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Norme acceleratorie delle indagini preliminari, obblighi del condannato e diritti della vittima nei procedimenti per reati in materia di violenza domestica e di genere

autore: B. Giangiacomo

Sommario: Introduzione. - 1. Le modifiche all’art. 347, comma 3, c.p.p.: le modalità di acquisizione della notizia di reato per i delitti posti a tutela della violenza di genere e domestica. - 2. L’introduzione dell’art. 362, comma 1-ter, c.p.p.: l’esame urgente della persona offesa, del denunciante, querelante o istante. - 3. L’introduzione all’art. 370 dei commi 2-bis e 2-ter, c.p.p. Ancora norme volte ad accelerare la trattazione dei procedimenti nella fase delle indagini preliminari per i reati di violenza di genere e domestica. - 4. Il beneficio della sospensione condizionale della pena e gli obblighi del condannato per i reati di violenza domestica e di genere.



Introduzione



La legge 19 luglio 2019 n. 69, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 25 luglio seguente, con entrata in vigore secondo i criteri ordinari della vacatio legis (il 9 agosto u.s.), reca disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere che innovano sia norme del codice penale che del codice di procedura penale. La Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo, mutuando le definizioni dall’art. 3 della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata nel nostro Paese con la legge n. 77 del 27 giugno 2013 ed entrata in vigore il 1° agosto del 2014 (dopo aver raggiunto il numero minimo di paesi firmatari), qualifica la violenza di genere all’art. 17 come quella “diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere, della sua espressione di genere, o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. Può provocare un danno fisico, sessuale, emotivo, psicologico o una perdita economica alla vittima. La violenza di genere è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della persona e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l’aggressione sessuale, le molestie sessuali), la tratta di essere umani, la schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile, i cosiddetti reati d’onore”. Il paragrafo 18 della stessa Direttiva definisce la violenza domestica (“la violenza nelle relazioni strette”) come quella commessa “da una persona che è l’attuale o ex coniuge o partner della vittima ovvero da altri membri della famiglia, a prescindere dal fatto che l’autore del reato conviva o abbia convissuto con la vittima. Questo tipo di violenza potrebbe includere la violenza fisica, sessuale, psicologica, economica e provocare un danno fisico, mentale, emotivo o perdite economiche”. In detto paragrafo è previsto ancora “che le donne sono colpite in modo sproporzionato da questo tipo di violenza e che la loro situazione può peggiorare in caso di dipendenza dall’autore del reato sotto il profilo economico, sociale o del diritto di soggiorno”. I primi tre articoli della legge 69/2019 modificano gli artt. 347, 362 e 370 c.p.p



1. Le modifiche all’art. 347, comma 3, c.p.p.: le modalità di acquisizione della notizia di reato per i delitti posti a tutela della violenza di genere e domestica



L’art. 347, comma 1, c.p.p. stabilisce le modalità dell’obbligo della polizia giudiziaria (d’ora in poi p.g.) di riferire la notizia di reato acquisita al pubblico ministero (d’ora in poi p.m.), che è il magistrato titolare delle indagini preliminari; si tratta pacificamente di un’attività obbligatoria, sottratta alla discrezionalità della p.g.1 , che sorge allorquando questa si trovi in presenza di una notitia criminis, cioè della notizia di uno specifico avvenimento che oggettivamente possa integrare una fattispecie di reato2 . Lo stesso art. 347, comma 1, c.p.p. prevede la tempistica della trasmissione della notizia di reato al p.m. che deve avvenire senza ritardo; all’origine la norma prevedeva una scansione temporale definita, pari a 48 ore, ma questo termine è stato presto abbandonato con la modifica legislativa del d.l. 8 giugno 1992 n. 306 conv. con la l. 6 agosto 1992, lasciando spazio ad una previsione elastica, quella appunto di una trasmissione senza ritardo per dare maggior respiro all’attività della p.g. Il termine di 48 ore è peraltro rimasto ai sensi dell’art. 347, comma 2-bis, c.p.p., come introdotto sempre dal cit. d.l. 8 giugno 1992 n. 306 conv. con la l. 6 agosto 1992, qualora la p.g. compia atti per i quali è prevista l’assistenza del difensore dell’indagato. In dottrina3 è stato osservato che il passaggio da una puntuale indicazione temporale ad una formula elastica consente un ampliamento del potere della p.g. di svolgere indagini di propria iniziativa prima dell’intervento del p.m. Forse anche in ragione di questo l’art. 347 c.p.p. al comma 3, modificato dall’art. 21, comma 2, l. 8 agosto 1995 n. 332, prevede per taluni delitti, quelli indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a), numeri da 1) a 6), e in ogni caso quando sussistono ragioni d’urgenza che la comunicazione di notizia di reato sia data immediatamente anche in forma orale, cui deve seguire senza ritardo quella scritta. In buona sostanza si è in presenza di una disposizione che restringe in qualche modo la previsione ordinaria della trasmissione della notizia di reato al p.m. che deve avvenire senza ritardo stabilendo che essa avvenga immediatamente; in origine la norma prevedeva che in caso di urgenza la comunicazione di notizia di reato fosse data immediatamente anche in forma orale e, pertanto, la modifica intervenuta ha ampliato i casi di trasmissione immediata di detta comunicazione per taluni delitti a prescindere dell’urgenza. I delitti indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a), numeri da 1) a 6) sono di particolare gravità o allarme sociale; tra essi l’associazione per delinquere di stampo mafioso, i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste per l’associazione per delinquere di stampo mafioso, la strage, l’omicidio, la rapina e l’estorsione aggravate, il sequestro di persona a scopo di estorsione, i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale puniti con pene minime, pari a cinque anni, e massime, pari a dieci anni, i delitti in materia di armi da guerra e comuni da sparo, l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. La l. 69 del 2016 interviene con l’art. 1 sull’art. 347, comma 3, c.p.p., ampliando questa categoria di reati soggetti ad una disciplina più rigorosa di quella prevista dall’art. 347, comma 1, c.p.p.; l’estensione riguarda il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, tutti i reati di violenza sessuale previsti dall’art. 609-bis all’art. 609-octies c.p., i delitti di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (612-ter c.p.), quest’ultimo introdotto dalla stessa legge l. 69/2016, nonché i reati di lesioni personali e di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p.), anche quest’ultimo introdotto dalla stessa legge l. 69/2016, nelle ipotesi aggravate ex artt. 576, I comma, n. 2, 5 e 5.1, e 577, I comma, n. 1, e II comma, c.p. La scelta del legislatore evidenzia la volontà di equiparare questi reati a quelli solitamente collegati alla criminalità organizzata e al terrorismo, indicando al p.m. e alla p.g. che essi sono delitti da trattare con assoluta celerità per gli interessi coinvolti, in particolare per consentire la tutela della vittima. La conseguenza di questo intervento è che la p.g. è tenuta a comunicare al p.m. le notizie di reato delle suddette fattispecie delittuose immediatamente anche in forma orale, facendo seguire, senza ritardo, la comunicazione scritta; in tal modo si vincola ancor di più l’attività della p.g., privandola sostanzialmente di ogni discrezionalità nella scelta sullo strumento comunicativo della notizia di reato poiché essa dovrà sempre attivarsi immediatamente senza alcuna possibilità di valutare la sussistenza o meno di ragioni d’urgenza che risultano in qualche modo presunte. Ciò in ragione della peculiarità di questi reati, per i quali l’inutile decorso del tempo può portare ad un aggravamento delle conseguenze dannose o pericolose. L’intervento normativo proposto si pone, quindi, in linea con le indicazioni provenienti della direttiva 2012/29/ UE e segnatamente con l’obiettivo di garantire l’immediata instaurazione del procedimento al fine di prevenire nel più breve tempo all’adozione di provvedimenti “protettivi o di non avvicinamento”4 . Riguardato dalla parte del p.m. la modifica in questione consente un suo più immediato intervento, un’assunzione delle indagini più celere che vuol dire possibilità sia di tutelare la vittima che di acquisire gli elementi di indagine più opportuni ed in modo più genuino ai fini dell’ulteriore corso del procedimento. L’importanza di questa modifica normativa è sottolineata da una delle prime linee guida emanata il 31 luglio 2019 in conseguenza dell’entrata in vigore della l. 69/2019, quella della Procura della Repubblica di Tivoli nella quale si legge “la norma in esame appare una ‘disposizione chiave’ del nuovo assetto normativo con cui il legislatore, attraverso una modifica normativa di natura processuale, indica un’univoca direzione che deve essere assunta dalla polizia giudiziaria (così come dal p.m.), dando specifica ‘priorità’ alla trattazione di questi reati […]. L’indicazione legislativa, pur se non è stata coerente con la mancata previsione di corpi specializzati nella trattazione di questi reati, appare di particolare rilievo anche per la collocazione sistematica, essendo contenuta nell’art. 1 della legge”. Peraltro, la stesse linee guida evidenziano che l’esigenza di celerità, che sta alla base della nuova disposizione, non può operare in modo indifferenziato, ma deve essere osservata in modo diverso avendo riguardo alle fattispecie di reato oggetto di indagine, alla gravità del fatto risultante in concreto, all’opportunità di impiegare le risorse modulandole sulle necessità di tutela della persona offesa “Rendere tutto urgente, con comunicazione orale, tradirebbe lo spirito della legge perché livellerebbe situazioni diverse senza offrire un’effettiva attenzione ai casi che lo richiedono; imporre la trasmissione senza indugio di qualunque notizia di reato relativa ai reati in esame non graduerebbe, come necessario, l’urgenza di provvedere”. Ma anche da un punto di vista pratico, vi è la possibilità che l’immediata comunicazione della notizia di reato, orale o scritta, potrebbe risultare carente di quanto necessario al p.m. per apprezzarne la portata, anche e specificamente per quel che riguarda gli interventi a tutela della vittima; si finirebbe così per adempiere solo in modo formale e burocratico alla lettera della legge, con possibile grave danno proprio per la vittima. Si forniscono allora delle indicazioni5 per cui l’immediata comunicazione deve riguardare i delitti di violenza sessuale, quelli che richiedono direttive urgenti e quelli per i quali la p.g. ravvisi l’opportunità di adottare una misura cautelare. Ecco i rimedi o limiti approntati per individuare l’effettiva portata pratica di una norma che, se applicata in modo assoluto, finirebbe per realizzare effetti esattamente opposti a quelli che si volevano determinare. Altre linee guida della Procura della Repubblica di Vasto, evidenziano invece come la norma non possa essere intesa come un esonero della p.g. dallo svolgimento d’iniziativa dell’attività investigativa volta ad acquisire i primi necessari riscontri alle indicazioni provenienti dalla persona offesa: “Occorre infatti ribadire che pure in casi di reati che […] impongono una preventiva comunicazione orale del p.m. deve ritenersi sussistente l’obbligo per la polizia giudiziaria di acquisire d’iniziativa elementi di valenza probatoria che consentano di corroborare il contenuto della denuncia o della querela acquisita, anche al fine di mettere lo stesso p.m. nella condizione di valutare la sussistenza dei presupposti per l’eventuale richiesta di una qualche misura cautelare e dei necessari accertamenti da compiere”6 .



2. L’introduzione dell’art. 362, comma 1-ter, c.p.p.: l’esame urgente della persona offesa, del denunciante, querelante o istante



L’art. 362 c.p.p. ha visto, con la l. 1 ottobre 2012 n. 172 di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa di Lanzarote del 25 ottobre 2007 per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, l’aggiunta del comma 1-bis. Si è disposto così l’obbligo in capo al p.m. di avvalersi dell’ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria infantile quando fosse necessario assumere a sommarie informazioni testimoniali un minore nei procedimenti previsti dall’art. 351, comma 1-ter, c.p.p. per delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale, atti persecutori, riduzione in schiavitù, prostituzione e pornografia minorile, ecc. Il codice di procedura penale già dettava regole specifiche per l’esame dibattimentale e nell’incidente probatorio del testimone infradiciottenne, indicate dall’art. 498, comma 4, c.p.p., che concerne tutti i testimoni minorenni e tutti i processi, indipendentemente dalla fattispecie di reato per cui si procede, e indicava modalità ancora più specifiche per la vittima dei delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale, atti persecutori, riduzione in schiavitù, prostituzione e pornografia minorile, ecc. In questo modo si estendevano, anche alla fase delle indagini preliminari e solo per specifici reati, delle modalità di svolgimento dell’esame testimoniale del minorenne previste per il dibattimento7 , anche se l’art. 498, comma 4, c.p.p. non esprime quella modalità assistita del testimone minorenne in termini di obbligatorietà, ma solo di possibilità8 . L’art. 362, comma 1-bis, c.p.p. veniva a sua volta modificato con aggiunte dal d.lgs. 15 dicembre 2015 n. 212, prevedendo che l’obbligo di sentire il minore con l’ausilio di psicologi o psichiatri infantili fosse esteso anche al caso in cui la persona offesa fosse soggetto di particolare vulnerabilità ancorché maggiorenne; la condizione di particolare vulnerabilità trova la sua definizione nell’art. 90-quater c.p.p. Va rilevato, però, che questa aggiunta con estensione della previsione delle modalità di assunzione di informazioni riguarda solo colui che è persona offesa in condizioni di particolare vulnerabilità anche maggiorenne, mentre la previsione del primo periodo dell’art. 362, comma 1-bis, c.p.p. riguardava solo il minore fosse o meno persona offesa. L’ultimo periodo dell’art. 362, comma 1-bis, c.p.p. prevede, infine, che il p.m. assicuri che la persona offesa particolarmente vulnerabile non abbia contatti con l’indagato e non sia chiamata più volte a rendere sommarie informazioni, salva l’assoluta necessità per le indagini. In dottrina9 non è mancato chi ha fatto rilevare la scarsa comprensibilità di quest’ultima prescrizione perché, proprio in presenza di persone offese in condizioni di particolare vulnerabilità, può essere necessaria un’escussione frazionata per consentire loro di creare quella condizione di fiducia con gli organi investigativi che a volte è necessaria per esporre tutti gli aspetti della vicenda oggetto dell’indagine. Va in ogni caso considerato che, al di là dell’eventuale rilievo sulla genuinità dell’assunzione di informazioni, che può essere sicuramente oggetto di valutazione in sede di giudizio, la disposizione in esame è priva di una specifica sanzione processuale. L’art. 2 l. 69/2019 interviene aggiungendo il comma 1-ter all’art. 362 c.p.p., prevedendo per gli stessi delitti di cui all’art. 347, comma 3, c.p.p. (come modificato dall’art. 1 l. 69/2019 e, quindi, tranne che l’art. 612-ter c.p.) che il p.m. deve assumere informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa. La ratio della norma è chiara: una presunzione legale di urgenza nell’assunzione delle informazioni della persona offesa o di chi ha presentato denuncia, querela, ecc., al fine di verificare il più rapidamente possibile le condizioni in fatto ed in diritto per le eventuali ed opportune richieste cautelari volte ad evitare la reiterazione o aggravamento dei fatti delittuosi iscritti nel registro delle notizie di reato10; il p.m. ha un solo margine di valutazione discrezionale per procrastinare l’atto: verificare che ricorrano esigenze di tutela di minori di anni diciotto o di riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa. Il termine di tre giorni, in assenza di disposizioni che direttamente o indirettamente consentano di individuare un carattere di perentorietà (sanzionando, ad es. la sua decorrenza con l’inutilizzabilità, l’inefficacia, la nullità), non può che essere ordinatorio, ma evidentemente questo non può autorizzare l’elusione di un termine, la cui ratio è quella di assicurare il più rapido intervento possibile della p.g. e del p.m. a tutela della persona offesa in relazione al concreto pericolo per la vittima apprezzabile sulla base degli atti11. Per altro verso critiche si sono appuntate sulla disposizione in questione circa l’eccessiva rigidità di questo termine “senza operare alcuna distinzione tra i vari reati, che pur presentano graduazioni di gravità differenziate e senza consentire una valutazione sulla opportunità dell’atto, anche nell’interesse della persona offesa”12.

Ancora, si evidenzia altresì come per i reati in questione la vittima presenti nel tempo più denunce che possono anche dar luogo a nuove iscrizioni nel registro delle notizie di reato che, sempre in ragione dell’obbligatorietà dell’assunzione di informazioni da parte del p.m. entro tre giorni, “rischia di creare un inutile disagio psicologico alla vittima ed un appesantimento difficilmente gestibile per gli uffici giudiziari e le forze di polizia”13; anche se va sempre valutato che proprio in presenza di denunce reiterate può essere utile valutare costantemente l’esistenza di una situazione di pericolo attraverso l’assunzione di informazioni della persona offesa, ma il punto è che la norma non rimette questo apprezzamento al p.m., ma gli impone una condotta, seppure con delle eccezioni, privandolo della possibilità di operare una valutazione strategica e quindi più ampia dell’attività investigativa da intraprendere. Lo stesso dicasi nell’ipotesi in cui il p.m. si trovi in presenza di fatti che richiedano investigazioni con attività plurime, quali intercettazioni, esami di persone informate sui fatti, ecc., per le quali possono prevalere, secondo la espressa previsione del comma 1-ter dell’art. 362 c.p.p., la riservatezza delle indagini. La norma prevede che il termine di tre giorni decorra dall’iscrizione della notizia di reato e non dall’acquisizione della notizia stessa, mentre sarebbe proprio il momento dell’acquisizione (ovverosia la denuncia, la segnalazione, ecc.) quello che più garantisce un intervento a tutela della persona offesa. Questo a maggior ragione in presenza delle disposizioni dell’art. 347 c.p.p. che, come già evidenziato, indicano modalità di trasmissione della notizia anche senza prevedere termini, ma affermando che essa debba avvenire “senza ritardo” o “immediatamente”, modalità temporali il cui mancato rispetto non è sanzionato. Si ritiene che l’atto di assunzione d’informazioni della persona offesa, denunciante e querelante sia delegabile alla p.g. da parte del p.m. ai sensi dell’art. 370 c.p.p. La l. 69/2019 ha modificato, come si vedrà, l’art. 370 c.p.p., prevedendo l’obbligo per la p.g. di procedere senza ritardo agli atti delegati dal p.m. in presenza di reati di violenza domestica e di genere, ma non ha apportato alcuna modifica al comma 1 che consente al p.m. di delegare alla p.g. ogni atto di indagine; se il legislatore avesse voluto imporre l’assunzione dell’atto da parte del p.m. avrebbe dovuto dirlo espressamente. Vi è infine, un evidente problema di sostenibilità in capo agli uffici di Procura di un così significativo carico di lavoro, per cui è senza dubbio possibile la delega dell’atto, ma il discorso della fattibilità di questa riforma riguardo alla disposizione in commento non perde di interesse ed è oggetto di un’articolata disamina del Consiglio Superiore della Magistratura che, nel parere reso l’8 maggio 2019, segnala le difficoltà di una tempistica così serrata sia per gli uffici della Procura che per quelli della p.g.14. Né questo deve autorizzare, tradendo la ratio della legge, di procedere a deleghe di carattere formale per assicurare l’adempimento del termine, che finirebbero per spostare burocraticamente gli evidenziati problemi di sostenibilità della riforma sugli uffici di p.g. Per altro verso, le linee guida della Procura della Repubblica di Vasto contengono un’esplicita elencazione di casi in cui la p.g. non procederà all’audizione della persona offesa, se non previo concerto con il p.m. di turno15. Ma vi è da sottolineare anche che questa normativa determina una condizione di parità per tutti i reati in questione sotto il profilo della gravità che facilmente può non corrispondere alla realtà dei fatti e che determina l’esatto contrario di ciò che la legge vorrebbe e cioè tutto grave, niente grave, col rischio di frustrare tutte le vere ragioni di urgenza che sono alla base della norma16. Occorre in realtà una risposta alla violenza domestica e di genere che sia multilivello: formazione degli operatori che intervengono in questo settore ed in particolare della p.g., protezione e messa in sicurezza della vittima, percorsi di natura terapeutico-riabilitativa nei confronti degli indagati, ripensamento del trattamento per questi reati che miri a calibrare anche la risposta sanzionatoria valutando innanzitutto le cause socio-culturali che generano queste condotte delittuose ed il vero fine cui deve essere rivolta e cioè quello di rimuovere le cause, l’origine di quelle condotte; infine, il contrasto alla violenza di genere sotto un profilo culturale17.



3. L’introduzione all’art. 370 dei commi 2-bis e 2-ter, c.p.p. Ancora norme volte ad accelerare la trattazione dei procedimenti nella fase delle indagini preliminari per i reati di violenza di genere e domestica



L’art. 370 c.p.p. prevede che il p.m. svolga personalmente ogni attività nel corso delle indagini preliminari oppure possa avvalersi della p.g. e questo costituisce espressione dell’autonomia dell’organo dell’accusa nella gestione dell’azione penale18 non sindacabile neanche dal giudice19. La norma è stata interpretata nel senso che la delega deve contenere l’espressa indicazione degli adempimenti delegati ed i suoi limiti e, pertanto, essa deve essere conferita con un provvedimento formale allorquando costituisca un atto di direttiva che non vincola di per sé l’attività della p.g., che vi adempie con atti qualificabili come d’iniziativa; diversamente può dirsi, allorquando la delega riguardi un atto specificamente individuato e disciplinato da norme di garanzia che ne tutelano l’assunzione20. L’art. 3 l. 69/2019 interviene aggiungendo i commi 2-bis e 2-ter all’art. 370 c.p.p., prevedendo sempre per gli stessi delitti di cui all’art. 347, comma 3 (come modificato dall’art. 1 l. 69/2019) che la p.g. procede senza ritardo al compimento degli atti delegati dal p.m. (art. 370, comma 2-bis, c.p.p.) e che nei casi di cui al comma 2-bis la p.g. pone senza ritardo a disposizione del p.m. la documentazione nelle forme e con le modalità previste dall’art. 357 c.p.p. La norma regola le modalità di esplicazione degli atti delegati sia nel loro compimento da parte della p.g. sia nella messa a disposizione da parte di questa della relativa documentazione senza indicare un temine, ma prevedendo che tutta questa attività debba intervenire senza ritardo, espressione già rinvenuta in altre norme. L’art. 3 l. 69/2019 chiude così quel primo pacchetto di norme processuali della riforma che vogliono sin dalla fase delle indagini preliminari assicurare una trattazione rapida e quindi prioritaria dei procedimenti aventi ad oggetto reati di violenza di genere e domestica, a cominciare dall’acquisizione della notizia di reato, passando per l’esame della persona offesa, per giungere al compimento degli atti delegati alla p.g.; queste norme servono per dare una tempistica serrata a tutta questa fase delle indagini preliminari, pur se non scaturiscono sanzioni processuali dalla loro inosservanza, anche in presenza di termini apposti all’attività d’indagine. Si vuole in tal modo, perseguire l’obiettivo di garantire alla vittima di questi reati una tutela più adeguata, nonostante il legislatore non abbia fatto mancare in passato interventi rivolti a questo fine; si è visto, come si sono sovrapposte più leggi che hanno dato luogo a norme che ormai si sono andate stratificando nel tessuto codicistico, ma evidentemente il livello della tutela non è stato e non può dirsi ancora pienamente raggiunto e rispondente alle direttive internazionali ed alle pronunce della Corte Edu con particolare riferimento alla celerità dei procedimenti aventi ad oggetto la violenza domestica e di genere. Ma questo aspetto trova una sua particolare accentuazione se si pone mente al fatto che questi reati si caratterizzano per la reiterazione e uno sviluppo peggiorativo delle condotte lesive, quando la reiterazione delle stesse non costituisce la condizione necessaria per l’integrazione del reato, sino a giungere, se non adeguatamente e tempestivamente arginate, ad esiti letali per le vittime21. È quindi, assolutamente necessaria l’immediata presa in carico del procedimento da parte del p.m. e la tempestiva valutazione dei rischi cui potrebbe trovarsi esposta la persona offesa, evitando o comunque limitando i casi di vittimizzazione secondaria di tipo processuale della persona offesa soprattutto minorenne. L’apprestamento di norme processuali acceleratorie richiede necessariamente l’adozione di misure organizzative atte ad assicurare la prioritaria trattazione dei procedimenti relativi a questa tipologia di reati per dare effettività a quelle stesse norme; occorre a tal fine, favorire la specializzazione dei magistrati requirenti e giudicanti, la formazione delle Forze dell’ordine e degli operatori di settore comunque coinvolti nel percorso di sostegno delle vittime, raccomandando un approccio multidisciplinare alla materia e tra le istituzioni. Il C.S.M. è intervenuto più volte in questo settore22, sollecitando la dirigenza degli uffici ad adottare misure idonee a contenere i tempi di trattazione di questi processi, a favorire la specializzazione dei magistrati che se ne occupano, l’interazione con le altre istituzioni interessate alle vicende di questi reati (centri antiviolenza, strutture sanitarie, servizi sociali, ecc.). Il C.S.M. ha censito anche le migliori prassi utilizzate presso gli uffici requirenti in questo settore: l’intervento di Forze dell’ordine con adeguata specializzazione, il tempestivo raccordo tra p.m. e p.g., il monitoraggio della posizione della vittima e l’apprestamento di misure adeguate per evitare la reiterazione dei reati, l’adozione di protocolli investigativi che coprano i più svariati livelli dell’indagine, l’interlocuzione con gli uffici minorili ed i giudici civili. A dimostrazione di una indispensabile sinergia tra norme processuali e modelli organizzativi virtuosi.



4. Il beneficio della sospensione condizionale della pena e gli obblighi del condannato per i reati di violenza domestica e di genere



L’art. 6 l. 69/2019 modifica l’art. 165 c.p. in materia di sospensione condizionale della prevedendo che, per gli stessi delitti di cui all’art. 362, comma 1-ter (come modificato dall’art. 2 l. 69/2019 e quindi senza il reato di cui all’art. 612-ter c.p.), la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati. Gli oneri derivanti dalla partecipazione a tali corsi di recupero sono a carico del condannato.

La disposizione inserisce uno specifico comma dopo il quarto dell’art. 165 c.p., norma che anch’essa ha subito modifiche radicali nel tempo che si sono succedute aggiungendo vari commi; in particolare la l. 11 giugno 2004 n. 145 ha introdotto il terzo comma e la l. 27 maggio 2015 n. 69 il quarto ed infine ora dopo il quarto comma la suddetta disposizione. La norma, rubricata “Obblighi del condannato”, ha previsto la possibilità di subordinare il tradizionale istituto della sospensione condizionale della pena a diversi obblighi, quali il risarcimento del danno, la pubblicazione della sentenza di condanna, l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato e la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato. In questi casi la norma prevede la possibilità, cioè la facoltà di imposizione dell’obbligo e rimette sempre al giudice il termine entro il quale gli obblighi devono essere adempiuti. Altre norme successive dell’articolo prevedono obbligatoriamente l’imposizione dell’obbligo, come ad es. in caso di concessione della sospensione da parte di chi ne ha già usufruito o di condanna per alcuni delitti contro la Pubblica amministrazione. A questi casi si aggiunge ora quello dei delitti previsti già nelle altre norme di riforma di cui si è detto, cosicché in caso di condanna, l’eventuale concessione della sospensione condizionale della pena deve essere comunque subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati con gli oneri a carico del condannato; il giudice stabilirà in sentenza il termine entro il quale quest’obbligo deve essere adempiuto. Qualora il giudice non fissi il termine entro il quale il condannato deve adempiere all’obbligo, esso coincide con quello previsto dall’art. 163 c.p., che per i delitti è pari a cinque anni con dies a quo decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza secondo l’unanime interpretazione della giurisprudenza di legittimità. Il mancato adempimento dell’obbligo così imposto inibisce l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 167, comma I, c.p. e ripristina l’effettività della pena. La ratio della norma è quella di indurre il condannato a trattamenti riabilitativi e di resipiscenza della propria condotta allo scopo di contenere il pericolo di recidiva di questi delitti, contemperando da un lato la finalità sottesa al beneficio della sospensione condizionale della pena, che si vuole perseguire anche per questi reati, e dall’altro l’esigenza di non dimenticare che dietro la commissione di questi reati possono esserci problematiche individuali, familiari e sociali che vanno affrontate non solo con i tradizionali istituti del codice penale, ma attraverso un percorso più specifico che tenga conto di dette problematiche e degli specifici risvolti criminologi. In ragione di questo appare opportuno che il giudice fissi il termine per l’adempimento dell’obbligo poiché quello quinquennale previsto in mancanza del termine fissato dal giudice può essere eccessivamente lungo e finisce per non dare adeguata efficacia alla necessità del compimento di quel percorso che il condannato deve sostenere per far venir meno le condizioni che lo hanno determinato al delitto. Trattandosi di norma di diritto penale sostanziale essa va applicata ai sensi dell’art. 2 c.p. solo ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della l. 69/2019, poiché norma meno favorevole all’imputato; diversamente dalle norme processuali esaminate nei paragrafi precedenti che, come tali, sono soggette al principio del tempus regit actum e possono, quando ancora possibile in ragione del loro contenuto, essere immediatamente applicate. Si dovrà richiedere a livello di enti locali un elenco delle associazioni che siano potenzialmente in grado di organizzare i corsi in questione che devono evidentemente presentare peculiarità e competenze non facilmente reperibili.



Le modifiche previste dall’art. 15 l. 69/2019 sugli articoli del c.p.p.: 90-ter, 282-ter, 282-quater, 299 e 659. Gli obblighi di informazione alla persona offesa ed al suo difensore



1. L’art. 1, comma 1, lett. b) d.lgs. 15 dicembre 2015 n. 212 ha introdotto l’art. 90-ter c.p.p., che impone, nei procedimenti per delitti commessi con violenza alle persone l’immediata comunicazione alla persona offesa che ne faccia richiesta dei provvedimenti di scarcerazione, di cessazione della misura di sicurezza detentiva, dell’evasione dell’imputato in stato di custodia cautelare o del condannato, della volontaria sottrazione dell’internato alla misura di sicurezza detentiva, salvo che risulti il pericolo concreto di un danno per l’autore del reato. Si tratta di una norma introdotta in attuazione della direttiva 2012/29/UE con la specifica finalità di rendere edotta la vittima della nuova situazione di libertà dell’imputato e così consentirle di adottare misure a tutela della propria incolumità; è norma che evidenzia una marcata sensibilizzazione nel processo penale circa la posizione della persona offesa, creando delle forme di tutela per quest’ultima anche all’interno della fase delle indagini preliminari. L’art. 15 l. 69/2019 al primo comma ha introdotto all’art. 90-ter c.p.p. il comma 1-bis, che prevede, allorquando si procede per i delitti di cui all’art. 362, comma 1-ter (come modificato dall’art. 2 l. 69/2019 e quindi senza il reato di cui all’art. 612-ter c.p.) che le comunicazioni previste dal primo comma dell’art. 90-ter c.p.p. devono sempre essere effettuate alla persona offesa ed al suo difensore, ove nominato. Pertanto, la norma introduce, rispetto al primo comma dell’art. 90-ter c.p.p., per i delitti indicati un obbligo di comunicazione alle vittime di violenza domestica e di genere ed al loro eventuale difensore senza la condizione della richiesta della vittima, che, anche se non c’è, impone la comunicazione pure ad essa. La finalità della norma è evidentemente quella di rafforzare la tutela della vittima, garantendole comunque l’informazione sullo status libertatis dell’imputato.

2. L’art. 282-ter c.p.p., che prevede la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, viene introdotto dal d.l. 23 febbraio 2009 n. 11 conv. con modifiche nella l. 23 aprile 2009 n. 38 con il chiaro scopo di allargare la tipologia di misure coercitive non custodiali previste dal codice di procedura penale e calibrarle verso quei delitti che presentano specifici aspetti di tutela per i quali o le misure custodiali appaiono eccessive o quelle coercitive sussistenti non sono efficaci. Infatti la misura di cui all’art. 282-ter c.p.p. viene adottata unitamente all’introduzione nel codice penale del delitto di atti persecutori all’art. 612-bis c.p., anche se la misura ha carattere generale ed è applicabile a tutti i delitti in presenza dei requisiti previsti agli artt. 273 e 274 c.p.p. Si tratta in ogni caso di una misura elastica, il cui contenuto concreto può modellarsi rispetto all’esigenza specifica che il delitto manifesta nella sua portata effettiva e, pertanto, il giudice può graduare le modalità restrittive della misura attraverso una molteplicità di vincoli per i quali la norma indica i caratteri generali: divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima, obbligo di mantenersi ad una certa distanza da tali luoghi, prescrizione specifica di restare ad una certa distanza dalla persona offesa23. A riprova di questa duttilità della norma vi sono poi i commi 2, 3 e 4 dell’art. 282-ter c.p.p. che prevedono prescrizioni eventuali a carattere accessorio: l’estensione del divieto di avvicinamento anche ai prossimi congiunti della vittima o a persone con questa conviventi o legate da relazione affettiva, il divieto di comunicare con qualsiasi mezzo con le persone per le quali vi è già il divieto di avvicinamento. Ma quelle norme contengono anche la previsione di deroghe ai limiti al fine di non penalizzare le esigenze lavorative o abitative dell’imputato. Con il secondo comma dell’art. 15 l. 69/2019 è stato aggiunto alla fine dell’art. 282-ter c.p.p. la previsione, nel caso di applicazione di detta misura, che il giudice possa disporre anche l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’art. 275-bis c.p.p., consistenti in mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, il c.d. braccialetto elettronico, inizialmente previsto con l’introduzione della norma citata con il d.l. 24 novembre 2000 conv. con mod. nella l. 19 gennaio 2001 n. 4, ma successivamente ha visto varie modifiche e con il d.l. n. 93/2013 conv. con mod. nella l. n. 119/2013 l’estensione di questo strumento alla misura coercitiva dell’art. 282- bis c.p.p., l’allontanamento dalla casa familiare, con l’introduzione al comma 6 dell’espressa previsione, quando si procede per certi delitti, dell’applicazione di quella misura anche con le modalità di controllo previste dall’art. 275-bis c.p.p. In buona sostanza la norma in questione ha colmato una lacuna riguardo all’effettività della misura coercitiva che sconta il limite di poter essere sottoposta a un controllo con le metodiche tradizionali sull’osservanza delle prescrizioni ad essa conseguenti inevitabilmente blando; viene così introdotto uno strumento di garanzia per il rispetto di quelle prescrizioni. La norma però va coordinata con l’art. 275-bis c.p.p. che prevede che l’imputato deve accettare quei mezzi di controllo oppure negare il consenso alla sottoposizione ad essi con dichiarazione espressa resa all’ufficiale o all’agente incaricato di eseguire l’ordinanza che ha disposto la misura, dichiarazione che deve essere trasmessa al giudice che ha emesso l’ordinanza ed al p.m. Quindi, è uno strumento di controllo che deve essere accettato dall’imputato e, se questi nega il consenso, può anche scaturire l’applicazione di misure coercitive più gravose per la presenza di maggiori obblighi o anche cautelari. Infine, non possono non essere espressi dubbi circa la fattibilità di questa norma, cioè la sua applicazione in concreto, dal momento che è nota la carenza materiale di questi strumenti di controllo, per i quali si va in una sorta di lista d’attesa per la loro praticabilità, anche per passare da un regime di custodia carceraria a quello di custodia domiciliare, misure queste ultime che avranno la precedenza nel soddisfare la richiesta di siffatti strumenti di controllo, per cui è facile presumere che l’applicazione di essi a misure coercitive sia difficile da praticare; ma la soluzione è invero semplice: se si prevede un incremento dell’applicazione del “braccialetto elettronico”, occorre aumentarne la disponibilità.

3. L’art. 9, comma 1, lett. a) d.l. 23 febbraio 2009 n. 11 conv. con modifiche in l. 23 aprile 2009 n. 38 introduce l’art. 282-quater c.p.p., prevedendo con l’applicazione dei provvedimenti di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. una triplice comunicazione di essi: all’autorità di pubblica sicurezza competente ai fini dell’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni, alla parte offesa, ai servizi socio-assistenziali del territorio. La comunicazione all’autorità di pubblica sicurezza è evidentemente rivolta a verificare la sussistenza dei presupposti per una revoca del possesso di strumenti offensivi di cui eventualmente l’indagato disponga. La comunicazione alla parte offesa ha lo scopo di incrementare la collaborazione informativa della vittima circa l’efficacia dei diversi livelli di tutela in suo favore assicurati dall’attivazione della misura nei confronti dell’indagato24. Infine, la comunicazione ai servizi socio-assistenziali del territorio è rivolta a conoscere e valutare la gravità della situazione personale dell’offeso, così da poter predisporre la rete di protezione necessaria e le adeguate forme di assistenza, specie sul piano psicologico25. Con il terzo comma dell’art. 15 l. 69/2019 si aggiunge ai soggetti cui spetta il suddetto obbligo di comunicazione il difensore della persona offesa ove nominato così da rafforzare la tutela della vittima che per i più svariati motivi potrebbe risultare negligente nel tenere informato il suo difensore circa i provvedimenti emessi nei confronti dell’indagato, accusati di commettere reati nei confronti della persona offesa. In tal modo il difensore della persona offesa nominato è direttamente investito della comunicazione circa i provvedimenti adottati nei confronti dell’indagato e potrà a sua volta esperire nel modo più adeguato la tutela legale della persona offesa che assiste.

4. Il quarto comma dell’art. 15 l. 69/2019 interviene modificando l’art. 299, comma 2-bis, c.p.p., norma inserita dal più volte citato d.l. n. 93/2013 conv. con mod. nella l. n. 119/2013, che ha previsto un obbligo di immediata comunicazione (a cura della p.g.) dei provvedimenti emessi ai sensi degli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286 c.p.p., nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, ai servizi socio-assistenziali e al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa. Questa norma va letta nel più generale contesto riformatore dell’art. 299 c.p.p., sempre ad opera del d.l. n. 93/2013 conv. con mod. nella l. n. 119/2013, che ha inserito anche il comma 4-bis e modificato il comma 2 dell’art. 299 c.p.p., prevedendo sia nel corso delle indagini preliminari che dopo la chiusura di esse che la richiesta di revoca o sostituzione delle misure previste dagli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286 c.p.p. deve essere notificata al difensore della persona offesa a pena di inammissibilità, introducendo un necessario contraddittorio cartolare con la persona offesa che ha la funzione di garantire l’adeguata informazione della vittima del reato circa l’evoluzione del regime cautelare in atto e, quindi, la possibilità per essa di fornire al giudice elementi utili ai fini di una migliore valutazione della richiesta cautelare stessa26; sintomatico del rigore dell’affermazione del principio è la previsione della sanzione dell’inammissibilità della richiesta quando non notificata al difensore. Il quarto comma dell’art. 15 l. 69/2019 interviene però modificando il solo comma 2-bis dell’art. 299 c.p.p., quello relativo al provvedimento genetico delle misure anzidette nel modo seguente: mentre prima la comunicazione dei provvedimenti emessi ai sensi degli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286 c.p.p. nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona doveva essere fatta al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, ora si statuisce che deve essere fatta alla persona e, ove nominato, al suo difensore. Quindi, si prevede una duplice notifica e non più una sola notifica, nel senso che in precedenza la persona offesa riceveva la notifica solo se non aveva nominato un difensore, mentre con la modifica la persona offesa riceve la notifica sempre e comunque; in tal modo si rafforza la tutela della vittima che diventa soggetto destinatario necessario della notifica. Non mutano, invece, le previsioni dei soggetti destinatari della notifica della richiesta di revoca o sostituzione di quelle stesse misure ai sensi dell’art. 299, commi 2 e 4-bis c.p.p., che rimane il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, la persona offesa.

5. L’ultimo comma dell’art. 15 l. 69/2019 aggiunge il comma 1-bis all’art. 659 c.p.p., che disciplina l’esecuzione di provvedimenti del giudice di sorveglianza; il comma 1 di detta norma prevede che sia il p.m. che cura l’esecuzione della sentenza di condanna ad emettere l’ordine di esecuzione dei provvedimenti del giudice di sorveglianza con cui è disposta la carcerazione o scarcerazione del condannato e la stessa norma disciplina anche che nei casi d’urgenza il p.m. presso il giudice di sorveglianza può emettere un ordine provvisorio di carcerazione efficace sino a quando non vi provvede il p.m. competente27. Il comma 1-bis, introdotto dall’u.c. dell’art. 15 l. 69/2019, prevede l’obbligo per il p.m., chiamato a dare esecuzione dei provvedimenti del giudice di sorveglianza dai quali scaturisce la scarcerazione del condannato per uno dei delitti di cui all’art. 347, comma 3, c.p.p. (come modificato dall’art. 1 l. 69/2019 e, quindi, tranne che per l’art. 612-ter c.p.), di darne immediata comunicazione, a mezzo della p.g., alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore. Si stratta di una disposizione che colma una lacuna segnalata in dottrina28 a seguito dell’introduzione dell’art. 90-ter c.p.p. che pure prevede nei procedimenti per delitti commessi con violenza alle persone l’obbligatoria ed immediata comunicazione alla persona offesa che ne faccia richiesta dei provvedimenti tra gli altri di scarcerazione, termine che determinava perplessità interpretative, potendosi in esso ricomprendere non solo i provvedimenti in materia cautelare, ma anche quelli emessi in sede di esecuzione della pena, che contempla pure le misure alternative alla detenzione ed altri benefici penitenziari. Le difficoltà evidenziate proprio in dottrina circa i provvedimenti del giudice di sorveglianza, la cui eterogeneità ne avrebbe imposto una lunga elencazione, sembrano risolte dalla previsione della disposizione introdotta con la norma in questione che completa quella dell’art. 90-ter c.p.p., come novellato, stabilendo un obbligo di comunicazione anche per i provvedimenti di esecuzione del giudice di sorveglianza relativi ai delitti anzidetti nei confronti della persona offesa e, ove nominato, anche del suo difensore; pure in questo caso è stata adottata la formula espressiva degli altri commi dell’art. 15 l. 69/2019 con la previsione di una comunicazione necessaria sia alla persona offesa che al suo difensore, se nominato. Si chiudono così gli interventi legislativi che stabiliscono un obbligo di comunicazione anche alla persona offesa di provvedimenti cautelari o esecutivi relativi alle categorie di delitti più sopra indicati; si tratta di modifiche sempre più ricorrenti che vanno ad implementare le norme processuali penali: la persona offesa diventa sempre meno vittima e più soggetto che all’interno del processo possiede un vero e proprio habeas corpus come una parte non più solo eventuale, ma portatrice di diritti e facoltà che ne pretendono una sua partecipazione pressocché necessaria per la sua tutela ed anche per una partecipazione al contraddittorio nel processo.

NOTE

1 Vedi L. D’Ambrosio, P.L. Vigna, La pratica di polizia giudiziaria, Padova, 2003.

2 R. Aprati, La notizia di reato nella dinamica del procedimento penale, Napoli, 2010, e Paulesu, in A. Giarda, G. Spangher, Codice di procedura penale commentato, 5a ed., Milano, 2017, tomo II, sub art. 347 c.p.p.

3 L. Grilli, Le indagini preliminari della polizia giudiziaria e del pubblico ministero, Padova, 2012.

4 Così il parere del Consiglio Superiore della Magistratura sul disegno di legge relativo a Modifiche al Codice Penale, al Codice di Procedura Penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, deliberato l’8 maggio 2019, nel commento dell’art. 1 sub paragrafo 3.b.

5 Il riferimento è sempre alle linee guida della Procura della Repubblica di Tivoli.

6 Linee guida della Procura della Repubblica di Vasto, p. 4.

7 A. Mari, Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, a cura di G. Lattanzi, E. Lupo, vol. V, aggiornamento, Milano, 2017, 282.

8 Per un approfondimento del tema si veda P.P. Riviello, in G. Conso, V. Grevi, G. Illuminati, Commentario breve al codice di procedura penale, Padova, 2012, 1567.

9 A. Cisterna, Oneri di informazione “pesanti” per i p.m. e la polizia giudiziaria, in Guida dir., 2006, 7, 80 ss.

10 La disposizione applica specificamente la Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa del 25 ottobre 2012 nonché la sentenza della Corte Edu n. 41237/14 Talpis c. Italia che raccomandavano di procedere all’esame della persona offesa senza ritardo e di adottare ogni idonea misura di protezione sulla base di una tempestiva valutazione dei rischi.

11 Le linee guida della Procura della Repubblica di Tivoli stabiliscono che il termine previsto va interpretato come “tassativa necessità” che il p.m. provveda a tutti gli adempimenti necessari, compresa la tempestiva audizione della persona offesa e del denunciante, nei più brevi termini possibili. Tre giorni possono essere pochi, ma anche tanti in presenza di fatti di estrema gravità e di pericolo imminente.

12 Così il citato parere del Consiglio Superiore della Magistratura deliberato l’8 maggio 2019 sub paragrafo 5, p. 15.

13 Così sempre il parere del Consiglio Superiore della Magistratura deliberato l’8 maggio 2019 sub paragrafo 5, p. 16.

14 Così a p. 17: “La scansione temporale di cui all’art. 362, co. I-ter, c.p.p. non appare tener conto delle reali capacità degli uffici giudiziari requirenti di provvedere ad adempimenti di tale delicatezza in tempi così ristretti. Le urgenze connesse a scadenze di termini processuali e la partecipazione personale del p.m. ad attività già calendarizzate costituiscono una costante nella quotidianità dello svolgimento delle funzioni requirenti. A ciò aggiungasi che i carichi di lavoro, anche quelli relativi alle prime assegnazioni, sono mediamente elevati e che, soprattutto negli uffici di piccole dimensioni, come emerso dal monitoraggio che ha preceduto l’adozione della delibera del 9 maggio 2018, il criterio della specializzazione ha trovato scarsa attuazione. In ragione di questo è prevedibile che, per difficoltà organizzative, il p.m. non possa programmare ad horas attività istruttorie e procedere personalmente all’assunzione a s.i.t. di tutte le persone vittime di violenza di genere e domestica, nonché, ove si tratti di persona diversa da questa, di chi ha sporto denuncia, istanza o querela. E la brevità del termine che gli è concesso pregiudica altresì l’utilità del ricorso alla p.g. per adempiere all’atto istruttorio. La norma in oggetto potrebbe, quindi, avere effetti negativi proprio sull’organizzazione degli Uffici di Procura e condurre ad un’elusione del criterio della specializzazione anche negli uffici in cui sono state realizzate le aree di specializzazione. Invero, a fronte di una tempistica così serrata, potrebbe accadere che i sostituiti specializzati, per oggettivi e motivati impegni, non potranno far fronte ad incombenti cosi pressanti, tanto più se si considera il numero sempre più elevato di notizie di reato per violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia, stalking e lesioni maturate in ambito familiare. Un’analoga difficoltà potrebbe verificarsi nell’esecuzione dell’atto istruttorio da parte della Polizia Giudiziaria specializzata, ove si ritenesse lo stesso delegabile. Ciò appare in contrasto con le indicazioni più volte fornite dal Consiglio sulla necessità, nell’organizzazione degli Uffici di procura, di riservare il più possibile la trattazione dei procedimenti relativi al settore di interesse a magistrati specializzati, nonché con lo spirito dell’intervento normativo, che ha inteso introdurre un’organizzazione mirata a garantire l’intervento di una polizia giudiziaria con cognizioni specialistiche su tali reati. Le strettissime tempistiche indicate dalla novella non consentirebbero infatti di assicurare che nei piccoli centri e nelle piccole procure sia sempre di turno un ufficiale di p.g. o un magistrato specializzato, mentre la possibilità di attendere qualche giorno in più consentirebbe di assegnare al magistrato specializzato il fascicolo e la delicata audizione della p.o.”.

15 Si tratta delle ipotesi di abuso su minore e di minori vittime di violenza assistita in tutti i casi in cui: la persona offesa sia convivente con l’autore del reato e questi nulla sappia dell’iniziativa presa dalla persona offesa, una convocazione immediata della persona offesa potrebbe esporla a rischi, si ritenga di procedere con attività di indagine che implichi che la persona offesa non venga informata dell’esistenza dell’indagine.

16 Rimarca molto bene quest’aspetto il documento Area Dg su applicazione Codice Rosso del 4 settembre u.s. del gruppo di magistrati di Area democratica per la giustizia (reperibile sul sito www.areadg.it): “Non tutti i casi di violenza di genere, infatti, sono di uguale gravità e non tutti richiedono risposte del medesimo segno. La previsione dell’obbligo imposto al Pubblico Ministero di sentire entro tre giorni a sommarie informazioni testimoniali chi denunci reati di violenza di genere, rischia di trasformare le Procure in una sorta di pronto soccorso nel quale però è attribuito a tutti un eguale bollino rosso e a tutti una indistinta precedenza che, a personale invariato e nella carenza di adeguata formazione, non consente di selezionare i casi di assoluta urgenza meritevoli di trattazione prioritaria e rischia di tradursi in un mero adempimento burocratico che manda in tilt le procure, anche le più attrezzate”.

17 Tutti aspetti ben evidenziati nel documento della nota precedente.

18 L. Iandolo-Pisanelli, Le attività delegate nel procedimento penale italiano, Milano, 2003, 73.

19 Cass. Sez. III, 14 giugno 2011 n. 29631, C.E.D., Cass., n. 250622.

20 Così in dottrina P.P. Riviello, op. cit., 1588; in giur. Cass. Sez. V, 9 febbraio 2011 n. 14464, C.E.D., Cass., n. 250126. Il caso classico è quello dei decreti di perquisizione e sequestro delegati dal p.m. alla p.g. nei quali non è specificamente indicato l’oggetto del sequestro, di talché il sequestro eventualmente operato dalla p.g. richiede la convalida prevista dall’art. 355 c.p.p.

21 La sentenza della Corte Edu Talpis c. Italia, 2 marzo 2017, ric. n. 41237/14 costituisce un caso emblematico di una donna vittima di violenze domestiche ripetute ed inutilmente denunciate che esigevano una tempestiva e completa trattazione del procedimento sin dalla fase delle indagini preliminari.

22 Si segnalano le risoluzioni dell’8 luglio 2009, 30 luglio 2010, 12 marzo 2014, 9 maggio 2018.

23 In dottrina A. Bassi, La cautela nel sistema penale, misure e mezzi di impugnazione, Padova, 2016, 96; in giurisprudenza Cass. Sez. V, 26 marzo 2013, n. 19552, C.E.D., Cass., n. 255512.

24 G. Canzio, La tutela della vittima nel sistema delle garanzie processuali: le misure cautelari e la testimonianza “vulnerabile”, in Dir. pen. e proc., 2010, 988 e P. Bronzo, Misure cautelari penali e reati familiari, in Trattato di diritto penale, parte speciale, a cura di S. Preziosi, Delitti contro la famiglia, vol. X, 2011, 757.

25 P. Bronzo, Misure cautelari penali e reati familiari, cit., 758.

26 Per una rassegna delle problematiche e delle soluzioni giurisprudenziali relative a queste norme si veda E. Aprile, Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, a cura di G. Lattanzi, E. Lupo, vol. IV aggiornamento, Milano, 2017, 516.

27 Per una rassegna della valutazione della casistica di urgenza (unico aspetto problematico della norma) si veda G. Chiodo, Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, a cura di G. Lattanzi, E. Lupo, vol. aggiornamento, Milano, 2017, 137.

28 Vedi L. Tavassi, Lo statuto italiano della vittima del reato: nuovi diritti in un sistema invariato, in Proc. pen. giustizia, 2016, 3. Circa le problematicità di una specificazione nella norma in questione degli eventuali benefici penitenziari, che avrebbe richiesto una lunga elencazione del catalogo di tali benefici si veda P. Spagnolo, Nuovi diritti informativi per le vittime del reato, in Leg. pen. on line, 4 luglio 2016