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I social network e le prove nei procedimenti in materia di diritto di famiglia

autore: P. Cristofani Mencacci

Sommario: 1. Premessa. - 2. La messaggistica online ed il valore probatorio delle comunicazioni. - 3. I social network. - 3.1. Aspetti processuali: l’utilizzabilità del materiale rinvenuto online. - 3.2. Aspetti sostanziali: la dichiarazione di addebito fondata sulla condotta social delle parti. - 4. La tutela dell’immagine dei minori sui social network.



1. Premessa



Per comprendere la portata dirompente del fenomeno social network nella nostra epoca è sufficiente riflettere sul recente dato per cui, su una popolazione mondiale di 7,4 miliardi di persone, ben 2,3 miliardi sono iscritti ad almeno una piattaforma social, mentre 3,8 miliardi di persone utilizzano dispositivi mobili1 ; se si considera che larga parte dell’umanità, basti pensare ai paesi in via di sviluppo, non ha mezzi economici e tecnologici per accedere alla rete globale, è facile comprendere quanto nei paesi economicamente più evoluti i social network siano penetrati nella quotidianità della popolazione. Già da circa quindici anni le varie piattaforme online costituiscono un punto di incontro, seppur virtuale, dove le persone si confrontano ed esplicano la loro personalità, ed i profili dei singoli utenti costituiscono al giorno oggi sia un potente mezzo di comunicazione con parenti, amici e colleghi (si pensi ai diffusi servizi di messaggistica integrati) che uno strumento di condivisione delle proprie idee, del proprio vissuto e della propria quotidianità. Un così potente strumento, di cui dispone oggi come detto larga parte della popolazione trasversalmente per sesso, età, condizione lavorativa e provenienza geografica, non poteva che inevitabilmente porre importanti e delicate questioni che sia il legislatore che tutti gli operatori del diritto si sono trovati ad affrontare.

Questa breve analisi vuole, senza alcuna pretesa di completezza, costituire uno spunto di riflessione utile ad esaminare le questioni e la casistica che più frequentemente gli operatori del diritto si trovano ad affrontare confrontandosi con le vicende quotidiane dei propri assistiti. Ai fini della valutazione giuridica dei vari strumenti digitali di cui ogni utente medio oggi dispone, occorre per prima cosa effettuare una sommaria distinzione tra la messaggistica online e gli spazi destinati alla condivisione, come le bacheche o le cd. timeline più o meno pubbliche che i social network oggi offrono.



2. La messaggistica online ed il valore probatorio delle comunicazioni



Per quanto riguarda la messaggistica online, si fa riferimento a tutti quegli strumenti che consentono di mettere in contatto tra loro due soggetti, o eventualmente un gruppo di soggetti, comunque escludendo il resto degli utenti di un determinato strumento dalla lettura dei contenuti: ieri erano fax ed sms, oggi sono i messaggi di Whatsapp, Telegram, iMessage e Facebook Messenger. Questi protocolli comunicativi non offrono in realtà aspetti giuridici particolarmente complessi, in quanto, dottrina e giurisprudenza ammettono il riferimento al dettato normativo previsto dall’art. 2712 c.c., che sancisce come le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formino piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime I messaggi di Whatsapp2 , ad esempio, costituiscono a tutti gli effetti documenti informatici, che per andamento ad oggi incontrastato della giurisprudenza di merito hanno pieno valore probatorio3 ; la Suprema Corte è intervenuta temperando tale principio e stabilendo che la utilizzabilità delle chat “è, tuttavia, condizionata all’acquisizione del supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione, al fine di verificare l’affidabilità, la provenienza e l’attendibilità del contenuto di dette conversazioni”4 . In particolare, si richiamano pronunce di merito che hanno ritenuto di poter disporre l’addebito della separazione in ragione di alcuni selfie in abbigliamento intimo inviati da una presunta relazione extraconiugale e trovati per caso in una chat di gruppo Whatsapp. In questo caso la foto ha rappresentato la prova chiave del tradimento e la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, come appurato dal Tribunale di Genova5 . Tale orientamento è da considerarsi pacifico per quanto riguarda i più obsoleti sms, che per la giurisprudenza di legittimità possono essere considerati prova del tradimento commesso al punto da giustificare l’addebito della separazione a carico del coniuge infedele6 . La trasmissione tramite Whatsapp costituisce, senza dubbio, la modalità più diffusa per lo scambio di messaggi attraverso le reti telematiche, pertanto, è comprensibile che la giurisprudenza di merito abbia posto una certa attenzione all’analisi di questa piattaforma comunicativa. Si deve tuttavia ritenere che, stante l’identico funzionamento, nonché la rete telematica utilizzata, analoghe considerazioni debbano essere svolte anche per altri strumenti quali Telegram, Facebook Messanger, Skype (non per quanto riguarda la sua componente audio/ video), messaggi diretti e privati di Instagram e Twitter, essendo impossibile un catalogo puntuale ed esaustivo dei mezzi utilizzabili, considerato che la loro diffusione è legata in gran parte alla moda del momento, quindi spesso passeggera. Un criterio che può accomunare i servizi sopra elencati, a mero titolo esemplificativo, può essere fornito dalla recente decisione della Suprema Corte, per la quale i documenti informatici privi di firma elettronica non hanno l’efficacia della scrittura privata prevista dall’art. 2702 c.c. quanto alla riferibilità al suo autore apparente, attribuita, dall’art. 21 del d.lgs. n. 82 del 2005, solo al documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale. Tali documenti sono, comunque, liberamente valutabili dal giudice, ai sensi dell’art. 20 del medesimo decreto, in ordine all’idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità7 . Una recentissima pronuncia di legittimità ribadisce la sussistenza dell’onere di una contestazione “chiara, circostanziata ed esplicita” su chi voglia disconoscere la riferibilità e il contenuto di documenti informatici non dotati di fede privilegiata e prodotti in giudizio attraverso trascrizione o riproduzione fotostatica8 .



3. I social network



I social network – intendendosi principalmente Facebook, in ragione della sua capillare penetrazione nella società in modo assolutamente trasversale per zone geografiche, età degli iscritti, sesso ed estrazione sociale o economica – hanno interessato la dottrina e la giurisprudenza familiarista soprattutto nei casi di addebito della separazione ad uno dei due coniugi in ragione dei messaggi pubblicati sulla propria bacheca, o su una altrui, o comunque in un contesto destinato ad una platea indeterminabile di utenti e lettori. La produzione giurisprudenziale e scientifica sul punto è sicuramente ridotta rispetto a quella penalistica, quando le condotte degli utenti sono arrivate a configurare l’esistenza di nuovi reati (si pensi al fenomeno del cyberbullismo) o a modificare i connotati di altri già esistenti, come nel caso della diffamazione, delle minacce, dello stalking ed altro. In ambito giuslavoristico, invece, il dibattito è principalmente centrato sulla legittimità delle sanzioni disciplinari, in tutte le loro declinazioni, basate su espressioni e opinioni condivise online ed evidentemente sgradite al datore di lavoro.



3.1. Aspetti processuali: l’utilizzabilità del materiale rinvenuto online



Sussistono pochi dubbi che il materiale reperito online sia utilizzabile in sede giudiziale: le fotografie e le informazioni pubblicate sul profilo personale del social network Facebook sono utilizzabili come prove documentali nei giudizi di separazione. A differenza, infatti, delle informazioni contenute nei messaggi scambiati utilizzando il servizio di messaggistica (o di chat) fornito dal social network, che vanno assimilate a forme di corrispondenza privata e, come tali, devono ricevere la massima tutela sotto il profilo della loro divulgazione, quelle pubblicate sul proprio profilo personale, proprio perché destinate ad essere conosciute da soggetti terzi – sebbene rientranti nell’ambito della cerchia delle cd. “amicizie” del social network – non possono ritenersi assistite da tale protezione, dovendo, al contrario, essere considerate alla stregua di informazioni conoscibili da terzi9 . Un’interessante pronuncia di merito, non strettamente legata alla presente materia, ma che certo la coinvolge, sostiene, peraltro, che sia ammissibile la produzione in giudizio di messaggi telefonici e di posta elettronica, anche ove assunti in violazione alle norme di legge. Il codice di procedura civile non contiene, infatti, alcuna norma che sancisca un principio di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite in violazione di legge. L’art. 160 n. 6 del d.lgs. 196/200310 stabilisce che la validità e l’utilizzabilità di documenti nel procedimento giudiziario, basati sul trattamento di dati personali non conforme a disposizioni di legge, restano disciplinate dalle pertinenti disposizioni processuali della materia penale e civile. Il contemperamento tra il diritto alla riservatezza e il diritto di difesa è rimesso, in assenza di una precisa norma processuale civile, alla valutazione del singolo giudice nel caso concreto11. Il tema delle prove assunte nel processo civile in violazione delle norme di legge è sicuramente molto ampio e senza dubbio esula dall’argomento dei social network nel procedimento in materia di diritto di famiglia. È evidente, tuttavia, che Facebook sia diventato un contenitore di informazioni che riguardano la sfera più intima del singolo, ed inevitabilmente esse hanno finito per costituire oggetto degli interessi di persone interessate che riescono, con mezzi più o meno legittimi, a violare gli account del proprietario, venendo in possesso di foto e messaggi di cui non sarebbero destinatari. Ad oggi, come già sostenuto, giurisprudenza e dottrina non hanno ancora ben approfondito questo argomento, non essendoci, nel processo civile, un principio di inutilizzabilità della prova. Una riflessione sul punto si rende comunque necessaria ed urgente.



3.2. Aspetti sostanziali: la dichiarazione di addebito fondata sulla condotta social delle parti



Nell’ambito familiare la poco abbondante giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, ha focalizzato la propria attenzione sulla possibilità che le condotte poste in essere sui social network da uno dei due coniugi possano costituire il presupposto di una dichiarazione di addebito a proprio carico. La giurisprudenza di merito non sembra aver trovato sul punto una soluzione condivisa. Un primo orientamento non ritiene sufficiente, in tal senso, la produzione di una pagina del profilo Facebook del marito controparte (sprovvista di data), nel quale esso si autodefinisce “playboy”, in quanto “su detta piattaforma sociale ciascuno si può definire in svariati modi anche solo al mero fine di vantarsi”12; in senso contrario si è pronunciato tuttavia il Tribunale di Taranto, per cui l’attività posta in essere sui social network, di per sé non censurabile, consentirebbe ai coniugi di “allacciare una relazione di natura pseudo-sentimentale” che, seppur virtuale, è espressione di una condotta incompatibile con gli obblighi di compostezza e dedizione esclusiva all’altro coniuge richiesta dall’istituto matrimoniale, con grave menomazione al rapporto di fiducia su cui esso si fonda, non rilevando che alla frequentazione solo virtuale non abbia poi fatto riscontro l’instaurazione di una vera e propria relazione sentimentale13.

Con un primo intervento la Suprema Corte ha ritenuto che nella condotta della moglie, così come accertata dai giudici di merito, non fossero ravvisabili i connotati di una relazione sentimentale adulterina né che il rapporto platonico, limitato a contatti telefonici o via internet con altro uomo – peraltro residente a notevole distanza – e privo di un reciproco coinvolgimento affettivo, fosse suscettibile di tradursi in comportamenti offensivi per la dignità e l’onore dell’altro coniuge. La stessa pronuncia ha affermato che, in linea di principio, la relazione adulterina rende addebitabile la separazione al coniuge colpevole non solo quando risulti commesso l’adulterio ma anche quando – ove per le modalità, la frequenza e le circostanze – il contegno del coniuge si presti a verosimili sospetti di infedeltà e si traduca in condotte lesive della dignità e dell’onore dell’altro coniuge14. Una successiva pronuncia di legittimità ha stabilito che la declaratoria di addebito della separazione non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri nascenti dall’art. 143 c.c. a carico dei coniugi, ma anche sulla continuativa ed unilaterale violazione del dovere di lealtà, tale da minare quel nucleo imprescindibile di fiducia reciproca che deve caratterizzare il vincolo coniugale15. Sebbene non si faccia diretto riferimento alle condotte poste in essere dai coniugi online, pare di poter considerare che anche un uso irrispettoso dei social network possa configurare una violazione del dovere di lealtà posto a fondamento del rapporto matrimoniale. Più focalizzata sul dettato del codice civile a tal proposito è la sentenza della Corte di Appello di Taranto, che ha sancito come il rifiuto di coabitare col marito e di assisterlo, specialmente durante le infermità, lo stabilire amicizie “alternative” ed equivoche attraverso i social network, la frequentazione di locali in assenza del coniuge, l’omessa preparazione dei pasti, il ricorso a manifestazioni violente, siano tutte espressioni di vita che violano palesemente gli obblighi scaturenti dal matrimonio, come contemplati all’art. 143, co. 2, c.c. Conseguentemente, tali comportamenti ben possono essere posti a fondamento dell’addebito della separazione, laddove si dimostri che essi abbiano causato in modo irreversibile la crisi dell’unione coniugale16. Una consona condotta personale sui social network, da parte dei coniugi, rientra dunque, sostanzialmente, negli obblighi contemplati nell’art. 143 co. 2, che va contestualizzato secondo il sentire attuale. Nell’uso offensivo dei social network trova il proprio fondamento una più recente decisione di merito. In tale pronuncia emerge come la separazione giudiziale vada addebitata al coniuge che, con la sua condotta, abbia determinato il venir meno del rapporto fiduciario con l’altro coniuge e, quindi, la crisi matrimoniale, oltretutto dando un cattivo esempio e sollecitazioni negative alla figlia minore adolescente. Nel caso di specie, la separazione è stata addebitata alla moglie che ha avuto, o almeno ha dato a intendere di avere, una relazione extraconiugale, alludendovi con frasi volgari sul suo profilo Facebook. Tali post erano leggibili anche dalla figlia, la madre, infatti, pubblicava foto sia sue sia della ragazza in abbigliamento succinto, consentendo che alla stessa venissero scattate foto in pose allusive e discutibili, incentivandone la pubblicazione sul profilo Facebook17.



4. La tutela dell’immagine dei minori sui social network



Nel corso degli ultimi mesi si è andata sviluppando una crescente sensibilità verso l’argomento della tutela della privacy e dell’immagine dei bambini, le cui fotografie sono spesso pubblicate sui principali social network da genitori evidentemente sprovvisti delle più elementari conoscenze informatiche. Una maggiore consapevolezza, da parte degli adulti, eviterebbe di esporre l’immagine di minori in una piattaforma che conta 2,3 miliardi di iscritti18. Per il superamento di tali delicate questioni, le Sezioni Famiglia di alcuni Tribunali stanno inserendo, nei giudizi di separazione, divorzio e filiazione nata fuori dal matrimonio, attraverso protocolli, apposite clausole, volte a proibire ai genitori di pubblicare online foto di tal genere. In particolare, quello del Tribunale di Mantova, nelle sue linee guida, al punto n. 4, dispone che sia vietato “a ciascun genitore di pubblicare le foto dei figli sul profilo Facebook nonché su ogni altro social network, provvedendosi alla immediata rimozione di quelle esistenti”19. Lo stesso Tribunale lombardo aveva, peraltro, già imposto ad un genitore di rimuovere i post contenenti immagini di un minore, evidenziando come tale comportamento integri violazione dell’art. 10 c.c. e del combinato disposto degli articoli 4, 7, 8 e 145 del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 19620, nonché degli articoli 1 e 16 co. 1 della Conv. New York21, concludendo per disporre una indagine sulla capacità genitoriale dei genitori22. Fuori dal modello protocollare, il Tribunale di Roma si è recentemente pronunciato evidenziando come la condivisione di immagini di minorenni sul web costituisca una minaccia nei confronti di questi ultimi, sia per il rischio che essi vengano avvicinati da potenziali malintenzionati sia per la possibilità che esse vengano utilizzate, attraverso procedimenti di fotomontaggio, per produrre materiale pedopornografico da far circolare tra gli interessati. Ove non vi sia consenso tra i genitori non si possono, quindi, pubblicare con unilaterale iniziativa le foto del figlio minorenne in internet. Nel caso di opposizione di uno dei due genitori, il Giudice ordina al responsabile della pubblicazione l’immediata rimozione dei file dal web, sanzionando, eventualmente, il responsabile con la condanna al risarcimento del danno nei confronti del minore23. Il tribunale di Rieti, con un interessante provvedimento, ha disposto, ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c., che, in caso di mancata ottemperanza all’obbligo di interrompere la diffusione di immagini, video, informazioni inserite sui social network e relative ai figli della controparte – o di mancata ottemperanza all’obbligo di rimuovere tali dati – il resistente sia condannato al versamento di una somma per la violazione posta in essere24. In ambito comunitario, ai sensi del Reg. UE 2016/67925, recentemente entrato in vigore, è stato stabilito che il consenso richiesto per il trattamento dei dati personali del minore – anche per quanto riguarda l’immagine – può essere validamente prestato o dallo stesso minore o da chi ne eserciti la responsabilità genitoriale. Più nel dettaglio, nel caso di minori infrasedicenni26, saranno questi ultimi a poter scegliere se prestare o meno il consenso al trattamento; per i minori che non rientrino nella fascia di età sopra indicata, il consenso, per essere valido, dovrà essere prestato dai soggetti esercenti la responsabilità genitoriale, concordemente fra loro e senza arrecare pregiudizio all’onore, al decoro e alla reputazione dell’immagine del minore27. In tale prospettiva il legislatore ha fissato il limite di età da applicare in Italia a 14 anni (così per l’Austria) attraverso un decreto di adeguamento del Codice Privacy28.

NOTE

1 Fonte tsw.it https://www.tsw.it/journal/archivio/lo-scenario-digitale-nel-mondo-italia-nel-2016/

2 D.lgs. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale), art. 20 comma 1-bis: “Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’AgID ai sensi dell’articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all’autore. In tutti gli altri casi, l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità. La data e l’ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida”.

3 Trib. Ravenna, sent. del 10 marzo 2017, n. 231, La Legge per tutti.it, settembre 2017, https://www.laleggepertutti.it/176244_whatsapp-la-chat-fa-prova, Trib. Catania, 27 giugno 2017, Rivista Labor, http://www.rivistalabor.it/wp-content/uploads/2017/07/Trib.-Catania-27-giugno-2017.pdf.

4 Cass. pen., 19 giugno 2017, n. 49016, CED Cassazione, 2017; Trib. Milano, sez. lav., 24 ottobre 2017, diritto.it, giugno 2018, https://www.diritto.it/whatsapp-validita-giudizio-dei-messaggi-chat/.

5 Trib. Genova, n. 1187/17, studiocataldi.it, maggio 2019, https://www.studiocataldi.it/articoli/34294-il-valore-dei-selfie-tra-prova-e-reato.asp.

6 Cass. civ., 6 marzo 2017, n. 5510, altalex.it, aprile 2017, https://www.altalex.com/documents/news/2017/03/28/sms-amante-separazione-con-addebito.

7 Cass. civ. sez. lav, 8 marzo 2018, n. 5523, altalex.it, maggio 2018, https:// www.altalex.com/documents/news/2018/03/21/licenziamento-email-tradizionale.

8 Cass. Civ. Sez. I, ordinanza 13 giugno - 17 luglio 2019, n. 19155, pubblicata e annotata in questo numero della presente rivista.

9 Trib. Santa Maria Capua Vetere, 13 giugno 2013, il caso.it, 2013, http:// mobile.ilcaso.it/sentenze/ultime/9280.

10 D.lgs, 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali” (in S.O. n. 123 alla G.U. 29 luglio 2003, n. 174).

11 Trib. Torino, 8 maggio 2013, il caso.it, giugno 2013, http://mobile.ilcaso.it/ sentenze/tutele/9149/tutele.

12 Trib. Monza, 6 febbraio 2014, Trib. Milano, 16 ottobre 2014, I social network: primi orientamenti giurisprudenziali, a cura di E. Falletti, Corriere Giuridico, 7/2015.

13 Trib. Taranto, 14 novembre 2014, E. Falletti, I social network: primi orientamenti giurisprudenziali, cit.

14 Cass. civ., 12 aprile 2013, n. 8929, Cass. civ., n. 6834/1998, Cass. Civ., n. 3511/1994, https://www.altalex.com/documents/news/2013/10/16/relazione-platonica-via-internet-non-fa-scattare-l-addebito-della-separazione, ottobre 2013.

15 Cass. civ., 9 aprile 2015, n. 7132, altalex.it, maggio 2015, https://www. altalex.com/documents/news/2015/04/10/violazione-del-dovere-di-lealta-e-causa-di-addebito.

16 Corte App. Taranto, 30 aprile 2015, Diritto 24 Il Sole 24 Ore, aprile 2016, http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoCivile/famiglia/2016-04-22/ come-sta-entrando-facebook-separazioni-punto-diffamazione-addebito-e-prove-150914.php

17 Trib. Prato, 28 ottobre 2016, n. 1100, studiocataldi.it, https://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_24087_1.pdf.

18 SkyTg24, https://tg24.sky.it/tecnologia/internet/2018/07/26/facebook-2-miliardi-persone-usano-una-app-social-network.html.

19 Ordine degli Avvocati di Mantova, http://www.ordineavvocatimantova.it/ protocolli-e-regolamenti/.

20 Codice in materia di protezione dei dati personali.

21 L. 27 maggio 1991, n. 176, Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989.

22 Trib. Mantova, ord., 19 settembre 2017, Associazione Forense Emilio Conte, novembre 2017, https://associazioneforenseemilioconte.it/foto-dei-figli-suisocial-network-non-senza-il-consenso-dellaltro-coniuge-tribunale-di-mantova-ordinanza-del-19-settembre-2017-pres-rel-dott-mauro-bernardi/.

23 Trib. Roma, sent., 23 dicembre 2017, altalex.it, novembre 2017, https://www.altalex.com/documents/news/2018/01/08/genitore-pubblica-foto-del-figlio-su-facebook-rischia-l-astreinte.

24 Trib. Rieti, Sez. III, ord. 7 marzo 2019, nota di Cianciolo, Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia, https://www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17508367/vietato-postare-sui-%E2%80%9Csocial-networks%E2%80%9D-foto-di-minori-senza-il-consenso-degli-ese.html.

25 Regolamento generale per la protezione dei dati personali n. 2016/679 (General Data Protection Regulation o GDPR).

26 Art. 8 GDPR prevede l’età tra i 16 e i 18 anni, o dai 13 anni in su a seconda della legislazione dello Stato Membro.

27 Art. 97 l. n. 633/41.

28 D.lgs. 101/18 art. 2-quinquies, M. Martorana, V. Parise, Agenda Digitale, 16 gennaio 2019, https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/privacy/pubblicare-foto-di-figli-minori-sui-social-quando-e-lecito-che-dicono-le-norme/.