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La violenza di genere: una nozione complessa

autore: T. Pagliaro

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Excursus delle fonti normative: diritto sovranazionale e diritto interno. - 3. La nuova legge n. 69 del 19 luglio 2019. - 4. Conclusioni ed aspetti critici.



1. Introduzione



L’espressione “violenza di genere” impone l’idea di una nozione ampia che richiede un approccio interdisciplinare, considerata la complessità di analisi1 . Frequentemente, assistiamo ad una certa confusione terminologica, come la sovrapposizione con la violenza domestica, rispetto alla quale invece la violenza di genere appare ben più vasta, tale da ricomprenderla. La violenza di genere può racchiudere: qualsiasi danno fisico, sessuale, emotivo, psicologico, economico contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere, della sua espressione di genere2 . Non sempre è valida l’equiparazione della violenza di genere a ogni forma di violenza e di reato che si compie contro le donne da parte di uomini. Infatti, può apparire metodologicamente inesatto, da un lato, limitare la nozione ai casi in cui i fatti criminosi siano posti in essere da uomini, potendo anche essere commessi tra donne o verso donne transessuali, quindi anagraficamente ancora di sesso maschile. D’altro canto, bisogna considerare la fattispecie violenza di genere non limitata al solo caso in cui le vittime siano donne, ma quando sia il genere della vittima la ragione per la quale si è prodotto un fatto criminoso, dunque quando esso rimandi palesemente ai rapporti di dominazione che caratterizzano i rapporti fra i generi3 .

La violenza di genere, nella sua complessità ed estensione ingloba reati specifici e reati generici, più o meno ad essa intuitivamente riconducibili, come la violenza sessuale, le molestie, lo stalking senza che sia tuttavia possibile perimetrare con certezza quali siano le fattispecie in essa rientranti. Infatti, dall’ultima legge del 19 luglio 2019 n. 69, ne sono stati definiti altri tre: costrizione o induzione al matrimonio (art. 558- bis), deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies) e diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter). Parimenti, in una accezione ampia e inclusiva sono da comprendere anche fenomeni sociali che certamente necessitano di una contestualizzazione che tenga conto dei rapporti gerarchici e di dominazione tra generi, come il caso delle mutilazioni genitali femminili (MGF) e la tratta delle donne per schiavitù sessuale, sicuramente espressione di una violenza fondata sul genere, sebbene sovente non analizzati ed affrontati sotto questa prospettiva. Il legislatore italiano, sostenuto fortemente dalle fonti sovranazionali, è intervenuto sul fenomeno della violenza di genere, percorrendo una lenta evoluzione attraverso interventi legislativi recenti, da ultimo la l. n. 69 del 19 luglio 2019 (Codice Rosso), che seppur hanno avuto il merito di condurre al centro del dibattito la drammaticità del tema, dall’altro hanno aggravato la confusione terminologica e conseguito una normativa frammentata e tendenzialmente emergenziale in risposta ai feroci fatti di cronaca, priva di sistematicità ed organicità. Infatti, a partire dal 2009, con l’introduzione del reato di atti persecutori e delle misure cautelari di cui agli articoli 282-bis e ter c.p.p. e così via, sono state introdotte una serie di disposizioni mediante le aggiunte di articoli successivi (bis, ter, quater, ecc.) al preesistente articolato del codice di procedura penale, ed anche a quello sostanziale, negando ulteriormente l’opportunità, necessaria ormai, di sistematicità all’intera materia.



2. Excursus normativo

Diritto sovranazionale



Un supporto giuridico completo al tema della violenza di genere è stato fornito dal diritto comunitario a partire dalla Risoluzione del Parlamento Europeo del 26 novembre 2009, che può essere riassunta in quattro punti fondamentali: 1) la violenza degli uomini nei confronti delle donne non costituisce meramente un problema di salute pubblica, ma anche una questione di disuguaglianza tra i due generi, ambito in cui l’Unione Europea ha il mandato per intervenire; 2) la violenza degli uomini contro le donne costituisce una violazione dei diritti umani, particolarmente il diritto alla vita, alla sicurezza, alla dignità, all’integrità mentale e fisica, nonché alla scelta e alla salute sia sessuale che riproduttiva; 3) la violenza degli uomini nei confronti delle donne ostacola la partecipazione delle stesse alle attività sociali, alla vita politica, alla vita pubblica e al mercato del lavoro e può portare le donne all’emarginazione ed alla povertà; 4. la violenza contro le donne come madri esercita, direttamente ed indirettamente, un impatto negativo duraturo sulla salute mentale ed emotiva dei loro figli e può innescare un ciclo di violenza ed abusi che si perpetua di generazione in generazione. Non bisogna trascurare il ruolo, direi fondamentale, anche educativo del diritto, potendo sostenere che le leggi dei padri possono diventare la morale dei figli, così come scritto dal criminologo inglese Nigel Walker4 : la legislazione di una generazione può divenire la morale della generazione successiva. Nel quadro d’azione del Consiglio d’Europa, ha fatto seguito la Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, che riconosce la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani e uno dei principali ostacoli al conseguimento della parità di genere e dell’emancipazione femminile5 . La Convenzione si pone l’obiettivo di assicurare che gli Stati firmatari adottino livelli avanzati, per tutti, di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne, di protezione delle vittime e di punizione dei responsabili6 .

Il testo definisce in termini generali all’art. 37 la violenza di genere come species più ampia di violenza contro le donne. Le categorie di riferimento proposte dalla Convenzione sono meramente descrittive-esemplificative, tuttavia rappresentanti i casi statisticamente più significativi del fenomeno. All’art. 5 della Convenzione sono precisati il contenuto e la natura degli obblighi internazionali degli Stati contraenti; quello di astensione da condotte integrative di violenza contro le donne direttamente o indirettamente imputabili agli organi statali; la prescrizione di azioni dirette alla prevenzione del fenomeno (capitoli III); protezione e sostegno delle vittime (capitolo IV); le attività per indagare e punire i responsabili (capitolo VI); la prescrizione di una serie di altri impegni, di carattere politico e sociale (capitolo II), ad esempio, come riconoscere alle vittime adeguate misure di rimedio per i casi di violenza imputabili a soggetti privati. Sul piano sostanziale, il documento non trascura peraltro un’adeguata considerazione di fattispecie (capitolo V) gravi e sistematiche di violenza subite tipicamente (matrimoni forzati) o esclusivamente (pratiche lesive tradizionali, mutilazioni genitali; gravidanze forzate, schiavitù sessuale nel corso di conflitti armati). Quest’ultimo versante di disciplina appare particolarmente urgente nei casi di violenze o abusi la cui dimensione internazionale impone un intervento preventivo-repressivo sul piano proprio della cooperazione internazionale: cooperazione transfrontaliera o protezione consolare (capitoli VII e VIII). Molte disposizioni della Convenzione hanno natura auto-esecutiva (self executing) e non richiedono l’adozione di nuove norme, come per le ipotesi di violenza sessuale, compreso lo stupro (art. 36), matrimonio forzato (art. 37), mutilazioni genitali femminili (art. 38), aborto forzato e sterilizzazione forzata (art. 39), molestie sessuali (art. 40), favoreggiamento della prostituzione. Le autorità nazionali, al momento della firma o del deposito dello strumento di ratifica, accettazione, approvazione o adesione, hanno facoltà di riservarsi la determinazione del tipo di sanzioni (amministrative, civili o penali) utili ad un efficace contrasto del fenomeno. La legge n. 77 del 27 giugno 2013, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, concerne una ratifica da parte dello italiano “tout court” della Convenzione d’Istanbul, prevedendo le clausole di ratifica e di esecuzione dell’accordo internazionale e riservando ad un successivo approfondimento l’adozione delle disposizioni necessarie a rendere il nostro ordinamento del tutto conforme alla medesima in ragione del valore e della rilevanza sociale dei beni giuridici tutelati.



Diritto interno



Il legislatore italiano ha considerato la tematica della violenza di genere, seguendo più il profilo della tutela della sicurezza pubblica che quello dell’effettiva valorizzazione dei diritti fondamentali delle donne o più genericamente, di coloro che subisco violenza per appartenenza ad un determinato genere. Il diritto interno ha avviato un adeguamento lento e piuttosto recente rispetto alla normativa sovranazionale, spesso attraverso decretazioni d’urgenza sul tema della violenza di genere e sulla definizione di “vittima di reato” adottata in ambito europeo. L’idea di vittima “vulnerabile” è comparsa per la prima volta in modo confuso nel diritto italiano con la legge 15 ottobre 2013 n. 119, Conversione e modificazioni, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, Recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province, che ha previsto particolari forme di protezione per la stessa, chiamata a testimoniare nel processo8 . Il decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 24, Prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e protezione delle vittime, attuando la direttiva 2011/36/UE, ha consentito al giudice di attivare particolari presidi in tutela delle persone offese, anche maggiorenni, nel delicato ruolo di testimone, in condizione di particolare vulnerabilità in base alla fattispecie di delitto (art. 398 comma 5-ter c.p.p.)9 . Con il decreto legislativo del 15 dicembre 2015 n. 212, pubblicato sulla G.U. n. 3 del 5 gennaio 2016, l’Italia ha dato attuazione alla direttiva 2012/29/UE in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, dotandosi di nuovi strumenti a tutela della persona offesa, compiendo un importante passo in avanti verso il riconoscimento di un status di vittima “vulnerabile” e verso il miglioramento delle forme di protezione ad essa assicurate, all’interno e all’esterno del processo penale. Infine, di recente ingresso è la legge del 19 luglio 2019 n. 69, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, che rappresenta un’ulteriore tappa del percorso di adeguamento del diritto interno agli obblighi discendenti dalle fonti eurounitarie, nella materia d’interesse10. Le fattispecie di reato di diritto sostanziale contemplate dal codice penale dirette a reprimere gli atti di violenza di genere nei confronti delle vittime “vulnerabili” sono: maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572); violenza sessuale (art. 609-bis); violenza sessuale aggravata (art. 609-ter); atti sessuali con minorenni (art. 609-quater); corruzione di minorenne (art. 609-quinquies); violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies); atti persecutori/stalking (art. 612-bis); costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis); deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies); diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter). Il d.l. 14 agosto 2013 n. 93, convertito in legge 15 ottobre 2013 n. 119 recante anche disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, comunemente noto come legge sul “femminicidio”, sebbene la rubrica della legge ha un oggetto assai eterogeneo11. Non può evitarsi di osservare criticamente, che le norme di contrasto ad un fenomeno efferato ed esteso come la violenza di genere, siano state contestualizzate in un provvedimento in materia di amministrazione pubblica e protezione civile, ciò dimostra manifestamente l’approccio emergenziale seguito dal legislatore italiano, dando prova di un orientamento al problema assolutamente carente in termini di cambiamento socio-culturale, che al contrario avrebbe dovuto suggerire riflessione e ponderazione nell’esame delle esigenze poste a base del fenomeno che presenta caratteristiche di natura sistematica e strutturale, motivo per il quale da più parti sono stati sollevati dubbi circa l’effettiva sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza12. Prendendo atto e quindi confermando l’opinione di chi ha evidenziato come spesso le novità legislative siano più adeguate e utili alle pagine dei giornali che a fornire strumenti di tutela alla vittima13. Infatti, l’intento del legislatore nell’approntare la norma in esame, può apparire caratterizzato da una prevalente preoccupazione rassicuratoria della collettività, confermata da due elementi rintracciati uno nella premessa del d.l., dove si attribuisce massima importanza all’allarme sociale, suscitato dagli eventi di grave violenza in danno delle donne14, il secondo dall’uso da parte di alcuni rappresentanti del Governo, della formula usata per riferirsi al provvedimento legislativo – legge contro il femminicidio – rilevando poi, che nessuna delle norme in essa contenuta si occupa dell’uccisione delle donne, in quanto donne. Inoltre, né il codice né la legge in esame forniscono una definizione di femminicidio, per questo motivo è utile adottare le nozioni già esistenti nel linguaggio comune15 e nella letteratura criminologica16.

Il provvedimento normativo inasprisce le pene con nuove aggravanti e amplia le misure a tutela delle vittime dei maltrattamenti e violenza domestica, offrendo all’art. 3, l’unica definizione, presente nel nostro ordinamento interno, di violenza domestica17. La norma focalizza l’attenzione sulla relazione affettiva tra due persone a prescindere dall’eventuale convivenza o matrimonio (attuale o pregresso) tra i due. Infatti, vengono inserite nuove aggravanti attraverso le modifiche all’art. 609-ter c.p. numeri 5, 5-ter, 5-quater, riferendosi al fatto commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, ovvero da colui che alla stessa persona offesa è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza. Appare evidente, che la norma non si occupa solo di fatti di violenza intrafamiliare o domestica. Infatti, l’aggravante colpisce anche il separato o il divorziato o colui che sia stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza, con la vittima. Non si pongono limiti temporali di alcun genere con una previsione a proiezione postuma illimitata. In tali casi non sembra ravvisarsi la ratio della norma, volta a sanzionare più gravemente quei comportamenti che scaturiscono in costanza o in occasione o in ragione di un rapporto in essere o da poco cessato, o che in qualche modo abbia un collegamento con tali situazioni passate. Ad ogni modo si può parlare di relazione affettiva quando si è in presenza di un certo coefficiente di stabilità e di significativa durata18. Per quanto attiene alla violenza assistita il codice penale si arricchisce di una nuova aggravante comune, applicabile ai maltrattamenti in famiglia e a tutti i reati di violenza fisica in danno o in presenza di minori o contro donne in stato di gravidanza. La nuova circostanza richiede, peraltro, il ricorso al principio di specialità, per dirimere nuovi problemi di coordinamento proprio con un’altra circostanza aggravante comune19, quella di cui all’art. 61 comma 1 n. 11-ter c.p., ovvero l’aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore, all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione. In effetti, si tratta di circostanza sovrapponibile parzialmente quanto all’aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore, ma speciale per la previsione che tale reato si consumi all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione. Contraddicendo lo stesso titolo della norma, che intitola circostanze aggravanti comuni, mentre siamo in presenza di aggravanti tipiche/speciali. L’aggravante prevede che il delitto sia consumato in danno del minore, o in sua presenza. Nel caso di testimone minorenne del delitto si porrà il problema della consapevole percezione del fatto incriminato da parte del minore in così tenera età, da porre dubbi sulla sua percezione del fatto medesimo. Ed ancora, occorrerà accertare se il soggetto agente avesse avuto la possibilità di percepire la presenza del minore, visto l’art. 59 comma 2 c.p.20, potendosi escludere l’applicazione di questa circostanza nel caso di reato commesso alla presenza di minore, quando questi assista al fatto all’insaputa dell’agente. Idem, la circostanza non potrà essere applicata, nel caso di ignoranza e non percepibilità da parte dell’autore della minore età del minorenne presente. L’aggravante si applica anche quando il delitto sia commesso in danno di persona in stato di gravidanza. Per cui sembra potersi ritenere che la stessa non è applicabile nel caso di uno stato interessante che non risulti percepibile, similmente a quanto detto in merito alla minore età. Fra le modifiche normative introdotte dalla l. 119 del 2013, da segnalare sono quelle al delitto di atti persecutori, di cui all’art. 612-bis c.p., concernenti il quadro edittale con l’elevazione della pena, nell’evidente fine di includere lo stalking fra quelli per i quali è prevista l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, a seguito della modifica dell’art. 280 comma 2 c.p.p. Quanto all’aggravante la norma prevede l’aumento della pena se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato. Dunque, è mutato il soggetto attivo del reato. L’aggravante di cui all’art. 61 n. 11-quinquies non si applica per converso all’art. 612-bis c.p. in quanto trattasi di delitto contro la libertà morale. La legge 119 del 2013 stabilisce che la querela per il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. può essere proposta nel termine di 6 mesi e la remissione della stessa può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’art. 612 secondo comma. Viceversa, seguendo il testo e la disciplina della norma di cui all’art. 612-bis c.p., una sola minaccia grave, unitamente a ulteriori diversi episodi di molestie, non determina l’irrevocabilità. Per remissione processuale è da intendere quella di cui all’art. 340 c.p.p., ovverosia quella fatta con dichiarazione ricevuta dall’autorità procedente o da un ufficiale di polizia giudiziaria. Poiché, tali modalità consentono entrambe di raccogliere la dichiarazione di volontà della vittima in un ambito di controllo pubblico in assenza di pressioni esercitate su questa dall’autore del reato. È stato inoltre modificato l’art. 612 c.p. per il quale si è previsto l’aumento della pena della multa per il delitto di minaccia semplice, che è passata da: fino ad € 51 a fino a € 1032. Ulteriore aggravante è quella del fatto commesso attraverso strumenti informatici o telematici. La legge n. 119 del 2013 formula il nuovo ammonimento di competenza del Questore, avente in generale profili di polizia, sicurezza e funge da misura di prevenzione per fatti riconducibili ai delitti di stalking e di lesioni (reati sentinella), per i quali lo stesso può pure in assenza di querela, procedere, assunte le informazioni necessarie da parte degli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ad adottare l’ammonimento all’autore del fatto21, può richiedere anche la sospensione della patente da parte del Prefetto.

La misura dell’ammonimento trova la propria ratio nel far avvertire al trasgressore l’antigiuridicità di una condotta che ancora non ha raggiunto la carica offensiva necessaria ad attivare la tutela penale22. Ad azionare l’ammonimento basta la semplice segnalazione della vittima, non sono ammesse segnalazioni anonime, ma è garantita la segretezza delle generalità del segnalante, dalla quale possa rilevarsi un indizio di pericolosità dell’offensore. Si rileva che il presente procedimento è sicuramente più snello rispetto a quello tratteggiato dal codice per applicare cautele in caso di reati endofamiliari23. L’ammonimento è identificabile come un atto amministrativo di tutela preventiva che può essere impugnato dall’ammonito, in quanto da siffatto provvedimento deriva la procedibilità d’ufficio e l’aggravamento del delitto di stalking24. A tutela della persona offesa scattano in sede processuale, una serie di obblighi di comunicazione, in linea con la direttiva europea sulla protezione delle vittime di reato. Infatti, la legge n. 119/2013, con l’art. 101 c.p.p. introduce obblighi di informazione, al momento della acquisizione della notizia di reato, a carico del p.m. e della polizia giudiziaria, in favore della persona offesa dai reati di cui agli articoli 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis, nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, la quale ha facoltà di nominare un difensore e avvalersi del patrocinio a spese dello Stato, anche in deroga ai limiti di reddito previsti dalla legge. Se la persona offesa ha già un difensore di fiducia, gli avvisi potrebbero essere dati nell’ambito del rapporto di difesa fiduciario. L’art. 101 c.p.p. non prevede nullità stabilite da apposite disposizioni di legge per la mancata informazione alla persona offesa. La violazione del diritto ad essere informata, con conseguente mancata nomina del difensore, per l’esercizio delle proprie facoltà, potrebbe dar luogo ad una nullità di ordine generale, quando dalla stessa sia derivata una concreta lesione al diritto di assistenza tecnica della persona, in sostanza al suo diritto di difesa. Per effetto della modifica dell’art. 299 c.p.p., la persona offesa acquisisce il diritto di ricevere comunicazione immediata a cura della polizia giudiziaria, dei provvedimenti di revoca, sostituzione con altra meno grave o applicazione con modalità meno gravose, della misura in corso; nonché avere comunicazione immediata, a pena di inammissibilità, della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare in corso, a cura delle parti richiedenti, con l’espresso potere di presentare memorie ai sensi dell’art. 121 c.p.p. L’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare (art. 384-bis c.p.p.) è una misura precautelare, insieme al divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa. È disposta dagli ufficiali ed agenti di p.g., previa autorizzazione del p.m., scritta oppure orale, ma nella seconda ipotesi, poi deve esser confermata per iscritto o per via telematica.

È da ricordare che il legislatore ha con la l. 4 aprile 2001, n. 154 introdotto gli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p., finalizzati a reprimere gli abusi che originano all’interno della famiglia, estendendone progressivamente la portata dell’applicabilità degli stessi, con la n. 119 del 2013, fino alle ipotesi di lesioni procedibili d’ufficio e di minacce. La misura precautelare richiede, non solo lo stato di flagranza in relazione ai delitti di cui all’art. 282-bis comma 6 c.p.p. almeno con riferimento all’art. 582, ma parrebbe anche in relazione all’art. 570 c.p., il comma 6 si riferisce alle sole ipotesi perseguibili d’ufficio, ma anche una valutazione in ordine alla futura reiterazione delle condotte, con conseguente grave ed attuale pericolo per la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa. Infatti il giudice, nel disporre gli arresti domiciliari, deve individuare un luogo in cui l’indagato possa permanere senza arrecare pregiudizio alla vittima (art. 284, comma 1-bis, c.p.p.); per la stessa esigenza, sono previsti obblighi di comunicazione all’offeso, già tutelato dalle misure summenzionate25. L’assoggettato a restrizioni del genere può seguire percorsi di recupero organizzati dai servizi territoriali, in modo da prevenire violenze e la reiterazione delle condotte delittuose. In caso di violazione delle prescrizioni inerenti alla misura cautelare di cui all’art. 282-bis c.p.p., eventualmente applicata in sede di convalida, ai sensi dell’art. 276 c.p.p., il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo con altra misura più grave, tenendo conto dell’entità, dei motivi e delle circostanze della violazione e ciò anche in base al disposto di cui all’art. 280 comma 3 c.p.p., che consente l’applicazione della custodia cautelare in carcere nel caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare applicata per reati che, ab origine, non la consentirebbero. Infine, si segnala che nel caso in cui le notifiche dell’udienza di convalida (art. 449 comma 5, ultimo periodo) non siano ritualmente effettuate nei termini ristretti delle 48 ore, la convalida non potrà avere luogo. Vengono introdotti obblighi di avviso alla persona offesa, con la modifica agli artt. 408 c.p.p. e 415-bis c.p.p. In relazione ai procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona, l’avviso alla vittima della richiesta di archiviazione deve essergli, in ogni caso notificato ed il termine per proporre opposizione è di 20 gg. Per quanto concerne l’art. 415-bis c.p.p., è previsto l’obbligo di notificare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari anche al difensore della persona offesa, ovvero alla stessa persona offesa, nel caso manchi il difensore, qualora si proceda per i reati di cui all’art. 572 e di cui all’art. 612-bis c.p. La legge n. 119 del 2013 all’art. 5 prevede tra le misure per la prevenzione il cosiddetto “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”26. Si osserva che trattasi di norme, che se accompagnate da concreta realizzazione pratica, con adeguato finanziamento, possono essere collocate nella giusta direzione del riconoscimento di una corresponsabilità della società nell’attività di prevenzione dei fatti di violenza27. Purtroppo, bisogna registrare che buona parte della suddetta misura è rimasta disattesa, sia in considerazione dell’eliminazione del Ministero per le Pari Opportunità per circa sei anni (reintrodotto da pochi giorni con il Governo Cinque Stelle e Partito democratico), sia perché nonostante la predisposizione negli anni di tre Piani nazionali28 (redatti da soggetti delegati), sono state registrate carenze e fragilità delle azioni previste, riconducibili all’esiguità delle risorse disponibili, alla carenza di chiari criteri per la distribuzione delle stesse, alla mancanza di parametri di individuazione dei servizi specialistici. Il terzo Piano ha previsto per la prima volta un meccanismo di monitoraggio e valutazione dei fatti di violenza. In merito, va osservato infatti, che per il periodo precedente non esiste in Italia una raccolta ufficiale dei dati sugli omicidi disaggregati per genere, e la mancanza di dati raccolti da istituzioni nazionali impedisce di misurare accuratamente la portata del fenomeno; come non esistono dati statistici ufficiali concernenti il numero dei processi penali instaurati per i casi di violenza maschile sulle donne29. Altra norma di diritto interno, che si inserisce nel solco tracciato dal diritto comunitario è il decreto legislativo 15 dicembre 2015 n. 212, di attuazione della direttiva 2012/29/UE, con la quale vengono uniformati i criteri di individuazione dello status di vittima vulnerabile30. Il legislatore comunitario, infatti, ergendosi a interprete di questa ritrovata sensibilità giuridica e sociale, ha imposto il soggetto leso al centro dell’agone processuale attraverso la suddetta direttiva, recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime del reato31. La scelta di predisporre una tutela globale e per modelli minimi, rappresenta il nuovo volto dell’Europa che, da Lisbona in poi, ha acquisito la capacità di dettare agli Stati membri non più solo suggerimenti, ma di fissare un limite indefettibile minimo comune32. Accanto agli strumenti di informazione sulla partecipazione alla dinamica processuale, il decreto interviene ad assicurare più ampie forme di tutela, nel corso del processo, alla vittima cui è riconosciuto un particolare stato di vulnerabilità, al fine di evitare i fenomeni di vittimizzazione secondaria. Viene così data attuazione al duplice scopo perseguito dalla direttiva 2012/29/UE sul punto: di individuare sia modalità di protezione della vittima da interferenze esterne e contatti con l’autore del reato, sia modalità di tutela che consentano alla persona offesa vulnerabile di prendere parte al processo senza dover scontare le conseguenze negative derivabili da una sua testimonianza. Il decreto modifica dunque la disciplina dell’incidente probatorio (art. 392 c.p.p.) e della prova testimoniale attraverso modalità protette (art. 398 co. V-bis c.p.p.), per i reati più gravi, ottenendo la vittima la possibilità di impugnare le decisioni di non luogo a procedere. Nonostante i diversi interventi legislativi, oggi manca nel diritto interno una definizione di vittima debole o meglio definita “vulnerabile”, che non sia rimessa al libero convincimento del giudice. Si osserva, che l’art. 90-quater c.p.p. è privo di elementi tassativi, non si configura come utile strumento per il giudicante, il quale a fronte dell’attività assertiva e istruttoria delle parti, deve decidere in assenza di univoche indicazioni normative. Sulla carta, le novità introdotte dal d.lgs. 212/2015 rafforzano senza dubbio la posizione dell’offeso nell’ambito del rito penale. Purtroppo, spesso a causa delle difficoltà quotidiane degli uffici e delle aule giudiziarie, esse non hanno trovato piena efficacia e totale attuazione, soprattutto in termini di tempestività e completezza delle informative da fornire, nonché di adeguatezza degli strumenti di protezione da apprestare.



3. La nuova legge del 19 luglio 2019 n. 69



Infine, passiamo ad esaminare le novità previste dalla recentissima legge 25 luglio 2019 n. 69, entrata in vigore il 9 agosto 2019, composta da 21 articoli, che in continuità con gli altri due interventi legislativi (l. n. 119/2013 e l. n. 212/2015), dovrebbe completare il quadro delle misure necessarie per un più incisivo contrasto alla violenza domestica e di genere, secondo due fondamentali direttrici:

– inasprire, in un’ottica di maggiore deterrenza, il trattamento sanzionatorio relativo ai reati, anche di nuova introduzione, identificati come espressivi del suddetto fenomeno;

– rafforzare il sistema di tutela preventiva delle vittime per mezzo della tempestiva adozione di misure di protezione, ampliare gli obblighi informativi e di comunicazione in loro favore, introdurre un più ampio numero di misure rivolte a contenere il pericolo di recidiva da parte dell’autore del fatto. Per una migliore comprensione della portata delle novità introdotte dalla legge n. 69/2019 al codice penale e di procedura penale, al Testo Unico in materia di misure di prevenzione e all’Ordinamento Penitenziario, appare utile procedere ad una analisi più accorata dell’articolato normativo. L’art. 1 introduce una rilevante modifica con finalità di accelerare i processi aventi ad oggetto reati di violenza di genere e favorire un’immediata presa incarico del procedimento da parte del p.m. e avviare una rapida azione investigativa33. Si prescrive un’attivazione “immediata” della polizia giudiziaria, senza alcuna possibilità di valutare la sussistenza o meno di ragioni di urgenza, infatti viene introdotta una presunzione assoluta di urgenza rispetto a fenomeni criminosi per i quali l’inutile decorso del tempo può portare ad un aggravamento delle conseguenze dannose o pericolose. L’obiettivo specifico della norma è da intravedere nell’assicurare la veloce instaurazione del procedimento al fine di pervenire, nel più breve tempo possibile, all’assunzione di provvedimenti protettivi della vittima. L’intervento normativo segue le indicazioni provenienti della direttiva 2012/29/UE. Il secondo articolo34 aggiunge all’art. 362 c.p.p. il comma I-ter, con il quale è fatto obbligo al pubblico ministero, entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato relativa ai reati indicati all’articolo precedente, ad esclusione di quello di cui all’art. 612-ter c.p., di assumere informazioni dalla persona offesa e da chi ha sporto denuncia, querela e istanza, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa. Anche per gli adempimenti del p.m. siamo in presenza dell’introduzione di una presunzione legale di urgenza diretta a favorire una rapida richiesta dei necessari provvedimenti impeditivi della reiterazione o aggravamento dei fatti delittuosi. Dalla lettura della norma si rileva che residua un margine di valutazione discrezionale al p.m., nella scelta del compimento dell’atto istruttorio oltre i tre giorni, solo per due esigenze, quella di tutela dei minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche a tutela della persona offesa. Alla presente modifica sono state sollevate diverse perplessità e criticità anche dal Consiglio Superiore della Magistratura35, che ha ritenuto eccessivamente rigido l’obbligo generale del termine dei tre giorni imposto al p.m. (eccetto art. 612-ter c.p.), decorrente dall’iscrizione della notizia di reato di assumere informazioni dalla persona offesa; evidenziando, inoltre, l’assenza di optare alcuna distinzione tra i diversi reati, che comunque presentano graduazioni di gravità differenziate. Dalla lettura della norma non si rileva la natura perentoria del termine, ciò significa che l’inosservanza dello stesso per qualunque motivo, anche solo organizzativo dell’ufficio, non comporta alcuna conseguenza processuale. L’indicazione del termine appare, dunque, funzionale a responsabilizzare il p.m., che eventualmente in caso di ritardo potrebbe assumere rilevanza solo ai fini disciplinari o di responsabilità civile. Inoltre, sembra possibile che l’atto istruttorio potrebbe essere delegato alla polizia giudiziaria, non ravvisandosi argomenti per ritenerlo escluso dall’ambito di operatività dell’art. 370 c.p.p. In considerazione del tenore dell’obbligatorietà per il p.m. di agire entro lo strettissimo termine dei tre giorni, quindi si deduce che lo stesso sarà obbligato a sentire la persona offesa anche nei casi in cui è rilevabile da subito l’infondatezza della notizia di reato ed anche quando l’atto istruttorio, non presenta i caratteri dell’urgenza, ma anche quando addirittura può intravedersi l’inutilità dell’acquisizione probatoria. Idem, per i casi in cui la vittima abbia sporto una dettagliata ed esaustiva denuncia-querela, con dichiarazioni raccolte e verbalizzate dalla polizia giudiziaria. In merito si rileva, non solo l’inutilità della rinnovazione delle dichiarazioni, a distanza di pochi giorni, ma potrebbe determinarsi in danno della persona offesa, quella vittimizzazione secondaria processuale che la normativa sovranazionale raccomanda di evitare. Da qui l’importante valutazione se la vittima sia pronta ad intraprendere l’esperienza giudiziaria e di evitare, nei casi in cui necessiti di sostegno e di assistenza psicologica, un prematuro ascolto che potrebbe risultare per essa traumatico e deleterio per le indagini. Ancora, accade sovente che la vittima presenti nel tempo più denunce, anche ravvicinate tra loro, in questi casi la previsione obbligatoria dell’adempimento del p.m. dell’assunzione di sommarie informazioni, rischia di creare un inutile disagio psicologico alla stessa ed un appesantimento difficilmente gestibile per gli uffici giudiziari e le forze di polizia.

Risulta incompatibile l’osservanza di un termine così breve con la possibilità, da parte del p.m., di elaborare una più articolata strategia e attività investigativa. Infatti, dopo il ricevimento della denuncia, lo stesso può richiedere intercettazioni telefoniche, estese anche alle utenze della persona offesa, esaminare con precedenza persone informate dei fatti, acquisire la documentazione anche di natura sanitaria. La brevità del termine di cui all’art. 362, co. I-ter, c.p.p., si scontra con un problema pratico e fondamentale, quello di non tener conto delle reali capacità degli uffici giudiziari requirenti di provvedere ad adempimenti di tale delicatezza in tempi così ristretti. L’intervento normativo è diretto ad implementare organizzazioni all’interno delle Procure mirate a garantire l’intervento di una polizia giudiziaria con cognizioni specialistiche su tali reati e di riservare il più possibile la trattazione dei procedimenti relativi al settore di interesse a magistrati specializzati. Però, le strettissime tempistiche indicate dalla novella rischiano di non consentire di fatto nei piccoli centri e nelle piccole procure che sia sempre di turno un ufficiale di p.g. o un magistrato specializzato, mentre la possibilità di attendere qualche giorno in più consentirebbe di assegnare al magistrato specializzato il fascicolo e la delicata audizione della persona offesa. Ancora, va osservato che la norma in esame appare difficilmente coordinabile con l’art. 351 comma 1-ter c.p.p.36. che prevede, per alcuni dei più ricorrenti reati di violenza di genere e domestica, l’obbligo, per la polizia giudiziaria di procedere all’audizione del minore e della persona offesa che versi in condizioni di particolare vulnerabilità con l’ausilio di un esperto di psichiatria e psicologia infantile, nominato dal p.m. È evidente che le attività preliminari richieste per l’adempimento di tale obbligo sono difficilmente conciliabili con il rispetto di un termine così ristretto. Da ultimo, è doveroso segnalare che nell’elenco dei reati per i quali è previsto l’obbligo suddetto non è stato inserito il delitto di tentato omicidio che, come le lesioni, per effetto di specifiche aggravanti, può assumere connotazioni tali da renderlo espressione di violenza di genere. L’art. 3 prevede37, per i reati di interesse della norma in esame, che la polizia giudiziaria, senza ritardo, proceda sia al compimento degli atti di indagine delegati dal p.m., sia a porre a disposizione di quest’ultimo la documentazione delle attività svolte nelle forme e con le modalità previste dall’art. 357 c.p. Quindi, si intravede per le indagini dei suddetti reati una priorità rispetto ad altre, a cui è sottoposta la polizia giudiziaria, fino alla trasmissione del tempestivo esito. L’art. 4 introduce dopo l’art. 387 c.p. il delitto di cui all’art. 387-bis c.p.38 che punisce chi, essendovi legalmente sottoposto, violi gli obblighi e i divieti derivanti dalle misure cautelari (artt. 282-bis e 282-ter c.p.p.) e l’ordine di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare (art. 384-bis c.p.p.). In tal modo, il legislatore, ha inteso sanzionare penalmente anche la violazione delle prescrizioni derivanti da detti provvedimenti, prevedendo necessariamente però anche più incisive modalità di monitoraggio, attraverso mezzi elettronici o ulteriori strumenti tecnici come il famoso braccialetto, al fine di consentire al giudice di garantirne il rispetto. L’art. 5 prescrive39 l’obbligatorietà dei corsi di formazione del personale che eserciti funzioni di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria in relazione alla prevenzione e al perseguimento dei reati suddetti agli articoli 1, 2, 3 della presente norma, nonché al personale impegnato nel trattamento penitenziario delle persone condannate per i medesimi delitti, con l’obiettivo di fornire le cognizioni specialistiche necessarie a trattare, sul piano della prevenzione e del perseguimento dei succitati reati. Si legge nel testo della norma che i corsi dovranno essere organizzati presso i rispettivi istituti di formazione, l’obbligo formativo scatta dall’anno successivo all’entrata in vigore della legge e le modalità di tale formazione sono comunque demandate ad un successivo decreto attuativo. Va osservato che le introdotte proroghe potrebbero rappresentare delle criticità incombenti sull’efficacia attuativa della novella legislativa. L’art. 6 introduce40 all’art. 165 c.p., dopo il comma IV, un ulteriore comma per effetto del quale il condannato in relazione a reati di violenza domestica e di genere (eccetto l’art. 612-ter c.p.), potrà, in concreto, fruire della pena sospesa solo se avrà partecipato a specifici percorsi di trattamento psicologico con finalità di recupero, di sostegno e reinserimento nella società presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati. Difatti, il giudice per poter concedere il beneficio suddetto, deve obbligatoriamente verificare l’impegno del condannato ed il suo adempimento nell’effettiva e concreta partecipazione al percorso riabilitativo, il cui scopo è quello di indurre il condannato a trattamenti riabilitativi e di ripensamento sulla propria condotta, affrancandosi dalle dinamiche violente e devianti all’origine dei fatti delittuosi e così contenere i tassi di recidiva, molto elevati nel settore di interesse. L’abbassamento dei livelli di recidività non solo migliora il reo come persona nella sua individualità, ma contribuisce ad una riqualificazione dell’intera società nella quale lo stesso si inserisce. Ottenendo un circolo virtuoso che ha i suoi effetti positivi anche in termini economici del tessuto produttivo dell’intera collettività. La norma nel secondo comma ordina che dall’attuazione delle disposizioni di cui al punto precedente non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che gli stessi sono a carico del condannato. La mancata previsione della copertura economica da parte dello Stato per la partecipazione del condannato a specifici percorsi di trattamento psicologico con finalità di recupero, sostegno e reinserimento nella società presso enti o associazioni, rischia di rendere il precetto inutile e destinato a perire nell’oblio dell’inefficacia. Il secondo comma diventa il carnefice della disposizione precedente, ma anche delle tante teorie e dottrine sostenitrici dell’importanza del recupero morale del condannato riabilitato che consente allo Stato di trarne vantaggi sia sul piano dell’ordine pubblico e sia in prospettiva del riadattamento del soggetto all’interno della comunità. Svilendo totalmente la finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27 co. 3 Costituzione. Il legislatore, all’art. 741, con l’aggiunta dell’art. 558-bis, ha voluto rafforzare il rigore della risposta punitiva nel settore di interesse, ampliando il novero delle fattispecie espressive della violenza di genere, con l’introduzione di un nuovo delitto. Il primo comma dell’art. 558-bis indica come autore del reato chiunque; diversamente, l’ipotesi delittuosa di cui al secondo comma richiede una relazione qualificata, tra la vittima e l’autore del fatto, avendo carattere costitutivo del reato anche la qualità rivestita dall’abusando. La pena è aumentata per i casi in cui il fatto è commesso in danno di minori di anni diciotto, mentre è da due a sette anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di minore di anni quattordici. Con l’introduzione di detto delitto si è opportunamente inteso contrastare la pratica dei matrimoni forzati, ritenuti dalla Direttiva 2012/29/UE espressione della violenza di genere, attribuendo una tutela rafforzata alla libertà di autodeterminazione del singolo, anche se minore, con riferimento a scelte concernenti il proprio status, sanzionando sia le condotte di costrizione che quelle di induzione al matrimonio o all’unione civile. La norma prevede un’ampia applicazione delle suddette disposizioni, ovvero sia quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da uno straniero residente in Italia, sia se il soggetto passivo, italiano o straniero, risieda in Italia. Ne consegue che il reato risulta incluso tra quelli per cui, ai sensi dell’art. 7, I co., n. 5 c.p., e quindi non necessitano le condizioni di procedibilità previste per il delitto comune commesso all’estero dagli artt. 9 e 10 c.p. Il fine di quest’ultima previsione è quello di evitare l’elusione delle sanzioni, tenuto conto che in diversi paesi esteri la pratica dei matrimoni combinati è lecita, quindi fornire uguale protezione sia al cittadino italiano che a quello straniero, stabilmente presente sul territorio nazionale. L’art. 8 modifica l’articolo 11 della legge 11 gennaio 2018 n. 4, Modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici, con la sostituzione del comma 142. Secondo le statistiche, ogni anno si verificano in Italia circa 150 femminicidi e si stima che dal 2012 gli orfani a seguito di tali crimini siano circa 160043. Numeri che hanno reso palese la necessità di una norma di tutela anche in termini economici, dei minori e delle famiglie che se ne occupano. La legge n. 4 del 2018, anch’essa recente, è stata emanata nel gennaio dello scorso anno, ha modificato le norme del codice civile, codice penale e codice di procedura penale, definendo gli orfani vittime dei crimini domestici (od anche minori speciali), i figli minori o maggiorenni economicamente non autosufficienti, i quali siano divenuti orfani di un genitore a seguito di omicidio posto in essere in danno dello stesso genitore dal coniuge, anche separato o divorziato, dall’altra parte dell’unione civile, pure se l’unione civile è cessata, ovvero dalla persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza. Il novellato comma di cui sopra, comporta, sulla carta, un aumento delle risorse economiche a favore degli orfani dei crimini domestici. Va osservato che purtroppo tale incremento non sortisce alcun effetto concreto, considerato che ad oggi non sono stati ancora emanati i decreti attuativi della legge n. 4 del 2018, concernenti lo sblocco delle somme e la distribuzione delle stesse alla Regioni. Anzi, nella presente norma è prevista un ulteriore proroga, indicando la decorrenza a partire dall’anno 2020, risultando nei fatti solo e semplicemente un annunzio vuoto che nulla cambia rispetto all’attuale inefficacia normativa dell’ennesima legge emanata ma rimasta lettera morta. L’art. 9, inasprisce44 il trattamento sanzionatorio previsto per il reato di maltrattamenti di cui all’art. 572, I comma c.p., introducendo l’aggravante nell’ipotesi di commissione del fatto in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza, di persona con disabilità, o con l’uso di armi. Per effetto dell’introduzione di quest’ultima aggravante, è stata riformulata quella di cui all’art. 61, n. 11-quinquies c.p., escludendo il delitto prescritto all’art. 572 c.p. dal novero di quelli, non colposi, contro la vita o l’incolumità individuale, aggravati in caso di commissione del fatto in presenza o in danno di persona minore o di donna in stato di gravidanza. La norma individua espressamente come persona offesa anche il minore che assiste ai maltrattamenti. Il III comma ha innalzato, invece, la pena edittale prevista dall’art. 612-bis c.p., rispetto al precedente assetto normativo. Il IV comma è intervenuto sull’art. 4 del d.lgs. n. 159/1145, estendendo al reato di cui all’art. 572 c.p. la disciplina già prevista per quello di cui all’art. 612-bis c.p. L’art. 10 introduce46 una nuova fattispecie di delitto espressiva della violenza di genere e domestica, di cui al nuovo art. 612-ter c.p. Si tratta della criminalizzazione in via specifica del fenomeno conosciuto con il controverso neologismo revenge porn, nato nel mondo inglese per indicare la divulgazione non consensuale, dettata da finalità vendicative, di immagini intime raffiguranti l’ex partner47. Negli ultimi anni, assistiamo ad un crescente fenomeno concernente la divulgazione non consensuale di immagini a contenuto sessualmente esplicito, costituendo una delle più ricorrenti modalità punitive e ritorsive nei confronti dell’ex partner in caso di interruzione della relazione, il cui impatto sulle persone offese è quello tipico di un sexual abuse, sebbene non di natura fisica. Appunto per questo, il legislatore ha scelto di conferire rilievo a dette condotte con un’autonoma fattispecie incriminatrice, essendo quelle già presenti nell’ordinamento vigente o inidonee a fornire un’adeguata protezione alle vittime (così l’art. 595 c.p.) o strutturate in modo da richiedere, per la loro configurabilità, ulteriori elementi costitutivi (la violenza, la minaccia, la captazione fraudolenta, l’intrusione nei luoghi indicati all’art. 614 c.p.) che non si ravvisano nei casi di cd. revenge porn in senso stretto. La distribuzione illecita delle immagini potrebbe differenziarsi tra pubblicazione, che ricorrere nei casi in cui le fotografie o i video vengano postati su siti pornografici, social network e su altre piattaforme online, dalla diffusione, che si attua senza intermediari ad un’ampia platea di destinatari, ipotesi che si verifica nelle chat di messaggistica, nelle mailing list, negli strumenti di condivisione peer to peer. Anche se, inviare, consegnare, cedere, può fare riferimento ad ipotesi di trasferimento delle immagini tra due persone, anche fuori dalla rete (ad es. un familiare, il nuovo partner, il datore di lavoro della persona ritratta) nella speranza che lo scandalo pregiudichi le relazioni più strette o l’ambito professionale della persona ritratta nelle immagini48. Il reato è aggravato con l’aumento di pena sino ad un terzo se commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. Un’ulteriore aggravante, che comporta un aumento di pena da un terzo alla metà, ricorre quando i fatti siano commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, sempre che non ricorra l’aggravante da ultimo indicata e non sia connesso ad altro reato procedibile d’ufficio. Il termine per proporre querela è di sei mesi; la remissione della querela può essere solo processuale. L’esplicita connotazione sessuale non è l’unico requisito richiesto con riguardo alle immagini e ai video. Occorre, infatti, che essi siano stati creati in un contesto di riservatezza, nel quale sarebbero rimasti, se non fosse intervenuta una delle condotte tipiche. Il terzo comma prevede due distinte aggravanti. La prima è costituita dal rapporto sentimentale che, pregresso o sussistente all’epoca del fatto, legava autore del reato e persona offesa. Si osserva che più problematica è l’aggravante connessa all’utilizzo di strumenti informatici o telematici. A differenza degli atti persecutori, che possono prescindere da tali strumenti, la carica offensiva del “revenge porn” si fonda in gran parte proprio sull’uso delle tecnologie digitali, che lo rendono al contempo estremamente semplice da realizzare, bastando pochi “click” che provocano devastanti conseguenze. È pur vero che sono sporadici i casi di divulgazione delle immagini che non passano attraverso Internet o mediante strumenti informatici49, ma è statisticamente di gran lunga più probabile la contestazione della fattispecie aggravata che di quella base. Infatti, in un’ipotesi standard di “revenge porn” in senso stretto, la pena sarà già in partenza fatalmente destinata ad essere aggravata da ben due circostanze ad effetto comune (legame tra le parti e strumenti informatici). Il sistema delle circostanze applicate al reato ex art. 612-ter sembra mutuato dogmaticamente dal precedente art. 612-bis, senza considerare e valorizzare le concrete differenze che intercorrono, sul piano criminologico, tra i due reati, invero ciò che nello stalking è eventuale (l’uso delle tecnologie digitali), nel revenge porn è la regola. Per quanto attiene alle motivazioni che abbiano indotto il legislatore a ritenere meritevoli di una pena più severa gli atti persecutori realizzati a danno di una donna in stato di gravidanza, si suppone che siano da ricercare nella volontà di arrecare uno stress psicologico alla donna. La circostanza fa riferimento a situazioni che con la pornografia non consensuale hanno davvero poco a che vedere, non essendo chiaro se lo stato interessante debba sussistere al momento della creazione dei materiali intimi o, come sembra più plausibile, in occasione della condivisione degli stessi. Relativamente a questa seconda ipotesi, si potrebbe ipotizzare il caso in cui dopo la rottura della relazione, l’uomo decida di vendicarsi della propria ex con la diffusione delle sue immagini più intime proprio nel momento in cui sta per partorire il figlio nato dalla loro storia. Anche in merito all’imputazione soggettiva della circostanza, possono sorgere perplessità, considerato che nello stalking l’interazione con la vittima consente all’agente, il più delle volte, di rendersi conto della gravidanza, mentre la vendetta pornografica può consumarsi anche a distanza di tempo, quando l’agente è possibile che non sia più a conoscenza delle condizioni della vittima. Viceversa, appare più ragionevole accordare una protezione rafforzata alle ipotesi nelle quali le immagini sessualmente esplicite diffuse riguardino persone in condizione di inferiorità fisica o psichica. Invero, gli studi sviluppati nello studio del fenomeno del cyberbullismo mostrano la maggiore facilità con la quale tali soggetti possono essere convinti a creare materiali intimi e ad inviarli a chi, poi, dopo averli ingannati sulle finalità dell’invio, li perseguiterà diffondendoli in rete. Negativamente si rileva che tra il novero delle aggravanti previste dall’art. 612-bis è assente la previsione che, forse più di ogni altra, avrebbe avuto senso replicare nell’art. 612-ter: l’aggravio della pena nel caso in cui ad essere ritratto nelle immagini sia un minore. Forse in merito, il legislatore ha ritenuto sufficiente la normativa di contrasto alla pedopornografia per tutelare gli adolescenti. Rimane certo che i minori sono la categoria più esposta al revenge porn. Va osservato che l’inclusione dell’art. 612-ter nella l. n. 69/2019 non ha dato la possibilità di affrontare alcune questioni, come il ruolo delle piattaforme rispetto alla diffusione delle immagini sessualmente esplicite pubblicate senza il consenso, la mancata definizione del ruolo dei providers nella cancellazione dei video dalla rete e la necessità di implementare la cosiddetta educazione digitale, almeno tra i giovani. Ancora, la totale assenza di una norma concernente la rimozione dalla rete dei contenuti (immagini-video) offensivi, così come prevista dalla legge 29 maggio 2017, n. 71, Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo50. Da ultimo si evidenzia che il delitto di reveng porn non è compreso nell’art. 2 della legge n. 69 del 2019, ossia non è tra quei reati per i quali è previsto l’obbligo da parte del p.m. di ascoltare la persona offesa entro il termine ordinatorio dei tre giorni, di cui non si comprende l’esclusione, forse motivata da una semplice dimenticanza. L’art. 11 modifica l’art. 577 del c.p.51. In conseguenza della modifica il raggio di operatività dell’aggravante è stato considerevolmente ampliato. La modifica dell’art. 577, II co. c.p., aumenta la pena della reclusione da 24 a 30 anni per l’omicidio commesso in danno di persona che ha o abbia avuto una relazione con il reo, nonché quello commesso in danno dell’adottante e dell’adottato, nei casi regolati dal titolo VIII del libro I del codice civile. La ratio primaria della norma, come modificata, è diretta ad un inasprimento delle pene per contrastare più efficacemente, in un’ottica di maggiore deterrenza, la violenza di genere e domestica. L’art. 12 introduce52 l’art. 583-quinqiues c.p. concernente l’autonoma fattispecie di reato in materia di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso. All’introduzione di questa nuova fattispecie è seguita l’abrogazione dell’aggravante ad effetto speciale di cui art. 583, II co., n. 4 c.p., che puniva con la pena della reclusione da 6 a 12 anni il delitto di lesione dal quale derivi lo sfregio permanente del viso della vittima. Anche per questo reato, alla sentenza di condanna, come a quella di patteggiamento, consegue la pena accessoria della interdizione perpetua dagli uffici attinenti alla tutela, alla curatela ed all’amministrazione di sostegno (secondo comma), analogamente a quanto previsto per il caso di condanna relativa ai delitti di violenza sessuale, di sfruttamento sessuale dei minori e di mutilazione degli organi genitali femminili. La qualificazione della condotta come autonoma ipotesi di reato – e non più come aggravante del reato di lesioni – ha la finalità di introdurre un più severo trattamento punitivo delle fattispecie di lesioni permanenti al viso, rispetto all’ipotesi precedente prevista dall’abrogata aggravante di cui all’art. 583, co. II, n. 5 c.p. La scelta del legislatore di ricondurre il fatto in un’autonoma fattispecie incriminatrice appare coerente con le peculiarità che lo connotano, sia sotto il profilo dell’intensità e dell’oggetto del dolo, non genericamente diretto a ledere l’integrità della persona, ma a deturparla fisicamente e a condannarla per sempre all’esclusione sociale, sia per il devastante impatto che le conseguenze del reato determinano sulle condizioni fisiche e psicologiche, della vittima.

La norma aggiunge il nuovo delitto tra quelli per i quali prevede la pena dell’ergastolo quando l’omicidio sia stato commesso in occasione di uno dei medesimi (artt. 572, 600- bis, 600-ter, 609-bis, 609-quater, 609-octies) e lo include tra quelli già attualmente previsti (artt. 582, 583, 583-bis, 584 c.p.), in relazione ai quali sono applicabili le aggravanti di cui all’art. 576 c.p., con un aumento di pena da un terzo alla metà e quelle di cui all’art. 577 c.p., con un aumento di pena fino a un terzo. Ancora, con la modifica dell’art. 4-bis, l. 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, inserisce l’art. 583-quinquies c.p. nel catalogo dei delitti di cui al comma I quater, estendendo l’applicazione dei benefici penitenziari ai condannati per il predetto reato, solo all’esito della positiva osservazione scientifica della personalità del condannato condotta collegialmente per almeno un anno. Ai fini della concessione dei benefici penitenziari, può essere valutata la positiva partecipazione del condannato al programma di riabilitazione psicologica specifica previsto dall’articolo 13-bis dell’ordinamento penitenziario. L’art. 1353 ha novellato alcune disposizioni in tema di violenza sessuale, inasprendo le sanzioni attraverso interventi sulle pene edittali e ha riformulato alcune aggravanti, per le ipotesi ove la violenza sessuale sia commessa a danno di minori. Seguita la norma nell’ottica dell’inasprimento della pena per quanto concerne i reati di interesse, con aumenti del trattamento punitivo attraverso le aggravanti in esso contemplate, e che comunque il delitto è sempre aggravato se commesso dall’ascendente, dal genitore, anche adottivo, o dal tutore, indipendentemente dall’età della vittima della violenza. Nonché se la vittima abbia un’età compresa tra i 14 a 18 anni, l’aggravante ricorre solo nel caso in cui autore del fatto sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il tutore. Conservano carattere di aggravanti ad effetto speciale quelle che conseguono alla commissione del fatto in danno di minori al di sotto degli anni quattordici, in particolare, per il caso in cui la violenza sessuale sia stata commessa in danno di minori che non hanno compiuto 10 anni la pena è raddoppiata; se i minori hanno un’età compresa tra i 10 e i 14 anni la pena è aumentata della metà. Inoltre, è stata introdotta l’aggravante comune per l’ipotesi in cui gli atti sessuali siano commessi con minori di anni 14 in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solo promessi; mentre è stato esclusa la punibilità del minorenne che abbia compiuto atti sessuali con altro minore, sempre che non vi sia stata violenza o minaccia, innalzando da tre a quattro anni la differenza d’età tra i partner, richiesta quale condizione ulteriore per la non punibilità del fatto; è stata disposta la procedibilità d’ufficio dell’azione penale, anche con riferimento al delitto di atti sessuali con minorenne (609-quater c.p.) e quindi contestualmente abrogato il numero 5) del quarto comma dello stesso articolo; anche per la violenza di gruppo aumenta la pena edittale (art. 609-octies). Il termine per proporre querela è stato elevato da sei mesi a un anno. L’art. 14 ha introdotto54 l’art. 64-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, relativo alla trasmissione tempestiva delle comunicazioni di tutti gli atti adottati nei confronti del reo nel procedimento penale per i reati di violenza di genere e domestica, al giudice civile ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi o delle cause relative ai figli minori di età o all’esercizio della responsabilità genitoriale, compresa quella relativa ai servizi di assistenza alle vittime del reato, che rappresenta la novità, attuata con la modifica dell’art. 90-bis, co. I, lett. p, c.p.p. dalla legge n. 69 del 2019 rispetto alle norme precedenti. L’estensione delle summenzionate comunicazioni riguardano anche tutti i minori, a differenza della precedente regolamentazione che riguardava solo quelli infrasedicenni. Anche l’articolo successivo55 riguarda le comunicazioni, però della persona offesa. Per effetto dell’introduzione del nuovo comma (all’art. 90-ter c.p.p. il comma 1-bis), nei procedimenti relativi ai reati di violenza domestica e di genere (eccetto l’art. 612-ter c.p.), la comunicazione dei provvedimenti di scarcerazione e di cessazione della misura di sicurezza detentiva, l’informazione dell’avvenuta evasione dell’imputato o del condannato e la sua volontaria sottrazione all’esecuzione della misura di sicurezza detentiva, sono obbligatoriamente da comunicare alla parte offesa, anche se non ne abbia fatto richiesta, e al suo difensore ove nominato. Con la modifica dell’282-ter c.p.p., nel caso in cui sia stata applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, il giudice può disporre, a garanzia del rispetto delle prescrizioni da essa derivanti, le procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (art. 275-bis c.p.p.), analogamente a quanto già previsto per la misura dell’allontanamento dalla casa familiare, oltre che per quella degli arresti domiciliari (art. 282-bis, V. co. c.p.). Così da colmare l’efficacia effettiva della misura di protezione per la sostanziale impossibilità, con le metodiche tradizionali, di operare un controllo sull’osservanza delle prescrizioni da essa discendenti. Ancora diventano obbligatorie le comunicazioni dell’applicazione delle suddette misure non solo ai servizi socio-assistenziali del territorio e alla parte offesa, ma anche al suo difensore, ove nominato. Altra novità è l’obbligo di comunicazione immediata anche del provvedimento di revoca o di sostituzione di misure coercitive, custodiali e non, applicate all’indagato/imputato, a cura della polizia giudiziaria, direttamente alla persona offesa e, ove nominato, anche al suo difensore. Nell’ambito delle comunicazioni obbligatorie ed immediate a tutela della vittima, sono inserite quelle da eseguirsi a carico del p.m., chiamato a dare esecuzione al provvedimento del giudice di sorveglianza, di scarcerazione di una persona condannata in relazione a delitti di violenza domestica e di genere (escluso art. 612-ter c.p.), sempre tramite la polizia giudiziaria, alla persona offesa nonché al suo difensore, ove nominato. L’Art. 16 restringe56 per l’indagato/imputato dei delitti di interesse della normativa in esame, compreso per il reato di cui all’art. 612-ter c.p., la possibilità di accedere alle misure della custodia in carcere e quella degli arresti domiciliari, nell’ottica restrittiva e punitiva della nuova norma rispetto a quella precedente.

L’art. 17 estende57 attraverso la modifica dell’art. 13-bis della legge n. 354 del 1975, la possibilità per coloro che hanno commesso i reati (art. 572 c.p., art. 612-bis c.p. e art. 583-quinquies c.p.), di sottoporsi ai trattamenti riabilitativi e ai percorsi di reinserimento, quindi abolendo la precedente limitazione ai casi in cui la persona offesa era minore di età. L’art. 18 ha modificato l’articolo 5-bis comma 2, lettera d), della legge 15 ottobre 2013, n. 11958, ovvero ha ridotto drasticamente e cospicuamente parte di denaro riservata in fondi precedentemente accantonati, da erogarsi annualmente ai centri antiviolenza. La legge n. 69 del 2019, annunciata come strumento risolutivo al fenomeno della violenza di genere, nel concreto mostra tutti i suoi limiti, rivelandosi come un’involuzione rispetto a quanto fatto in precedenza, nel lento ed assistito percorso in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. L’art. 19 modifica il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 204, recante attuazione della direttiva 2004/80/CE59. L’art. 20 modifica l’art. 11 della legge 7 luglio 2016, n. 122, in materia di indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, inserendo al comma 2, il delitto di cui all’articolo 583-quinquies del codice penale. L’art. 21 concerne la clausola di invarianza finanziaria60.



4. Conclusioni ed aspetti critici



Dalla lettura della legge 19 luglio 2019 n. 69, sembra che il legislatore interno abbia voluto percorrere un ulteriore passo in avanti nell’attuazione dei principi espressi dalle convenzioni europee in materia di contrasto e prevenzione alla violenza di genere, specialmente in quei precetti che concernano l’approfondimento degli aspetti educativi e formativi rispetto al fenomeno e alle fattispecie giuridiche ad esso connesse. Tra questi ultimi, la formazione delle forze dell’ordine istituzionalmente competenti, la specializzazione dei magistrati e della polizia giudiziaria, l’applicazione delle misure in favore degli orfani dei crimini domestici, la concretizzazione degli specifici percorsi di trattamento psicologico con finalità di recupero, di sostegno e reinserimento nella società del condannato, l’obbligo per la polizia giudiziaria di avvalersi, per l’audizione della vittima vulnerabile, dell’ausilio di esperti in psichiatria, nominati dal p.m., l’incremento delle attività di informazione alla vittima delle vicende del processo e delle comunicazioni del procedimento penale al giudice civile. Tutti principi giusti, che ciò nonostante sono destinati a rimanere inefficaci, preso atto che l’ultimo articolo della norma, inserisce la clausola dell’invarianza finanziaria, che destina l’intero impianto precettistico a lettera morta, residuando solo l’inasprito effetto punitivo. Si aggiunga a quanto detto sopra, una breve e opportuna riflessione in merito alla necessità della certezza della pena. Ritenendo che un legislatore che persegue la protezione della società dal crimine ed in particolare la protezione della donna dalla violenza, non può farlo solo attraverso l’esclusiva severità delle pene, senza accompagnarla alla certezza delle stesse. Servono pene certe, applicate nel più breve termine possibile dalla commissione del reato, specialmente in un ambito come quello in esame, dove il delitto trova la sua spinta nell’accendersi della passione, e non in un freddo ragionamento. È pur vero che per ottenere pene severe, basta scriverle, mentre per conseguire pene certe, si ha bisogno di una volontà politica e interventi strutturali, primo tra tutti l’investimento di risorse economiche, non solo per il potenziamento numerico, ma per una migliore organizzazione e formazione delle forze dell’ordine e del personale giudiziario. Per cui appare indispensabile, affinché siano efficacemente assorbiti i principi del diritto comunitario nel diritto interno, incentivare politiche di scopo, con precipue risorse finanziarie, finalizzate a porre in essere azioni positive volte a sensibilizzare l’intera comunità sul fenomeno, nonché promuovere e diffondere una cultura di genere. Tra l’altro, la legge n. 119 del 2013 stanziava cospicue somme da erogarsi annualmente ai centri antiviolenza, purtroppo anche queste ultime oggi sono state drasticamente ridotte dalla successiva legge n. 69 del 2019. L’epilogo sopra rappresentato, trova la sua più plastica sintesi nella scomparsa dal 2013 del Ministero per le Pari Opportunità, reintrodotto da pochi giorni, dopo circa sei anni, dall’attuale governo. Con rammarico e delusione per le attese tradite, possiamo affermare che i sopra citati provvedimenti legislativi sono intervenuti nel nostro codice penale e di rito, influenzati più da logiche sanzionatorie e caratterizzati più da intenti prevalentemente tranquillizzanti per la collettività e molto meno da elementi di buon coordinamento e governo della materia penale, di appropriata tutela della vittima vulnerabile e di sostanziale recupero sociale del reo.

NOTE

1 F. roia, Crimini contro le donne. Politiche, leggi, buone pratiche, Milano, 2017, 66; N. MaTTuCCi, I. CorTe, Violenza contro le donne. Uno studio interdisciplinare, Roma, 2016.

2 Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne, 2011.

3 http://www.giudicedonna.it, 4, 2017 (consultato il 22 luglio 2019).

4 La prevenzione generale nella fase della minaccia, dell’irrogazione e dell’esecuzione della pena, in M. roMano, F. STella, Teoria e prassi della prevenzione generale dei reati, Bologna, 1980, 34.

5 La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011, aperta alla firma degli Stati membri, degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione, ed inoltre all’adesione da parte degli altri Stati non membri del Consiglio d’Europa. Ratificata dall’Italia con l. 27 giugno 2013, n. 77, è finalizzata a rafforzare e ad armonizzare, in tale materia, la normativa degli stati aderenti. Essa prevede quattro aree di intervento: prevenzione, protezione e sostegno delle vittime, perseguimento dei colpevoli e politiche integrate, ciascuna delle quali contiene misure specifiche. Con la ratifica della Convenzione di Istanbul l’Italia, in particolare, ha assunto l’impegno ad introdurre, nel proprio ordinamento, specifiche misure di prevenzione e di tutela giudiziaria a sostegno delle donne oggetto di atti di violenza.

6 https://www.penalecontemporaneo.it: G. BaTTarino, Note sull’attuazione in ambito penale e processuale penale della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, 2013 (consultato il 22 luglio 2019); A. di STeFano, La Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, 2012.

7 Art. 3: “a) con l’espressione ‘violenza nei confronti delle donne’ si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata; b) l’espressione ‘violenza domestica’ designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima; c) con il termine ‘genere’ ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini; d) l’espressione ‘violenza contro le donne basata sul genere’ designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato; e) per “vittima” si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti di cui ai precedenti commi a e b; f) con il termine ‘donne’ sono da intendersi anche le ragazze di meno di 18 anni”.

8 H. BelluTa, Processo penale e violenza di genere: tra pulsioni preventive e maggiore attenzione alle vittime di reato, in Legisl. pen., 2014, 1-2, 70 ss.

9 Recchione, Il dichiarante vulnerabile fa (disordinatamente) ingresso nel nostro ordinamento: il nuovo comma 5-ter dell’art. 398 c.p.p., in rivista diritto penale contemporaneo, 2014.

10 La convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW), adottata il 18 dicembre 1979 e ratificata in Italia nel 1985; le raccomandazioni e le decisioni del comitato CEDAW; la convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta in materia di violenza contro le donne e di violenza domestica (convenzione di Istanbul), adottata il 7 aprile 2011, la Direttiva 2012/29/UE e la sentenza n. 41237/14 emessa il 2 marzo 2017 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. I.

11 Il provvedimento segue quattro direttrici: 1) la prevenzione e il contrasto della violenza di genere; 2) le norme in materia di sicurezza per lo sviluppo e la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica; 3) le norme in tema di protezione civile; 4) le norme in tema di gestioni commissariali delle Province, ma ai nostri fini interessano le norme rientranti nella prima categoria di intervento.

12 G. PaviCh, Le novità del decreto legge sulla violenza di genere: cosa cambia per i reati con vittime vulnerabili, 2013; T. Padovani, Sicurezza pubblica: quel collasso dei codici “figlio della rincorsa all’ultima emergenza, in Guida al diritto, 36, 2013, 10.

13 B. PeZZini, Il diritto e il genere della violenza, 2010.

14 Nella premessa al d.l. n. 119 del 2013, a giustificazione del ricorso alla

decretazione d’urgenza, si legge, infatti, quanto segue: “Il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato rendono necessari interventi urgenti volti a inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate all’anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica”.

15 Devoto-Oli definisce la parola femminicidio: “Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.

16 D.E.H. ruSSell, J. radFord, Femicide: The Politics of Woman Killing, Philadelphia, 1992.

17 Legge n. 119 del 2013 all’art. 3: “Tutti gli atti, non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.

18 a. CiSTerna in Guida al diritto, 44, 2014.

19 L’art. 61 comma 1 c.p., statuisce, al fine dell’applicazione delle aggravanti

comuni, che queste aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali.

20 Art. 59 comma 2 c.p.: le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.

21 Il Questore adotta (e non più valuta) l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni (ex art. 8, comma 2, d.l. 23 febbraio 2009, n. 11).

22 A. CadoPPi, Atti persecutori: una normativa necessaria, in Guida dir., 2009, 19, 49 ss.; F. BarTolini, Lo stalking e gli atti persecutori nel diritto penale e civile, Piacenza, 2009, 163.

23 C. Parodi, Stalking e tutela penale, Milano, 2009, 114.

24 Note sulla l. n. 119 del 2013 di Nicola Stolfi, Tar Calabria, Sez. I n.

1171/2010; M. BonTeMPelli, L’accertamento amministrativo nel sistema processuale penale, Milano, 2009, 21.

25 Ai rimedi di diritto penale e processual-penalistici si affiancano quelli privatistici. Merita ricordare che in sede civile sono previste una serie di misure finalizzate a rafforzare la politica di contrasto alle violenze nelle relazioni familiari e a proteggere più efficacemente le vittime di tali forme di vessazioni fisiche e psicologiche, questi sono gli ordini di protezione contro gli abusi familiari e dalla misura cautelare coercitiva dell’allontanamento dalla casa familiare, rispettivamente li ritroviamo, nel titolo nono-bis del codice civile, Ordini di protezione contro gli abusi familiari, gli artt. 342-bis e 342-ter, con cui è stata inserita la misura cautelare dell’Allontanamento dalla casa familiare, attribuita alla competenza del giudice civile, nonché, nel codice di procedura civile, l’art. 736-bis Provvedimenti di adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari.

26 L’art.5dellal.n.119del2013recita:ilPianod’azionestraordinariocontro la violenza sessuale e di genere viene elaborato dal Ministro delegato per le pari opportunità con il contributo delle amministrazioni interessate e delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza e dei centri antiviolenza, e adotta un “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, e volto alla prevenzione del fenomeno della violenza contro le donne, alla sensibilizzazione della collettività anche attraverso il settore dell’informazione e dei media e la “Promozione di centri antiviolenza e le case-rifugio”, in cui è garantita l’anonimato.

27 G. MarinuCCi, E. dolCini, Studi di diritto penale, Milano, 1991.

28 Il primo “Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking” del

2001, il secondo “Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere 2015-2017” e il terzo, Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020 (art. 5 l. 119 del 2013, adottato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 luglio 2015 e registrato dalla Corte dei Conti il 25 agosto 2015, http://www.pariopportunita.gov.it/images/piano_contro_violenzasessuale e digenere_2015 (consultato il 26 agosto 2019).

29 Si tratta di una grave mancanza del nostro Paese, che non ha ancora dato seguito, in modo compiuto, alle numerose sollecitazioni da parte degli organismi internazionali che richiedono a tutti gli Stati di predisporre strumenti adeguati per il monitoraggio del fenomeno, come ha anche sottolineato la Relatrice speciale dell’ONU, Rashida Manjoo, nel Rapporto sulla missione in Italia del 2012. In particolare la Relatrice nelle raccomandazioni indirizzate al nostro Paese, invitava l’Italia a utilizzare categorie adeguate per la classificazione degli omicidi di donne, tenendo conto della dimensione di genere, e ad adottare gli indicatori ONU per la raccolta disaggregata dei dati. Alcune ricerche, per mezzo del metodo dell’intervista, sono state condotte dall’Istituto Nazionale di Statistiche (Istat): cfr. ISTAT, Violenza contro le donne, 2008, n. 7, reperibile al sito www.istat.it; ISTAT, La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia, 2007, ibidem (consultato il 23 agosto 2019).

30 Con d.lgs. 15 dicembre 2015 n. 212 viene recepito da nostro paese l’invito, rivolto agli Stati membri dalla direttiva, ad uniformare i criteri mossi a riconoscere lo status di vittima vulnerabile, senza per questo vincolare tale accertamento alle condizioni soggettive o al tipo di illecito oggetto del giudizio, viceversa prediligendo un tipo di valutazione fondata innanzitutto sulle caratteristiche della persona e del caso concreto: ai sensi dell’art. 90-quater la condizione di “particolare vulnerabilità” è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede, e si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato (cfr. D. FerranTi, Brevi riflessioni sulla vittima del reato, in Cass. pen., 10, 2015, 3420). Anche da questa prospettiva la direttiva ha teso dunque ad attribuire una dignità autonoma alla figura della vittima di reato meritevole di tutela, possibilmente nel rispetto delle esigenze e caratteristiche proprie della singola persona.

31 Già nel Programma di lavoro per il 2011, varato nel novembre 2010, la Commissione europea menzionava la proposta di una direttiva sui diritti delle vittime di reati “per garantire un accesso sufficiente all’assistenza legale e alla giustizia ed un’adeguata tutela dei cittadini in tutti gli Stati membri”. L’iniziativa si è concretizzata in una proposta avanzata dalla Commissione in data 18 maggio 2011, il cui testo è stato successivamente modificato dal Parlamento europeo, che ha approvato una risoluzione che ha condotto all’emanazione della direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, Lo statuto europeo della vittima di reato. Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali, Padova, 2015.

32 S. alleGreZZa, Il ruolo della vittima nella Direttiva 2012/29/UE, in AA.VV., Lo statuto europeo della vittima di reato. Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali, 2012, 5 ss.

33 Art. 1 della l. n. 69/2019, attraverso l’integrazione dell’art. 347, III co., c.p.p., estende ai delitti previsti dagli artt. 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinques, 609-octies, 612-bis e 612-ter c.p., artt. 582 e 582-quinquies c.p., nelle ipotesi aggravate ai sensi degli artt. 576, I co., nn. 2, 5, e 5.1, e 577, I co., n. 1 e II co. c.p., il regime speciale attualmente previsto per i gravi delitti indicati dall’articolo 407, lettera a), numeri da 1) a 6), c.p.p., ove la polizia giudiziaria è sempre tenuta a comunicare al pubblico ministero le notizie di reato immediatamente anche in forma orale, facendo seguire tempestivamente quella scritta, con le indicazioni e la documentazione previste ai precedenti commi dello stesso articolo.

34 Art. 2 (Assunzione di informazioni). Dopo il comma 1-bis dell’articolo 362 del codice di procedura penale è aggiunto il seguente: “1-ter. Quando si procede per i delitti previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall’i-scrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa”.

35 www.csm.it, delibera 8 maggio 2019.

36 Art. 351, co. 1-ter c.p.p.: “Nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 572, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater 1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 609-undecies e 612-bis del codice penale, la polizia giudiziaria, quando deve assumere sommarie informazioni da persone minori, si avvale dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nominato dal pubblico ministero (3). Allo stesso modo procede quando deve assumere sommarie informazioni da una persona offesa, anche maggiorenne, in condizione di particolare vulnerabilità. In ogni caso assicura che la persona offesa particolarmente vulnerabile, in occasione della richiesta di sommarie informazioni, non abbia contatti con la persona sottoposta ad indagini e non sia chiamata più volte a rendere sommarie informazioni, salva l’assoluta necessità per le indagini”.

37 Art. 3 (Atti diretti e atti delegati). 1. Dopo il comma 2 dell’articolo 370 del codice di procedura penale sono inseriti i seguenti: “2-bis. Se si tratta di uno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5, 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, la polizia giudiziaria procede senza ritardo al compimento degli atti delegati dal pubblico ministero. 2-ter. Nei casi di cui al comma 2-bis, la polizia giudiziaria pone senza ritardo a disposizione del pubblico ministero la documentazione dell’attività nelle forme e con le modalità previste dall’articolo 357”.

38 Art. 4 (Introduzione dell’articolo 387-bis del co-dice penale in materia di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa). 1. Dopo l’articolo 387 del codice penale è inserito il seguente: “Art. 387-bis (Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa). Chiunque, essendovi legalmente sottoposto, violi gli obblighi o i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari di cui agli articoli 282-bis e 282-ter del codice di procedura penale o dall’ordine di cui all’articolo 384-bis del medesimo codice è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.

39 Art. 5 (Formazione degli operatori di polizia). 1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la Polizia di Stato, l’Arma dei carabinieri e il Corpo di Polizia penitenziaria attivano presso i rispettivi istituti di formazione specifici corsi destinati al personale che esercita funzioni di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria in relazione alla prevenzione e al perseguimento dei reati di cui agli articoli 1, 2 e 3 oche interviene nel trattamento penitenziario delle persone per essi condannate. La frequenza dei corsi è obbligatoria per il personale individuato dall’amministrazione di appartenenza. 2. Al fine di assicurare l’omogeneità dei corsi di cui al comma 1, i relativi contenuti sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione, dell’interno, della giustizia e della difesa.

40 Art. 6 (Modifica all’articolo 165 del codice penale in materia di sospensione condizionale della pena). 1. All’articolo 165 del codice penale, dopo il quarto comma è inserito il seguente: “Nei casi di condanna per i delitti di cui agli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis, nonché agli articoli 582 e 583-quinquies nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata alla partecipa-zione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati”. 2. Dall’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli oneri derivanti dalla partecipazione ai corsi di recupero di cui all’articolo 165 del codice penale, come modificato dal citato comma 1, sono a carico del condannato.

41 Art. 7 (Introduzione dell’articolo 558-bis del co-dice penale in materia di costrizione o in-duzione al matrimonio). 1. Dopo l’articolo 558 del codice penale è inserito il seguente: “Art. 558-bis (Costrizione o induzione al matrimonio). Chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile. La pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto. La pena è da due a sette anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia”.

42 Art. 8 (Modifica all’articolo 11 della legge 11 gennaio 2018, n. 4, in materia di misure in fa-vore degli orfani per crimini domestici e delle famiglie affidatarie). L. 11 gennaio 2018 n. 4, art. 1, 1 co.: la dotazione del Fondo di cui all’articolo 2, comma 6-sexies, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, come modificato dall’articolo 14 della legge 7 luglio 2016, n. 122, è incrementata di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018, di 5 milioni di euro per l’anno 2019 e di 7 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2020, per le seguenti finalità a valere su tale incremento: a) una quota pari a 2 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017 è destinata all’erogazione di borse di studio in favore degli orfani per crimini domestici e al finanziamento di iniziative di orientamento, di formazione e di sostegno per l’inserimento dei medesimi nell’attività lavorativa ai sensi delle disposizioni della presente legge, assicurando che almeno il 70% di tale somma sia destinato agli interventi in favore dei minori e che la quota restante, ove ne ricorrano i presupposti, sia destinata agli interventi in favore dei soggetti maggiorenni economicamente non autosufficienti; b) una quota pari a 3 milioni di euro per l’anno 2019 e a 5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2020 è destinata, in attuazione di quanto disposto dall’articolo 5, comma 4, della legge 4 maggio 1983, n. 184, a misure di sostegno e di aiuto economico in favore delle famiglie affidatarie, secondo criteri di equità fissati con apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. 2. Alla copertura dei maggiori oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, pari a 3 milioni di euro per l’anno 2019 e a 5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2020, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.

43 Fonte Istat, Audizione Istat femminicidio, Allegato Statistico https://www. istat.it (consultato in data 1 settembre 2019).

44 Art. 9 (Modifiche agli articoli 61, 572 e 612-bis del codice penale, nonché al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159). 1. All’articolo 61, numero 11-quinquies, del codice penale, le parole: “, contro la libertà personale nonché del delitto di cui all’articolo 572,” sono sostituite dalle seguenti: “e contro la libertà personale,”. 2. All’articolo 572 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, le parole: “da due a sei anni” sono sostituite dalle seguenti: “da tre a sette anni”; b) dopo il primo comma è inserito il seguente: “La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravi-danza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi”; c) è aggiunto, in fine, il seguente comma: 3. All’articolo 612-bis, primo comma, del codice penale, le parole: “da sei mesi a cinque anni” sono sostituite dalle seguenti: “da un anno a sei anni e sei mesi”. 4. All’articolo 4, comma 1, lettera i-ter), del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, le parole: “del delitto di cui all’articolo 612-bis” sono sostituite dalle seguenti: “dei delitti di cui agli articoli 572 e 612-bis”. 5. All’articolo 8, comma 5, del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, le parole da: “di cui” fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: “di cui agli articoli 1, comma 1, lettera c), e 4, comma 1, lettera i-ter), il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, frequentati abitualmente dalle persone cui occorre prestare protezione o da minori”. “Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato”.

45 Testo Unico in materia di misure di prevenzione, d.lgs. n. 159/11-art. 4, per effetto del quale sarà applicabile anche all’indiziato del delitto di maltrattamenti la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, cui può essere aggiunto, se le circostanze del caso lo richiedano, il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale o in una o più regioni. All’inidoneità delle misure di prevenzione può essere imposto all’indiziato l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale. Infine, anche all’indiziato di questo delitto, con il consenso dell’interessato, potrà essere applicato il cd. braccialetto elettronico (art. 6 del d.lgs. n. 159/2011). Ulteriore modifica ha riguardato l’art. 8, co. 5, prevedendo che, con l’applicazione Inoltre, il Tribunale può imporre agli indiziati dei reati di cui agli art. 572 e 612-bis c.p. il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi frequentati abitualmente dalle persone cui occorre prestare protezione o da minori (art. 8 co. 5 d.lgs. n. 159/2011).

46 Art. 10 (Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti). 1. Dopo l’articolo 612-bis del codice penale è inserito il seguente: (Introduzione dell’articolo 612-ter del codice penale in materia di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti). “Art. 612-ter. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio”.

47 G.M. CaleTTi, “Revenge porn” e tutela penale. Prime riflessioni sulla criminalizzazione specifica della pornografia non consensuale alla luce delle esperienze angloamericane, in Dir. pen. cont. Riv. trim., 3, 2018.

48 G.M. CaleTTi, Revenge porn e tutela penale, in www.penalecontemporaneo.it (consultato in data 2 settembre 2019).

49 G.M. CaleTTi, Revenge porn e tutela penale, in www.penalecontemporaneo. it (consultato in data 26 agosto 2019).

50 L. 71 del 2017, art. 2: il minore o il genitore, può inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet.

51 Art. 11. all’articolo 577 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, numero 1, dopo le parole: “o il discendente” sono inserite le seguenti: “anche per effetto di adozione di minorenne” e le parole: “o contro la persona legata al colpevole da relazione affettiva e con esso stabilmente convivente” sono sostituite dalle seguenti: “o contro la persona stabilmente convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva”; b) al secondo comma, dopo le parole: “l’altra parte dell’unione civile, ove cessata,” sono inserite le seguenti: “la persona legata al colpevole da stabile convivenza o relazione affettiva, ove cessate,” e dopo le parole: “la sorella,” sono inserite le seguenti: “l’adottante o l’adottato nei casi regolati dal titolo VIII del libro primo del codice civile,”; c) dopo il secondo comma è aggiunto il seguente: “Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 62, numero 1, 89, 98 e 114, concorrenti con le circostanze aggravanti di cui al primo comma, numero 1, e al secondo comma, non possono essere ritenute prevalenti rispetto a queste”.

52 Art. 12 (Modifiche al codice penale in materia di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, nonché modifiche all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354). 1. Dopo l’articolo 583-quater del codice penale è inserito il seguente: “Art. 583-quinquies (Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso). Chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso è punito con la reclusione da otto a quattordici anni. La condanna ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno”. 2. All’articolo 576, primo comma, numero 5, del codice penale, dopo la parola: “572” è inserita la seguente: “583-quinquies”. 3. All’articolo 583, secondo comma, del codice penale, il numero 4 è abrogato. 4. All’articolo 585, primo comma, del codice penale, dopo le parole: “583-bis” sono aggiunte le seguenti: “, 583-quinquies”. 5. All’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1-quater, dopo le parole: “per i delitti di cui agli articoli” è inseritala seguente: “583-quinquies,”; b) al comma 1-quinquies, dopo le parole: “per i delitti di cui agli articoli” è inserita la seguente: “583-quinquies,”.

53 Art. 13 (Modifiche agli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-septies e 609-octies del codice penale). 1. All’articolo 609-bis del codice penale, primo comma, le parole: “da cinque a dieci anni” sono sostituite dalle seguenti: “da sei a dodici anni”. 2. All’articolo 609-ter del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma: 1) all’alinea, le parole: “La pena è della reclusione da sei a dodici anni se infatti di cui all’articolo 609-bis” sono sostituite dalle seguenti: “La pena stabilita dall’articolo 609-bis è aumentata di un terzo sei fatti ivi previsti”; 2) il numero 1) è sostituito dal seguente:3) il numero 5) è sostituito dal seguente: b) il secondo comma è sostituito dal seguente: 3. All’articolo 609-quater del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo il secondo comma è inserito il seguente: b) al terzo comma, le parole: “tre anni” sono sostituite dalle seguenti: “quattro anni”. 4. All’articolo 609-septies del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, le parole: “articoli 609-bis, 609-ter e 609-quater” sono sostituite dalle seguenti: “articoli 609-bis e 609-ter”; “1) nei confronti di persona della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il tutore”; “5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni diciotto”; “La pena stabilita dall’articolo 609-bis è aumentata della metà se i fatti ivi previsti sono commessi nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici. La pena è raddoppiata se i fatti di cui all’articolo 609-bis sono commessi nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci”. “La pena è aumentata se il compimento degli atti sessuali con il minore che non abbia compiuto gli anni quattordici avviene in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solo promessi”; b) al secondo comma, la parola: “sei” è sostituita dalla seguente: “dodici”; c) al quarto comma, il numero 5) è abrogato. 5. All’articolo 609-octies del codice personale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al secondo comma, le parole: “da sei a dodici anni” sono sostituite dalle seguenti: “da otto a quattordici anni”; b) al terzo comma, le parole: “La pena è aumentata se concorre taluna delle” sono sostituite dalle seguenti: “Si applicano le”.

54 Art. 14 (Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e agli articoli 90-bis e 190-bis del codice di procedura penale). 1. Dopo l’articolo 64 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, è inserito il seguente: “Art. 64-bis (Trasmissione obbligatoria di provvedimenti al giudice civile). 1. Ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi o delle cause relative ai figli minori di età o all’esercizio della potestà genitoriale, copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongono la sostituzione o la revoca, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, del provvedimento con il quale è disposta l’archiviazione e della sentenza emessi nei confronti di una delle parti in relazione ai reati previsti dagli arti-coli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter del codice penale, nonché dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del codice penale è trasmessa senza ritardo al giudice civile procedente”. 2. All’articolo 90-bis, comma 1, lettera p), del codice di procedura penale, le parole: “e alle case rifugio” sono sostituite dalle seguenti: “alle case rifugio e ai servizi di assistenza alle vittime di reato”. 3. All’articolo 190-bis, comma 1-bis, del codice di procedura penale, le parole: “anni sedici” sono sostituite dalle seguenti: “anni diciotto”.

55 Art. 15 (Modifiche agli articoli 90-ter, 282-ter, 282-quater, 299 e 659 del codice di procedura penale). 1. All’articolo 90-ter del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente comma: 2. Al comma 1 dell’articolo 282-ter del codice di procedura penale sono aggiunte, infine, le seguenti parole: “anche disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis”. 3. Al comma 1 dell’articolo 282-quater del codice di procedura penale, dopo le parole “1-bis. Le comunicazioni previste al comma 1 sono sempre effettuate alla persona offesa e al suo difensore, ove nominato, se si procede per i delitti previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis del codice penale”, nonché dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del codice penale dopo le parole: “alla parte offesa” sono inserite le seguenti: “e, ove nominato, al suo difensore. 4. Al comma 2-bis dell’articolo 299 del codice di procedura penale, le parole: “al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa” sono sostituite dalle seguenti: “alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore”.5. Dopo il comma 1 dell’articolo 659 del codice di procedura penale è inserito il seguente: “1-bis. Quando a seguito di un provvedimento del giudice di sorveglianza deve es-sere disposta la scarcerazione del condannato per uno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis del codice penale, nonché dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del codice penale, il pubblico ministero che cura l’esecuzione ne dà immediata comunicazione, a mezzo della polizia giudiziaria, alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore”.

56 Art. 16 (Modifica all’articolo 275 del codice di procedura penale). 1. All’articolo 275, comma 2-bis, del codice di procedura penale, dopo la parola: “612-bis” è inserita la seguente: “, 612-ter”.

57 Art. 17 (Modifiche all’articolo 13-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di tratta-mento psicologico per i condannati per reati sessuali, per maltrattamenti contro familiari o conviventi e per atti persecutori). 1. All’articolo 13-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le parole: “nonché agli articoli 609-bis e 609-octies del medesimo codice, se commessi in danno di persona minorenne” sono sostituite dalle seguenti: “nonché agli articoli 572, 583-quinquies, 609-bis, 609-octies e 612-bis del medesimo codice”; b) è aggiunto, in fine, il seguente comma: c) la rubrica è sostituita dalla seguente: “Trattamento psicologico per i condannati per reati sessuali, per maltrattamenti contro familiari o conviventi e per atti persecutori “1-bis. Le persone condannate per i delitti di cui al comma 1 possono essere ammesse a seguire percorsi di reinserimento nella società e di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati, organizzati previo accordo tra i suddetti enti o associazioni e gli istituti penitenziari”.

58 Art. 18-1. All’art. 5-bis, comma 2, lettera d) del decreto-legge 14 agosto 2013 n. 93 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, le parole da: “riserando un terzo” fino alla fine della lettera sono soppresse.

59 Art. 19-1. Al decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 204, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 1, le parole: “la procura generale della Repubblica presso la corte d’appello” sono sostituite, ovunque ricorrono, dalle seguenti: “la procura della Repubblica presso il tribunale”; b) all’articolo 3, comma 1, le parole: “procura generale della Repubblica presso la corte d’appello” sono sostituite dalle seguenti: “procura della Repubblica presso il tribunale”; c) all’articolo 4, le parole: “procura generale della Repubblica presso la corte d’appello” sono sostituite, ovunque ricorrano, dalle seguenti: “procura della Repubblica presso il tribunale”; d) all’articolo 7, comma 1, le parole: “delle procure generali presso le corti d’appello” sono sostituite dalle seguenti: “delle procure della Repubblica presso i tribunali”.

60 Art. 21. Dall’attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono ai relativi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.