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Il disegno di legge in tema di convenzioni prematrimoniali. Aspettando Godot

autore: V. Cianciolo

Sommario: 1. Introduzione. - 2. I prenuptial agreements negli Stati Uniti. - 3. Validità dei patti prematrimoniali nel sistema inglese. - 3.1. La gestione della crisi coniugale negli altri Paesi Europei. - 4. Convenzioni matrimoniali e accordi prematrimoniali. - 5. La negoziabilità nel diritto di famiglia. - 5.1. Le questioni aperte dopo la sentenza delle Sezioni Unite 18287/2018. - 6. Le resistenze in Italia verso i patti pre-matrimoniali e le prime aperture della giurisprudenza dopo il 2012. - 7. La giurisprudenza di merito sul tema dei patti patrimoniali. - 8. Le criticità del nuovo articolo 162-bis c.c. - 9. Cosa è possibile prevedere in attesa della riforma.



To leave poor me thou hast the strength of laws, Since why to love I can allege no cause. Per lasciar me miserabile tu hai la forza delle leggi, mentre io d’esser amato non posso vantar diritti. (Shakespeare, Sonnet 49)



1. Introduzione “Don’t get mad, get everything!”, ossia “Non prendetevela, prendetegli tutto!”, diceva nel 1996 Ivana Trump (interpretando se stessa) a Diane Keaton, Goldie Hawn e Bette Midler nel delizioso film Il club delle prime mogli. Parlava con cognizione di causa visto che, qualche anno prima, aveva strappato all’ormai ex marito Donald Trump, attuale Presidente degli Stati Uniti, 46 milioni di dollari contro i 28 previsti in caso di divorzio. Ancora prima di Ivana Trump, famoso fu l’accordo prematrimoniale fra Jackie Kennedy e Aristotele Onassis che avrebbe dovuto provvedere in contanti “immediatamente” e “senza condono” a versare una cifra pari a circa 40 miliardi, per pronunciare il fatidico “si” con la vedova d’America. La consorte di John Kennedy contraendo nuove nozze, avrebbe perso i benefici derivanti dalla rendita Kennedy nonché il suo appannaggio di vedova presidenziale. Ma in cambio avrebbe avuto un tetto per le spese voluttuarie, un tot per gli abbandoni, una trattenuta per le emicranie, svariati miliardi di risarcimento in caso di divorzio o morte, tre miliardi all’an no come argent de poche e altre stranezze da scatenare fantasie scandalizzate. Il documento conteneva una clausola su cui tanto si è ricamato, fatta inserire dai legali della vedova più glamour d’America: spettava a lei e soltanto a lei, stabilire la frequenza dei congiungimenti carnali con il consorte. “Ti è venuta a costare più di una petroliera”, fece notare a Onassis un suo collaboratore. Ma Onassis disse sì alla fine. Disse sì a tutto, perché si era aggiudicato la donna più ambita del pianeta, la vedova d’America. E Jackie venne in breve declassata da vedova nazionale a grande mondana. Tutto ha un prezzo e se l’accordo c’è ed è conveniente, non si può stare chinati a piangere su un a tomba per tutta la vita. E sempre per mettere il naso in casa Kennedy, famoso anche il contratto prematrimoniale tra John F. Kennedy Jr. e Carolyn Bessette che prevedeva il pagamento di una certa somma di denaro una tantum alla moglie in caso di divorzio, somma il cui ammontare, era collegato alla durata del matrimonio: “depends on how long the couple stays married. How hefty? Well, she gets a $ 1 million settlement for up to three years of wedlock, $ 2 million for more than three years or $ 3 million for more than ten”. Un matrimonio pattuito come un business provoca inevitabili vertigini. “Si fa, ma non si dice”, cantava un’antica canzone di Milly nel dopoguerra. Sarà così a breve anche nel nostro Paese?

L’interesse della dottrina verso i prenuptial agreements ha trovato attuazione pratica, nel 2003, nella presentazione della Proposta di legge n. 4563. La relazione che accompagnava la proposta, evidenziava l’assenza nel nostro ordinamento di strumenti adeguati ai futuri sposi per “regolamentare ex ante, e in modo vincolante per il futuro, alcune condizioni nell’ipotesi della fine del matrimonio”, la necessità di “percorrere direzioni che si ispirano a consolidate esperienze normative di alcuni Paesi Oltre Oceano” e le ricadute positive che l’adozione di tale istituto avrebbe ai fini della “riduzione dei tempi dei procedimenti di separazione e di divorzio”, permettendo di “giungere ad una soluzione più serena e veloce della controversia” con evidenti vantaggi ai fini della “tutela del superiore interesse dei figli […] che possono trovarsi coinvolti” nella crisi coniugale. Come si evince dalla stessa proposta, sebbene il patto prematrimoniale dovrebbe riguardare la sfera personale e patrimoniale sia nella fase fisiologica che patologica del rapporto, gli accordi che vengono stipulati riguardano soprattutto gli effetti patrimoniali della crisi. L’esame del d.d.l. n. C/2669/XVII d’iniziativa dei deputati Morani e D’Alessandro, presentato il 15 ottobre 2014 e intitolato “Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di accordi prematrimoniali” rappresenta sul piano tecnico un passo avanti rispetto al progetto parlamentare presentato sullo stesso tema nel 20111 e consente spunti di riflessione sul problematico rapporto tra il regime patrimoniale della famiglia e la tendenza, deducibile dalle recenti riforme in materia familiare, alla maggiore autonomia negoziale degli interessati, di cui la negoziazione assistita, il divorzio breve, la disciplina delle unioni civili e, in prospettiva, gli stessi patti prematrimoniali, rappresentano senz’altro una evidente manifestazione. Il 28 febbraio 2019 il Consiglio dei Ministri ha approvato un importante disegno di legge con delega al Governo per la revisione del Codice civile ed avente ad oggetto, oltre all’annosa questione dei patti successori, i patti prematrimoniali, prevedendosi così, la possibilità di stipulare accordi per regolare i rapporti personali e patrimoniali, anche in previsione dell’eventuale crisi del rapporto, nonché a stabilire i criteri per l’indirizzo della vita familiare e l’educazione dei figli. È un disegno di legge con grandi ambizioni che mira a ridisciplinare delle associazioni e fondazioni, agli accordi pre-matrimoniali e… pre-unioni civili, con una “ripassata” al diritto successorio centrata sui diritti dei legittimari e i patti successori, cui si aggiunge una serie di interventi in materia di contratti. E trattandosi di un provvedimento “omnibus” pone delle perplessità che bisogna meditare attentamente perché bisogna verificare la tenuta del riordino con la pratica che infligge non pochi problemi agli operatori del diritto. È dunque, sentita l’urgenza di avvalorare l’autonomia negoziale delle parti fino al punto da reclamare come necessaria, l’introduzione dei cd. patti prematrimoniali.



2. I prenuptial agreements negli Stati Uniti



La materia dei prenutptial agreements è stata disciplinata, in un primo momento, dall’Uniform Premarital Agreement Act (UPAA) elaborato dalla National Conference of Commissioners on Uniform State Laws e pubblicato nel 1983, successivamente, dal Chapter 7 dei Principles of the Law of Family Dissolution, elaborati dall’American Law Institute e pubblicati nel 2002. Questi due documenti racchiudono principi e regole destinati ad accomunare le legislazioni dei vari Stati della Federazione, ma quest’obiettivo è oggi solo in parte raggiunto visto che solo in 26 hanno adottato l’UPAA. Il premarital agreement viene definito, nei suoi termini basilari, come un accordo, destinato a produrre i suoi effetti dopo il matrimonio e col quale i futuri coniugi, prima di sposarsi o di entrare in una civil partnership2 regolano convenzionalmente i loro rapporti3 . Vengono così regolate le modalità con le quali le parti intendono dividere i loro beni o il loro patrimonio in caso di divorzio come pure possono essere previsti assegni una tantum. I patti possono altresì, avere ad oggetto diritti e doveri del matrimonio, proprietà dei beni acquistati, modifica o eliminazione del diritto al mantenimento post matrimoniale, disposizioni fiduciarie o altro, purché non si violino principi di ordine generale o disposizioni di carattere penale4 . In particolare, i Principles of the Law of Family Dissolution estendono l’impiego di tali strumenti negoziali anche ai conviventi e prevedono altresì, tipologie di accordi da stipularsi successivamente al matrimonio o in occasione della separazione. È senz’altro escluso che il premarital agreement possa incidere sui doveri nei confronti dei figli, così come sugli aspetti riguardanti l’affidamento dei figli e la potestà parentale5 . Inoltre, generalmente non è consentito che l’accordo possa influire sui presupposti per l’accesso al divorzio, mentre, negli Stati nei quali la colpa è rilevante ai fini della divisione del patrimonio in sede di divorzio, l’accordo può disporre anche in merito agli effetti della violazione dei doveri matrimoniali sulla divisione del patrimonio e sugli obblighi di mantenimento. Sebbene, fatte salve queste ultime preclusioni, l’ambito di applicazione del premarital agreement sia definito in termini piuttosto generali ed includa anche i diritti e gli obblighi di carattere personale tra i coniugi (ai sensi della sec. 3 UPAA), le corti sono abbastanza propense ad escludere l’enforcement di pattuizioni relative ai rapporti personali.

Quanto al regime patrimoniale, è opportuno sottolineare che in alcuni Stati nordamericani vige il regime della comunione che replica, grosso modo, il modello vigente nei Paesi di civil law6 . Negli Stati che si basano sul regime della community of property, i beni non personali sono attribuiti in comunione ad entrambi i coniugi e sono divisi in parti uguali al momento del divorzio. Altri Stati seguono invece, il modello della equitable distribution7 in base al quale, al momento dello scioglimento del matrimonio, il giudice può assegnare i beni in base ad un criterio di equità indipendentemente dall’intestazione formale degli stessi8 . Negli Stati in cui vige la regola dell’equitable distribution, occorre poi prestare attenzione all’oggetto della divisione. Infatti, ferma restando la regola per cui i beni soggetti a divisione vengono ripartiti secondo l’equitable distribution system, si distingue tra Stati nei quali ogni bene può considerarsi potenzialmente soggetto a divisione (all-property states) e Stati in cui (dual-classification states o hybrid states) si distingue tra separate property e marital property e si assoggetta solo quest’ultima a divisione equitativa9 . I patti prematrimoniali giocano dunque, un ruolo differente a seconda degli Stati: nel primo caso, la finalità dei prenuptial è quella di evitare che operi il regime legale che distribuisce i beni – tutti i beni, anche quelli acquistati prima del matrimonio – in parti uguali fra i coniugi. Nel secondo caso, la finalità è quella di arginare la discrezionalità del giudice nello stabilire le assegnazioni della marital property. I prenuptial vengono di norma stipulati per evitare che i beni del proprio patrimonio acquisito durante il matrimonio, vengano divisi con l’altro coniuge10: è comune, tra le clausole contrattuali l’esclusione dalla comunione dei beni di quanto conseguito durante il matrimonio da uno dei due coniugi con il suo lavoro oppure attraverso donazioni o eredità (the exclusion of community of property of accrued gains) e l’impegno a non intentare alcuna causa per ottenere financial provisions. A tale riguardo la dottrina ha fatto ricorso all’incisiva espressione “bargaining in the shadow of the law”11 proprio per indicare che gli accordi tra coniugi tendono necessariamente a forgiarsi all’ombra del regime legale vigente. L’UPAA pone inoltre, a carico delle parti di un prenuptial agreement un obbligo di “fair e reasonable disclosure”, cioè, una dichiarazione fedele circa i beni materiali e finanziari di pro prietà, che se disatteso, può determinare nella parte sfavorita, il diritto di chiedere che l’accordo venga dichiarato “unenforceable”, previa dimostrazione dell’altrui omissione. Un premarital agreement è ineseguibile (section 6) se:

1. non sia stata fornita un’informazione giusta e ragionevole circa l’assetto patrimoniale delle parti;

2. non vi sia una clausola che modifichi o elimini il mantenimento del coniuge, se tale modifica o eliminazione porti una delle pari a dipendere dalla pubblica assistenza;

3. se l’accordo sia iniquo al momento della stipula.

Nelle legislazioni statali troviamo requisiti aggiuntivi: nel Connecticut, ad esempio, si è disposto che il premarital agreement sia ineseguibile anche nel caso che una delle parti dimostri che non le sia stata fornita adeguata assistenza legale (such party was not afforded a reasonable opportunity to consult with independent counsel).



3. Validità dei patti prematrimoniali nel sistema inglese



La casistica giurisprudenziale inglese, nel corso di tutto il Novecento, conferma il dato, deducibile a livello legislativo, che in linea generale, sino a non molto tempo fa, per il sistema britannico, i prenuptial agreements, erano privi di efficacia. Il primo caso del Ventesimo secolo avente ad oggetto l’applicazione di un siffatto accordo, fu esaminato dalla House of Lords nel 1929; in quell’occasione, venne stabilito che un accordo stipulato prima delle nozze, non potesse impedire al coniuge avente diritto di chiedere, durante il giudizio di divorzio, l’attribuzione di un assegno di mantenimento, sulla base del rilievo che l’imposizione al marito dell’obbligo di mantenere la moglie, era rivolto a tutelare non solo costei, ma anche i terzi che entrassero in contatto con lei. Nel sistema inglese, in passato, la traditional common law title theory of property stabiliva che la titolarità formale dei beni fosse l’unico criterio per deciderne l’attribuzione. Quindi, al momento del divorzio ciascun coniuge conservava la titolarità dei beni a lui intestati12. Questo criterio venne abbandonato con il Matrimonial Causes Act del 1973 adottando la formula dell’equitable distribution system con il quale il giudice può dividere i beni dei coniugi, in considerazione di una serie di criteri volti a realizzare una equa allocazione delle risorse a prescindere dalla loro intestazione formale. L’intera disciplina delle conseguenze patrimoniali (financial provisions) del divorzio, dell’annullamento e della nullità del matrimonio e della dissolution delle civil partnerships è oggi regolamentata principalmente, e formalmente, dal Matrimonial Causes Act 1973 che disciplina the award of financial relief da parte delle Family Courts: in buona sostanza, la riforma del 1973 ha conferito alle Corti il potere di ridistribuire tra i coniugi gli assets di entrambi, a prescindere da quando e da chi li abbiano acquisiti al patrimonio personale (redistributive power). Per quel che concerne i rapporti fra i coniugi, in Inghilterra e in Galles il matrimonio non produce alcun effetto patrimoniale13. Il concetto di comunione, come conosciuto nei sistemi di civil law, è sconosciuto nell’ordinamento anglosassone: il diritto inglese distingue infatti, la non matrimonial property o non matrimonial assets dalla matrimonial property o matrimonial assets. La distinzione, che non è stata prevista dal legislatore, indica, nel primo caso, l’insieme di beni ricevuti come donazione o in eredità, prima o durante il matrimonio, o acquistati o prodotti (in caso di denaro) prima dell’unione matrimoniale o della civil partnership. Tale distinzione deve essere “letta” insieme al fatto che nell’ordinamento inglese, non esiste, come sopra detto, il regime della comunione dei beni (community of property), né durante il matrimonio, né nelle civil partnerships, poiché ognuno può fare dei suoi beni quello che crede durante il matrimonio o la civil partnership. Per contro, in sede di divorzio o dissolution della civil partnership14, di fatto, la comunione dei beni viene invece, imposta dalle Corti: alla giurisdizione è assegnata competenza esclusiva a decidere in materia dal momento che le Family Courts oggi hanno una discrezionalità assoluta e totale nel riallocation process. I criteri sono indicati dalla legge, ma sono talmente soggettivi ed elastici, da non contenere la discrezionalità dei giudici. Esistono poi nell’ordinamento inglese le cd. ancillary relief. Si tratta della richiesta di provvedimenti di natura economica, ulteriori rispetto alla separazione, al divorzio o alla dissolution, e che coinvolgono il denaro e le proprietà dei coniugi o, più in generale, le conseguenze economiche della nullità del matrimonio, della separazione, del divorzio e della dissolution. Altro istituto è il cd. clean break theory che consiste nell’attribuzione di una somma una tantum (lump sum) o l’assegnazione al coniuge economicamente debole di uno o più beni appartenenti all’altro, limitando ad ipotesi residuali il pagamento di somme periodiche a titolo di mantenimento.



3.1. La gestione della crisi coniugale negli altri



Paesi Europei In alcuni sistemi giuridici europei, come quello tedesco e francese, è consentita la possibilità di una definizione contrattuale della crisi coniugale sin dal momento genetico del rapporto matrimoniale e al momento della determinazione del regime patrimoniale. I nubendi possono stipulare apposite convenzioni che comprendano anche le modalità regolatrici della eventuale rottura matrimoniale. Un ruolo importante poi nella definizione della crisi matrimoniale viene attribuito al notaio, figura che, invece, non riveste medesimo ruolo nel nostro sistema, nella fase patologica del matrimonio. Competenza specifica del notaio in tema di accordi divorzili, viene prevista dalla riforma francese in tema di divorzio, come pure in Germania, è possibile accedere ad un divorzio consensuale con assistenza notarile (einvernehmliche Scheidung durch Notare). L’intervento del notaio per la validità e/o la pubblicità di diversi atti concernenti il diritto di famiglia è previsto in Belgio (per i contratti di matrimonio e di divorzio con attribuzione di immobili), in Francia (per le convenzioni matrimoniali) in Germania e in Spagna (per i contratti di matrimonio)15. Interessante risulta poi anche il raffronto con altre esperienze geograficamente e culturalmente piuttosto vicine alla nostra.

Si pensi, ad esempio, alla legislazione catalana, la quale, dopo aver espressamente consentito, sin dal 1998, intese preventive, in contemplazione di una possibile rottura del rapporto, nel contesto degli accordi tra conviventi, sia eterosessuali che omosessuali (cfr. gli artt. 3 – per le convivenze eterosessuali – e 22 – per le convivenze omosessuali – della legge catalana n. 10 del 15 luglio 1998, d’unions estables de parella/de uniones estables de pareja, secondo cui i conviventi, sin dall’inizio della loro unione, “pueden regular las compensaciones económicas que convengan en caso de cese de la convivencia con el límite de los derechos que regula este capítulo, que son irrenunciables hasta el momento en que son exigibles”, è passata ad ammettere, nel relativo Codi de familia (art. 15), del medesimo 1998, che pure nei capítols matrimonials, “hom pot determinar el règim econòmic matrimonial, convenir heretaments, fer donacions i establir les estipulacions i els pactes lícits que es considerin convenients, àdhuc en previsió d’una ruptura matrimonial”.



4. Convenzioni matrimoniali e accordo prematrimoniale



Il codice utilizza il termine “convenzione” nel libro I per individuare i negozi di diritto familiare relativi al regime patrimoniale, stabilendone le regole di forma e di pubblicità. Sono convenzioni quelle con cui si convengono la separazione dei beni (anche all’atto di celebrazione del matrimonio), il ritorno alla comunione legale oppure la comunione convenzionale e il fondo patrimoniale. Ulteriore campo di applicazione del modello di convenzione matrimoniale è quello del mutamento e della modificazione di precedenti convenzioni. Che la convenzione matrimoniale presupponga il normale svolgimento della convivenza coniugale, essendo caratterizzata da un sostanziale parallelismo di volontà e interessi, è un dato non rinvenibile né sul piano letterale del tessuto normativo né sul piano della ratio legis. Si leggano, infatti, in combinato disposto gli artt. 162, 3° co., 163, 191, 2° co., 194, 2° co., 210 c.c., ma ancor prima gli artt. 159, 160 e 161. La convenzione matrimoniale può stipularsi in ogni tempo – recita l’art. 162, 3° co., c.c. – salvo il disposto dell’art. 194 c.c. Il riferimento a questa norma è particolarmente importante perché essa si colloca nella parte relativa allo scioglimento della comunione ed è rubricata “Divisione dei beni della comunione”. “È convenzione matrimoniale l’atto che si pone in connessione diretta con la situazione patrimoniale di un determinato matrimonio e non è altrimenti disciplinato dalla legge in ragione di tale connessione”16. Questa definizione è aderente ai dati normativi e rileva che anche i patti cd. prematrimoniali nonché quelli stipulati durante il matrimonio in previsione della crisi imminente ovvero durante la crisi stessa del matrimonio, sono pur sempre convenzioni matrimoniali. È tale non solo l’accordo di separazione, ma anche l’accordo previsto dagli artt. 4, 16° co. e 5, 8° co., l. n. 898/1970. Che la convenzione matrimoniale possa essere omologata dal giudice risulta chiaramente dall’art. 163 c.c. sulla questione delle modifiche in caso di morte di uno dei coniugi. Sempre dallo stesso articolo, risulta che è annotabile sull’atto di matrimonio la sentenza di omologazione, che anzi, deve essere annotata ai fini dell’opponibilità ai terzi. La convenzione matrimoniale, dunque, non può essere stipulata quando il matrimonio è già sciolto ovvero ne sono cessati gli effetti civili. Gli accordi tra ex coniugi, successivi alla data di scioglimento o cessazione di effetti civili, non sono convenzioni matrimoniali perché il matrimonio non esiste più, ma finché esso esiste giuridicamente, ogni accordo tra coniugi che riguardi la gestione degli aspetti patrimoniali del matrimonio, anche in vista del suo scioglimento, è convenzione matrimoniale che può essere modificata con l’intervento di tutti i contraenti ovvero, in caso di convenzione omologata, con l’intervento di una nuova omologazione da annotare sull’atto di matrimonio. Comunque sia, qualsiasi ragionamento sul problema della validità dei patti in vista del divorzio, non può prescindere da un punto di partenza, ossia, che gli effetti del divorzio sono comunque, effetti del matrimonio e gli effetti del matrimonio sono regolati dall’art. 160 c.c., che impedisce ai coniugi di derogare ai diritti e ai doveri che derivano dal matrimonio. Ergo, secondo la dottrina tradizionale17, i coniugi non possono validamente stipulare un patto che abbia ad oggetto la sussistenza e la misura di un futuro assegno divorzile.



5. La negoziabilità nel diritto di famiglia



L’incremento delle crisi coniugali s’accompagna, oltre che al decremento dei matrimoni, ad un aumento nel nostro Paese, delle unioni di fatto, e, più in generale, delle “nuove famiglie”, e di quelle che vanno sotto il nome di “famiglie ricostituite” (o step families). Tutto questo comporta il nascere di nuove esigenze, di nuovi problemi da risolvere, di nuovi istituti da elaborare per garantire una regolamentazione adeguata dei differenti rapporti che si creano e delle conseguenze che questo può avere sulle così dette parti deboli: il partner, la partner, i figli e i creditori. Già nel 1967, vigente il regime di indissolubilità del vincolo matrimoniale, quella autorevole dottrina che solo dieci anni prima aveva definito la famiglia come “un’isola che il mare del diritto può lambire, ma lambire soltanto”18, valutando un accordo diretto alla predeterminazione delle conseguenze patrimoniali dell’annullamento del matrimonio, individuava nel principio della autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.) il fondamento di una pattuizione economica, rilevando come in questo caso, sia “palese l’interesse tipico del regolamento di rapporti, se pure non si abbia una disposizione esplicita del codice che preveda tale regolamento, essendo quasi impensabile che al termine della convivenza non ci siano ragioni di dare ed avere, pretese reciproche”19. Neanche due lustri più tardi, una delle più celebri monografie in materia di contratto, afferma che “necessità pratiche e progresso civile esigono che, de iure condendo, e, per quanto possibile, de iure interpretando, si rivalutino questi patti regolatori di rapporti di famiglia, o associativi, e così via”20, aggiungendo che “guardando lontano, si potrebbero immaginare scelte pattizie della regola sulla dissoluzione del matrimonio, sul governo della famiglia, sul cognome dei coniugi”.

Nel nostro tessuto sociale, l’interesse verso il fenomeno dei prenuptial agreements si innesta nel più ampio dibattito circa l’opportunità di valorizzare, in seguito alle recenti riforme che hanno investito il diritto di famiglia, l’autonomia privata nei rapporti tra coniugi, con particolare riferimento alla definizione dei riflessi patrimoniali della crisi coniugale. Ammettere che gli sposi possano stipulare “convenzioni di natura patrimoniale prima della celebrazione del matrimonio, ai sensi dell’articolo 1322”, infatti, significherebbe riconoscere la possibilità ai coniugi di optare per alternative ulteriori, rispetto a quelle attualmente previste ed in particolare, di adottare modelli di regime patrimoniale a compartecipazione differita propri di esperienze giuridiche straniere, oppure di dare vita a regimi patrimoniali atipici, o, ancora, di risolvere la questione della esclusione del co-acquisto. Lo scopo degli accordi prematrimoniali è quello di ammettere, prima del matrimonio, la stipula di convenzioni volte a regolare, ora per allora, le eventuali reciproche concessioni21 che i coniugi si dovranno fare, una volta venuta meno l’unione matrimoniale: gli effetti di tali pattuizioni sono sospensivamente condizionati allo scioglimento del vincolo matrimoniale. La finalità dello strumento, infatti, è quella di attutire le possibili conseguenze patologiche che si possono verificare a seguito dello scioglimento di un’unione che, col tempo, si è dimostrata sbagliata, intendendosi così l’accordo prematrimoniale come patto solutorio di un’unione ormai giunta al termine. Comunque sia, qualsiasi ragionamento sul problema della validità dei patti in vista del divorzio non può prescindere da un punto di partenza, ossia che gli effetti del divorzio sono comunque, effetti del matrimonio e gli effetti del matrimonio sono regolati dall’art. 160 c.c., che impedisce ai coniugi di derogare ai diritti e ai doveri che derivano dal matrimonio. Ergo, i coniugi non possono validamente stipulare un patto che abbia ad oggetto la sussistenza e la misura di un futuro assegno divorzile22. Alla luce, poi, dei più recenti interventi normativi in materia di gestione della crisi familiare, vi sono ulteriori ragioni che depongono per l’ammissibilità dei patti pre-matrimoniali. Particolare importanza assume il d.l. 12 settembre 2014, n. 132 (convertito con modifiche dalla l. 10 novembre 2014, n. 162) in tema di semplificazione dei procedimenti di separazione e divorzio, le cui previsioni sono state considerate “di rilevanza epocale” in quanto sanciscono “la fine della concezione del matrimonio come atto sottratto alla autonomia degli sposi e di valenza in senso lato pubblicistica”23. Più in dettaglio, l’art. 6 del d.l. n. 132/2014 introduce la cd. negoziazione assistita (finalizzata al raggiungimento di una soluzione consensuale di separazione personale o di divorzio, o alla modifica delle condizioni di separazione o di divorzio), nell’ambito della quale i coniugi possono, con un atto di autonomia sia pure “assistita” da un avvocato per ciascuna parte, ma comunque senza intervento del giudice, non solo regolare i loro reciproci rapporti patrimoniali, anche post-coniugali, ma altresì sciogliere il vincolo matrimoniale; ed il loro accordo “produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali” che definiscono quei procedimenti (art. 6, co. 3°, d.l. n. 132/2014). Il valore sistematico di questa disciplina è, dunque, particolarmente intenso e consiste nell’investire l’autonomia privata del potere di modificare o estinguere uno stato personale e negoziare intorno ad esso, in quanto gli effetti della separazione o del divorzio originano, non già dalla pronuncia del giudice, ma dal consenso dei coniugi. È evidente, allora, che in questo modo, cade uno dei principali ostacoli alla validità degli accordi in vista del divorzio, in quanto viene smentito l’argomento della assoluta indisponibilità degli status e perde consistenza l’obiezione fondata sull’art. 160 c.c.



5.1. Le questioni aperte dopo la sentenza delle Sezioni Unite 18287/2018



In tale contesto, si inserisce in modo coerente anche il recente affrancamento dell’assegno post-matrimoniale dal parametro del “tenore di vita” dovuto alla nota sentenza della Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287 che attraverso il richiamo ai principi e valori costituzionali, ai nuovi modelli familiari, alla ricostruzione storica dei percorsi giurisprudenziali maturati nel corso del tempo, e alla lettura comparativa dell’art. 5 legge 1° dicembre 1970, n. 898 rispetto al contesto europeo, costituisce una preziosa cornice24. Alla Camera, la Commissione Giustizia, in sede referente, ha ripreso recentemente i lavori sulla proposta di legge recante Modifiche all’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile. Il d.d.l., che mira a dare una risposta al mutato e contrastante quadro giurisprudenziale, si pone l’obiettivo di fissare precise linee normative rispondenti all’esigenza di evitare, da un lato, che lo scioglimento del matrimonio sia causa di indebito arricchimento e, dall’altro, che sia causa di degrado esistenziale del coniuge economicamente debole che abbia confidato nel programma di vita del matrimonio, dedicandosi alla cura della famiglia rinunciando in tal modo a sviluppare una buona formazione professionale e a svolgere una proficua attività di lavoro o di impresa25.

6. Le resistenze in Italia verso i patti pre-matrimoniali e le prime aperture della giurisprudenza dopo il 2012 La giurisprudenza di legittimità ha sempre sostenuto la nullità degli accordi con cui i coniugi, al momento della separazione, determinano gli effetti economici del futuro divorzio26. La Corte di Cassazione, inizialmente, ha avuto una posizione di totale chiusura27, dichiarando la nullità per illiceità della causa dell’accordo che prevedeva il diritto per il marito separato di mantenere fermo per un certo periodo di tempo l’ammontare dell’assegno dovuto alla moglie per il mantenimento della stessa e dei figli, a prescindere dall’eventuale divorzio. Nello stesso senso, si è pronunciata la Corte qualche mese più tardi28, ritenendo non vincolante per il giudice del divorzio il patto stipulato tra i coniugi anteriormente all’instaurazione del giudizio (nella specie, in sede di accordo di separazione consensuale), per l’assegnazione del godimento della casa di abitazione a uno di essi. In Italia, un altro importante precedente, è dato dagli Ermellini nel 198429 che ritennero che “l’accordo, rivolto a regolamentare, in previsione di futuro divorzio, i rapporti patrimoniali fra coniugi, che sia stato stipulato fra cittadini stranieri (nella specie, statunitensi) sposati all’estero e residenti in Italia, e che risulti valido secondo la legge nazionale dei medesimi (applicabile ai sensi degli artt. 19 e 20 delle disposizioni sulla legge in generale), è operante in Italia, senza necessità di omologazione o recepimento delle sue clausole in un provvedimento giurisdizionale, tenuto conto che l’ordine pubblico, posto dall’art. 31 delle citate disposizioni come limite all’efficacia delle convenzioni fra stranieri, riguarda l’ordine pubblico cosiddetto internazionale, e che in tale nozione non può essere incluso il principio dell’ordinamento italiano, circa l’invalidità di un accordo di tipo preventivo fra i coniugi sui rapporti patrimoniali successivi al divorzio, il quale attiene all’ordine pubblico interno e trova conseguente applicazione solo per il matrimonio celebrato secondo l’ordinamento italiano e fra cittadini italiani”30. I punti più controversi sia in giurisprudenza che in dottrina sono:

– l’autonomia delle parti private, l’indisponibilità dell’assegno di divorzio,

– la contrarietà all’art. 9 della l. n. 898 del 1970,

– la natura imperativa dell’art. 160 c.c.,

– lo status coniugale,

– la limitazione del comportamento processuale delle parti,

– la rinunzia ai diritti futuri31.

Questi punti affrontati per gli accordi di divorzio, per sostenere le tesi possibiliste e proibizioniste, sono gli stessi che si pongono per i patti prematrimoniali, visto che questi ultimi spesso si riducono ad avere lo stesso oggetto degli accordi di divorzio. Questo deciso atteggiamento di chiusura è stato attenuato in alcune ipotesi, ritenendo valido, ad esempio, l’accordo con cui si garantiva al coniuge debole la corresponsione di un assegno periodico in vista della dichiarazione di nullità del matrimonio32 e quello in forza del quale, in vista di una pronuncia di divorzio, si prevedeva in favore del coniuge debole il diritto ad una rendita vitalizia33. La giurisprudenza ha sempre dichiarato la nullità di ogni accordo che, violando l’art. 160 c.c. e il principio di indisponibilità dei diritti e degli obblighi aventi la loro fonte nel matrimonio, aveva per questo motivo causa illecita34: tale illiceità era riscontrabile nel fatto che attraverso questi patti si poteva impedire la libera disponibilità dello status di coniuge (ad esempio con una clausola che prevedeva una grave sanzione economica in caso di richiesta di divorzio, coartando la libertà del coniuge di divorziare) oppure se stipulati al fine di concordare preventivamente l’assegno divorzile, rischiavano di vanificarne la funzione assistenziale. La posizione giurisprudenziale, pertanto, circoscrive il perimetro della sanzione di nullità ad ogni contratto che predetermini spostamenti patrimoniali in funzione della futura ed eventuale separazione, e che da essa trovino esclusiva ragione giustificatrice.

La Cassazione35, ad esempio, ha negato le pretese restitutorie di una moglie in relazione al consistente intervento finanziario per la ristrutturazione della casa di villeggiatura di uso familiare comune, ma di esclusiva proprietà del marito. Esclusa la configurabilità di un mutuo endo-familiare, le prestazioni venivano ritenute solutorie del dovere di contribuzione sancito dall’art. 143, co. 3°, c.c. Nell’argomentazione si chiariva che i bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento sono tenuti i coniugi, non si esauriscono in quelli “minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo”, avendo essi un “contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch’esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale”. Ricostruzione che coincide con l’impostazione della dottrina prevalente, secondo cui se il tenore di vita della famiglia è particolarmente elevato crescono i bisogni della famiglia e, conseguentemente, la misura della contribuzione dei suoi componenti. Il Palazzaccio schiude timidamente le porte agli accordi fra coniugi in vista della separazione solo nel 201236, reputando valida una scrittura privata firmata dai nubendi poco prima di sposarsi e del seguente tenore: “in caso di fallimento del matrimonio (separazione o divorzio) la moglie cederà al marito un immobile di sua proprietà, quale indennizzo delle spese sostenute dallo stesso per la ristrutturazione di altro immobile, pure di sua proprietà, da adibirsi a casa coniugale; a saldo, comunque, il marito trasferirà alla moglie un titolo BOT di lire 20.000.000”. Sopravvenuto il giudizio di divorzio, il marito proponeva in tale ultimo processo, in via riconvenzionale, domanda ex art. 2932 c.c. per ottenere una sentenza che tenesse luogo del trasferimento immobiliare non effettuato. La moglie ricorre in Cassazione facendo leva sulla tradizionale giurisprudenza di legittimità in tema di nullità delle intese tra coniugi in vista del divorzio, per violazione dell’art. 160 c.c. La Cassazione nega però che la questione sia ascrivibile a questa categoria di negozi, ritiene valida la scrittura privata e l’accordo in esso contenuto e rigetta il ricorso della moglie. Secondo i giudici, il divorzio non costituirebbe causa del negozio, ma un mero evento condizionale: si tratta dunque, di “un contratto atipico, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi, sicuramente diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322 c.p.v. c.c.”. Ma gli Ermellini fanno un passo ulteriore proponendo, per la prima volta, una distinzione tra i due seguenti tipi di intese:

– gli “accordi” che intendono “regolare l’intero assetto economico tra i coniugi o un profilo rilevante (come la corresponsione di assegno), con possibili arricchimenti e impoverimenti”, destinati ad essere colpiti da nullità in base alla ben nota giurisprudenza di legittimità, in quanto il fallimento del matrimonio costituisce una causa genetica dell’accordo, mirano a disporre dello status di coniuge, sono finalizzati a disporre dell’assegno divorzile o di mantenimento

– i “contratti” caratterizzati “da prestazioni e controprestazioni tra loro proporzionali”, in cui la crisi del rapporto viene in considerazione alla stregua di una condizione e da ritenersi invece, validi: il fallimento del matrimonio è degradato a mero evento condizionale ed il contratto è retto da un’autonoma causa costituita dallo scambio sinallagmatico di prestazioni proporzionali tra loro. Nel caso di specie, la separazione era l’occasione per dare esecuzione all’accordo stipulato il giorno prima del matrimonio Con questa pronuncia, la Suprema Corte ha così finito con il legittimare, anche se velatamente, la validità e l’efficacia, in genere, di tutti quegli accordi tra i coniugi che non realizzano possibili arricchimenti o impoverimenti in quanto caratterizzati da una proporzionalità tra prestazioni e controprestazioni. Cosa questa che fino a quel momento, era stata negata. Con il matrimonio la reciprocità di dare ed avere tra i coniugi, può rimanere quiescente, ma può legittimamente tornare a galla con il fallimento dello stesso matrimonio e con il conseguente venir meno dei diritti e doveri coniugali. L’apertura verso questo genere di accordi è timida. Forse, la Cassazione avrebbe potuto fare uno sforzo ulteriore: sarebbe tempo infatti, di considerare necessaria una valutazione non tanto strutturalistica dell’atto, ma basata sulla funzione concreta dell’atto, una valutazione che tenga conto dell’equilibrio degli interessi37. Nel 201338 la Cassazione torna ad occuparsi dell’argomento. La sentenza fa riferimento ad un contratto con il quale un marito “dichiarando di aver ricevuto dalla moglie la somma di £. 20 milioni si impegnava a restituirla in caso di separazione”. Si tratta, dunque di “un contratto di mutuo” nel quale l’obbligo di restituzione della somma mutuata viene assoggettato non già ad un termine, convenzionale o giudiziale (artt. 1816, 1817, 1° co., c.c.), ma ad una condizione e precisamente, all’evento futuro ed incerto della separazione personale dei coniugi. Il Palazzaccio ha ritenuto che “non c’è nessuna norma imperativa che impedisca ai coniugi, prima o durante il matrimonio di riconoscere l’esistenza di un debito verso l’altro e di subordinare la restituzione all’evento, futuro ed incerto, della separazione coniugale”. I tempi sembrano essere maturi verso un’apertura agli accordi collegati alle crisi familiari. Nel 2014 la Suprema Corte39 stabilisce che in caso di separazione consensuale o divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza incide sul vincolo matrimoniale ma, sull’accordo tra i coniugi, realizza – in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli – un controllo solo esterno attesa la natura negoziale dello stesso, da affermarsi in ragione dell’ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti. Ne consegue che i coniugi possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l’affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori.

Nel 2015 gli Ermellini nell’affrontare una controversia concernente la natura di un accordo tra coniugi per vendere la casa coniugale di comune proprietà, con destinazione del ricavato al saldo di un mutuo ipotecario e divisione in pari quote del residuo prezzo, qualificano il contratto come transazione40. Le sentenze fin qui segnalate, non consentono di argomentare per un definitivo riconoscimento giurisprudenziale della validità degli accordi prematrimoniali, ma affermano l’idoneità del divorzio ad assurgere a lecita condizione cui subordinare gli effetti di un contratto avente per oggetto rapporti patrimoniali tra coniugi occasionati dal matrimonio o comunque, ad esso connessi. Qualche spiraglio, ma nessun atto di coraggio. Ma sorge una domanda: nel divorzio a conclusioni congiunte, i coniugi non rassegnano forse, delle richieste sulle quali si è trovata prima un’intesa? E questo, senza che l’ordinamento si allarmi di accertare ‘quando’ e ‘come’ l’accordo sia stato raggiunto? Quale difformità esiste tra questa ipotesi e quella in cui le parti trovino un accordo economico sul futuro divorzio prima dell’incardinarsi del giudizio?



7. La giurisprudenza di merito sul tema dei patti patrimoniali



La giurisprudenza di merito si è sempre adeguata all’insegnamento restrittivo della Cassazione41. Una pronuncia di merito42 ha negato le pretese di un marito che agiva, in costanza di separazione personale, per domandare il pagamento del corrispettivo dovuto per l’opera professionale che egli, in qualità di architetto, aveva prestato in relazione alla ristrutturazione della casa coniugale di proprietà della moglie, nonché il rimborso delle spese per i materiali occorsi per la ristrutturazione e per l’arredo. Anche in tal caso, la causa giustificativa delle elargizioni veniva ritenuta coincidente con il rapporto di coniugio, con conseguente negazione di qualsivoglia pretesa restitutoria. A favore della tesi della nullità, si è pronunciato il Tribunale di Bologna43 che ha statuito nel 2014 che il contratto stipulato tra cittadini stranieri – facente parte integrante dell’atto di matrimonio (e quindi, in quanto tale, sicuramente definibile come convenzione matrimoniale, anche se perfezionatasi all’estero) –, con il quale sia stato stabilito tra i nubendi l’assunzione di un obbligo, da parte del futuro marito, di trasferire alla moglie la metà del patrimonio acquisito durante il matrimonio nel caso di divorzio al quale la coppia coniugata addivenga non per richiesta della moglie né per la sua condotta e responsabilità, dà luogo ad un accordo prematrimoniale che è regolato dalla legge nazionale comune ai coniugi, e ciò per quanto il marito abbia cittadinanza italiana e stabilmente risieda in Italia. Da ciò deriva che, al verificarsi del divorzio secondo la legge del paese d’origine e che nel paese d’origine sia stato dichiarato, la domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre proposta avanti l’autorità giurisdizionale italiana dal coniuge ‘favorito’ dalla convenzione matrimoniale, ossia la moglie, va respinta, non trovando, in base ai criteri della legge applicabile secondo il diritto internazionale, disciplina nella legge italiana comune dei coniugi.



8. Le criticità del nuovo articolo 162-bis c.c.



In questo quadro succintamente delineato fin qui, si colloca la proposta di introdurre l’art. 162-bis all’interno del codice civile44, recante la disciplina del contenuto e della forma degli accordi pre-matrimoniali sulla regolamentazione dell’eventuale separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Tali accordi devono essere stipulati, a pena di nullità, mediante “atto pubblico redatto da un notaio alla presenza di due testimoni” ovvero mediante convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ai sensi dell’art. 2 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162. Parimenti, la volontà di modificare o di sciogliere l’accordo, deve essere espressamente e congiuntamente dichiarata con il medesimo atto. La proposta intende ampliare il contenuto delle convenzioni di cui all’art. 162 c.c. riconoscendo ai coniugi la possibilità di disciplinare, in qualsiasi momento, anche prima di contrarre il matrimonio, i loro rapporti patrimoniali anche nell’ottica di un’eventuale separazione personale ovvero di un eventuale divorzio45. Attraverso le convenzioni in questione sarebbe pertanto, consentito ai coniugi la gestione anticipata e consensuale dei loro rapporti patrimoniali, evitando così che la negoziazione di essi sia rinviata ad un momento successivo in cui il matrimonio è entrato già in crisi. Gli accordi prematrimoniali sono stipulabili prima delle nozze, ma identiche pattuizioni possono essere concluse durante il matrimonio sino al momento della presentazione del ricorso per separazione personale Decisamente vasto il contenuto di tali possibili intese, posto che il d.d.l. prevede espressamente che “un coniuge può attribuire all’altro una somma di denaro periodica o una somma di denaro una tantum ovvero un diritto reale su uno o più immobili con il vincolo di destinare, ai sensi dell’art. 2645-ter, i proventi al mantenimento dell’altro coniuge o al mantenimento dei figli”. Riconosciuta la natura di convenzione matrimoniale dell’atto costitutivo di un vincolo di destinazione in favore di una determinata famiglia, non solo si applicheranno le norme contenute dall’art. 160 c.c. all’art. 166-bis c.c., ma dovrà concludersi per l’applicazione dell’art. 48 l. notarile, e quindi, l’atto richiederà, per la sua validità, non solo la forma dell’atto pubblico, ma anche la presenza di due testimoni. Rimane problematico il profilo della trascrizione per la concorrenza normativa esistente tra il sistema pubblicitario disciplinato dagli artt. 162, 4° co., c.c. e 2647 c.c., da un lato, e quello di cui all’art. 2645-ter c.c., dall’altro. A parte questi profili di coordinamento che difettano all’interno del d.d.l. attualmente all’esame della Camera, vi è un profilo di opportunità da tenere in debito conto. È certamente rischioso per gli avvocati sotto il profilo della responsabilità disciplinare, procedere ad una negoziazione assistita avente ad oggetto la predeterminazione di un assegno divorzile una tantum. Per fare un’operazione economica di questo tipo, il d.d.l. dovrebbe prevedere l’imposizione di una disclosure all’americana, ossia, l’obbligo della trasparenza in capo al coniuge obbligato di dire quale sia il suo patrimonio ed inoltre, ciascuno degli avvocati dovrebbe attestare che ciascuna delle due parti, è stata informata sulle conseguenze degli accordi in oggetto. La formulazione della norma sui possibili effetti successori (“In tali convenzioni, in deroga al divieto dei patti successori e alle norme in tema di riserva del coniuge legittimario, possono essere previste anche norme per la successione di uno o di entrambi i coniugi, salvi i diritti degli altri legittimari”) è poi certamente in grado di eliminare, a differenza di quanto previsto dai precedenti disegni di legge, ogni possibile incertezza sull’applicabilità ad ogni tipo di successione predeterminando gli effetti della trasmissione endo-familiare della ricchezza46. Il disegno di legge nulla prevede nel caso di un possibile annullamento del matrimonio, sebbene sia evidente la frequenza con la quale tale rimedio viene invocato in Italia dinanzi ai tribunali ecclesiastici, allo scopo di far venire meno gli effetti di pronunce di separazione o divorzio, prima del relativo passaggio in giudicato. Se le parti ottenessero direttamente l’annullamento del vincolo, vuoi in sede civile, vuoi in sede ecclesiastica, con successiva delibazione della decisione, il patto prematrimoniale non stipulato con espressa previsione dell’ipotesi dell’annullamento non potrebbe avere effetto, non essendosi verificata una delle condizioni essenziali per la sua operatività (separazione o divorzio, appunto). Nel caso invece, in cui vi sia una pronunzia di separazione e/o una decisione sul divorzio, cui l’annullamento facesse seguito, ci si potrebbe chiedere quale sarebbe la sorte delle attribuzioni patrimoniali nel frattempo eventualmente effettuate in adempimento del contratto prematrimoniale. Si pensi ad un accordo che predeterminasse, come avviene all’estero, l’ammontare delle somme dovute in caso di separazione e/o divorzio, magari proporzionandola al reddito del più agiato dei coniugi; nulla quaestio, invece, nel caso di rinunzia al trattamento post-matrimoniale. Non avendo riferimenti certi e dovendo ragionare sul come fare, potrà essere utile meditare su una lontana sentenza della Cassazione che si è trovata ad affrontare, il problema relativo alle conseguenze dell’annullamento del matrimonio sull’obbligazione assunta da un coniuge di trasferire all’altro la proprietà di un bene immobile a scopo di mantenimento, o di alimenti, per il periodo di separazione antecedente alla dichiarazione di nullità del vincolo. La soluzione fornita a tale interrogativo è quella secondo cui “La sopravvenuta dichiarazione di nullità del matrimonio non estingue l’obbligazione assunta da un coniuge di trasferire all’altro la proprietà di un bene immobile a scopo di mantenimento, o di alimenti, per il periodo di separazione antecedente alla dichiarazione di nullità del vincolo; né tale dichiarazione costituisce evento risolutivo di un trasferimento già operato od evento ostativo all’adempimento dell’obbligazione da parte del debitore ove sia stato incensurabilmente accertato dal giudice del merito che l’attribuzione patrimoniale non sia stata implicitamente subordinata (principio della presupposizione) alla persistente validità del matrimonio ma alla esistenza di oneri economici nascenti dal vincolo nuziale, alla cui regolamentazione le parti intesero provvedere”47. In altri termini, la pronunzia di nullità del vincolo matrimoniale non può comportare la caducazione in radice del diritto della moglie al mantenimento, se la relativa pretesa sia riferita al periodo in cui a carico del marito esisteva il relativo obbligo.



9. Cosa è possibile prevedere in attesa della riforma



Alla luce delle succinte considerazioni fin qui svolte, e non essendoci una disciplina specifica è chiaro che un accordo deve essere stipulato con l’ausilio di un professionista – e se lo consideriamo come una convenzione matrimoniale, questo non potrà che essere un Notaio, posto che le convenzioni matrimoniali devono essere stipulate per atto pubblico – che segua il tracciato fissato dalle recenti sentenze della Cassazione. L’art. 159 c.c. statuisce che “il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell’articolo 162, è costituito dalla comunione dei beni”: la norma dice cosa è “il regime patrimoniale legale”, ma il regime patrimoniale sappiamo essere quel complesso di regole, di fonte legale o negoziale, che disciplina le spettanze e i poteri dei coniugi in ordine all’acquisto ed alla gestione dei beni48 e nulla vieta di includere tutti i possibili accordi economici fra i coniugi. Inoltre, se è vero che le convenzioni matrimoniali sono ricompresi nella definizione dell’art. 1321 c.c. – sebbe ne sottoposti ad una particolare disciplina, in considerazione della loro inerenza all’interesse del gruppo familiare – si applicherebbero, sussidiariamente, ma in via diretta, le norme sui contratti in generale49: potranno apporsi un termine iniziale, una condizione sospensiva e, se la convenzione contiene una liberalità, un modus50. Inoltre, la norma non vieta di disciplinare con una convenzione matrimoniale il momento della crisi coniugale. Occorrerà dunque, che:

1. l’accordo prematrimoniale venga stipulato riferendosi al fallimento del matrimonio come evento ipotetico al verificarsi del quale si produrranno gli effetti dell’accordo;

2. il pagamento di somme ed ogni tipo di previsione economica siano motivati dal voler definire i rapporti patrimoniali, senza riferirsi nell’accordo a esigenze di quantificazione di assegno di mantenimento o di divorzio.

Altri strumenti che potrebbero adottarsi qualora non ci si sentisse abbastanza forti di questa interpretazione, sarebbero gli strumenti classici come il contratto preliminare ex art. 2645-bis c.c. oppure un contratto di destinazione di vincolo patrimoniale ex art. 2645-ter c.c. quest’ultimo, espressamente previsto dallo stesso disegno di legge essendo chiaramente provata l’idoneità, quanto meno in astratto, della destinazione di uno o più beni, a realizzare gli interessi di un determinato nucleo familiare. E ‘opportuno precisare che il problema non avrebbe ragione di porsi, se si ritenesse di limitare in via tassativa il novero delle convenzioni matrimoniali, a quelle regolate nel capo VI del titolo VI del libro I del codice. Ma la tesi ormai prevalente, afferma il carattere atipico delle convenzioni e dei relativi regimi patrimoniali51: il fatto, anzi, che il legislatore sia intervenuto, in materia di convenzioni matrimoniali per dichiarare la nullità di questo o quel patto, consente, argomentando a contrario, di affermare che la regola generale è proprio quella della libertà di contenuto. Si osserva, inoltre, che l’art. 161 c.c. è incompatibile con il supposto principio di tipicità delle convenzioni matrimoniali52. Infine, è inutile tacerlo, occorre valutare la naturale “concorrenzialità”, nella predisposizione dei relativi patti, tra l’avvocato e il notaio. E sul punto, c’è poco da dire. Ad oggi, solo il notaio è il professionista legittimato a rogare accordi in vista della crisi coniugale contenenti modifiche alle norme in tema di regimi patrimoniali della famiglia. L’avvocato può eventualmente aiutare le parti a redigere una scrittura privata: come già ammesso in sede di contratti della crisi coniugale, il trasferimento o la costituzione potranno avere nel contratto preventivo la struttura del mero impegno a trasferire o a costituire, sottoposta alla condizione sospensiva della crisi coniugale.

NOTE

1 Si tratta del d.d.l. S/2629/XVI d’iniziativa dei deputati Mazzatorta, Garavaglia e Filippi comunicato alla Presidenza del Senato il 18 marzo 2011. Questo d.d.l. limitava temporalmente gli accordi al periodo che precede la celebrazione delle nozze. Inoltre, per la validità degli accordi, si prevedeva la sola forma scritta. Ma poi precisava che il patto prematrimoniale fosse “sottoscritto dalle parti, a pena di nullità, e depositato presso l’Ufficio del registro, territorialmente competente in ragione della residenza di uno dei contraenti”.

2 Civil Partnership Act, 2004.

3 “An agreement between parties contemplating marriage that alters or confirms the legal rights and obligations that would otherwise arise under [...] law governing marital dissolution”. Cfr. section 7.01 Scope and Definitions.

4 Uniform Premarital Agreement Act: “Parties to a premarital agreement may contract with respect to: Rights and obligations of parties. The rights and obligations of each of the parties in any of the property of either or both of them whenever and wherever acquired or located; Right to buy, sell, use property. The right to buy, sell, use, transfer, exchange, abandon, lease, consume, expend, assign, create a security interest in, mortgage, encumber, dispose of or otherwise manage and control property; Disposition of property. The disposition of property upon separation, marital dissolution, death or the occurrence or nonoccurrence of any other event; Spousal support. The modification or elimination of spousal support; Making of will. The making of a will, trust or other arrangement to carry out the provisions of the agreement; Death benefit. The ownership rights in and disposition of the death benefit from a life insurance policy; Choice of law. The choice of law governing the construction of the agreement; Other matter. Any other matter, including their personal rights and obligations, not in violation of public policy or a law imposing a criminal penalty”.

5 “The right of a child to receive support may not be adversely affected by a premarital agreement”.

6 L. BarBiera, La comunione legale, Bari, 1997.

7 Negli equitable distribution states, i beni sono di esclusiva proprietà dell’in-

testatario, oppure comuni, nel caso in cui i coniugi decidano di cointestarseli.

8 Nel caso in cui si viva in uno dei community property states (California, Arizona, Idaho, Louisiana, Nevada, New Mexico, Texas, Washington), in assenza di un accordo che disponga diversamente, la legge prevede che i beni accumulati durante il matrimonio e caduti in comunione, vengano divisi in parti uguali; negli equitable distribution states, invece, le corti dividono il patrimonio con un ampio margine di discrezionalità, sulla base di una serie di criteri tra cui figurano la capacità di reddito, il contributo dato alla formazione del patrimonio comune e di ciascuno, l’età, la salute, la durata del matrimonio.

9 Per avere un quadro dell’attuale situazione, cfr. la tavola sinottica del sito http://www.divorcesource.com/tables/reform.

10 Secondo E. al Mureden, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole, Milano, 2007, 170-171, negli USA ed in Inghilterra il ricorso agli agreements risponde all’esigenza di arginare almeno in parte una discrezionalità (delle Corti) che talvolta è avvertita come un’indebita intrusione in sfere private, nonché per consentire alla parte economicamente forte, di limitare le pretese dell’altra.

11 L’espressione è traducibile come “contrattazione all’ombra della legge”. In dottrina, cfr. A.L. Wax, Bargaining in the Shadow of the Market: Is there a Future for Egualitarian Marriage?, in 84 Va. law. rew., 509, 1998.

12 C. SMarT, Divorce in England 1950-2000: A moral Tale?, in Cross Currents, Family Law and Policy in the United States and England, ed. by S.N. KaTZ, J. eeKelaar, M. MaClean, Oxford, 2000, 363 ss.

13 Stesso discorso vale anche per le unioni registrate.

14 Per i Civilpartners trova applicazione il Civil Partnership Act 2004 sec. 72 schedule 5.

15 M. di FaBio, Manuale di notariato, Milano, 2007, 429 ss.

16 Cfr. le voci sulle convenzioni matrimoniali di V. RoPPo, in Enc. giur., IX, Roma, 1988; F.D. BuSnelli, in Enc. dir., X, Milano, 1986 e l’appendice di aggiornamento scritta con E. BarGelli.

17 A questa conclusione, giungeva A. TraBuCChi, Assegno di divorzio: attribuzione giudiziale e disponibilità degli interessati, in Giur. it., 1981, I, 1, 1153.

18 C.A. JeMolo, La famiglia e il diritto, riportato in AA.VV., Verso la terra dei figli, Milano, 1994, 69.

19 C.A. JeMolo, Convenzioni in vista di annullamento di matrimonio, in Riv. dir. Civ., 1967, II, 530.

20 R. SaCCo, Il contratto, Torino, 1975, 493.

21 Gli accordi prematrimoniali possono riguardare non solo gli aspetti patrimoniali, bensì anche aspetti personali (familiari, qualora durante l’unione vengano alla luce dei figli), se e nei limiti in cui non ostacolino l’esercizio delle libertà fondamentali dell’individuo. A tal proposito la pattuizione avente ad oggetto l’esercizio di un simile diritto potrebbe essere formulata ricorrendo allo strumento della cd. “condizione premiale”.

22 A questa conclusione, giungeva A. TraBuCChi, Assegno di divorzio: attribuzione giudiziale e disponibilità degli interessati, in Giur. it., 1981, I, 1, 1153.

23 M. SeSTa, Negoziazione assistita e obblighi di mantenimento nella crisi della coppia, in Fam. e dir., 2015, 3, 296.

24 Il carattere perequativo dell’assegno divorzile emerge dalla preliminare e necessaria valutazione da parte del giudice di tutte le circostanze indicate all’inizio del comma 6° dell’art. 5 l. div. In dottrina, si è affermato che la giurisprudenza, anche prima della sentenza in commento, pur mostrando formale ossequio al principio del tenore di vita, mostrava segni di insofferenza nei confronti dello stesso determinando il progressivo declino di tale parametro, a favore di una logica assistenziale: C. RiMini, Verso una nuova stagione per l’assegno divorzile dopo il crepuscolo del fondamento assistenziale, in NGCC, 2017, II, 1277.

25 Di seguito le principali modifiche apportate dal d.d.l.: sostituzione del 6° co. dell’art. 5 della legge n. 898/1970. Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale potrà disporre l’attribuzione di un assegno a favore di un coniuge, destinato a equilibrare, per quanto possibile, la disparità che lo scioglimento o la cessazione degli effetti del matrimonio crea nelle condizioni di vita rispettive dei coniugi; nuovi tre comma dopo il 6° comma dell’art. 5 della legge n. 898/1970. a) il tribunale valuterà, in rapporto alla durata del matrimonio: le condizioni personali ed economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio; il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune; il patrimonio e il reddito di entrambi; la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive, anche in considerazione della mancanza di un’adeguata formazione professionale o di esperienza lavorativa, quale conseguenza dell’adempimento dei doveri coniugali, nel corso della vita matrimoniale; l’impegno di cura di figli comuni minori, disabili o comunque non economicamente indipendenti; il comportamento complessivamente tenuto da ciascuno in ordine al venir meno della comunione spirituale e materiale; b) il tribunale, quindi, potrà predeterminare la durata dell’assegno nei casi in cui la ridotta capacità reddituale del richiedente sia dovuta a ragioni contingenti o comunque superabili; c) L’assegno non sarà dovuto nel caso di nuove nozze, di unione civile con altra persona o di una stabile convivenza del richiedente l’assegno. L’obbligo di corresponsione dell’assegno non sorgerà nuovamente a seguito di separazione o di scioglimento dell’unione civile o di cessazione dei rapporti di convivenza.

26 Cass. civ. 28 gennaio 2008 n. 1758, in Giust. civ. Mass., 2008, 1, 97; Cass. civ. 5 marzo 2006 n. 5302, in Giust. civ. Mass., 2006; Cass. civ. 12 febbraio 2003 n. 2076, in FD, 2003, 344; Cass. civ. 18 febbraio 2000 n. 1810, in Corr. giur., 2000, 1021; Cass. civ. 20 marzo 1998 n. 2955, in Foro it., 1999, I, 1306 e in Contratti, 1998, 472, con nota di G. Bonilini, Gli accordi in vista del divorzio.

27 Cass. civ., 11 giugno 1981, n. 3777.

28 Cass. civ., 5 dicembre 1981, n. 6461.

29 Cass. civ. 3 maggio 1984, n. 2682, in Dir. fam., 1984, 521 e in Riv. dir. int.

priv. e proc., 1985, 579.

30 Al riguardo, cfr. G. oBerTo, “Prenuptial agreements in contemplation of di-

vorce” e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, 171.

31 Sul punto si potrebbe replicare che nel nostro ordinamento vige un principio di libera disponibilità dei diritti futuri (art. 1348, 1472 e 1938 c.c.), salvi i soli divieti espressamente stabiliti dalla legge (art. 771 c.c.), come pure è possibile stipulare accordi per prevenire l’insorgere di lite (art. 1965 c.c.), ovviamente nel rispetto dei diritti inderogabili e dei principi di ordine pubblico.

32 Cass. civ. 13 gennaio 1993, n. 348, in I contratti, 1993, 137, con nota di M. MoreTTi, Accordi “ora per allora” e nullità del matrimonio.

33 Cass. civ. 14 giugno 2000, n. 8109, in Familia, 2001, 1, II, 245, con nota di G. Ferrando, Crisi coniugale e accordi intesi a definire gli aspetti economici.

34 Cass. civ., 11 giugno 1981, n. 3777, in Giur. it., 1981, I, 1, 1553: “In tema di divorzio, il preventivo accordo con cui gli interessati stabiliscono, in costanza di matrimonio, il relativo regime giuridico, anche in riferimento ai figli minori, convenendone l’immodificabilità per un dato periodo di tempo, è invalido, nella parte riguardante i figli, per l’indisponibilità dell’assegno dovuto ai sensi dell’art. 6, l. 1° dicembre 1970, n. 898, nella parte riflettente l’assegno spettante all’ex coniuge a norma del precedente art. 5, per contrasto sia con l’art. 9 della stessa legge, che non consente limitazioni di ordine temporale alla possibilità di revisione del suindicato regime, sia con l’art. 5, cit., che, fissando i criteri per il riconoscimento e la determinazione di un assegno all’ex coniuge, configura un diritto insuscettibile, anteriormente al giudizio, di rinunzia o di transazione, attesa l’illiceità della causa di un negozio siffatto, perché sempre connessa, esplicitamente o implicitamente, all’intento di viziare, o quanto meno di circoscrivere, la libertà di difendersi in detto giudizio, con irreparabile compromissione di un obiettivo d’ordine pubblico come la tutela dell’istituto della famiglia. Pertanto, in tale giudizio, non può una delle parti impedire all’altra di provare la verità delle condizioni di fatto alle quali la legge subordina e commisura l’assegno di divorzio e quello di mantenimento dei figli, eccependo l’intangibilità dell’accordo intervenuto in merito prima dell’inizio del giudizio medesimo”. Adde: Cass. civ. 20 maggio 1985, n. 3080, in Giur. it., 1985, I, 1, 1456; Cass. civ. 2 luglio 1990, n. 6773, in Mass. Giur. it., 1990; Cass. civ. 11 dicembre 1990, n. 11788, in Arch. civ., 1991, 417; Cass. civ. 1° marzo 1991, n. 2180, in Dir. fam., 1991, 926; Cass. civ. 4 giugno 1992, n. 6857, in Giur. it., 1992, I, 1, 338; Cass. civ. 11 agosto 1992, n. 9494; Cass. civ. 28 ottobre 1994, n. 8912; Cass. civ. 7 settembre 1995, n. 9416; Cass. civ. 11 giugno 1997, n. 5244; Cass. civ. 20 marzo 1998, n. 2955; Cass. civ. 18 febbraio 2000, n. 1810; Cass. civ. 14 giugno 2000, n. 8109, in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, 704. In dottrina, cfr. P. ZaTTi, M. ManTovani, La separazione personale, Padova, 1983, 387; M. DoGlioTTi, Separazione e divorzio, Torino, 1988, 11; A. e M. FinoCChiaro, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984, 691.

35 Cass. civ., 17 settembre 2004, n. 18749, in Rep. Foro it., 2004, voce “Matrimonio”, n. 109.

36 Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 2012, n. 23713, in Contratti, 2013, 221 ss.

37 P. PerlinGieri, Recenti prospettive nel diritto delle obbligazioni, in Vita Not., 1976, 2, 103 ss.

38 Cass. civ., sez. III, 21 agosto 2013, n. 19304 in Notariato, 2014, 4, 418 nota di A. Marini: “Nessuna norma imperativa impedisce ai coniugi, in costanza di matrimonio, di riconoscere resistenza di un debito verso l’altro e di subordinare la restituzione al verificarsi di un evento futuro ed incerto quale è la separazione coniugale. L’inderogabilità dei diritti e dei doveri che scaturiscono dal matrimonio non viene meno per il fatto che uno dei coniugi, avendo ricevuto un prestito dall’altro, si impegni a restituirlo per il caso della separazione. Che poi l’esistenza di un simile accordo si possa tradurre in una pressione psicologica sul coniuge debitore al fine di scoraggiarne la libertà di scelta per la separazione è questione che nel caso specifico non ha trovato alcun riscontro probatorio; e che comunque, ove pure sussistesse, non si tradurrebbe di per sé nella nullità di un contratto come quello in esame”.

39 Cass. civ., Sez. I, 20 agosto 2014 n. 18066, in Fam. e Dir., 2015, 357.

40 Cass. civ., Sez. I, 19 agosto 2015 n. 16909, in CED Cassazione.

41 Per tutte: Trib. Arezzo 28 giugno 2011, in Notariato, 2011, 508; Trib. Varese 29 marzo 2010, in FD, 2011, 295, con nota di E. PaTania, e in FD, 2011, 919, con nota di R. Torre; Trib. Bologna 10 aprile 2006, in Fam. pers. e succ., 2006, 563; Trib. Milano 29 marzo 1997, in Gius, 1997, 1535.

42 Trib. Napoli, 8 gennaio 2001, in Gius, 2001, 2779 ss. In senso analogo, si pone anche Trib. Modena 10 gennaio 2013, nella banca dati De Jure, secondo cui le spese effettuate durante la vita coniugale rientrano nell’impegno di cui all’art. 143 c.c. di sostenere insieme i pesi della famiglia; pertanto, quand’anche si dovesse intravvedere un arricchimento in capo ad uno dei coniugi, esso non sarebbe indebito, poiché conforme al principio della solidarietà morale e materiale ed avvenuto sulla comune volontà delle parti.

43 Trib. Bologna Sez. II, 5 febbraio 2014 reperibile sul sito Giuraemilia.it, 2015.

44 Art. 162-bis c.c. Accordi prematrimoniali. “I futuri coniugi, prima di contrarre matrimonio, possono stipulare, con la stessa forma prevista nell’art. 162, convenzioni volte a disciplinare i rapporti dipendenti dall’eventuale separazione personale e dall’eventuale scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Le convenzioni riguardanti i figli minori o economicamente non autosufficienti devono essere preventivamente autorizzate dal Giudice. In tali convenzioni un coniuge può attribuire all’altro una somma di denaro periodica o una somma di denaro una tantum ovvero un diritto reale su uno o più immobili con il vincolo di destinare, ai sensi dell’art. 2645-ter, i proventi al mantenimento dell’altro coniuge o al mantenimento dei figli fino al raggiungimento dell’autosufficienza economica degli stessi. In ogni caso ciascun coniuge non può attribuire all’altro più di metà del proprio patrimonio. Tali convenzioni possono anche contenere la rinuncia del futuro coniuge al mantenimento da parte dell’altro, salvo il diritto agli alimenti ai sensi dell’art. 433 cod. civ. e segg. e salvo il disposto di cui all’art. 143 cod. civ. Nelle convenzioni un coniuge può anche trasferire all’altro coniuge o ad un terzo beni o diritti destinati al mantenimento, alla cura o al sostegno di figli portatori di handicap per la durata della loro vita o fino a quando permane lo stato di bisogno, la menomazione o la disabilità a causa dell’handicap. Le parti possono stabilire un criterio di adeguamento automatico del valore delle attribuzioni patrimoniali predisposte con la convenzione. In tali convenzioni, in deroga al divieto dei patti successori e alle norme in tema di riserva del coniuge legittimario, possono essere previste anche norme per la successione di uno o di entrambi i coniugi, salvi i diritti degli altri legittimari. Alla modificazione delle convenzioni di cui ai commi precedenti si procede con la stessa forma prevista al primo comma. Le convenzioni di cui innanzi possono essere stipulate dai coniugi anche durante il matrimonio sino alla presentazione del ricorso di separazione personale. I ricorsi di separazione personale e di divorzio devono contenere il riferimento alle convenzioni innanzi previste. Per l’opponibilità ai terzi delle convenzioni di cui sopra si applica l’ultimo comma dell’art. 162”.

45 Il Consiglio Nazionale del Notariato nel corso dell’Audizione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati il 28 giugno 2017, ha evidenziato come sia opportuno escludere dall’ambito degli accordi pre-matrimoniali le disposizioni relative ai figli, poiché la tutela dei loro diritti, sempre estremamente delicata e complessa, è comunque condizionata dalla situazione contingente di conflitto tra i coniugi, difficoltoso da prefigurare quando vi è il pieno accordo.

46 Il d.d.l. del 2011 prevedeva che il “Il patto prematrimoniale può anche escludere il coniuge dalla successione necessaria”. Sembrava dunque che i coniugi potessero reciprocamente o unilateralmente, rinunziare non solo alla successione necessaria, ma anche alla successione per testamento o addirittura ab intestato, sebbene l’inserimento di una clausola di esclusione del coniuge dalla successione necessaria non avrebbe comportato di per sé la perdita dei diritti successori collegati alla successione legittima, nel caso non si fosse fatto riferimento a quest’ultima.

47 Cass. civ., 5 luglio 1984, n. 3940, in Dir. fam. pers., 1984, 922.

48 C.M. BianCa, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, 4a ed., Milano, 2005,

80; M.R. Morelli, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Padova, 1996, 4.

49 l.v. MoSCarini, Convenzioni matrimoniali in generale, in C.M. BianCa (a cura di), La comunione legale, II, Milano, 1989, 1003; G. GaBrielli, M.G. CuBeddu, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997, 236.

50 U. Carnevali, Le convenzioni matrimoniali, in Tratt. Bonilini-Cattaneo, II, Torino, 2007, 29.

51 Cfr. per tutti G. oBerTo, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, 636 ss.

52 L’art. 161 c.c. impone ai coniugi un limite di natura formale, vietando che la volontà negoziale sia espressa per relationem. La norma dunque, presuppone un’ampia autonomia dei coniugi nell’autoregolamentazione dei loro rapporti patrimoniali e, proprio per questo, viene spesso indicato come elemento a sostegno della tesi dell’atipicità delle convenzioni matrimoniali. In tal senso cfr. G. oBerTo, Le convenzioni matrimoniali: lineamenti della parte generale, in FD, 1995, 603.