al modello legale tipico, in cui l’emanando provvedimento debba limitarsi ad individuare specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si richiede l’intervento dell’amministratore; necessitando, per contro, della difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudice ritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiesta dell’interessato, incida sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze, analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio”. Cass. civ. Sez. I, 29 novembre 2006, n. 25366, in Fam. pers. succ., 2007, 1, 15 nota di A. ChiZZini; Corriere giur., 2007, 2, 199 nota di L. BuGheTTi; Fam. e dir., 2007, 1, 19 nota di F. ToMMaSeo; Fam. e dir., 2007, 2, 121 nota di A. ChiZZini; Giur. it., 2007, 10, 2259 nota di SoCCi; Nuova giur. civ., 2007, 7, 1, 749 nota di E. de roMa.

38 Cass. civ. Sez. I, 24 agosto 2005, n. 17256. Il processo di interdizione o inabilitazione ha per oggetto un accertamento della capacità di agire che incide sullo “status” della persona e si conclude con una pronuncia qualificata espressamente come sentenza, suscettibile di giudicato. Le peculiarità di detto procedimento, determinate dalla coesistenza di diritti soggettivi privati e di profili pubblicistici, dalla natura e non disponibilità degli interessi coinvolti, e specificamente segnate dalla posizione dei soggetti legittimati a presentare il ricorso, i quali esercitano un potere di azione, ma non agiscono a tutela di un proprio diritto soggettivo (art. 417 c.c.), dalla previsione che essi possono impugnare la sentenza, pur se non abbiano partecipato al giudizio (art. 718 c.p.c.), e dagli ampi poteri inquisitori del giudice (art. 419 c.c. e art. 714 c.p.c.), non escludono che esso si configuri, pur con tali importanti deviazioni rispetto al rito ordinario, come un procedimento contenzioso speciale, ritenuto dal legislatore come il più idoneo ad offrire garanzie a tutela dell’interesse dell’interdicendo e dell’inabilitando e ad assicurare una più penetrante ricerca della verità, e che quindi esso resti disciplinato, per quanto non previsto dalle regole speciali, dalle regole del processo contenzioso ordinario, ove non incompatibili. Da tanto deriva che anche nel processo di interdizione o di inabilitazione è ammissibile la pronuncia di cessazione della materia del contendere in ogni caso in cui, per motivi sopravvenuti, una pronuncia sul merito si profili come non più necessaria.

39 Cass. civ. Sez. I, 5 giugno 2013, n. 14190 per l’amministrazione di sostegno, in Fam. e dir., 2014, 1, 24 nota di B. FraTini.

40 F. ToMMaSeo, in G. Bonilini, F. ToMMaSeo, in Dell’amministrazione di sostegno, in Il Codice Civile Commentario, Milano, 2008.

41 Sul punto è stato fatto notare il mancato richiamo nell’art. 720-bis c.c. all’art. 718 c.c., ma autorevole dottrina, F. ToMMaSeo, in G. Bonilini, F. ToMMaSeo, in Dell’amministrazione di sostegno, in Il Codice Civile Commentario, cit., ha dimostrato l’illogicità e non coerenza con i principi di sistema una tale esclusione.

42 Definizione offerta da autorevole dottrina per individuare i casi in cui il provvedimento di giurisdizione volontaria non assurge ad elemento integrativo di un atto di diritto privato, ma un vero e proprio provvedimento che da solo produce gli effetti di diritto sostanziale, come sono i processi di interiezione e inabilitazione. A questa fattispecie si contrappone la giurisdizione sostanzialmente volontaria dove l’intervento del giudice serve ad integrare l’efficacia di un atto di diritto sostanziale. Così F.P. luiSo, Diritto Processuale Civile, IV, I Processi Speciali, Milano, 2011, 286.

43 Quindi confermando la tesi secondo cui il provvedimento andrebbe comunque ad incidere sullo status della persona sottoposta a protezione con effetto ablativo, anche se parziale, della capacità di agire di quest’ultimo. F. ToMMaSeo, Amministrazione di sostegno e difesa tecnica in un’ambigua sentenza della Cassazione, nota a C.25366/2006, in FD, cit.; id., Ancora sulla difesa tecnica di ufficio nell’amministrazione di sostegno, nota a App. Milano 11 gennaio 2005 e Trib. Modena 22 febbraio 2005, cit.; id., Ancora sulla difesa tecnica nell’amministrazione di sostegno, cit.; id., Amministrazione di sostegno e difesa tecnica, cit. C. Mandrioli, Diritto Processuale civile, II, Torino, 2009, parlava del processo di interdizione e inabilitazione di processo speciale di cognizione.