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Provvedimenti presidenziali temporanei ed urgenti nel giudizio di scioglimento dell’unione civile

autore: G. Savi

Sommario: 1. Premessa. - 2. L’autorizzazione a vivere separati. - 3. Dall’autorizzazione a vivere separati durante il processo di scioglimento dell’unione civile all’effettiva interruzione della convivenza. - 4. Cenni sull’ulteriore provvedimento temporaneo e urgente di concessione dell’assegno post-unione civile. - 5. Conclusioni



1. Premessa



L’ordinanza presidenziale in commento1 , resa all’esordio di un giudizio per lo scioglimento dell’unione civile dichiarata da due signore – art. 1, comma 24°, l. 20 maggio 2016 n. 762 –, ai sensi degli artt. 1, comma 25°, stessa l., e 4, comma 8°, l. div., rappresenta una delle poche tracce giurisprudenziali sinora emerse in ordine al regolamento contenzioso della crisi del rapporto unionista, con peculiare riferimento ai provvedimenti “temporanei e urgenti”, assunti per la durata del giudizio di merito. L’interesse che desta è allora plurimo, sommandosi alla singolarità del caso l’occasione di sottoporre a verifica le disposizioni positive evocate, passando dall’astrazione analitica delle norme, alla difficoltà di coniugarne la loro applicazione concreta. Ulteriore premessa è quella della sensazione di un certo qual imbarazzo decisorio, evidentemente derivato dalla scarsa abitudine a misurarsi con tali contenziosi, di cui è sintomo – neppure l’unico come vedremo infra – il tratto motivo preliminare secondo cui, le parti si sono unite civilmente in una certa data ed in un certo luogo, “con atto trascritto nel registro degli atti di matrimonio di quel Comune”, come l’altra, successiva, che nel valorizzare la convivenza di fatto anteriore si riferisce al discrimine segnato dalla “celebrazione dell’unione civile”, della cui evidente erroneità non è dato dubitare; segno però del fatto che avanti alle nostre corti di Giustizia il matrimonio resta l’unico paradigma istituzionale sul quale si adagia, come “assonnata”, l’effettiva attività cognitiva.



2. L’autorizzazione a vivere separati



Il provvedimento dà conto in primo luogo dell’istanza proposta per veder sancita l’autorizzazione a vivere separate per il tempo necessario allo svolgimento del giudizio di merito, come di norma ricorre nel procedimento di separazione personale dei coniugi3 . La domanda così svolta viene dichiarata in sostanza inammissibile, sul presupposto secondo cui la legge istitutiva dell’unione civile non enumera tra i richiami normativi recepiti espressamente od in funzione di equiparazione con il legame coniugale, la l. 6 maggio 2015 n. 554 , od il suo art. 2.

Il tratto motivo è invero denso di implicazioni di tutto rilievo, esigendo in primo luogo la verifica di esattezza dell’assioma. Intanto, prestando attenzione all’aspetto concreto saliente, quell’istanza è stata evidentemente proposta dalla parte proprietaria dell’alloggio in godimento comune, ove risultava incarnato l’obbligo alla coabitazione, atteso che non ricorreva l’esigenza di determinare lo scioglimento del regime patrimoniale della comunione dei beni, appunto a tenore dell’art. 2, l. 6 maggio 2015 n. 55, disposizione di riforma che ha integrato l’art. 191, c.c., inserendo il suo attuale 2° comma5 ; infatti, il provvedimento da atto che il regime patrimoniale vigente, optato nella specie dalle parti dell’unione, era quello della separazione dei beni. La conclusione raggiunta dal provvedimento annotato, è bene rimarcarlo subito, ove risultasse esatta, comporta che il regime della comunione legale che abbia vigenza nel rapporto della singola unione civile si potrebbe sciogliere soltanto con la sentenza definitiva che conclude il giudizio, con violazione proprio dell’art. 191 c.c., oltre che con radicale disparità di trattamento rispetto al coniugio sul piano delle tutele essenziali6 . L’esigenza sottesa a quella istanza appare connessa all’utilizzo esclusivo de futuro della casa condivisa durante il rapporto, della quale abitazione la parte proprietaria, che l’aveva messa a disposizione, sollecita la cessazione dell’occupazione nei fatti “resistita” dalla partner. Tale presupposizione è fatta evidente dall’altrettanto singolare tratto motivo finale dell’ordinanza in commento, con il quale il giudicante formula una sorta di monito alle parti dell’unione controversa, in ordine alla misura dell’assegno “divorzile” contestualmente riconosciuto in via provvisoria, del quale ammontare viene anticipatamente stigmatizzata la possibile immediata rimodulazione7 (in aumento) ove la parte non proprietaria si procuri altro alloggio abitativo proprio. Come si percepisce a piene mani, emerge anche a proposito dello scioglimento dell’unione civile la severa problematica dell’interruzione della vita delle parti nella stessa abitazione già destinata alla realizzazione della vita comune, al momento in cui subentra la crisi del rapporto ed il conflitto delle rispettive pretese, tanto più che nell’unione civile di norma non ricorre la possibilità di applicazione dell’istituto dell’assegnazione in uso della casa familiare (che risolve indirettamente la questione quantomeno medio-tempore), giustificata unicamente dalla eventuale sussistenza del distinto rapporto di filiazione8 riferibile ad entrambi, quanto ai figli in età minore o comunque economicamente non ancora autosufficienti (art. 337-sexies, c.c.)9 . Ben noto che in difetto di tale presupposto legittimante il provvedimento dell’assegnazione in uso in parola (con il quale il diritto dominicale – anche parziario –, come quello di fonte contrattuale, viene sacrificato a vantaggio di una parte, in virtù del privilegiato uso), impone ai coniugi ed ora anche agli uniti civilmente, di ricorrere alla separata azione in sede ordinaria, ove appunto il godimento “indebito” della casa familiare prosegua nei fatti da parte del non titolato e tuttavia detentore qualificato che può invocare la tutela interdittiva contro eventuali turbative o spogli possessori, anche nei confronti del proprietario stesso10; difatti, l’azione fondata sull’appartenenza dominicale e del conforme diritto al godimento esclusivo, ovvero quella divisoria, se l’immobile è di comune appartenenza pro-quota, sono reputate in genere inammissibili all’interno dei procedimenti separativi o divorzili11. Da evidenziare, di contro, come per le convivenze di fatto il legislatore ha mostrato maggiore attenzione pratica alla questione, regolando, tra pochissime altre previsioni, al comma 61°, dell’art. 1, l. 20 maggio 2016 n. 76, l’obbligo di rilascio della casa familiare da parte del convivente non titolato, a favore del recedente dal contratto di convivenza che ne abbia la “disponibilità esclusiva”12. La severità della problematica in discorso deriva in sostanza dai tempi necessari alla celebrazione di un processo di ordinaria cognizione (anche il rito sommario di cognizione ex art. 702-bis ss., c.p.c., non garantisce certo la stessa immediatezza di tutela che può assicurare il provvedimento presidenziale in materia di separazione e divorzio), nel nostro Paese peraltro grandemente dilatati; mentre il conflitto nelle relazioni affettive di coppia entrate in crisi, sino a tal punto non “autoregolate”, non è obiettivamente compatibile con il prosieguo della comunanza di vita nel quotidiano “sotto lo stesso tetto”, con i marcati disagi, gli imbarazzanti fastidi e le privazioni che ciò comporta, sino al vero e proprio pericolo dell’illecito reciproco, anche senza giungere al suggestivo richiamo dell’esigenza che i coniugi ne ad arma veniant, secondo quanto già reclamava antico brocardo. Nell’esperienza dei giuristi dediti alle controversie familiari è comune un tale rilievo di insopportabilità della sostanziale prosecuzione degli obblighi ed oneri della vita comune nonostante la pendenza della lite, come la straordinaria difficoltà di una qualche soluzione compatibile con il sereno vivere futuro delle parti, sostanzialmente irrisolvibile se non con la pronuncia di merito che prenda le mosse dall’affermazione del diritto dominicale, per quanto possano ricorrere ristori patrimoniali per l’indebita occupazione protratta nel tempo da parte del coniuge od unito civilmente che prosegua nel godimento della casa senza averne più titolo; si ritiene inammissibile una ulteriore tutela “cautelare”13 in sede separativa/divorzile anche rispetto all’evenienza in questione, mentre il legislatore tenendosi su linee generali dettate dall’eterogeneità delle situazioni concrete, non ha ritenuto di prefigurare una specificazione peculiare che la parte possa invocare in punto, se non in ipotesi oltremodo eccezionali, quali ricorrono ad esempio, nelle fattispecie in cui la “vita sotto lo stesso tetto” degeneri addirittura in accadimenti di violenza14, che ricevno tutela secondo le odierne misure di protezione; ma anche qui soltanto in via mediata e riflessa (oltretutto casuale, dato che l’autore di violenze da allontanare può ovviamente risultare proprio il titolare del diritto sull’abitazione familiare); ovvero, ad ulteriore esempio, in presenza di prole, nelle più gravi fattispecie di decadenza dalla responsabilità genitoriale (art. 330, comma 2°, c.c.) o di condotta pregiudizievole (art. 333 c.c.); misure che peraltro vengono erogate in sedi processuali distintamente competenti (salvo la vis actrativa dettata nell’art. 38 disp. att. c.c.). Né a dirsi che si possa profilare possibile una sede cautelare ordinaria, evidentemente atipica, destinata a provvedere all’amministrazione provvisoria dello specifico rapporto litigioso inerente il diritto al godimento esclusivo dell’abitazione in conformità al titolo dominicale – ove coltivato in separata sede processuale –, che in null’altro si sostanzierebbe se non nell’anticipazione pura e semplice della sentenza di merito, seppur trova sempre il proprio fondamento nella sopravvenuta crisi del rapporto personale attestato almeno dalla statuizione giurisdizionale anticipatoria in discussione. Ciò premesso, la verifica del postulato argomentativo del provvedimento in commento appare comunque frutto di errore. L’art. 1, comma 20°, l. 20 maggio 2016 n. 76, a chiusura del sistema, impone la cd. clausola di equivalenza tra il coniugio e l’unione civile, con la sola eccezione delle norme del codice civile non espressamente richiamate e di quelle sull’adozione di cui alla l. 4 maggio 1983 n. 184. Contestualmente, il comma 13°, del medesimo art. 1, l. n. 76/2016, richiama vaste parti del codice sostanziale sul rapporto familiare istituito secondo il millenario modello matrimoniale, tra le quali obiettivamente anche l’art. 191 c.c., disposizione che già risultava integrata dell’odierno comma 2°, per effetto della detta riforma di cui alla l. 6 maggio 2015, n. 55. Questo essendo il dato positivo, l’assunto argomentativo del presidente del tribunale friulano risulta proprio privo del suo primo dato presupposto. L’occasione però sollecita l’approfondimento: cos’è ed in cosa si sostanzia l’autorizzazione a vivere separati? Intanto giova rammentare come tale disposizione si rinviene correntemente nell’ordinanza presidenziale resa ai sensi dell’art. 708 c.p.c., atteso che costituisce il primo postulato obiettivo tipico, diciamo fisiologico nella sua intrinseca ovvietà, della domanda di separazione personale, sottoposta alle verifiche presidenziali; frutto anche di esperienza risalente15. L’assunto tralatizio si sostanzia nel richiamo all’argomento secondo cui la prosecuzione della vita comune è incompatibile con lo stato di separazione16, stante la volontà espressa con la domanda giudiziale proposta, sottoposta al vaglio ed al vano richiamo del presidente del tribunale alle responsabilità, alla conciliazione ed alla soluzione concorde, seppur provvisoriamente rispetto, per l’appunto, al primo oggetto del giudizio (il diritto stesso a conseguire la separazione personale); in una parola, la prima, naturale e ravvicinata, risposta giuridica alla riscontrata crisi del fondamento affettivo del rapporto di coppia ed alle esigenze di vita che con ciò insorgono per entrambi. Si è anche evidenziato che l’autorizzazione a vivere separati rappresenta un contenuto costante dell’ordinanza presidenziale17, siccome è tra lo stesso processo di separazione e la coabitazione che sussiste, per legge, una precisa incompatibilità. Quest’ultimo rilievo appare particolarmente efficace e rispettoso della mens legis. Lo stesso assunto risulta da altri declinato come corrispondente ad un valore “ricognitivo” di una situazione di diritto in effetti già verificatasi in concreto18, con il venir meno dell’affectio coniugalis; si aggiunge all’evidenziazione di un tale aspetto sostanziale in termini di evoluzione del rapporto in pratica inevitabile, l’argomento secondo cui l’autorizzazione in parola neppure risulterebbe necessaria, stante il fatto che la proposizione della domanda di separazione (come della domanda di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio) già legittima l’allontanamento della parte dalla residenza familiare (art. 146, comma 2°, c.c.), come vedremo meglio infra; a scanso di equivoci, è opportuno evidenziare subito la parziale esattezza di quest’ultimo assunto, in quanto, raccordando armonicamente il citato dato sostanziale con la disciplina processuale, se ne evince la soluzione secondo cui l’autotutela accordata al coniuge che nel proporre la domanda di status si allontani dalla residenza familiare, risulta ovviamente in attesa del vaglio del presidente del tribunale e, quindi, proprio della formale autorizzazione a vivere separati di cui discutiamo. Il concetto trova peraltro più di una traccia nel nostro ordinamento positivo: oltre alla disposizione di chiaro riscontro dell’elemento, sancito proprio nell’espresso tenore dell’odierno art. 191, comma 2°, c.c.19, già per effetto dell’art. 1, comma 4°, l. 12 giugno 1984 n. 222, sono considerati come separati “i coniugi autorizzati a vivere separati con l’ordinanza presidenziale”, ai fini dell’integrazione al minimo del trattamento pensionistico (che altrimenti non spetta qualora il reddito cumulato con quello del coniuge non separato legalmente sia pari a tre volte l’importo della pensione sociale); disposizione che peraltro ha superato anche il vaglio di costituzionalità sollevato con riferimento agli artt. 3 e 38 della nostra carta fondamentale20. Più distesamente, volendo per il momento prescindere da questi riferimenti normativi, tra i tratti che contraddistinguono l’uniforme disciplina dei processi di separazione e divorzio21, segnandone la spiccata specialità, v’è il necessario immediato intervento a tutela delle esigenze del nucleo familiare (“nell’interesse della prole e dei coniugi”, secondo il comma 3°, dell’art. 708, c.p.c., ed identicamente, ma con ordine dei soggetti da tutelare invertito22, nell’art. 4, comma 8°, l. div.), affidato ad una prima essenziale fase del giudizio, che si svolge innanzi al presidente del tribunale adito. L’esigenza di tutela dei fondamentali diritti ed interessi che discendono dai rapporti personali e patrimoniali (diritti che si intersecano nella funzione in quanto anche sotto l’apparente natura economico-patrimoniale in realtà si cela di norma la garanzia della posizione personale primaria) che corrono tra i coniugi e riguardo ai figli nati dall’unione, coinvolti nella crisi del rapporto familiare, rispetto alla regolamentazione che troverà definizione attraverso la sentenza che conclude tali processi, ovviamente idonea ad assumere l’autorità della cosa giudicata23, è connotata secondo i caratteri salienti dell’immediatezza, dell’efficacia e della provvisorietà dell’apprezzamento – non vincolato al canone della domanda di parte ed a quello della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato quanto all’interesse della prole –; ciò in quanto, i tempi fisiologici del giudizio di ordinaria cognizione non risultano obiettivamente compatibili con i primari valori in contesa, scolpiti in primo luogo negli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost. Ognuno coglie come il processo non poteva non adeguarsi per quanto possibile al titolo delle vicissitudini dei soggetti partecipi del nucleo familiare, nel loro pressante incedere quotidiano, dovendo l’ordinamento garantire, in primo luogo ed esattamente, l’effettiva piena attuazione delle posizioni soggettive di diritto cui spetta tutela in conformità al rango del rapporto da cui originano, e secondo gli uniformi canoni sovraordinati ex artt. 24, 111 Cost. e 6 CEDU. La natura anticipatoria dell’ordinanza presidenziale che racchiude i provvedimenti in parola, rispetto alla sentenza costitutiva24 che segnerà l’esito del compiuto contraddittorio25, e dell’attività istruttoria, assorbendo ogni disposizione “temporanea ed urgente”, risponde necessariamente a sommarietà ed a margini di discrezionalità della cognizione esercitata in tale prima fase del giudizio; esordio caratterizzato dall’urgenza che esige la regolamentazione dei rapporti familiari, per la ridetta natura della controversia, sancita dalla legge in via di principio; quadro congruamente completato dalla sua valenza di titolo esecutivo, con efficacia ultrattiva in caso di estinzione del processo di primo grado (art. 189 disp. att. c.p.c.), dall’univoca garanzia del diritto a poter sottoporre a reclamo immediato la stessa ordinanza (art. 708, comma 4°, c.p.c.), come di accedere alla modificazione e revoca endoprocessuale, innanzi all’istruttore nominato (art. 709, comma 4°, c.p.c.). Seppur i provvedimenti temporanei ed urgenti di cui discutiamo possano risultare in astratto i più disparati ed eterogenei, secondo le peculiarità delle specifiche esigenze concrete di tutela della singola fattispecie, come già cennato, nella prassi ricorre comunemente la condizione prima del regime provvisorio di separazione, secondo cui il presidente “autorizza i coniugi a vivere separati”, cui segue, ancora secondo prassi assolutamente consolidata, l’ulteriore dizione, “con l’obbligo del reciproco rispetto”. Ci si interroga da tempo se tale provvedimento provvisorio tipico debba considerarsi imprescindibile, corrispondendo esattamente alla domanda di separazione personale, cioè alla domanda di status che necessariamente è presente nel processo di separazione personale dei coniugi. Se si considera che l’ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c., può essere resa soltanto in presenza di una valida domanda di separazione personale (proposta almeno dal ricorrente), confermata in sede di comparizione personale e del fallimento (ovvero del fallimento per impossibilità di poterlo esperire) del tentativo di conciliazione che il presidente deve esperire al culmine della comparizione e dell’audizione personale dei coniugi, assistiti da difesa tecnica, ne deriva come la prassi sopra evidenziata, anticipando con efficacia interinale la prima delle condizioni del diritto a vivere separati, risulti del tutto lineare, incarnando esattamente l’essenza del dettato legislativo e la sua logica evidenza oggettiva, che discende dall’univoco significato delle norme sostanziali e processuali. Secondo l’art. 143 c.c., i coniugi hanno, tra gli altri diritti e doveri, l’obbligo alla coabitazione26.

Nell’unione civile, a tenore dell’art. 1, comma 11°, l. 20 maggio 2016 n. 76, ricorre analoga previsione27. Tale obbligo reciproco28, è ritenuto pacificamente elemento indefettibile della normale struttura del rapporto istituito con la celebrazione del matrimonio, ed ora anche del rapporto che corre nell’unione civile, siccome il convivere strumentale all’attuazione del coacervo dei diritti/doveri che li caratterizza. Trascurando qui le varie e complesse questioni strettamente connesse alla proposizione del ricorso per separazione personale, disciplinare i rapporti personali dei coniugi (elemento dirimente anche per le disposizioni a favore della prole) su domanda del coniuge che allega la sopravvenienza di fatti che hanno reso intollerabile la prosecuzione del rapporto (o tali da recare grave pregiudizio all’educazione dei figli), secondo la previsione ex art. 151, comma 1°, c.c., significa che prima di ogni cosa debba adeguarsi la realtà all’impossibilità di prosecuzione della convivenza, denunziata come intollerabile (omesse qui le peculiarità del pregiudizio per la prole), incidendo appunto sull’obbligo reciproco alla coabitazione. Se ben si riflette, fallito anche il tentativo di conciliazione avanti al presidente del tribunale, non resta a questi che autorizzare i coniugi a vivere separatamente, modificando con ciò il rapporto coniugale per il tempo del giudizio, anticipando la condizione di vita quotidiana, che altrimenti esiterebbe solo con il passaggio in giudicato della sentenza di status, secondo la sua primaria urgenza; così consentendo ai coniugi di passare da una posizione di peculiare obbligo – la convivenza con quell’unico soggetto dell’ordinamento con il quale è obbligato a coabitare – ad una posizione di autonomia, e sopperendo alle conseguenze che discendono dal naufragio della famiglia, attraverso la disciplina di questo nuovo regime, nell’interesse della prole e dei coniugi stessi. Il presidente è quindi chiamato prima di ogni cosa, a modificare temporaneamente e, appunto, con urgenza, lo statuto normativo coniugale, autorizzando la conduzione di vita separata, siccome allo stato la prosecuzione del rapporto di coppia rivelatasi insostenibile. Questa anticipazione, per quanto si voglia considerarla di assoluta rilevanza, tanto più oggi che costituisce causa di scioglimento dell’ordinario regime patrimoniale della famiglia, ex art. 191, comma 2°, c.c., com’è evidente, non esaurisce la più ampia efficacia che discende dalla sentenza di separazione personale che in prosieguo di tempo conclude il processo. Si è sopra rimarcato come la domanda volta a conseguire lo status di coniuge separato legalmente costituisce la domanda indefettibile, in assenza della quale, non può avere corso lo speciale procedimento di cui discorriamo, condizionato proprio dalle attività sancite nella fase presidenziale; ma è opportuno evidenziare che la costituzione di questo nuovo status ha anche una efficacia più ampia rispetto al diritto di poter subito interrompere la convivenza quotidiana lite pendente; il nostro ordinamento positivo prefigura infatti che la separazione diverrà definitiva solo con il passaggio in giudicato della sentenza che accoglie la domanda. Questa limitata sede non consente di disquisire a fondo se si tratta di provvedimento obbligato o se invece abbia natura discrezionale29; ovviamente, come ogni statuizione giurisdizionale, l’autorizzazione a vivere separati può essere legittimamente respinta. Emerge comunque l’evidenza secondo cui l’ipotesi del rapporto di coniugio che subisca le radicali modificazioni invocate con la domanda di separazione personale, sottoposta agli accertamenti ed alle attività della fase presidenziale, con quell’esito negativo descritto, ma non presentino neppure l’opportunità di fissare una tale disposizione preliminare, siano in concreto propriamente residuali, da costituire davvero l’eccezione; quale potrebbe risultare (al di là dell’ipotesi rara ed in realtà diversa, secondo cui i coniugi neppure sono riusciti a concordare la fissazione della residenza familiare ex art. 144 c.c.), nei casi limite in cui i coniugi dichiarino di voler continuare a convivere anche per la durata del processo, ovvero che continuino a vivere sotto “lo stesso tetto” ma come estranei (cd. separati in casa), od altre fattispecie quali possono ricorrere nei casi di asserito pregiudizio per la prole che, affidata a terzi, non coinvolge l’esigenza di anticipare la vita separata dei coniugi/genitori; trattasi di ipotesi in cui in verità l’indagine concreta scende sul diverso piano della ricorrenza o meno di un accordo parziale sulle condizioni della separazione, quale potrebbe risultare un regime di mera condivisione materiale dell’abitazione indifferente rispetto alla comune volontà di condurre comunque autonoma vita separata30, ovvero, d’altro lato, della persistenza o meno dell’affectio coniugalis per accertare se in realtà si configuri un rapporto di coppia non reciso od una qualche prospettiva di riconciliazione; con le varie sfumature casistiche di queste situazioni. La dottrina si è spesa copiosamente su tale tema (come sulla natura del provvedimento, con dispendio di grandi energie), giungendo ad ogni modo alla pressoché unanime conclusione che trattasi di tutela “fisiologica”, cosicché non v’è che rinviare agli autorevoli risultati conseguiti31.

Quel che qui interessa è il confronto con l’ipotesi del giudizio di divorzio in tutti quei casi fondati su cause diverse dal preesistente status di separazione personale, accertato con sentenza passata in giudicato32, cui accede l’ininterrotta vita separata per il tempo prefigurato33, quale si presenta nelle ipotesi di divorzio cd. immediato o diretto (si pensi al matrimonio che non è stato consumato, alla rettificazione dell’attribuzione di sesso con sentenza passata in giudicato, al matrimonio o divorzio estero del coniuge cittadino straniero, ovvero alle fattispecie che affondano la causa petendi nella commissione di gravi illeciti di rilevanza penale), e nello scioglimento “volontario” dell’unione civile come al caso in commento, che non è preceduto dalla separazione legale ed ove si applica la stessa disposizione ex art. 4, comma 8°, l. div., per effetto del recepimento di tale disposizione, sancito dall’art. 1, comma 25°, l. 20 maggio 2016 n. 76. Difatti, mentre la dizione testuale dell’art. 708, comma 3°, c.p.c., e quella dell’art. 4, comma 8°, risultano sovrapponibili (salvo la curiosa inversione dell’ordine dei soggetti da tutelare sopra segnalata), vi è che il giudizio di divorzio fondato sul pregresso stato di separazione personale dei coniugi vede la presenza di una disciplina del rapporto familiare in crisi irreversibile già compiutamente sancita dalla sentenza di separazione personale, con l’autorità del giudicato; regime già vigente, efficace anche durante il giudizio di divorzio, sino a che non sopravviene il nuovo status che segna il venir meno del vincolo personale; un esempio su tutti: la statuizione dell’obbligo di contribuire al mantenimento del coniuge separato sprovvisto di adeguati redditi propri, pur esposta alle modificazioni ex art. 710 c.p.c. e salva la valutazione di nuova richiesta ove anteriormente il contributo neppure domandato o di circostanze sopravvenute non fatte oggetto di iniziativa modificativa, invero prosegue sino alla sentenza di status divorzile da cui prende titolo – diverso – l’eventuale nuova disciplina post-coniugale34. La significativa differenza è data proprio dal fatto che il bisogno primario oggetto della tutela giurisdizionale invocata dalla parte che ha proposto la domanda di separazione personale è stato già riconosciuto dalla sentenza che ha accertato i fatti35, dichiarato la ricorrenza del diritto alla separazione stessa e costituito il nuovo status matrimoniale; con l’effetto di un marcato allentamento del vincolo, la disciplina specifica del rapporto secondo i canoni propri di tale condizione di “coniugi legalmente separati” e le specificazioni dettate in concreto dal giudice, caso per caso; in buona sostanza, limitandoci necessariamente ad un tale cenno, il provvedimento temporaneo ed urgente del presidente del collegio adito con l’azione divorzile, seppur esplicazione di identici poteri giurisdizionali, in genere si limita a confermare il regime vigente od a provvedere all’adeguamento dei provvedimenti già vigenti per effetto delle nuove domande ovvero per la sopravvenienza di nuovi fatti e circostanze. Nulla di tutto ciò nel divorzio che possa azionarsi direttamente36. Nel caso in commento, allora il presidente del tribunale per poter legittimamente escludere quel profilo della domanda espressamente avanzata già innanzi a sé, in via temporanea ed urgente, doveva porsi il diverso interrogativo del se l’autorizzazione a vivere separati per la durata del processo “divorzile” stesso (in sintonia con la celerità che l’ordinamento garantisce in via di principio per tali rapporti incrinati dalla crisi relazionale, qualificandoli urgenti), fosse incompatibile con la natura dell’azione proposta. Se i coniugi37 o gli uniti civilmente intendono “divorziare”, ammessi a tale azione in via diretta, a maggior ragione, lo scioglimento del vincolo che sino ad un momento prima li univa non può non comportare giocoforza la cessazione dell’obbligo di coabitazione. La questione che invero non involge l’interrogativo del se gli uniti civilmente, volendolo, possano essere ammessi al giudizio di separazione personale, che in altra sede si è cercato di risolvere razionalmente38, ci impone una severa riflessione sull’apparato motivo della decisione in commento. Come si interrompe allora, legittimamente, la convivenza tra i coniugi nell’ipotesi in cui l’ordinamento positivo ammette l’azione divorzile diretta, ovvero nello scioglimento dell’unione civile? Evidente che anche qui l’ordinanza presidenziale che detta i provvedimenti “temporanei ed urgenti” per la durata del processo, non può non anticipare proprio la tutela prima invocata e cioè, il “fisiologico” regime provvisorio derivante dalla recisione della convivenza nel quotidiano o, se si vuole, di legittima separatezza di vita durante il processo divorzile stesso, sino alla sentenza che sciogliendo il vincolo personale lo conclude. Si consideri che, al di là del rilievo secondo cui i processi di separazione e divorzio costituiscono unico modello processuale, a volerli declinare al singolare in ragione di qualche residuale differenza, anche in questo giudizio (di esercizio dell’azione divorzile diretta tra coniugi e dell’azione per lo scioglimento dell’unione civile), come nella separazione personale dei coniugi, la fase presidenziale costituisce identicamente momento di confronto saliente tra le parti ed il giudice adito, momento che riflette tutti i vari aspetti; difatti, la controversia porta all’emersione dei rapporti personali, che frequentemente risultano tesi, tanto più ove si presentino gravi dissidi, domande su pretese inconciliabili, e simili condizioni appartenenti al più ampio notorio in materia.

L’efficace intervento del presidente risulta allora fondamentale anche in tali controversie, per assicurare, identicamente, il nuovo ordine da dare al rapporto familiare in crisi irreversibile39, con quella urgenza che il legislatore ha disegnato; anzi, non essendo controverso se lo status debba soltanto modificarsi fermo il vincolo personale, bensì proprio sciogliersi definitivamente, le ragioni di urgenza riconosciute in via di principio, non si attenuano, bensì si aggravano. Identica la natura dei diritti ed interessi in gioco, anzi, come appena ridetto, a maggior ragione che nel processo di separazione personale: l’incompatibilità tra la proposizione dell’azione divorzile e l’obbligo di coabitazione dopo il fallimento del tentativo di conciliazione esperito del presidente del tribunale (anche qui esattamente prefigurato), emerge dallo stesso dato normativo; tanto più che i provvedimenti presidenziali temporanei e urgenti in sede di divorzio, secondo il tenore complessivo che regola tale attività, in origine mostrava una maggiore apertura ed elasticità, ad esempio, attraverso l’ascolto personale dei figli in età minore ma capaci di discernimento40, o la possibilità di assumere sommarie informazioni (oggi per effetto delle riforme a vario titolo susseguitesi, e principalmente per effetto dell’art. 155-sexies, c.c., introdotto nel 2006, trasmutato principalmente nell’odierno art. 337-octies, c.c., ricorre uniformità). Autorevole voce della dottrina di settore preferisce esprimersi con la dizione “sospensione della coabitazione”, ove non già vigente41, sensibilità che comunque non sembra affatto spostare i termini sostanziali sottesi. Pretendere che gli uniti civilmente convivano ancora durante il processo di divorzio, dopo aver dichiarato innanzi all’ufficiale di Stato civile addirittura di voler “divorziare” (nei modi di cui all’art. 1, comma 24°, l. 20 maggio 2016 n. 76), atteso il tempo prescritto, proposto la domanda giudiziale consequenziale, fondata su tale causa petendi, e ribadita la stessa ferma volontà innanzi al presidente del tribunale, oltre che presentarsi come evenienza socialmente paradossale, tanto più per colui che agisce al fine di recuperare la propria “libertà di stato”, significa esercitare una sorta di coercizione verso la medesima persona che non intenda proprio proseguire nell’unione e quindi non voglia coabitare; una sorta di pressione indebita alla rinuncia nei fatti alla domanda, seppur con effetto solo temporaneo, a dispetto dell’evidente incoercibilità dell’ulteriore protrarsi del rapporto e, quindi, dell’obbligo alla coabitazione. V’è poi la massima d’esperienza secondo cui la presentazione della domanda divorzile e la sua conferma nella fase presidenziale, già incarna obiettivamente il fallimento certo, o comunque pressoché certo, del rapporto di natura familiare in parola; quando il presidente del tribunale adito registra il fallimento del tentativo di conciliazione esperito, attesta anche l’ultima condizione che lo legittima a provvedere in via temporanea e urgente, opportunamente anticipando il regolamento che sarà adottato con la sentenza che definisce il giudizio. A ben riflettere, due previsioni normative del codice sostanziale cui si è sopra già fatto cenno, espressamente recepite come norme di condotta cogenti anche nel rapporto di unione civile, avvalorano tale prospettiva, confermandola con significato dirimente; da un lato l’art. 146 c.c. (richiamato dall’art. 1, comma 19°, l. 20 maggio 2016 n. 76) e, dall’altro, seppur con rilevanza in ordine ai soli vizi genetici dell’atto costitutivo del rapporto, l’art. 126 c.c. (richiamato dall’art. 1, comma 5°, stessa l. n. 76/2016). Se la mera proposizione della domanda di separazione personale dei coniugi, come di quella di annullamento, o di scioglimento del matrimonio (o di cessazione dei suoi effetti civili) e dell’unione civile, costituisce giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare, immediatamente ed autonomamente attuabile dalla parte del rapporto42, non si può dubitare che la domanda della stessa parte di essere poi – nella prima sede utile del confronto processuale apprestato con urgenza – formalmente autorizzata a vivere separata medio tempore, nell’attesa della sentenza di merito, corrisponda ad una richiesta esattamente ammissibile; semmai maggiormente rispettosa del coniuge o dell’unito civilmente, come del contesto processuale della controversia di status da dirimere. L’anticipazione invocata dalla parte che chiede tale autorizzazione a poter condurre separatamente la propria esistenza, in attesa della sentenza che definisce il giudizio, assorbendo con ciò anche tale provvedimento, appartiene al novero delle disposizioni che ricorrono “naturalmente”, tanto, appunto, da risultare già esercitabile autonomamente al momento della proposizione della domanda. In verità, appare esatta la qualificazione di tale facoltà della parte come misura di autotutela personale immediata, che come tale deve però trovare il successivo riscontro formale nella sede presidenziale, la prima utile alla verifica di legittimità del comportamento adottato. L’elemento così connaturato trova conferma persino quando sia stata proposta domanda che attenta al vincolo personale sull’assunto della sua invalida istituzione (pur non trascurando la “sovrapposizione” tra le due previsioni), avuto riguardo all’espressione volitiva43, esaltando proprio l’istanza di parte, siccome l’intollerabilità della convivenza non costituisce la causa petendi dell’azione proposta. In una parola, la pendenza del giudizio vale di per sé a legittimare l’interruzione della convivenza44. La motivazione del provvedimento emesso, trascurando di confrontarsi con queste evidenze, risulta allora scisso dall’elemento saliente effettivamente rilevante.



3. Dall’autorizzazione a vivere separati durante il processo di scioglimento dell’unione civile all’effettiva interruzione della convivenza



L’analisi appena sviluppata in verità è solo una premessa alla problematica attuativa ancora sottesa al caso.

Nell’ipotesi giunta all’attenzione del presidente del tribunale la parte unita civilmente che ha domandato lo scioglimento del vincolo personale è anche proprietaria della casa d’abitazione ove la vita familiare si era instaurata, cosicché proposta la domanda, confermata nella fase presidenziale e fallito ogni richiamo alla responsabilità della conciliazione e dell’accordo, quest’ultima si attende il “naturale” rilascio dell’abitazione stessa. Come all’inizio cennato, al di là delle ipotesi prefigurate dall’ordinamento positivo che legittimano l’assegnazione in uso dell’abitazione familiare al genitore affidatario esclusivo o cd. collocatario dei figli in età minore, ovvero convivente con maggiorenni non ancora (ed incolpevolmente) autosufficienti economicamente45, ovvero delle eccezionali misure a tutela della prole ex artt. 330 e 333 c.c., o di protezione verso gli abusi familiari, mediante allontanamento dalla dimora familiare46, nel giudizio di divorzio, oggi esteso agli uniti civilmente (come in quello di separazione personale dei coniugi), sembra non esservi modo di poter introdurre l’ulteriore domanda che regoli immediatamente, seppur con la detta efficacia temporanea per la durata del giudizio di merito, o definitivamente con la sentenza, la questione patrimoniale del diritto a godere in via esclusiva dell’abitazione familiare; neppure quando questo diritto corrisponda esattamente al diritto dominicale o personale in titolarità di uno soltanto dei due; questo a cagione del fatto – si dice – che le domande processualmente ammissibili sono oggettivamente delimitate secondo la competenza funzionale dettata dalla specialità del rito. Se così stanno le cose, risulta evidente come l’autorizzazione a vivere separati, mentre recide l’obbligo alla coabitazione, non consente di andare oltre e, cioè, ottenere una statuizione positiva per poter poi agire esecutivamente nell’immediato al fine di ottenere il rilascio dell’abitazione da parte del coniuge od unito civilmente nolente; con il che in un numero significativo della casistica, si presenta un vulnus nell’esigenza di tutela, invero già emerso anche nella separazione personale dei coniugi; con tutti i disagi ed i pericoli che comporta una conflittualità quotidiana all’interno delle mura domestiche. L’azione tesa ad ottenere tale efficace ripristino del legittimo diritto a godere della propria abitazione, seppur messa a disposizione per l’instaurazione della vita comune, deve svolgersi nella separata sede processuale dell’ordinaria cognizione (al più secondo il rito sommario di cognizione ex art. 702-bis e ss., c.p.c., ma con tempi già incompatibili con l’urgenza del contesto familiare in crisi irreversibile, cioè con la natura stessa di tali contenziosi, in principio urgenti, come sopra ribadito). Andare di contrario avviso significa allora ammettere che il presidente del tribunale possa legittimamente dettare ulteriori disposizioni, almeno ove strettamente connesse al delimitato oggetto della materia del contendere riservata alla specifica competenza separativa e divorzile (tradizionalmente ristretto allo status personale, alla regolamentazione del regime di affidamento della prole minorenne, ai provvedimenti economico patrimoniali sia consequenziali a tutela della prole – compresa la conservazione dell’habitat domestico –, come al mutamento dello status personale delle parti), nel solco di una efficace tutela “nell’interesse delle parti”47. Siamo così giunti all’ulteriore interrogativo già emerso in vario modo nell’analisi degli speciali procedimenti di separazione personale dei coniugi e divorzili: è proprio esatto affermare che i provvedimenti temporanei e urgenti resi dal presidente del tribunale nell’interesse dei coniugi – ed ora degli uniti civilmente –, non possano anticipare la tutela della parte che invochi il recupero dell’uso esclusivo della casa d’abitazione che patrimonialmente gli appartiene e che aveva messa a disposizione del nucleo familiare? La questione in verità non è sfuggita alla sensibilità di alcuni autori che hanno colto la singolare anomalia sistematica di cui andiamo discorrendo; sul versante processuale, ad esempio, in proposito del giudizio di separazione personale dei coniugi, è stato registrato il seguente postulato: “posto ché il coniuge […] conserva immutati i diritti inerenti la sua qualità di coniuge, purché non siano incompatibili con lo stato di separazione, se il marito è proprietario dell’appartamento e il presidente autorizza i coniugi a vivere separatamente (ovvero il collegio accoglie la domanda assolvendoli dall’obbligo della coabitazione), tra i diritti incompatibili con lo stato di separazione, di cui il potere esclusivo spettante sull’appartamento al marito proprietario più non consente alla moglie, sebbene incolpevole, di godere, è proprio l’utilizzazione dell’appartamento”48. Analogamente, è stato rilevato che il presidente non “deborda” dai propri poteri ove provveda a regolare il godimento dell’immobile destinato ad abitazione familiare, aggiungendo, testualmente: “In questa materia può avere importanza pratica l’ordine di estromissione dalla casa coniugale del coniuge che di questa non sia titolare in forza di un qualsiasi titolo reale o personale, in quanto evita al coniuge titolare la necessità di procurarsi altrimenti un titolo esecutivo di rilascio”49. Secondo altra prospettiva sul versante sostanziale, è emersa la posizione, in sintonia con alcuni arresti giurisprudenziali minoritari, di quanti tendono ad ammettere l’assegnazione in uso dell’abitazione familiare anche in assenza di prole, in funzione di tutela “secondaria”50 rispetto alla tipica misura assistenziale perequativa, proponendo invero le eccezionali esemplificazioni dell’esigenza di colmare l’eventuale condizione economica svantaggiata, di precaria salute, di bisogno estremo, e simili; l’argomento è stato inizialmente rinvenuto nel nuovo tenore dell’art. 6, comma 6°, l. div.; seppur tale sensibilità ermeneutica non prenda le mosse dalla tutela del diritto dominicale o personale di cui sia titolare solo una parte, in sé e per sé considerato51, l’ammissione della miglior tutela dell’interesse concreto dei coniugi appare astrattamente significativa. Tuttavia, quest’ultima opzione ermeneutica, vede un granitico indirizzo contrario, sia in dottrina52, come in giurisprudenza, secondo il quale, l’assegnazione in parola può disporsi unicamente per il soddisfacimento delle esigenze materiali e spirituali della prole53, che impone non solo la predisposizione, ma anche la conservazione dell’habitat domestico destinato alla dimora in atto del nucleo familiare, nonostante la coppia veda il dissolversi del rapporto personale. Dunque, in assenza di tale criterio preferenziale a tutela della prole, l’unica posizione soggettiva tutelabile risulta quella della parte che può vantare il diritto al godimento dell’abitazione conforme al titolo; in questo senso, appare reso nell’interesse dei coniugi, ovvero delle parti dell’unione civile, il provvedimento presidenziale anticipatorio che nell’autorizzarli a vivere separati, in primo luogo, avverta che il diritto al godimento dell’abitazione ove risulta a quel momento instaurata la dimora familiare segue necessariamente le regole di diritto comune, cioè l’esatta corrispondenza del diritto a godere e possedere (o detenere) in via esclusiva in conformità al titolo, sia esso di natura reale come di natura obbligatoria; ed al contempo, ciò acclarato, in assenza di domande od eccezioni fondate su allegazioni che introducano una contesa sul medesimo diritto, provveda a fissare un termine all’altra parte per il rilascio dello stesso immobile d’abitazione. È questa d’altronde la tutela di entrambe le parti espressamente avallata dal legislatore nella stessa l. 20 maggio 2016 n. 76, art. 1, comma 61°, quando disciplinando armonicamente le modalità di recesso unilaterale dal contratto di convivenza, testualmente statuisce anche che: “Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione”. Merita di essere considerata l’ulteriore riflessione secondo cui l’assegnazione in uso della casa familiare al coniuge od all’unito civilmente non titolato, ben potrebbe garantire altri interessi meritevoli, appunto diversi dalla tutela della prole o della proprietà o di ogni altro titolo di appartenenza e fruibilità anche temporanea a titolo obbligatorio; a sostegno di questa prospettiva si lamenta che la soluzione dettata dalla giurisprudenza appena sopra richiamata, abbia finito per segnare il “trionfo” della posizione patrimoniale, seppur il soddisfacimento di diversi interessi non sia di per sé incompatibile, in sintonia con la funzione centrale della casa d’abitazione per gli affetti, gli interessi e le abitudini in cui si esprime e si articola la vita familiare; l’espressione ermeneutica in questione risulta ispirata da una non condivisibile compressione, in via di principio, del diritto sulla casa, secondo il titolo di appartenenza, anche in assenza, appunto, dell’eccezione derogatoria che può legittimare il diritto di godimento temporaneo secondo l’istituto dell’assegnazione in uso, nel solco razionale dell’inevitabile contemperamento tra la posizione del genitore che ne risulta titolare e le esigenze preminenti dei figli, tutelate ex art. 30 Cost. Per il vero, oltre all’evidente incoerenza sistematica, non sfugge neppure che l’apertura a prendere in considerazione la tutela di diversi interessi del coniuge o dell’unito civilmente non titolato sembra rispondere in qualche misura ad una peculiare concezione della proprietà individuale, secondo cui le prerogative dominicali sarebbero da considerare comunque recessive; assioma ideologico che si somma all’assenza di un razionale quadro positivo sui criteri che allora dovrebbero adottarsi nell’opera di contemperamento tra le rispettive posizioni soggettive. Altra posizione della dottrina auspica l’estesa adozione di un provvedimento presidenziale di tipo assegnativo, in via temporanea e urgente, proprio al fine di consentire alle parti di poter vivere separatamente54; la prospettazione, che estende analogicamente il diritto d’uso in questione, pur di evidente significato ai nostri fini, trascura di considerare che in assenza di prole da tutelare, la soluzione viene qualificata dalla giurisprudenza ultronea55, siccome il titolo dominicale o quello personale “contiene” di certo l’eccezionale diritto d’uso dato dalla destinazione che viene impressa con l’assegnazione, peraltro con le insidie di una sovrapposizione di statuto che comporterebbe pubblicità immobiliari inestricabili (l’assegnazione verrebbe trascritta a favore dello stesso proprietario e contro se stesso). Se ben si riflette, tutto ciò che ruota intorno all’esigenza di interrompere la coabitazione sotto lo stesso tetto, viepiù nell’ipotesi concreta di una parte che assuma soltanto un comportamento nolente, o strumentale, secondo non infrequente logica di mero antagonismo di posizione, e per ciò stesso faccia sorgere l’interesse dell’altra parte, assistita da legittimo titolo che ne predichi il diritto all’esclusivo godimento de futuro, appare poter rientrare legittimamente nel novero dei provvedimenti temporanei e urgenti che il presidente reputa opportuni nell’interesse dei coniugi. Cosicché non si tratterebbe di dirimere una domanda estranea all’oggetto tipico del giudizio divorzile, e neppure di una domanda su altra controversia di ordine patrimoniale che debba seguire la strada autonoma del separato giudizio di cognizione (ordinaria o sommaria che sia); difatti, il giudice della competenza divorzile, comunque non verrebbe chiamato a dirimere l’eventuale specifica controversia di individuare a quale dei due appartenga la proprietà dell’abitazione familiare, od il diritto a goderne come ceduto da terzi a titolo obbligatorio, nei quali casi, ovviamente, la soluzione del separato giudizio che risolva la specifica controversia non sarebbe revocabile in dubbio; deve semplicemente prendere atto del titolo che affermi la pertinenza ad una sola parte del diritto a godere dell’abitazione, non controverso come tale, e regolare come si debba in concreto interrompere la convivenza della coppia. D’altro canto, il fatto che nel singolo rapporto di coniugio o di unione civile, la fissazione della residenza sia stata concordemente attuata (secondo i basilari artt. 144, comma 1°, c.c., e 1, comma 12°, l. 20 maggio 2016 n. 76) nell’abitazione messa a disposizione dalla parte che ne è titolare, innalza giocoforza la questione nell’ordine dei temi necessariamente già coinvolti nell’eventuale controversia che insorge al momento della crisi dello stesso rapporto. La questione, in sostanza, non risulta estranea alle questioni essenziali da trattare con il rito speciale riservato ai procedimenti separativi e divorzili, attesa la rilevanza cruciale che assume il bene abitativo in ogni relazione di natura familiare56, con la logica conseguenza che allora neppure incappa nel noto sbarramento processuale ex art. 40 c.p.c. A meglio ragionare, dovrebbe considerarsi solo un tale approccio, esattamente contrario alla consolidata opinione che, seppur equivocamente, ha espunto tale domanda dal novero degli oggetti del contendere ammissibili, potendo risultare proprio una garanzia per la parte che non ha titolo a proseguire nel godimento abitativo stesso, che così può contare legittimamente sul termine a disposizione per il rilascio; difatti, in presenza di un tale dissidio questo termine può essere congruamente individuato con rispetto di entrambi, secondo le peculiarità di un frangente di vita critico, comunque complesso. Una tale regolamentazione, della cui “opportunità” appare davvero arduo dubitare, ha il pregio di consentire un dignitoso rilascio graduato alla singola vicenda separativa o divorzile, rendendo legittima la permanenza dopo l’autorizzazione a condurre vita separata e sino allo scadere del termine all’uopo prefissato; nell’ipotesi di ricorso alla sola tutela di diritto comune del diritto di proprietà o del diritto a godere dell’abitazione concesso in via esclusiva a titolo obbligatorio da terzi, già in esito ad una diffida al rilascio per sopravvenuto venir meno del titolo che in origine l’ammetteva, come per il difetto originario di ogni titolo, la detenzione stessa diviene illegittima e perciò causa di ristoro dell’ingiusto pregiudizio patito dal titolare del diritto stesso, dalla scadenza del termine prefisso e sino all’effettivo rilascio57. Univocamente si profila la miglior garanzia sul versante delle misure assistenziali tipiche, di una immediata considerazione degli oneri economici consequenziali al rilascio, nel quadro complessivo della comparazione tra le concrete condizioni economico-patrimoniali delle parti. La conclusione porta allora a reputare legittimo un provvedimento anticipatorio dettato nell’interesse di entrambe le parti e conforme alla natura del rapporto, che nell’autorizzarle a vivere separatamente sancisca anche un “termine di grazia” per il rilascio da parte di chi non può vantare titolo alcuno per poter proseguire ad abitare personalmente in quell’immobile. Se l’analisi così condotta può far restare perplessi o risultare non del tutto appagante, magari secondo una prospettiva che non trascura il pericolo di una estensione dei confini oggettivi delle controversie di cui discorriamo, alle quali l’ordinamento riserva il rito speciale ridetto (con la conseguente ammissione di ogni altra controversia potenzialmente assimilabile), appare opportuno approfondire ulteriormente, seguendo un percorso di riprova concreta. Intanto giova una precisazione significativa; quando sopra si è fatto cenno al coniuge/genitore titolare del diritto dominicale sull’abitazione familiare che per effetto dell’assegnazione in uso viene gravato temporaneamente della limitazione alla possibilità di fruire utilmente del bene in conformità al titolo, non abbiamo affrontato il diverso quesito del se, fermo il medesimo vincolo di godimento destinato all’adeguata crescita ed all’educazione della prole sino all’epilogo della maturità adulta, mantenga o meno tutte le altre prerogative di cui agli artt. 42 Cost. e 832 c.c.; la risposta, già evidenziata in altra sede58, con il conforto anche di specifica giurisprudenza di legittimità, risulta obiettivamente positiva. È semmai il valore del bene a risentire – temporalmente – del pregiudizio che deriva dal vincolo di cui l’immobile abitativo risulta gravato; tanto che, per converso, il godimento del coniuge/genitore collocatario (od affidatario esclusivo) di figli minori o convivente con maggiorenni non ancora autonomi, viene apprezzato come vantaggio economico indiretto, di cui si deve tener conto ai fini del riconoscimento e della determinazione del contributo economico al mantenimento sia del coniuge od ex coniuge, come della prole, ovvero come svantaggio che incide ulteriormente sui redditi dell’onerato nell’ipotesi che si debba procurare a titolo oneroso la soddisfazione del bisogno abitativo personale; la voluntas legis risulta sul punto assolutamente chiara, peraltro riaffermata con la formulazione adottata nell’art. 337-sexies, comma 1°, c.c. (ma in tal senso già gli artt. 155-quater c.c. e l’art. 6, comma 6°, l. div.). Il rango del diritto dominicale in discussione permane immutato tra le previsioni della carta fondamentale della Repubblica, riconoscimento garantito dalla riserva di legge; la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, con la nota efficacia interna ex art. 117 Cost., nel tenore ultimo, che deriva dal Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con la l. 2 agosto 2008 n. 130 (in vigore dal 1° dicembre 2009), all’art. 1759, conferma perentoriamente tale garanzia. Una garanzia del diritto di proprietà individuale di questa levatura ed assolutezza, che ammette solo eccezionalmente le deroghe espresse dalla legge, risulta sensibile anche al fattore tempo in ogni sede di tutela, come peraltro la stessa norma convenzionale appena richiamata conferma, in sintonia peraltro con l’ulteriore canone sovraordinato di cui all’art. 6 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, che garantisce ai singoli una decisione “entro un termine ragionevole”. Se di ciò non è dato dubitare, espungere dal novero delle questioni tutelabili dal giudice della patologia della vicenda interpersonale, chiamato a somministrare la prima risposta prefigurata dall’ordinamento a protezione dei suoi artefici, significa tout court negarne la tutela; difatti, la pretesa di contestuale ripristino del godimento dell’abitazione destinata alla comune residenza, avanzata dalla parte che ne ha l’esclusiva disponibilità, in assenza di una posizione di diritto comparabile che ne possa legittimamente imporre il suo sacrificio (quale è pacificamente quella del coniuge e dell’unito civilmente, a differenza di quella incentrata sulla tutela della prole), corrisponde a quanto esattamente garantito dalla legge. Una tale violazione risulta ancor più evidente se si considera che l’amministrazione della giustizia deve occuparsi in diverse sedi (seppur reciprocamente interdipendenti) della tutela di un diritto composito che non ha mera valenza economico-patrimoniale ma di norma si interseca inscindibilmente con la tutela della persona, esposto alla lamentata violazione ad opera del coniuge o dell’unito civilmente; in sostanza, questo comportamento assume i connotati dell’illecito nel momento in cui ricorre una connessione intrinsecamente inscindibile tra il regolamento della crisi del rapporto affettivo matrimoniale o dell’unione civile ed il futuro godimento della casa d’abitazione già destinata alla convivenza, da interrompere o, se si vuole, sospendere, nell’immediatezza. L’indirizzo tradizionale che impone alla parte proprietaria della casa d’abitazione ove era in atto la convivenza – secondo il vincolo personale – al momento in cui insorge la crisi del rapporto, di poter soltanto ricorrere a successiva separata sede processuale ordinaria, si fonda in realtà sull’argomento tipicamente processuale del difetto di competenza funzionale rispetto ad ogni azione – personale o reale – “recuperatoria” del godimento in conformità al titolo (dalla semplice domanda di condanna al rilascio per detenzione sine titulo sino all’actio rei vindicatio). Con ciò però si trascurano almeno due fondamentali rilievi: a) la reciproca stretta interdipendenza delle due azioni, la prima a tutela dello stato della persona e la seconda a tutela del diritto dominicale in funzione del soddisfacimento del bisogno abitativo dello stesso proprietario, atteso che la condanna al rilascio dell’immobile d’abitazione si fonda nei casi di cui discutiamo, proprio sul fallimento del rapporto familiare e sulla legittima interruzione consequenziale dell’obbligo interpersonale alla coabitazione disposta dal presidente del tribunale, o comunque dal collegio in sede decisoria; similarmente, anche l’azione personale presuppone il ripristino del titolo da cui origina il diritto al godimento del bene, con lo stesso schema inscindibile; b) la causa petendi delle azioni a difesa della proprietà è costituita dalla titolarità del diritto reale, mentre il petitum è rivolto alla restituzione della cosa ovvero alla cessazione di ingerenze indebite; cioè, presuppongono la sussistenza di una qualche controversia sul titolo di appartenenza del bene, cui accede in via consequenziale la condanna; similarmente, qualsivoglia azione personale presuppone la sussistenza di una controversia sull’esistenza, l’appartenenza ed i termini del titolo da cui origina il diritto al possesso (o detenzione) ed al godimento. Il coniuge od ex coniuge, ovvero l’unito civile, il quale nonostante il provvedimento presidenziale che prende atto della grave crisi del rapporto autorizzando la conduzione di vita separata per il futuro, risulti nolente, anche solo implicitamente nei fatti, quanto al rispetto del diritto dominicale o personale dell’altro, in genere, non promuove una controversia volta alla contestazione del titolo nei termini appena elencati, bensì semplicemente finisce per versare in illecito; questa condotta contra jus verrebbe persino agevolata attraverso l’applicazione del sofisma processuale appena descritto; si badi, ove effettivamente la parte dei giudizi separativi/divorzili sollevi una controversia sul titolo di appartenenza dominicale o sul titolo personale che legittima il godimento dell’abitazione destinata alla comune residenza, allora è esatto il rinvio alla separata competente sede, ma questa non è l’ipotesi tipicamente ricorrente, bensì l’assoluta eccezione. Ma veniamo alle esemplificazioni, metodo che meglio ci conduce a toccare con mano le problematiche concrete, nel loro effettivo grado di complessità. Prendiamo proprio la fattispecie di cui al provvedimento annotato: la parte che propone l’azione di scioglimento del vincolo unionista non viene autorizzata a vivere separatamente; alla stessa parte, legittima proprietaria dell’abitazione generosamente destinata alla convivenza, la partner non contesta il titolo del proprio diritto dominicale, né solleva una qualche controversia inerente il titolo che attesta il diritto al godimento dell’abitazione stessa. Ebbene, chi ha promosso l’azione di scioglimento non avrebbe alcuna azione a tutela del proprio diritto, seppur di rango costituzionale, ed in assenza di una legittima causa limitativa prefigurata dalla legge. Non l’azione reale, poiché non risulta sollevata alcuna controversia attinente al titolo, ma più semplicemente entrambe sono rimaste di fatto all’interno della stessa abitazione utilizzandola legittimamente siccome il presidente del tribunale non le ha autorizzate a vivere separate per il tempo di durata del processo; e non l’azione personale poiché appunto non sono state autorizzate ad interrompere la convivenza, ma prima ancora perché nella specie non ricorre un titolo di natura obbligatoria per il godimento della casa; ragione per cui solo il definitivo scioglimento del vincolo dell’unione civile potrà avere una efficacia al fine che qui ci occupa, facendo venir meno in radice la detenzione qualificata, tutelata con le azioni possessorie. Ove invece il presidente del tribunale con l’ordinanza anticipatoria stessa avesse autorizzato le parti a condurre vita separata, come in realtà rettamente doveva, il quadro cambia, in quanto già l’azione personale della proprietaria risulta senz’altro esperibile, per esser venuto meno il titolo che legittimava la detenzione appena evocata della parte non proprietaria. Ciò non toglie che secondo la prospettiva criticata la domanda di tutela deve esser rivolta in altra sede. Allora, facciamo l’ipotesi che la parte proprietaria, dopo essere stata autorizzata a vivere separatamente voglia in concreto interrompere la propria vita nello stesso habitat domestico: non potendo contare, secondo la prospettazione di cui discutiamo, sull’ordine di rilascio dell’abitazione di cui è proprietaria, contenuto nel provvedimento anticipatorio reso nella sede processuale deputata alla regolamentazione della patologia relazionale dettata nell’immediatezza, sarà costretta a lasciare la propria abitazione; al contempo, premurarsi di adire separato giudizio e dopo anni, una volta che risulterà accolta la propria domanda, si sarà formato il giudicato e promossa all’occorrenza l’esecuzione forzata per il rilascio dell’immobile, potrà rientrare nel legittimo godimento esclusivo del bene che gli appartiene. Ancor più grave risulterebbe l’ipotesi in cui la stessa parte ritenga di abbandonare provvisoriamente la convivenza al momento della proposizione del ricorso, come di diritto (art. 146, comma 2°, c.c.), magari per ragioni di opportunità in un limitato arco temporale (evenienza che peraltro ricorre con una certa frequenza), in attesa dell’autorizzazione presidenziale a condurre vita autonoma; negata questa autorizzazione, dovrebbe addirittura ripristinare la convivenza, siccome il comportamento tenuto risulta sostanzialmente illegittimo, non foss’altro che per scansare i pericoli di ulteriori conseguenze pregiudizievoli (ad esempio, la concessione o meno dell’assegno divorzile può anche dipendere dalle “ragioni della decisione”). Tutto ciò non risponde assolutamente ad alcuna razionalità giuridica o anche solo ad equità, profilandosi come una illogica quanto sciagurata evoluzione, che non trova giustificazione Nel contesto delle formazioni sociali di natura familiare si svolge e realizza la personalità dei singoli, retta da reciproco rispetto e dignità, certo incompatibile con una sì grave alienazione esistenziale; risulterebbe infatti, che quanti hanno diritto a domandare direttamente lo scioglimento del vincolo personale, possono finire per ritrovarsi nella paradossale condizione di soggetto in balia di antagonismi gratuiti e di incertezze giuridiche che incidono su beni fondamentali; tanto che l’ordinamento stenterebbe persino a trovare la forma con cui sancire l’interruzione della convivenza; la stridente contraddizione tra la declamazione delle posizioni di diritto inalienabile di cui discorriamo e la loro “non tutela” sarebbe anche segno di intollerabile decadenza sociale. Queste riflessioni ora ci consentono di cogliere, a ragion veduta, l’ulteriore profilo di erroneità del provvedimento annotato; difatti, l’ordinanza presidenziale finisce per attribuire al godimento in atto dell’abitazione della parte convenuta – nolente alla modificazione del rapporto d’unione civile –, raggiunta dalla domanda della ricorrente tesa a veder autorizzata una giusta sospensione nell’immediato della convivenza, un valore economico, affermando che il rilascio spontaneo di tale sistemazione abitativa, comporterà l’immediato aumento dell’assegno “divorzile” provvisoriamente fissato (affermazione esposta ancor prima di poter valutare la sistemazione abitativa reperita); evidente, oltre quanto già osservato, che un tale profilo decisorio non mutua il criterio della rilevanza economica dell’assegnazione in uso della casa coniugale, di cui il giudice deve tener conto nella regolazione dei rapporti economici tra coniugi/genitori60 (artt. 6, comma 6°, l. div., e 337-sexies c.c.); difatti, quel canone viene radicalmente distorto, poiché nel caso non discende da un provvedimento positivo di legittimo sacrificio del diritto dominicale, bensì da una argomentazione (ma non è errato definirla un “monito” od un “suggerimento” a seconda della singola prospettiva) che finisce per legittimare la violazione dell’altrui buon diritto – la pretesa di proseguire di fatto nella fruizione del godimento dell’abitazione –; e ciò, nonostante che l’obbligo alla coabitazione non trovasse più l’unico titolo che legittimava quella disponibilità dell’habitat domestico (secondo la comune volontà di convivere, fondata sul vincolo personale che aveva dato luogo al rapporto di coppia), come se nel suo armonico esplicarsi nulla fosse cambiato; nei fatti, questa impostazione processuale corrisponde ad una “aratura” delle norme giuridiche positive. Assodato come nel nostro ordinamento il diritto di separarsi e quello di divorziare costituiscono prerogative fondamentali della persona, garantendo la libertà dei singoli61, tale posizione individuale non prescinde dagli essenziali beni che assicurano il soddisfacimento dei bisogni della vita e più in generale dal contesto proprio appartenente ad ognuno, quale è certamente la casa d’abitazione e ciò che la correda; tanto più ove risulti l’unica posseduta, frutto di sforzo e sacrificio economico protrattosi nel tempo, od addirittura con il peso dell’ammortamento del mutuo d’acquisto in atto secondo esperienza comune largamente diffusa. Come noto, a dispetto di qualche residuo approccio ideologico, diciamo più o meno avversativo della “proprietà individuale”, che purtroppo ancora affligge un certo sentire culturale interno e sul quale è preferibile non attardarsi non foss’altro che per rispetto dei valori fondamentali dell’ordinamento, le menzionate fonti normative sovraordinate tutelano e peculiarmente il bene di cui discorriamo, favorendo persino l’accesso alla proprietà dell’abitazione. Il bene casa d’abitazione personale, opportuno ribadirlo, non è soltanto oggetto delle guarentigie generali assicurate all’individuo nel confronto con le esigenze della collettività, su cui si fonda il nostro sistema giuridico, bensì mette in risalto il peculiare intenso legame con la sfera della personalità del titolare. La funzionalità dell’appartenenza alla realizzazione della personalità62, nell’inevitabile incontro tra la tutela della situazione di tipo patrimoniale e al contempo esistenziale, va oltre il riscatto dal bisogno primario di vita63, mentre il conflitto con le eventuali esigenze del nucleo familiare è stato delimitato dalle norme positive (peraltro in termini di “preferenzialità”) in direzione dell’eccezione descritta, a tutela della conservazione dell’habitat domestico in favore dei figli che non abbiano esaurito il percorso di crescita ed educazione sino all’autonomia della condizione adulta, siccome titolari di posizione giuridica preminente e superiore. Come allora si può concepire che la mancata contestuale tutela di quel diritto finisca per giustificarsi attraverso una sorta di “congelamento”, non solo delle forme di autotutela del proprietario64, ma della tutela giurisdizionale stessa nella fase temporale consona, sol perché ricorre una patologia della vicenda interpersonale? La risposta si coglie a piene mani, attesa la stessa evidenza segnalata, secondo cui la misura solidaristica che può essere imposta al coniuge od all’ex coniuge od unito civilmente, destinata al dignitoso soddisfacimento anche del bisogno abitativo della parte svantaggiata e non titolare dell’abitazione già destinata a comune residenza, è unicamente costituita dalla previsione dell’assegno periodico di contributo al mantenimento di cui all’art. 156 c.c. (in sede separativa), ed all’art. 5, comma 6°, l. div. (in sede post-coniugale), che trae titolo dalla ridetta modificazione o cessazione dello status, ammesso in principio alla tutela anticipatoria oggetto di queste riflessioni. D’altro canto, se questa logica fondamentale del nostro sistema giuridico di regolamentazione della crisi dei rapporti affettivi di natura familiare dovesse scivolare sul terreno delle descritte forzature interpretative, non si potrebbe neppure prescindere dai criteri di razionale ricerca della “parte meritevole”; cosicché non è neppure scontato che la parte titolare della casa già destinata alla convivenza familiare risulti solo per ciò la “parte sacrificabile”, e non magari proprio la parte svantaggiata; in linea generale, comunque, la pari dignità che regge tali vincoli personali, è elemento che non milita verso l’ammissione di una prospettiva tesa ad individuare una posizione soggettiva “preminente”. Permettere che nei fatti una parte possa godere a propria discrezione dell’abitazione di cui dispone l’altra, ancora per anni nonostante la proposizione della domanda separativa o divorzile, l’autorizzazione a vivere in separatezza e nonostante l’assenza di un qualche titolo od anche solo in assenza di una pretesa dominicale o di una pretesa a titolo derivativo in qualche modo avanzata, significa anche imporre una prestazione “in natura” obiettivamente estranea alle previsioni positive; la prestazione degli alimenti, per fare un significativo paragone evocato dalla similitudine, prevede l’alternativa somministrazione mediante accoglimento in casa dell’avente diritto (art. 443, comma 1°, c.c.), ma ad iniziativa dell’obbligato, peraltro derogabile dal giudice nella ricorrenza di giustificati motivi, ovvero specificabile nelle modalità; in una parola, anche il riferimento analogico che la materia evoca, porta subito ad escludere l’ammissibilità di prestazioni in natura, al di là delle ipotesi eccezionali, di stretta interpretazione. Ulteriore argomento soccorre la tesi qui precipuamente sostenuta, con efficacia che appare dirimente. A voler ammettere per un momento che i valori sostanziali sottostanti coinvolti nella contrapposizione tra la tutela della posizione patrimoniale e la tutela della posizione esistenziale, nell’emergere della crisi del rapporto affettivo, possano condurre alla prospettazione di una sorta di assegnazione d’uso al coniuge, ex coniuge o partner, per se stesso (similarmente alla misura tipica ammessa in funzione di tutela della prole), non ci si può comunque esimere dalla razionale prefigurazione delle eccezionali ipotesi derogatorie che possano legittimare la parte non titolata all’ulteriore fruizione della casa dell’altro, destinata a luogo della convivenza familiare (con corrispondente ovvia esclusione da quello stesso habitat domestico proprio di colui che ne sarebbe legittimato). In una parola, si deve pur sempre individuare chi rimane e chi rilascia la casa familiare, interrompendo quella sorta di “limbo” esistenziale sotto lo stesso tetto, che in sostanza finisce per legittimare solo atteggiamenti antagonisti ed irresponsabili. Difatti, nell’istituto dell’assegnazione d’uso in presenza di prole, l’ordine di rilascio dell’abitazione da parte del genitore non affidatario, o non collocatario, o non convivente con maggiorenni non autosufficienti, costituisce provvedimento consequenziale ovvio. Questo significa che ci si può anche dividere sulle declinazioni interpretative sostanziali, affermando od escludendo il diritto all’assegnazione in uso, ma non si può tentennare sull’efficace regolamentazione processuale che esige la separatezza di vita per il futuro. In conclusione, ai fini che qui ci occupano, risulta essenziale poter contare sul regolamento anticipatorio della questione sul piano della concreta efficacia (ovviamente, in difetto di una sua autoregolamentazione assentita), così da veder riconosciuto nell’immediatezza il diritto all’interruzione – in un termine ragionevole – di questa penosa condizione di convivenza forzata; confermando anche per questa via la legittimità del provvedimento esteso al godimento de futuro dell’abitazione familiare, seppur con efficacia provvisoria. Veniamo ora, per concludere, a qualche ulteriore considerazione in ordine all’art. 40 c.p.c., ad integrazione di quanto sopra già evidenziato, invero idonea a disvelare qualche equivoco di troppo. Ai fini che qui ci occupano, abbiamo sopra colto come in verità ci si dovrebbe limitare al rilievo secondo cui, in sede di provvedimenti provvisori ed urgenti, resi al culmine della fase sommaria avanti al presidente del tribunale, nell’interesse delle parti, è questo l’oggetto funzionale delle statuizioni, ed il criterio guida è esattamente l’interesse delle parti, mentre lo schema del riparto delle competenze rinvenibile nell’art. 40 codice di rito, appartiene alla seconda fase del giudizio, fase di merito che la stessa statuizione provvisoria apre secondo il rito dell’ordinaria cognizione. Utile però una digressione. La richiamata specialità del rito della separazione e del divorzio trae titolo dalla crisi delle relazioni familiari, ma questa causa petendi non esaurisce l’intera “materia”, in quanto vi sono diritti che nonostante insorgano ugualmente per effetto della crisi del rapporto coniugale o di unione civile, possono avviarsi alla tutela giurisdizionale soltanto nelle forme della cognizione ordinaria, ovvero in altre sedi speciali65; tale postulato è inoltre influenzato dall’opera restrittiva dell’interprete nell’intento di salvaguardare una certa idea di “purezza” astratta del rito separativo/divorzile, attraverso l’esclusione della facoltà di cumulo delle domande proponibili, con argomentazioni che in realtà hanno riguardo a problematiche strutturali od ordinamentali dell’attività giurisdizionale (appesantimento dei giudizi a conflittualità allargata come tipicamente ricorre nella materia, dilatazione dei tempi di definizione, ecc.). Una esemplificazione, occasionata proprio dalla legge di riforma che ha modificato l’art. 191 c.c., più volte richiamata, con il confronto tra l’indirizzo anteriore e l’attuale, ci consente di cogliere meglio gli esatti termini del problema come la plausibile soluzione. Come noto, nonostante i tentativi autorevoli della dottrina di retrodatarne l’efficacia in vario modo, al fine di far cessare la prosecuzione di un regime di comunione nonostante la sopravvenuta vita separata, anteriormente alla riforma di cui alla l. 6 maggio 2015 n. 55, risultava impossibile proporre la domanda di divisione del patrimonio comune per scioglimento della comunione legale tra i coniugi (regime patrimoniale oggi esteso d’ordinario all’unione civile), nonostante il venir meno evidente della sua ragione sostanziale, riferibile alla condivisione di vita nel quotidiano; ciò per la semplice ragione che lo scioglimento del regime patrimoniale stesso si produceva, tra altre cause, con il passaggio in giudicato della sentenza che pronunciava la separazione personale66, o con il decreto di omologazione della separazione consensuale divenuto inoppugnabile, o l’annotamento di stato civile della sentenza di divorzio passata in giudicato (art. 10 l. div.); cosicché, la domanda di divisione risultava in realtà improponibile nei giudizi in questione. Già con l’ammissione generalizzata delle sentenze non definitive di status, di cui sopra si è avvertito, la situazione era sensibilmente mutata; oggi, l’ordinanza presidenziale produce certamente lo scioglimento di quel regime comunitario, con ciò consentendo in concreto di poter tempestivamente formulare, nello stesso processo separativo o divorzile, anche quella domanda di divisione, ed agevolmente, con le memorie integrative ex art. 709, comma 3°, c.p.c. Se ben si riflette perciò, è questo l’esatto momento in cui prende il via il giudizio di merito secondo il rito dell’ordinaria cognizione anche per la domanda separativa o divorzile, ragione per cui esaurita la specialità del rito per effetto stesso della conclusione della fase sommaria con l’ordinanza presidenziale, è anche venuto meno il rilievo fondato sulla diversità del rito67 (che comunque sarebbe retto dalla prevalenza del rito ordinario su quello speciale); in una parola, le due domande – separativa/divorzile e divisoria –, seguono esattamente lo stesso rito per esse prefigurato dal legislatore. Posto che il legislatore al di là della connessione rafforzata sancita attraverso i richiami contenuti nel medesimo art. 40, codice di rito (agli artt. 31, 32, 34, 35 e 36), ha inteso ammettere in generale il cumulo delle domande, indubbio che il principio della competenza per connessione risulta rispettato nel momento in cui consente la trattazione simultanea, nel rispetto delle regole proprie di ciascuna causa, e nella specie tutte proprio secondo il rito dell’ordinaria cognizione. Al rito dell’ordinaria cognizione sono peraltro assoggettate le azioni restitutorie e di rilascio per detenzione senza titolo o comunque di rilascio in logica consequenzialità alla tutela dei diritti reali. Si dirà, ma in questo modo i fascicoli processuali si ingigantiscono ed i giudizi ritardano a definirsi; l’assunto però, obiettivamente empirico, affatto scontato (la fase istruttoria risulterebbe comunque unica su tutte le domande, mentre nell’azione divisoria è in genere prevalente il dato probatorio documentale) e privo di valore dirimente, non deve trarre in inganno od anche solo evocare suggestive astrazioni, atteso che il diffuso meccanismo della sentenza parziale di status e delle possibili ulteriori sentenze non definitive, consente di assolvere al dovere decisorio anche progressivamente rispetto ad ogni domanda. Semmai allora il paventato inconveniente è esposto all’interrogativo rovesciato: è possibile che naufragato definitivamente il rapporto familiare, i suoi artefici si contrappongano perennemente e con estenuante impiego di energie antagoniste avanti al giudice, su una molteplicità di fascicoli separati, contestualmente o progressivamente aperti per l’azione dell’uno o dell’altro? Il proliferare dei processi costituisce un male quantomeno di pari rilevanza, anche sul versante della struttura organizzativa del “servizio Giustizia” degno di un Paese civile, che non può rimanere “schiacciato” o comunque in perenne affanno, sotto la mole di un numero abnorme di procedimenti (non è infrequente che da una controversia familiare originino procedimenti “a pioggia” della più varia natura), come l’esperienza concreta purtroppo indica; tanto più che l’eventuale sopravvenienza di fatti e circostanze che legittimano la proposizione delle istanze modificative delle condizioni già fissate, vedrebbero la soluzione avanti all’istruttore, sino a che non ricorra il passaggio in giudicato della sentenza definitiva di separazione coniugale o divorzio, evitando proprio l’ulteriore proliferazione di nuovi procedimenti; questo difatti è il presupposto garantito in materia dalla clausola di salvaguardia secondo il criterio per cui il giudicato è tale a situazione data, espresso con il brocardo rebus sic stantibus.



4. Cenni sull’ulteriore provvedimento temporaneo e urgente di concessione dell’assegno post-unione civile



Scorrendo la seconda motivazione del presidente del tribunale si perviene alla questione del riconoscimento e determinazione dell’assegno post-unione civile, rispondente alla stessa disposizione normativa contenuta nell’art. 5, comma 6°, l. div., siccome espressamente recepito dall’art. 1, comma 25°, l. 20 maggio 2016 n. 76. Questo aspetto della statuizione in commento, per quanto assunto in via provvisoria, richiederebbe corposo approfondimento che a questo punto della presente sede certamente non appare opportuno.

Ciò non di meno, a corredo di quanto sopra ripercorso, è consigliabile porne in luce gli aspetti significativi, in modo da pervenire alla complessiva considerazione dell’approccio decisorio realizzato. La questione è stata oggetto di recente importante intervento della Corte di legittimità, nella sua più alta espressione nomofilattica68, dopo la svolta segnata dalla prima sezione civile69 – abbandono del quasi trentennale criterio eteronomico cd. del tenore di vita –, con recupero di un equilibrio ermeneutico ed il superamento dell’incertezza di principio diffusasi avanti alle Corti di merito territoriali70. Come noto, il riconoscimento e la determinazione della misura solidaristica in parola dipende unicamente dalla ricorrenza in concreto dei parametri enunciati dalla norma, tutti rilevanti ed equiordinati; presuppone un rilevante divario di condizioni economiche, non superabile autonomamente per ragioni obiettive; oltre agli apporti, risulta sensibile alle scelte riconducibili all’organizzazione della vita comune, ove si rivelino idonee a causare un pregiudizio rivolto al futuro rispetto allo scioglimento del vincolo, per l’uno con corrispondente vantaggio dell’altro, anche sul versante della formazione del patrimonio, meritevole di un certo ristoro in funzione “compensativa”; risponde sensibilmente al criterio di durata del rapporto; e tutti tali elementi da provare con onere a carico della parte richiedente71. Ora, nella specie il presidente del tribunale dopo aver rinvenuto lo squilibrio tra le condizioni economico-patrimoniali delle parti, non ne qualifica l’entità; riconosce invece espressamente che la stessa sperequazione risulta riconducibile alle scelte di vita assunte nel corso della “relazione” delle parti (dizione sintomatica, trattandosi di rapporto giuridico che vincola particolarmente la coppia dello stesso sesso), ma solo in misura marginale. Lo stesso provvedimento poi enuncia che tale “sacrificio” della parte svantaggiata sarebbe consistito nell’aver spostato la propria originaria dimora da Venezia a Pordenone e dall’aver abbandonato la propria occupazione lavorativa nella città di Mira per assumerne una leggermente meno redditizia sempre in Pordenone, al fine di poter agevolare il rapporto di coppia. Dal tenore del provvedimento emerge una durata del rapporto di unione civile di circa due anni, quindi una durata obiettivamente breve e cioè tale da poter difficilmente configurare (richiedendo comunque un gravoso onere probatorio) un pregiudizio de futuro in nesso causale con lo scioglimento del vincolo; afferma però il giudicante che la durata del rapporto può stabilirsi ricomprendendovi anche il periodo che aveva preceduto la dichiarazione di unione civile, nella specie consistita nella stabile “convivenza di fatto” instaurata dalle parti circa tre anni prima, nella stessa abitazione; così elevando l’effettiva durata del rapporto come corrispondente ad un quinquennio, cioè un periodo apprezzabile come soglia di significativa durata72. Tali postulati non appaiono condivisibili, pur non escludendosi la possibilità di giungere comunque ad una misura assistenziale meramente perequativa, che sarebbe stata meglio giustificata proprio dall’onere economico per il reperimento della nuova sistemazione abitativa della parte svantaggiata, non potendo proseguire il soddisfacimento di quel bisogno essenziale in quella stessa abitazione, oltre che sulla base di un obiettivo rilevante divario di condizione economico-patrimoniale, ma tenuto conto della reale durata del rapporto. Risulta originale l’enucleazione della fattispecie per cui una parte del rapporto di unione civile, semplicemente instaurando la convivenza nella casa dell’altra ad una apprezzabile distanza geografica dalla propria residenza, crei al tempo stesso i presupposti per vantare un “sacrificio” (l’adozione della soluzione in commento all’evidenza si è posta nella prospettiva del cd. criterio “compensativo”, secondo la sottolineatura espressa dalle Sezioni Unite nel luglio 2018), tale da poterne poi predicare ex post l’ingiusto pregiudizio alla propria realizzazione personale e professionale a favore dell’altra o dell’unione. Nell’odierno statuto della convivenza di fatto (pur introdotta la previsione del diritto agli alimenti per un arco temporalmente limitato, dall’art. 1, comma 65°, l. 20 maggio 2016 n. 76), ciò è di certo irrilevante, ma neppure nel quadro pretorio anteriore trovava un qualche conforto “riparatorio”; neppure nel coniugio instaurare la coabitazione a casa del coniuge piuttosto che altrove costituirebbe elemento così valorizzabile; difatti, a tenore dell’art. 144 c.c., sono soltanto i coniugi che concordano l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia; similarmente nell’unione civile, a tenore dell’art. 1, comma 12°, l. 20 maggio 2016 n. 76, “Le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune”. In sostanza, dichiarata l’unione civile (come avviene anche nel matrimonio dopo la celebrazione), il primo momento di ricerca dell’intesa, secondo il metodo del concorde autoregolamento, quale reciproco diritto/dovere ritenuto anche qui la miglior salvaguardia per l’armonico sviluppo della vita comune, improntata appunto alla pari dignità, è proprio la fissazione del luogo destinato alla comune residenza; ma nella specie, quella condivisione dell’abitazione, già esisteva da circa tre anni e risultava frutto di una libera determinazione di entrambi (con indefettibile autoresponsabilità per se stessi insita in ogni scelta di vita), in assenza di un qualche vincolo personale; ad ogni modo, essendo rimasta la condizione residenziale semplicemente quella che era da anni, non può assumere valore nell’eventuale ricerca di chi abbia ricoperto, durante il rapporto, un ruolo “sacrificato” a vantaggio dell’altro o dell’unione, tale da riverberare ingiusto pregiudizio73 meritevole di riconoscimento postumo, siccome in nesso causale diretto con il fallimento del rapporto.

E prima ancora, non va dimenticato che il quadro giuridico anteriore al lungo e travagliato dibattito che ha preceduto l’introduzione della l. 20 maggio 2016 n. 76, di fonte pretoria, non prefigurava forme di sicura ed equiparabile tutela per la convivenza cd. more uxorio tra persone dello stesso sesso, almeno nell’esperienza di una significativa casistica; la nozione di “famiglia di fatto” in buona sostanza aveva riguardo alla formazione sociale che ricalcava stabilmente la struttura essenziale della famiglia fondata sul matrimonio74; l’apertura decisiva alla rilevanza dei rapporti omoaffettivi emerge in sostanza per l’elaborazione adottata dalla Corte EDU, nel momento in cui giunse al riconoscimento che “la coppia formata da persone dello stesso sesso, convivente con una stabile relazione di fatto, rientra nella nozione di vita familiare”75, imponendosi nel contesto giuridico europeo, tanto da dare avvio al travagliato percorso della riforma poi adottata nel nostro Paese nel 2016; ed oggi, difatti, indifferente rispetto all’inclinazione sessuale delle “due persone”76 maggiorenni, può ricalcare anche il rapporto di coppia fondato sull’unione civile. Sono proprio tutte queste riflessioni che in realtà introducono gli interrogativi maggiormente interessanti, e cioè: la determinazione della durata del rapporto di unione civile ai fini del riconoscimento dell’assegno “divorzile” può tener conto dell’eventuale periodo temporale di stabile convivenza – e di quale tipica convivenza – anteriore al rapporto costituito con l’unione? E l’altro: è possibile applicare lo statuto giuridico dettato dalla l. 20 maggio 2016 n. 76, a ritroso nel tempo, riconoscendo in via postuma diritti ed obblighi che possono originarsi indefettibilmente solo in conseguenza della istituzione del rapporto di unione civile e dei quali le parti stesse sino ad un momento prima della pubblicazione della legge neppure potevano avere contezza? Quest’ultimo interrogativo è stato oggetto di recente analisi in altra sede77; la conclusione raggiunta, secondo profili di univoco significato, hanno portato comunque ad escludere che il riconoscimento di una posizione di diritto soggettivo sancita per la prima volta dalla legge (nella specie, la l. n. 76/2016, è entrata in vigore il 5 giugno 2016), nell’incessante evoluzione dell’ordinamento positivo, in difetto di una specifica disciplina transitoria che ne regoli l’applicazione, possa estendersi in via retroattiva. La fisiologica incapacità degli artefici del rapporto affettivo di coppia instaurato nei fatti, sulla base di un consenso liberamente revocabile ogni giorno, di prefigurarne l’evoluzione e le conseguenze che possono derivare dal suo fallimento, qui si sommano al fatto che il rapporto non era neppure astrattamente “istituito” da alcuna previsione normativa. Il primo interrogativo, invero di maggior peso per la sua estensibilità al coniugio, non è nuovo alla materia, corrispondendo alla rilevanza della convivenza pre-matrimoniale affacciatasi nei contenziosi inerenti il riparto del trattamento previdenziale di reversibilità, tra l’ex coniuge titolare di assegno divorzile ed il coniuge superstite, secondo il peculiare disposto di cui all’art. 9, commi 2° e 3°, l. div. La questione era in realtà variamente emersa, ad esempio, per effetto dell’iniquità rinvenibile nei rapporti instaurati da quanti convolavano in seconde o terze nozze, dopo lunga separazione personale ed in attesa del divorzio dal precedente coniuge, sotto la vigenza dei più ampi termini anteriormente necessari (in origine, ove la separazione personale risultava pronunziata con addebito, la domanda di divorzio poteva proporsi non prima del decorso di sette anni) e delle diffuse lungaggini processuali; cosicché le nuove nozze venivano celebrate dopo un significativo arco temporale di convivenza pre-matrimoniale caratterizzata dalla stessa comunione materiale e spirituale, questione oggi grandemente “attutita” dalla l. 6 maggio 2015 n. 55, cd. sul divorzio breve, e dal combinato operare del favor anche sul versante processuale, attraverso la possibilità di conseguire la sentenza parziale di status78; in verità, poi l’evoluzione dei costumi sociali ha evidenziato la diffusa ricorrenza, soprattutto nelle ultime generazioni, di un periodo di convivenza più o meno intenso e protratto nel tempo, peraltro con connotati davvero variegati, che precede la celebrazione del matrimonio. La significativa apertura segnata dal provvedimento in commento, pur nella sua provvisorietà anticipatoria, merita allora notevole attenzione. Il diritto di famiglia, viepiù quello che studia la fase patologica dei rapporti affettivi, con quella saliente vocazione all’interdisciplinarità, è perennemente sensibile o, se si vuole, esposto, alle virtuose evoluzioni ragionate secondo principi e valori, ma al contempo anche al pericolo di confusioni, distorsioni, forzature, sino alla revisione della legalità formale dettata nell’interesse generale dall’organo legislativo. Con questa consapevolezza, la riflessione allora non può prescindere dal richiamo dei punti fermi, condivisi sino a tutt’oggi. Seguendo questo metodo, la determinazione della durata del rapporto preso in considerazione dalla giurisprudenza ai fini dell’assegno divorzile, pacificamente coincide con la durata del matrimonio, che decorre dalla data di sua celebrazione sino alla data di scioglimento (o cessazione degli effetti). Trascurando qui i dettagli inerenti l’efficacia della pubblicità di tali atti nei registri dello Stato civile, sinora l’unico dubbio sollevato ha avuto riguardo alla pretesa non computabilità del periodo temporale trascorso dai coniugi in stato di separazione personale, ovviamente nell’ipotesi della domanda divorzile fondata su tale pregressa condizione; la questione è stata risolta negativamente79, sul presupposto che soltanto il divorzio estingue il coacervo dei diritti e dei doveri assunti con il matrimonio, aprendo lo scenario post-coniugale. D’altronde il dato testuale ex art. 5, comma 6°, l. div., è inequivoco: “e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”. Vi è invece che l’art. 9, commi 2° e 3°, l. div.80, nel regolare la ripartizione del trattamento previdenziale di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato ancora titolare del diritto all’assegno post-coniugale, seppur impone di tener conto della “durata del rapporto”, non esclude la valorizzazione di ulteriori elementi che possano meglio distinguere l’intero vissuto dei distinti rapporti coniugali, onde giungere alla miglior ponderazione delle posizioni di diritto così confliggenti. In questo senso l’evoluzione della giurisprudenza, dapprima ancorata rigidamente all’unico criterio della durata del matrimonio81, poi meglio valutando la questione alla luce dei principi di eguaglianza sostanziale e secondo solidarietà rapportata alla singola vicenda concreta82, superando la rilevanza del solo automatismo aritmetico, ammetteva anche tale ulteriore ed autonomo elemento tra quelli potenzialmente rilevanti rimessi al prudente apprezzamento del giudice del merito83.

Ora, una tale soluzione trasportata dall’eccezionale ipotesi del riparto della pensione di reversibilità tra coniuge superstite ed ex coniuge titolato, sul terreno chiaramente diverso delle valutazioni evocate per il riconoscimento e la determinazione dell’assegno post-coniugale o post-unione civile, sembra comportare obiettiva distorsione funzionale delle distinte norme di riferimento, tanto più che non ricorre certo una qualche analogia; la funzione del riconoscimento dell’assegno in parola presuppone l’esistenza in vita dell’obbligato84 e, come detto, secondo la recente soluzione disegnata dalle Sezioni Unite, il riferimento è vincolato ai soli criteri elencati nell’art. 5, comma 6°, l. div., con la perentoria esclusione di ogni etero integrazione della norma. Neppure può adombrarsi che la funzione assolta dal riparto del trattamento previdenziale di reversibilità sia predicabile secondo le stesse componenti funzionali sottese ai criteri del riconoscimento e determinazione dell’assegno divorzile (assistenziale-perequativo, compensativo e risarcitorio); ad escluderlo è sufficiente il rilievo secondo cui la fattispecie del riparto origina dall’evento della cessazione dell’esistenza in vita dell’ex coniuge onerato, al contempo vincolato da altro rapporto coniugale, mentre l’opera di perequazione tra questi due soggetti aventi entrambi legittimo diritto, non risponde affatto alla complessa valutazione richiesta dall’art. 5, comma 6°, l. div., per la semplice ragione che quanto all’ex coniuge quell’opera decisoria è già passata in cosa giudicata, mentre il coniuge superstite non è avvantaggiato o pregiudicato da un vincolo coniugale entrato in crisi, ma dall’evento mortale sopravvenuto che ha colpito il coniuge, con l’efficacia di cui all’art. 149 c.c. Ne deriva allora che l’assunto argomentativo del presidente del tribunale appare una forzatura priva di un conforto normativo plausibile, che solo il legislatore potrebbe aver cura di introdurre con una riforma dell’attuale quadro (disegnandone anche i contorni specifici onde delimitare l’eccessiva discrezionalità già emersa in tema di riparto del trattamento di reversibilità, secondo unanime rilievo); senza contare l’estremo impegno processuale di allegazione e prova, che nella prospettiva del provvedimento annotato deve sorreggere il tenore decisorio, quanto all’effettiva ricorrenza di una quotidianità pre-matrimoniale rispondente nel concreto e senza soluzione di continuità ai comportamenti reciprocamente tenuti secondo gli stessi diritti e doveri della comunione morale e materiale tra i coniugi o gli uniti civilmente (con statuto peraltro significativamente non coincidente). Nonostante un tale richiamo ricorra in tutti i precedenti menzionati e diffusamente in tutte le questioni circolari di cui la materia è straordinariamente ricca, nel tenore del provvedimento risulta assente anche un sommario cenno in merito, mentre il dato obiettivo segnala che l’unione civile era stata dichiarata diversi mesi dopo l’entrata in vigore della legge che per la prima volta lo ha ammesso. Emerge in materia, praticamente “sussurrato”, l’argomento secondo cui l’odierna fluidità dei modelli familiari potrebbe autorizzare a tener conto dell’ultimo degli statuti giuridici adottati dalla coppia in prosieguo di tempo, dando rilevanza alla “storia” interpersonale, ma retrodatandolo dal momento iniziale della condivisione di vita stabile; l’assunto, più o meno “letterario”, ovviamente si scontra con il basilare canone secondo cui il vincolo giuridico personale maggiormente garantito non è frutto di un percorso di progressiva “conquista” dello statuto giuridico più impegnativo, cosicché, una volta raggiunto le sue regole possano retrodatarsi sin dal primo rapporto, improntato ovviamente a libertà da ogni vincolo, in via principio; quindi, emerge anche qui importante alea esistenziale, se non “pericoli” esasperanti.



5. Conclusioni



Tirando le somme di queste complesse riflessioni intorno al caso in commento, autentica cartina di tornasole delle tutele giurisdizionali evocate nella sede di urgente regolamentazione delle crisi nelle relazioni di natura familiare, anche lo scioglimento volontario dell’unione civile non può prescindere dalla speciale effettività e prontezza della tutela anticipatoria, coerente sia con la posizione soggettiva instaurata, che con le dinamiche processuali disegnate in conformità ai cardini di cui agli artt. 24, 111 Cost. e 6 CEDU. Confluiscono in tale direzione, oltre al fondamentale principio di economia processuale, l’esigenza di una trattazione rapida e congiunta di tutte le questioni controverse che prendono causa dalla crisi del rapporto affettivo di natura familiare, secondo il suo contesto concreto, inerente anche la casa destinata alla coabitazione, una volta sopraggiunto un fatto di così capitale importanza quale la domanda separativa o divorzile, confermata innanzi al presidente del tribunale e sottoposta al complesso vaglio di tale prima sede di intervento giurisdizionale. L’attenzione richiesta non può trascurare difatti l’indistinguibile rilevanza dei diritti apparentemente di connotato economico-patrimoniale che riverberano in realtà la soddisfazione dei diritti personali fondamentali, con l’emersione di uno stretto legame tra “l’essere e l’avere” nella concretezza del quotidiano. Al pari dei processi di separazione personale e divorzio, anche il processo di scioglimento dell’unione civile, di cui all’art. 1, comma 24°, l. 20 maggio 2016 n. 76, nella sua speciale dinamica bifasica, deve allora soddisfare in via immediata e con celerità alle primarie esigenze di vita delle parti, garantendo in primo luogo che il rapporto possa in concreto e legittimamente interrompersi, dispensando le parti dall’osservanza dei doveri della vita in comune, con la dignità ad esso consona, ma con accurato riguardo unitario a tutti gli aspetti salienti del cum-vivere realizzatosi sino a quel momento e delle conseguenze che prospetta la sua crisi; l’effettività della tutela anticipatoria stessa non prescinde così dal regolamento della fruibilità di alcuni beni essenziali, quale la casa destinata ad abitazione del nucleo familiare, e riguardo ai nuovi costi – notoriamente crescenti per entrambi, venendo meno la reciproca contribuzione ai bisogni correnti – che eventualmente si profilano per l’alloggio abitativo dei partners, con l’occhio rivolto al futuro, quantomeno in tale peculiare fase temporale in attesa della sentenza; soltanto le norme positive, da quelle solidaristiche a quelle afferenti la titolarità patrimoniale (sia reale che personale) e le possibili deroghe prefigurate obiettivamente, possono però risolvere il confronto delle rispettive pretese; con il solo limite che l’uso conforme al titolo, non derogabile secondo espressa previsione positiva, risulti esso stesso controverso, cioè nel caso in cui sia conteso proprio il titolo di appartenenza. Tale irrinunciabile garanzia non è disgiunta dal rispetto del quadro degli istituti sostanziali e processuali di volta in volta coinvolti, che non tollera soluzioni interpretative secondo ispirazione largamente discrezionale, tanto da minare anche il più prudente approccio e comunque la razionale prevedibilità sostanziale e processuale delle decisioni sottoposte al vaglio contenzioso. La chiosa ultima è rivolta ancora in direzione dell’impegno e dell’accuratezza formale e sostanziale nella trattazione del momento processuale, in uno alla specializzazione per materia da parte di tutti gli artefici di tali dinamiche, unico percorso che può elevare l’obiettiva autorevolezza delle statuizioni giurisdizionali.

NOTE

1 Il testo integrale si rinviene anche in Dir. fam. pers., 2019, 1188. Le massime ricavabili risultano del seguente tenore: “Nel giudizio di scioglimento dell’unione civile, fondato sulla manifestazione di volontà della parte, a conclusione della fase presidenziale, nel dettare i provvedimenti anticipatori, il presidente del tribunale non può autorizzare le parti a vivere separate”; “Il riconoscimento provvisorio dell’assegno ‘divorzile’, fissato a conclusione della fase presidenziale del giudizio di scioglimento dell’unione civile, risponde agli stessi criteri dettati per lo scioglimento (o cessazione degli effetti civili) del matrimonio, come da ultimo applicati dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, 18 luglio 2018, n. 18287, e nel riferimento al criterio della durata del rapporto, può valorizzare il periodo dell’eventuale convivenza di fatto che ha preceduto la costituzione dell’unione, ove abbia assunto identici connotati”.

2 Sia consentito rinviare all’analisi condotta in G. Savi, Lo scioglimento “volontario” dell’unione civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 681; nonché, id., L’unione civile tra persone dello stesso sesso. Contributo al primo studio della legge 20 maggio 2016 n. 76, art. 1, commi 1-35, Roma-Perugia, 2016.

3 L’ipotesi di separazione personale dei coniugi ricorre anche nella diversa evenienza prefigurata dall’art. 126 c.c., definita “temporanea durante il giudizio”; cfr. C.M. BianCa, Diritto civile, 2.1, La famiglia, Milano, 2014, 182; G. Ferrando, Il matrimonio, in Trattato dir. civ. comm., CiCu-MeSSineo-MenGoni-SChleSinGer, Milano, 2015, 692; a. Tullio, La separazione temporanea, in Trattato dir fam. Bonilini, Torino, 2016, III, 2175. In giurisprudenza, di rilevante interesse, Cass., sez. I, 5 giugno 2001 n. 7594, in Fam. dir., 2001, 558; cfr. inoltre, Cass., sez. I, 10 maggio 1978 n. 2265, in Dir. fam. pers., 1978, 809. Per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. S. Maria Capua Vetere 19 luglio 1996, in Fam. dir., 1997, 362, con nota di M. MonTanari, Profili processuali della separazione temporanea dei coniugi ex art. 126 c.c.

4 Riforma entrata nella dizione corrente come “divorzio breve”; cfr. C. riMini, Il nuovo divorzio, in Trattato dir. civ. comm. CiCu-MeSSineo-MenGoni-SChleSinGer, La crisi della famiglia, II, Milano, 2015, 26.

5 “Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale di stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione”. Da sottolineare che l’applicazione della disposizione è stata estesa persino ai procedimenti di separazione che risultavano ancora pendenti alla data della sua entrata in vigore.

6 L’evidente ragione sostanziale del perché la condizione di vita separata è causa di scioglimento della comunione legale dei beni risiede nel fatto che viene meno ogni reciproco sostegno e collaborazione, quale condotta doverosa, strettamente connessa alla convivenza; cfr., per tutti, C.M. BianCa, Diritto civile, 2.1, La famiglia, cit., 209.

7 Assunto decisorio anch’esso singolare se solo si considera che il presidente, una volta resa l’ordinanza ex art. 4, comma 8°, l. div., si spoglia del procedimento (seppur è ammessa la nomina di se stesso a giudice istruttore, trattasi dell’assunzione di una diversa funzione), cosicché influire in tal modo sulla futura conduzione del giudizio non appare condivisibile. Peraltro, un risalente precedente della Corte di legittimità (Cass., sez. I, 11 febbraio 1969 n. 453, in banca dati Jus & Lex), ammoniva che trattasi di provvedimento che il presidente non può revocare con successivo provvedimento “presidenziale”.

8 Cass., sez. un., 28 ottobre 1995 n. 11297, in Fam. dir., 1995, 521, con nota di v. CarBone, La soluzione sofferta delle Sezioni Unite: l’assegnazione della casa familiare presuppone la prole; e in Nuova giur. civ. comm., 1996, I, 517, con nota di e. Quadri, Assegnazione della casa familiare e tutela del coniuge più debole; il principio si rinviene comunemente a tutt’oggi, come vedremo meglio infra.

9 L’accesso alla costituzione del rapporto di filiazione attraverso l’istituto dell’adozione (cui in principio le persone dello stesso sesso unite civilmente non possono accedere, per effetto della specifica esclusione contenuta nell’art. 1, comma 20°, l. 20 maggio 2016 n. 76), nell’unica declinazione emersa (del figlio dell’altro), ammessa dalla giurisprudenza, con efficacia quindi in capo ad entrambi i partners, ricorre unicamente secondo l’ipotesi “in casi particolari”; cfr. Cass., sez. I, 23 giugno 2016 n. 12962, in Foro it., 2016, I, 2342; peraltro, con incertezza ermeneutica non sopita; da ultimo, v., Cass., sez. I, 26 giugno 2019 n. 17100, in banca dati Pluris. Quanto ad altre fattispecie di cd. omogenitorialità, frutto di tecniche di fecondazione o gestazione di varia natura, sussistono severi ostacoli, in primo luogo sul versante dei diritti umani inalienabili, dell’ordine pubblico, come della tutela del reale interesse superiore e preminente dei minori (trascurando qui anche il solo cenno alle altre disagevoli problematiche bioetiche, sino a quelle propriamente genetiche); v., da ultimo, Cass., sez. un., 8 maggio 2019 n. 12193, in Fam. dir., 2019, 653, con nota di M. doGlioTTi, Le sezioni unite condannano i due padri e assolvono le due madri; ed altra nota di G. Ferrando, Maternità per sostituzione all’estero: le sezioni unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento.

10 La posizione del coniuge in ordine alla casa familiare, tutelabile con le azioni possessorie, è stata dalla giurisprudenza in qualche modo estesa al convivente more uxorio, siccome ritenuto un detentore qualificato in virtù dell’instaurato rapporto di natura familiare, quale formazione sociale la cui rilevanza sul piano della giuridicità è custodita nell’art. 2 della carta costituzionale, seppur tale famiglia di fatto, fondata sull’affectio quotidiana, non paragonabile al formale vincolo legale del coniugio (ed ora anche dell’unione civile); questione poi disciplinata dalla riforma del 2016, come segue nel testo; cfr., in tal senso, Cass., sez. I, 11 settembre 2015 n. 17971, in Foro it., 2016, I, 1129, con nota di C. Bona; Cass., sez. II, 2 gennaio 2014 n. 7, in Fam. dir., 2014, 664, con nota di a. riCCio, Azione di spoglio a favore del familiare convivente contro il terzo; Cass., sez. III, 21 marzo 2013 n. 7214, ivi, 2013, 649, con nota di C. GaBBanelli, Il convivente more uxorio non è paragonabile a un mero ospite e in caso di estromissione violenta dall’abitazione è legittimato a esercitare le azioni a tutela del possesso. Cfr. anche, Cass., sez. II, 14 giugno 2012 n. 9786, in banca dati De Jure; id., 9 giugno 2009 n. 13259, in banca dati Pluris; Cass., sez. I, 5 giugno 1991 n. 6348, ivi.

11 A titolo esemplificativo, allargando lo sguardo anche alla ricorrente questione dello scioglimento della comunione legale e della divisione, cfr. Cass., sez. I, 29 maggio 1996 n. 4987, in Foro it., 1998, I, 1597, con nota di M.G. Civinini, Sulla cumulabilità delle domande di separazione personale e di scioglimento della comunione legale; Id., 12 gennaio 2000 n. 266, in Fam. dir., 2000, 593, con nota di F. PorCari, Sono cumulabili ex art. 40 c.p.c. domanda di divorzio e domanda di divisione dei beni?; Id., 22 ottobre 2004 n. 20638, ivi, 2005, 259, con nota di a. FraSSineTTi, Ancora sul cumulo oggettivo tra giudizi di separazione e domande restitutorie; Id., 17 maggio 2005 n. 10356, in banche dati De Jure e Pluris; Id., 24 aprile 2007 n. 9915, ivi; Id., 26 febbraio 2010 n. 4757, in Fam. dir., 2010, 1092, con nota di A. Ferrari, Scioglimento della comunione legale a seguito di separazione personale ed azione di divisione; Id., 1° agosto 2013 n. 18440, in banche dati De Jure e Pluris; Cass., sez. VI-1, 24 dicembre 2014 n. 27386, in banca dati Pluris; Cass., sez. I, 26 maggio 2017 n. 13354, in banca dati De Jure.

12 n.a. CiMMino, in Le unioni civili e le convivenze, a cura di C.M. BianCa, Torino, 2017, 726.

13 In dottrina, tra altri, a. ProTo PiSani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014, 599, 754; id., Provvedimenti d’urgenza, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, 8; C. di iaSi, e. PiCaroni, Procedimenti di separazione e divorzio, in Trattato dir. fam. ZaTTi, Milano, 2011, I, 2, 1909; F. ToMMaSeo, Lo scioglimento del matrimonio. Art. 149 e l. 1° dicembre 1970 n. 898, in Commentario cod. civ., SChleSinGer-BuSnelli, Milano, 2010, 403-404; e. vullo, Sull’ammissibilità dei provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c. nel processo di separazione giudiziale dei coniugi, in Fam. dir., 2005, 644; G. CaSaBuri, Misure cautelari e giudizi di separazione e divorzio: alcune questioni controverse, ivi, 2003, 407; a. CarraTTa, Provvedimenti presidenziali “nell’interesse dei coniugi e della prole” ex art. 708 c.p.c. e tutela d’urgenza, in Fam. dir., 1999, 376; M.G. Civinini, Provvedimenti cautelari e rapporti patrimoniali tra coniugi in crisi, in Fam. dir., 1995, 381, l. SalvaneSChi, Provvedimenti presidenziali nell’interesse dei coniugi e della prole nel procedimento cautelare uniforme, in Riv. dir. proc., 1994, 1084-1085. Da ultimo, pur confermata la tradizionale natura dei provvedimenti temporanei ed urgenti, dalla norma prefigurati come destinati ad esaurire e soddisfare qualunque esigenza di tutela, che per ciò stesso non lascia residuare spazi per altre misure destinate alla stessa funzione, tanto più se atipiche rispetto ad un sistema tipico, con le ardue problematiche di razionale trattazione e compatibilità processuale, apre qualche spazio per le eventuali ragioni di urgenza ante causam (cioè nel tempo che va dal deposito del ricorso all’udienza presidenziale), F. danovi, Processo di separazione e divorzio e ragioni di urgenza (per una anticipazione delle misure anticipatorie?), in Fam. dir., 2019, 623. Per la giurisprudenza, si rinvia ai copiosi richiami, prevalentemente di merito, menzionati negli scritti citt., cfr. peraltro, per il suo peso sistematico, Cass., sez. un., 29 aprile 2013 n. 10064, in Giur. it., 2014, 74, con nota di l. BianChi, L’esecutività del provvedimento che modifica le condizioni di divorzio.

14 F. auleTTa, L’azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari, in Riv. dir. proc., 2001, 1049; M. Paladini, Abusi Familiari. b) Contenuto dell’ordine di protezione, in Enc. dir., VII degli annali, Milano, 2014, 14; G.M. riCCio, G.G. CodiGlione, Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari. Artt. 342-bis-342-ter, in Commentario cod. civ. SChleSinGer-BuSnelli, Milano, 2019, 133.

15 V. l’art. 808 del codice di rito del 1865, seppur nel diverso contesto sostanziale sotteso; di interesse anche l’art. 878 del codice di rito del Regno delle Due Sicilie: “Il presidente farà ai due coniugi le rimostranze che crederà proprie ad operare una conciliazione: e se non può riuscirvi, rilascerà in seguito della prima una seconda ordinanza portante che, non avendo potuto conciliare le parti, le rimette ad agire, senza preliminare citazione nell’uffizio di conciliazione, autorizzerà con la stessa ordinanza la moglie a stare in giudizio, ed a ritirarsi provvisoriamente in quella casa sulla quale le parti avran convenuto, o ch’egli indicherà di uffizio; ordinerà parimenti che vengano rilasciati alla moglie gli effetti di suo proprio uso giornaliero. Le dimande per provvisionali alimenti saranno portate all’udienza” (da G.J.l. Carrè, Le leggi della procedura civile, Napoli, 1846).

16 Cfr., tra altri, F. SCardulla, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, Milano, 2003, 291; v. inoltre, C. di iaSi, e. PiCaroni, Procedimenti di separazione e divorzio, cit., 1, II, 1894; C. Mandrioli, a. CarraTTa, Diritto processuale civile, Torino, III, 2012, 100.

17 F.CiPriani,Iprovvedimentipresidenzialinell’interessedeiconiugiedellaprole,Napoli, 1970, 252, 253, che invero si esprime in termini di provvedimento “doveroso”. 18 F.danovi,Principiodelladomandaeultrapetizioneneigiudizidiseparazione,

in Riv. dir. proc., 1998, 737-738.

19 L’anteriore quadro normativo può agevolmente ripercorrersi attraverso si-

gnificative posizioni espresse dalla Corte delle leggi e dalla giurisprudenza; cfr. Corte cost. 7 luglio 1988 n. 795, in Foro it., 1989, I, 928; mentre la giurisprudenza di legittimità risultava allineata nell’escludere la rilevanza dell’ordinanza presidenziale in ordine allo scioglimento del regime patrimoniale della comunione legale dei beni, richiedendo il passaggio in giudicato della sentenza di merito (a titolo esemplificativo cfr. Cass., sez. VI-1, 12 gennaio 2012 n. 324; Cass., sez. I, 6 ottobre 2005 n. 19447; Id., 27 febbraio 2001 n. 2844; Id., 5 ottobre 1999 n. 11036, tutte in banche dati De Jure e Pluris), le corti di merito già opinavano significativamente in senso contrario, individuando tale momento proprio nell’autorizzazione a vivere separatamente (cfr., ancora a titolo esemplificativo, App. Genova 10 novembre 1997, in Dir. fam. pers., 1999, 106, con nota di S. Bardi, Sullo scioglimento della comunione legale dei beni in caso di separazione personale dei coniugi; App. Roma 4 marzo 1991, in Giust. civ., 1991, I, 2444; Trib. Ravenna, 17 maggio 1990, ivi, 1991, I 210, con nota di M. FinoCChiaro, Autorizzazione a vivere separati e preteso scioglimento del regime di comunione legale dei beni; vedi anche, in senso difforme, Trib. Trani, 25 luglio 1995, in Fam. dir., 1995, 573, con nota di a. ChiZZini, Ordinanza ex art. 708 c.p.c. e comunione legale). Sul punto, ai nostri fini, utile il confronto con quanto rilevato in, F. ToMMaSeo, Lo scioglimento del matrimonio. Art. 149 e l. 1° dicembre 1970 n. 898, cit., 387, al richiamo di nota 189.

20 Corte cost., 22 ottobre 1999 n. 395, in Foro it., 2000, I, 350.

21 Per un inquadramento generale delle questioni, cfr. C. Mandrioli, a. CarraTTa, Diritto processuale civile, cit., III, 81; F. danovi, Il processo di separazione e divorzio, in Trattato dir. civ. comm. CiCu-MeSSineo-MenGoni-SChleSinGer, La crisi della famiglia, IV, Milano, 2015, 1; e da ultimo, C. CeCChella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, Bologna, 2018, 64, che predica la struttura bifasica dei procedimenti separativi e divorzili come modello della tutela differenziata, conformata alle posizioni soggettive sostanziali.

22 Per mero accidente, risultato delle moderne disorganicità legislative in occasione di riforme non armonizzate con la necessaria cura; nella specie, per effetto della riforma dettata nel 2005, solo l’art. 708 c.p.c. risulta modificato (in origine le due dizioni erano identiche “nell’interesse dei coniugi e della prole”); cfr., tra altri, F. CiPriani, Processi di separazione e di divorzio, in Foro it., 2005, V, 143.

23 Opportuno ricordare, per quanto possa risultare ovvio, come il giudicato sullo status, a differenza di quello sulle condizioni, è irreversibile e definitivo, non potendo esser sottoposto ad alcuna modificazione o revisione, costituendo perciò capo della decisione insensibile anche ai fatti e circostanze sopravvenute o, se si vuole, a qualsivoglia “giustificato motivo”. Neppure è passibile di riserva facoltativa di appello la cd. sentenza non definitiva (cfr., tra altre, Cass., sez. I, 7 gennaio 2008 n. 26, in Fam. dir., 2008, 398). L’unica “evoluzione” ammessa dall’ordinamento è, da un lato, quella della riconciliazione di cui all’art. 157 c.c. (cfr., tra le molteplici, Cass., sez. II, 23 gennaio 2018 n. 1630, in Fam. dir., 2019, con nota di e. iTalia, Sulla riconciliazione tacita come fatto estintivo della separazione giudiziale), e dall’altro, quella divorzile. Sul giudicato, caratterizzato dalla clausola generale espressa con il noto brocardo rebus sic stantibus, v., per tutti, r. CaPoni, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991, 43.

24 Modificazione del rapporto di coniugio o meglio, dei diritti e dei doveri che ne discendono. F. danovi, Il processo di separazione e divorzio, cit., 22, 551. Cfr. inoltre, a. ProTo PiSani, Lezioni di diritto processuale civile, cit., 48, 161, 754; id., Appunti sulla tutela c.d. costitutiva (e sulle tecniche di produzione degli effetti sostanziali), in Riv. dir. proc., 1991, 60, 95; F. ToMMaSeo, I processi a contenuto oggettivo, in Riv. dir. civ., 1988, I, 495.

25 Secondo il rito dell’ordinaria cognizione che contestualmente si apre con le disposizioni processuali contenute nella stessa statuizione presidenziale provvisoria, conclusiva della fase sommaria, C. Mandrioli, a. CarraTTa, Diritto processuale civile, cit., 109; C. di iaSi, e. PiCaroni, Procedimenti di separazione e divorzio, cit., 1903; C. CeCChella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, cit., 78.

26 F. SanToro PaSSarelli, Art. 143 e 144 c.c., in Commentario alla riforma del dir. famiglia, Padova, 1, I, 1977, 227, 238 e 240; P. ZaTTi, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato dir. priv. reSCiGno, Torino, II, 1999, 69; u. roMa, Convivenza e coabitazione, Padova, 2005, 21; E. GiaCoBBe, Il matrimonio. L’atto e il rapporto, in Trattato dir. civ. SaCCo, Le persone e la famiglia, 3, I, Torino, 2011, 709; F. ruSCello, I diritti e i doveri nascenti dal matrimonio, in Trattato dir. fam. ZaTTi, Milano, 2011, I, 1, 1050; M. ParadiSo, I rapporti personali tra i coniugi. Artt. 143-147, in Commentario cod. civ. SChlenSinGer, BuSnelli, Milano, 2012, 75; T. BonaMini, Il dovere di coabitazione, in Trattato dir. fam. Bonilini, Torino, 2016, II, 889.

27 G. Savi, L’unione civile tra persone dello stesso sesso, cit., 2016, 88; T. auleTTa, Coabitazione, in Le unioni civili e le convivenze, a cura di C.M. BianCa, Torino, 2017, 726; T. BonaMini, La residenza comune delle persone dello stesso sesso, in Trattato dir. fam. Bonilini, Torino, 2017, V, 225; a. arCeri, G. FaCCi, Il dovere di coabitazione nell’unione civile, in Codice dell’unione civile e delle convivenze SeSTa, Milano, 2017, 305.

28 Scartando s’intende ogni gravosa questione inerente al mancato raggiungimento dell’accordo di fissazione della residenza familiare o sulla validità dell’eventuale patto di non coabitazione, che può approfondirsi negli scritti menzionati nelle due note precedenti.

29 Secondo le opzioni ermeneutiche che possono profilarsi a fronte delle testuali dizioni “può” e “anche d’ufficio”, contenute nell’art. 708 c.p.c.; C. Mandrioli, a. CarraTTa, Diritto processuale civile, cit., 99; ed i riferimenti di cui infra, in nota 30.

30 F. SCardulla, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, cit., 291, reputa diversa l’ipotesi della continuazione della materiale permanenza nello stesso alloggio, per causa che possa distinguersi dalla volontà di continuare la convivenza, tanto più in presenza di particolari caratteristiche strutturali dell’abitazione familiare. Da distinguersi invece l’ipotesi dell’assegnazione in uso di porzione dell’intera casa familiare, che vuoi per porre rimedio all’impoverimento che di norma consegue alla disgregazione del nucleo familiare, vuoi per agevolare la reale condivisione dell’affidamento dei figli minori, sta emergendo maggiormente nella casistica ed in effetti dovrebbe meritare maggiore considerazione; cfr. Cass., sez. I, 12 novembre 2014 n. 24156, in Fam. dir., 2015, 1085, con nota di C. iPPoliTi MarTini, L’assegnazione parziale della casa familiare tra interesse dei figli, conflittualità dei genitori ed esigenze economiche della famiglia.

31 Tra altri si richiamano, C. Mandrioli, I provvedimenti presidenziali nel giudizio di separazione dei coniugi, Milano, 1953, 75; dello stesso A., v. anche, Per una nozione strutturale dei provvedimenti anticipatori o interinali, in Riv. dir. proc., 1964, 551; e, Separazione per ordinanza presidenziale, ivi, 1972, 229; v. andrioli, Commento al c.p.c., IV (sub art. 708), Napoli, 1964, 326; F. CiPriani, I provvedimenti presidenziali “nell’interesse dei coniugi e della prole”, cit., 184 ss.; dello stesso A., v. anche, Sull’autorizzazione a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione, in Giur. it., 1976, IV, 235; r. BarChi, Il procedimento di separazione personale dei coniugi, Padova 1987, 42 ss.; F. CiPriani, e. Quadri, La nuova legge sul divorzio, Napoli, 1988, 371; v. SalvaneSChi, Provvedimenti presidenziali nell’interesse dei coniugi e della prole e procedimento cautelare uniforme, cit., 1994, 1066; a. CarraTTa, Provvedimenti presidenziali nell’interesse dei coniugi e della prole ex art. 708 cod. proc. civ. e tutela d’urgenza, cit., 376; dello stesso A., v. anche, Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997, 210; S. SaTTa, C. PunZi, Diritto processuale civile, Padova, 2000, 1011; F. ToMMaSeo, Lo scioglimento del matrimonio. Art. 149 e l. 1° dicembre 1970 n. 898, cit., 385 ss.; e. vullo, Dei procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, in Commentario cod. proc. civ. Chiarloni, Bologna-Roma, 2011, 146; F.P. luiSo, I provvedimenti sommari nei processi di separazione e divorzio, in Giusto proc. civ., 2011, 21; a. ProTo PiSani, Lezioni di diritto processuale civile, cit., 754; F. danovi, Il processo di separazione e divorzio, cit., 285; id., Il procedimento di divorzio, in Trattato dir fam. Bonilini, Torino, 2016, III, 2614; C. CeCChella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, cit., 76. Allargando la prospettiva a questioni “limitrofe”, utile qualche ulteriore richiamo, tra i moltissimi da menzionare che il presente spazio non permette: r. donZelli, I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709-ter, Torino 2018, 24; a. ProTo PiSani, Ancora su separazione e divorzio, in Foro it., 2014, V, 221; C.M. Cea, Il controllo dei provvedimenti nell’interesse della prole e dei coniugi e la fine della “guerra dei vent’anni”, ivi, 2014, I, 2779, in nota a Cass., sez. I, 4 luglio 2014 n. 15416 e gli altri scritti richiamati nella nota redazionale; a. CarraTTa, I procedimenti cameral-sommari in recenti sentenze della Corte costituzionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, 1049; l. MonTeSano, “Dovuto processo” su diritti incisi da giudizi camerali e sommari, in Riv. dir. proc., 1989, 915; G. TarZia, Considerazioni comparative sulle misure provvisorie nel processo civile, ivi, 1985, 240.

32 Ovvero, sancito con il decreto che omologa il consenso espresso dalle parti ex artt. 158 c.c. e 711 c.p.c., o negli accordi di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte, formulati ai sensi dell’art. 6, d.l. 12 settembre 2014 n. 132, convertito con la l. 10 novembre 2014 n. 162, o nell’accordo dichiarato e recepito dall’ufficiale dello Stato civile, secondo le forme di cui all’art. 12, stessa normativa appena citata.

33 Cfr., da ultimo, F. danovi, Il processo di separazione e divorzio, cit., 27, 290.

34 Il regime dettato (o convenuto) tra coniugi in sede di separazione personale si estingue con il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio; cfr., per la giurisprudenza di legittimità, Cass., sez. I, 13 maggio 2011 n. 10648, in banca dati De Jure; Id., 1° agosto 1986 n. 4915, in Giust. civ., 1987, I, 2929; per quella di merito, App. l’Aquila, 4 ottobre 2018, in banca dati Pluris; Trib. Reggio Calabria, 3 novembre 2003, in Giur. merito, 2004, 220; App. Genova, 17 luglio 1996, in Dir. fam. pers., 1999, 88, con nota di M. SCaraBello, In tema di conseguenze patrimoniali della sentenza non definitiva di divorzio.

35 Per quanto oramai l’indirizzo consolidato viene prefigurato come un vero e proprio “diritto alla separazione”, espressione del volere maturato da uno dei coniugi, basato sulla incoercibilità della sfera esistenziale del singolo; cfr., tra le molteplici, Cass., sez. I, 21 gennaio 2014 n. 1164, in Foro it., 2014, I, 463, con nota redazionale di G. CaSaBuri; ed in Fam. dir., 2015, 38, con nota di F. ToMMaSeo, La separazione giudiziale basta volerla per ottenerla; oltre ai richiami essenziali di questo scritto ove il profilo emerge diffusamente, cfr. anche, a. ProTo PiSani, Il diritto alla separazione e al divorzio da diritto potestativo da esercitarsi necessariamente in giudizio a diritto potestativo sostanziale, in Foro it., 2008, V, 161. Non senza evidenziare il limite estremo di ogni umano agire connotato da temerarietà (da parte del coniuge che propone la domanda ovviamente), come indicato da C.M. BianCa, Diritto civile, 2.1, La famiglia, cit., 265.

36 Ed anche nell’ipotesi “futuribile” in cui l’istituto della separazione personale subisca una radicale riforma abrogatrice, come da più parti auspicato.

37 Per questi il discorso si riferisce ovviamente alle ipotesi in cui a tale status possono accedere in via diretta, altrimenti ricorrendo già tale tutela quantomeno nel giudicato separativo. Difatti, nel coniugio, l’ipotesi statisticamente preponderante di accesso al definitivo scioglimento del vincolo (o cessazione degli effetti civili), passa necessariamente dalla pronuncia “intermedia” (cfr. C.M. BianCa, Diritto civile, 2.1, La famiglia, cit., 190) che attesta lo stato di separazione personale, status modificato del vincolo matrimoniale e che deve perdurare per un certo tempo (oggi, mesi sei, ovvero dodici, a seconda della soluzione assentita o contenziosa della controversia); v., C. riMini, Il nuovo divorzio, cit., 53, 63. A questa pronuncia “intermedia” oggi si aggiunge, l’ipotesi equiparabile negli effetti, dell’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita da avvocati e quella concordemente dichiarata innanzi all’ufficiale di Stato civile, come cennato in nota 31. Cfr. anche, F.P. luiSo, La negoziazione assistita, in Nuove leggi civ. comm., 2015, 649; F. danovi, Nuovi modelli di separazione e divorzio (artt. 6 e 12 l. 10 novembre 2014 n. 162), in Trattato dir. fam. Bonilini, Milano, 2016, III, 1985; e M. Sala, Gli strumenti alternativi di composizione delle controversie familiari, ivi, 2013. D’uopo rimarcare come nell’unione civile, secondo la previsione di cui al più volte menzionato comma 24° (cd. scioglimento “volontario”), la dichiarazione di volontà della parte formalizzata innanzi all’ufficiale di Stato civile, seguita da un intervallo temporale minimo di tre mesi per poter proporre la domanda divorzile, costituisce una sorta di “surrogato” di tale pronuncia intermedia e condizione di procedibilità della domanda stessa; cfr. G. Savi, Lo scioglimento “volontario” dell’unione civile, cit., 687; il tentativo di ulteriore speditezza “spicciativa” di recente emerso nella giurisprudenza di merito, non appare condivisibile, non risultando neppure conforme al senso sostanziale del dato normativo; cfr. Trib. Novara 5 luglio 2018, in Fam. dir., 2019, 514, con nota di r. CalviGioni, Lo scioglimento dell’unione civile non preceduto dalla manifestazione di volontà di fronte all’ufficiale di stato civile; ed in Nuova giur. civ. comm., 2019, 500, con nota di a. naSCoSi, La fase amministrativa nello scioglimento delle unioni civili costituisce una condizione di procedibilità?

38 G. Savi, Lo scioglimento “volontario” dell’unione civile, cit., 696 ss.; in senso contrario, v., F. ToMMaSeo, La legge sulle unioni civili: profili processuali, in Le unioni civili e le convivenze, a cura di C.M. BianCa, Torino, 2017, 405, al richiamo di nota 19; giova evidenziare come tale questione esiga piena consapevolezza dell’estrema variabilità delle fattispecie concrete da dipanare, nella complessità di tali rapporti; quanti hanno escluso in radice l’ipotesi di ammissione degli uniti civilmente alla separazione personale sembrano come fermi all’unica dicotomia tra la volontà dei partners di continuare e quella di sciogliere il vincolo; questa sorta di “costrizione” alla scelta di queste soluzioni, diciamo estreme, non si reputa trovi obiettiva conferma nel complessivo apparato normativo disegnato dai primi 35 commi, dell’art. 1, l. n. 76/2016, e nelle ulteriori disposizioni emanate dal legislatore delegato.

39 Secondo Cass., sez. I, 14 ottobre 2010 n. 21245, in banca dati Pluris, il potere del presidente si estende parimenti. Cfr. F. danovi, Il procedimento di divorzio, in Trattato dir. fam. Bonilini, Torino, 2016, III, 2614; F. ToMMaSeo, Lo scioglimento del matrimonio, Art. 149 e l. 1° dicembre 1970 n. 898, in Commentario al cod. civ. SChleSinGer-BuSnelli, Milano, 2010, 386.

40 G. Savi, L’atto processuale dell’ascolto ed i diritti del figlio minore, in Dir. fam. pers., 2013, 1340, e gli estesi richiami ivi rinvenibili; nonché, id., Partecipazione del difensore all’ascolto del minore delegato ad un consulente tecnico d’ufficio, in Avv. fam., 2016, 1, 39; id., Nonni e nipoti minorenni: dalla supplenza intrafamiliare al diritto a mantenere rapporti significativi, in Dir. fam. pers., 2015, 574.

41 F. ToMMaSeo, Lo scioglimento del matrimonio, Art. 149 e l. 1° dicembre 1970 n. 898, cit., 387.

42 Cfr. opp. citt. in note 25 e 26; v. però, a. CheCChini, Allontanamento per giusta causa o ripudio? (per una nuova interpretazione dell’art. 146 c.c.), in Riv. dir. civ., 1981, I, 264.

43 Cfr. citazioni in nota 2.

44 Secondo comune rilievo ermeneutico afferente l’art. 146, comma 2°, c.c.; per tutti, C.M. BianCa, Diritto civile, 2.1, La famiglia, cit., 265.

45 Ricorrente è anche la disposizione presidenziale secondo cui al “non affidatario esclusivo”, o “non collocatario”, od al “non convivente”, è ordinato il rilascio in un breve termine, con autorizzazione al prelievo dei propri beni ed effetti personali; con la nota efficacia esecutiva; persino implicita, secondo Cass., sez. III, 31 gennaio 2012 n. 1367, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 673, con nota di G. SaliTo, Assegnazione e revoca della casa familiare: una fattispecie “allo specchio”; ed in Fam. dir., 2012, 880, con nota di a. TrinChi, È titolo esecutivo il provvedimento che revoca l’assegnazione della casa familiare?

46 Cfr. richiami in nota 13, nonché: G. SerGio, La giustizia minorile. Dalla tutela del minore alla tutela civile dei diritti relazionali, in Trattato dir. fam. ZaTTi, Milano, 2012, VI, 93; M. doGlioTTi, La responsabilità genitoriale e l’affidamento dei figli, Trattato dir. civ. comm. CiCu-MeSSineo-MenGoni-SChleSinGer, La crisi della famiglia, III,Milano,2016,147;F.ruSCello,Responsabilitàdeigenitori.Icontrolli.Artt.330335, in Commentario cod. civ. SChlenSinGer, BuSnelli, Milano, 2016, 122.

47 I responsi giurisprudenziali segnalano comunque qualche significativa apertura di principio quanto alla proponibilità delle domande di ordine economico-patrimoniale in generale, peculiarmente occasionate proprio dalla controversia avente ad oggetto l’interruzione o lo scioglimento del rapporto coniugale: cfr., a titolo esemplificativo, Cass., sez. I, 24 aprile 2007 n. 9915, cit. in nota 10, ai quali più ampi richiami si rinvia; in realtà le tracce risultano assai risalenti, come emerge nell’arresto menzionato in nota 6, ove è stata cumulata persino una domanda restitutoria in quanto risultata decisiva per il riconoscimento della misura assistenziale di contributo al mantenimento.

48 Così, testualmente, v. andrioli, Commento al c.p.c., cit., 328.

49 C. Mandrioli, I provvedimenti presidenziali nel giudizio di separazione dei coniugi, cit., 83.

50 M. SeSTa, Manuale di diritto di famiglia, Padova, 2015, 303; l’ipotesi ermeneutica non è esclusa da C.M. BianCa, Diritto civile, II, 1, La famiglia, cit., 221. In giurisprudenza cfr. Cass., sez. I, 28 gennaio 1998 n. 822, in Fam. dir., 1998, 125, con nota di G. de MarZo, Assegnazione della casa coniugale: la storia infinita; Id., 11 aprile 2000 n. 4558, in Giur. it., 2000, 2235; Id., 8 febbraio 2012 n. 1783, in Fam. dir., 2012, 558, con nota di e. PaTania, L’assegnazione della casa coniugale, in assenza di prole, si configura come misura integrativa o sostitutiva dell’assegno di mantenimento per il coniuge più debole.

51 Anzi, opportuno evidenziare come l’espressione ermeneutica in questione sembra rispondere, in via di principio, ad una prospettazione comunque “recessiva” della posizione patrimoniale, a vantaggio della posizione esistenziale contrapposta.

52 Cfr. a. PalaZZo, La filiazione, in Trattato dir. civ. comm. CiCu-MeSSineo-MenGoni-SChleSinGer, Milano, 2013, 726; e. al Mureden, La separazione personale dei coniugi, ivi, La crisi della famiglia, I, Milano, 2015, 318; M. doGlioTTi, La responsabilità genitoriale e l’affidamento dei figli, cit., 381; e l’approfondimento già condotto nel nostro, Assegnazione della casa familiare e tutela del terzo acquirente, cit., in particolare ai richiami di note da 13 a 19.

53 La composizione degli anteriori contrasti venne dettata da Cass., sez. un., 28 ottobre 1995 n. 11297, cit. in nota 7, e l’indirizzo risulta tutt’oggi solido, con un numero imponente di arresti conformi. Il principio affermato si fonda sulla detta eccezionalità della misura che impone un tale sacrificio al titolare del diritto dominicale sulla casa d’abitazione familiare, siccome questa posizione soggettiva derogabile unicamente nell’interesse dei figli in età minore o comunque non ancora economicamente autosufficienti; cfr. Cass., sez. I, 11 maggio 1998 n. 4727, in banca dati Pluris; Id., 23 maggio 2000 n. 6706, ivi; Id., 18 settembre 2001 n. 11696, ivi; Id., 22 aprile 2002 n. 5857, in Giust. civ., 2002, I, 1805, con nota di G. FreZZa, Casa familiare e figli maggiorenni, tra convivenza e mantenimento; Id., 18 settembre 2003 n. 13736, in Dir. fam. pers., 2005, 33, con nota di d. Pirilli, L’assegnazione della casa familiare: sussidio o strumento di tutela del coniuge “debole” e dei figli?; Id., 6 luglio 2004 n. 12309, in banca dati Pluris; Id., 17 dicembre 2004 n. 23570, ivi; Id., 14 maggio 2007 n. 10994, in Giur. it., 2008, 56, con nota redazionale di o. MaroTTa; Id., 2 ottobre 2007 n. 20688, in Guida dir., 2007, 45, 72, con nota di C. ManTelli, La casa ricopre un ruolo centrale per formare la personalità dei figli; Id., 23 novembre 2007 n. 24407, in banca dati Pluris; Id., 30 novembre 2007 n. 25010, in Il civilista, 2010, 12, 26, con nota di M.C. CaMPaGnoli, L’assegnazione della casa familiare quale strumento a tutela della prole di entrambi i coniugi; Id., 5 settembre 2008 n. 22394, ivi, 2009, 3, 6, con nota di G. BuFFone, Assegnazione della “casa coniugale” solo nell’interesse dei figli o anche del coniuge debole?; Id., 22 novembre 2010 n. 23591, in Corriere giur., 2011, 1100, con nota di F. GalluZZo, L’assegnazione della casa familiare: un difficile bilanciamento di interessi; Id., 21 gennaio 2011 n. 1491, in banca dati Pluris; Id., 13 gennaio 2012 n. 387, in Fam. dir., 2012, 772, con nota di a. arCeri, Gli accordi sul godimento della casa familiare al vaglio della Cassazione; Id. 18 settembre 2013 n. 18440, cit.; Id., 18 settembre 2013 n. 21334, in banche dati Pluris e De Jure; Id., 3 giugno 2014 n. 12346, ivi; Id., 15 luglio 2014 n. 16171, ivi; Id., 22 luglio 2015 n. 15367, in Diritto e processo, 2015, 441, con nota di G. Savi, Assegnazione della casa familiare e tutela del terzo acquirente; ed in Dir. fam. pers., 2016, 444, con nota id., Sulla tutela del terzo acquirente la casa d’abitazione assegnata in uso; Id., 26 maggio 2017 n. 13354, in banca dati De Jure; Id., 14 gennaio 2018 n. 772, in Dir. fam. pers., 2018, 846; Id. 12 ottobre 2018 n. 25604, in daca dati De Jure. Discrimine condiviso dalla Corte delle leggi: v., tra altre, Corte cost., 30 luglio 2008 n. 308, in Foro it., I, 3031.

54 Cfr. G. CanTiero, L’assegnazione della casa coniugale, Milano, 2007, 151.

55 Oltre ai richiami di cui alle note 51 e 52, cfr. in particolare, Cass., sez. VI1, 3 giugno 2014 n. 12346; Cass., sez. I, 17 gennaio 2007 n. 6979; Id., 6 luglio 2004 n. 12309; Id., 17 gennaio 2003 n. 661; Id., 17 settembre 2001 n. 11630, tutte in banche dati De Jure e Pluris.

56 Per una bibliografia essenziale, tra i numerosi contributi, oltre le opere già richiamate, cfr. M. di nardo, La “casa familiare” nella crisi del matrimonio, in Nuova giur. civ. comm., 1986, II, 348; e. Quadri, L’attribuzione della casa familiare in sede di separazione e divorzio, in Fam. dir., 1995, 269; id., Vicende dell’assegnazione della casa familiare e interesse dei figli, in Corriere giur., 2008, 1661; M. FinoCChiaro, Casa familiare (attribuzione della), in Enc. dir., I, agg., Milano, 1997, 271; l.a. SCarano, La casa familiare, in Familia, 2001, 131; id., L’assegnazione della casa coniugale, in La riforma della filiazione, a cura di C.M. BianCa, Lavis, 2015, 809; G. FreZZa, I luoghi della famiglia, Torino, 2004; id., Casa familiare, in Trattato dir. fam. P. ZaTTi, Milano, 2011, I, 2, 1753; M.G. CuBeddu, La casa familiare, Milano, 2005, 1; M. Paladini, L’abitazione della casa familiare nell’affidamento condiviso, in Fam. dir., 2006, 329; d. CoSTanTino, La casa della famiglia. Funzione, situazioni, persone, Bari, 2007, 17; M. ManTovani, Casa familiare (assegnazione della), in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 2008, 1; C. irTi, La revoca dell’assegnazione della casa familiare: dalle critiche della dottrina al giudizio della Consulta, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 411; G.F. BaSini, L’assegnazione della casa familiare, in Trattato dir. fam. Bonilini, Torino, 2016, III, 3161; a. arCeri, Art. 337-sexies, in Codice dell’unione civile e delle convivenze SeSTa, Milano, 2017, 1829.

57 Principio diffusamente emergente: cfr. a titolo esemplificativo, la recente, Cass., sez. VI-3, 9 settembre 2017 n. 20856, in Fam. dir., 2018, 241, con nota di T. Perillo, L’occupazione sine titulo dell’ex casa coniugale e profili di danno 58 Cfr. G. Savi, Assegnazione della casa familiare e tutela del terzo acquirente, cit., 442.

59 Con la rubrica, “Diritto di proprietà”. Testualmente: “Ogni individuo ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale”.

60 La memoria corre peraltro alla singolare fattispecie analizzata da Cass., sez. I, 9 settembre 2002 n. 13065, in Fam. dir., 2002, 587, con nota di a. liuZZi, Assegnazione della casa coniugale e indennità sostitutiva del mancato godimento, ed in Dir. fam. pers., 2003, 36, con nota di M.F. ToMMaSini, Il problema dell’assegnazione della casa familiare “non disponibile” e della natura giuridica del contributo compensativo.

61 Cfr. quanto già evidenziato (richiami di nota 34); ad ogni modo, tra molteplici, si segnalano, Cass., sez. II, 23 gennaio 2018 n. 1630, cit.; Cass., sez. I, 22 giugno 2012 n. 10484, in banca dati Pluris; Id., 8 aprile 2011 n. 8050, in Fam. dir., 2012, 373, con nota di a. CarraTTa, Rimessione in decisione e sentenza non definitiva di divorzio: i limiti della specialità del rito; Id., 22 aprile 2010 n. 9614, in banca dati Pluris; Id., 9 ottobre 2007 n. 21099, in Fam. dir., 2008, 30; Id., 14 febbraio 2007 n. 3356, ivi, 2008, 28; Id., 29 novembre 1999 n. 13312, in Foro it., 2000, I, 445, particolarmente significative nel riconoscimento del favor libertatis, rispetto al risalente favor nuptiarum. Utile evidenziare come la Corte di legittimità si sia spinta alla discutibile affermazione secondo cui la sentenza parziale di status potrebbe essere emanata addirittura ex officio: Cass., sez. I, 31 agosto 2017 n. 20666, in banche dati De Jure e Pluris. D’uopo aggiungere come il nostro sistema ha visto progressivamente accelerato il tempo di recupero dello “stato libero” della persona coniugata, già con la novella alla l. div. del 1987, con la riduzione da cinque a tre anni del periodo minimo di ininterrotta separazione che legittima la proposizione della domanda divorzile; poi, riconoscendo attraverso la riforma processuale del 2005 (che ha introdotto l’art. 709-bis c.p.c.), il diritto della parte ad ottenere nell’immediatezza – pur nel corso della fase di merito retta dal rito dell’ordinaria cognizione –, la pronunzia di sentenza non definitiva di status, in origine sancito nell’art. 4, comma 12°, l. div. (avverso la quale sentenza – in realtà definitiva sul punto – come visto, v. richiami di nota 22, è ammesso soltanto l’appello immediato, derogando al canone generale di cui all’art. 340 c.p.c.); e da ultimo introducendo il cd. divorzio breve, con la l. 6 maggio 2015 n. 55, riducendo drasticamente i termini minimi del periodo di separazione personale propedeutico alla domanda divorzile, a mesi dodici decorrenti dall’udienza di comparizione personale dei coniugi innanzi al presidente del tribunale, od addirittura a mesi sei nelle ipotesi di separazione personale assentita. Se a ciò si aggiunge un certo diffuso auspicio teso ad una riforma in sostanza abrogatrice, si comprende anche la considerazione “recessiva” dell’istituto della separazione personale.

62 Oltre ai contributi della dottrina già menzionati, inerenti l’abitazione familiare, tra altri autorevoli interventi, anche risalenti o secondo prospettiva tradizionale, cfr. a. GaMBaro, La proprietà, in Trattato dir. priv. iudiCa, ZaTTi, Milano, 2017, 31, 196, 487; P. reSCiGno, Proprietà (dir. privato), in Enc. dir., Milano, XXXVII, 1988, 281; id., Disciplina dei beni e situazioni della persona, in Quaderni Fiorentini, 5-6 (1976-77), Itinerari moderni della proprietà, Milano, 1978, II, 871; A. de CuPiS, I diritti della personalità, in Trattato dir. civ. comm. CiCu-MeSSineo-MenGoni, Milano, 1982, 64; u. BreCCia, Il diritto all’abitazione, Milano, 1980, 1; P. PerlinGieri, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Camerino-Napoli, 1972, 150; id., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, 434 ss. Tra le elaborazioni della giurisprudenza di legittimità particolarmente significativa risulta Cass., sez. un., 1° dicembre 2017 n. 2611, in Foro it., 2017, I, 3040; senza dimenticare l’affermazione di principio espressa dalla Corte EDU, grande camera, 29 marzo 2006, ric. n. 36813/97 (Scordino n. 1 c. Italia), ribadito e precisato in sede attuativa in altri casi similari, addirittura nello stesso caso (Scordino n. 3 c. Italia), tutti rinvenibili nel sito istituzionale della Corte.

63 V., tra molti, a. PaCe, Il convivente more uxorio, il “separato in casa” ed il c.d. diritto “fondamentale” all’abitazione, in Giur. cost., 1988, 1802; a. de viTa, Per un diritto alla casa: dalle ispirazioni alla possibilità giuridica, in Nuove dimensioni dei diritti di libertà, Scritti in onore di P. Barile, Padova, 1990, 573; C. Salvi, Il contenuto del diritto di proprietà, Artt. 832-833, in Commentario cod. civ., SChleSinGer-BuSnelli, Milano, 2019, 63.

64 Che non può legittimamente estromettere il detentore qualificato coniuge o unito civile: cfr. citazioni in nota 9.

65 Quali, a titolo esemplificativo, le controversie afferenti la ripetizione delle cd. spese straordinarie per il mantenimento della prole; cfr. Cass., sez. I, 19 marzo 2014 n. 6297, in banca dati Pluris; v. anche, Cass., sez. VI-1 12 dicembre 2018 n. 32070, ivi. Sul potenziale sovrapporsi delle competenze nei procedimenti ex art. 736-bis c.p.c., che ha trovato soluzione nel criterio guida della concentrazione ed effettività delle tutele, v., Cass., sez. I, 23 giugno 2017 n. 15482, in Fam. dir., 2017, 1069, con nota di F. danovi, Ordini di protezione e competenza del giudice del conflitto familiare. In merito alla domanda di riparto dell’indennità di fine rapporto, v., Cass., sez. I, 10 aprile 2012 n. 5654, in Fam. dir., 2012, 1114 con nota di R. nunin, Godimento dell’assegno divorzile e diritto a una quota dell’indennità di fine rapporto; Id., 6 giugno 2011 n. 12175, ivi, 2011, 821. Si rimanda ad ogni modo a quanto evidenziato in nota 10; mentre quanto al riparto della pensione di reversibilità, cfr. quanto infra nel testo e nei richiami (n. 4 del sommario).

66 Seppur non mancavano coraggiose posizioni, come già evidenziato nei richiami di nota 18; cfr. anche quanto in nota 5.

67 Questo rilievo viene registrato correntemente dalla dottrina, seppur di incerta origine e controvertibile; cfr., per tutti, C. Mandrioli, a. CarraTTa, Diritto processuale civile, cit., 93 (al richiamo di nota 28).

68 Cass., sez. un., 11 luglio 2018 n. 18287, in Dir. fam. pers., 2018, 869; in Foro it., 2018, 2671; in Giur. it., 2018, 1843; in Fam. dir., 2018, 1058; in Nuova giur. civ. comm., 2018, 1607; ed in Corriere giur., 2018, 1186.

69 Cass., sez. I, 11 maggio 2017 n. 11504, in Dir. fam. pers., 2017, 764; in Foro it., 2017, 1859; in Giur. it., 2017, 1299; in Fam. dir., 2017, 636; in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1010; ed in Corriere giur., 2017, 903.

70 Cfr. G. Savi, Il riconoscimento dell’assegno divorzile: dal parametro del “tenore di vita” dei con-sorti alla verifica dell’autosufficienza personale del richiedente?, in Riv. dir. priv., 2017, 599, a commento della svolta impressa da Cass., sez. I, 11 maggio 2017 n. 11504; id., Il diritto all’assegno divorzile avanti alle corti di merito, ovverosia, l’ennesima “torre di babele” nella cittadella della famiglia, in Dir. fam. pers., 2018, 83, in nota ad App. Genova, sez. III, 12 ottobre 2017 n. 106; id., Riconoscimento e determinazione dell’assegno post-matrimoniale: il ritrovato equilibrio ermeneutico, ivi, 2018, 869, in nota a Cass., sez. un., 11 luglio 2018 n. 18287; nonché in Riv. dir. priv., 2019, 425.

71 Cfr. in particolare l’ultimo scritto cit. in nota precedente.

72 La misura del lustro e dei suoi multipli corrisponde peraltro al tentativo di razionalizzazione delle questioni concrete, proposto nel primo scritto cit. in nota 69 che precede, p. 609, al richiamo di nota 20.

73 Peraltro v’è da chiedersi in che senso ed in che termini; difatti, l’utilizzo gratuito del bene dell’altro e il risparmio sulle spese di pendolarità tra il luogo di anteriore residenza ed il luogo di anteriore svolgimento del lavoro, assumono un peso non trascurabile per una tale valutazione.

74 Opportuno comunque riportare l’opinione tesa a rinvenire una sostanziale equiparazione già per mano della stessa giurisprudenza pretoria, espressa da G. Ferrando, Le unioni civili: la situazione in Italia, in Unioni civili e convivenze di fatto: la legge, a cura di P. reSCiGno, v. CuFFaro, in Giur. it., 2016, 1775, al richiamo di nota 35, secondo quanto già rilevato da l. BaleSTra, La famiglia di fatto, Padova, 2004, 36. In tal senso anche recenti disposizioni positive, quale quella in tema di ordini di protezione, che però si riferisce in senso atecnico al “convivente”, avendo riguardo ad ogni forma di convivenza; ovvero, quella in tema di nomina del sostegno, anche qui però con riferimento generico al “convivente stabile”.

75 Cfr.: Corte EDU, sez. IV, 21 luglio 2015 (ricorsi n. 18766/11 e 36030/11), in Fam. dir., 2015, 1069, con nota di P. Bruno, Oliari contro Italia: la dottrina degli “obblighi positivi impliciti” al banco di prova delle unioni tra persone dello stesso sesso (responso che concludeva in diverso senso ma in linea sostanziale rispetto a quello anteriore di Corte EDU, sez. I, 24 giugno 2010, ricorso n. 30141/04, caso Schalck e Kopf c. Austria). Invero la Corte delle leggi, aveva aperto importanti spiragli, occupandosi del tema peculiare del mutamento di sesso del coniuge; v., Corte cost. 11 giugno 2014 n. 170, in Foro it., 2014, I, 2674; in Fam dir., 2014, 861, con nota di v. BarBa, Artificialità del matrimonio e vincoli costituzionali: il caso del matrimonio omosessuale; ed in Nuova giur. civ. comm., 2014, 1139, con nota di a. lorenZeTTi e a. SChuSTer, Corte costituzionale e Corte europea dei diritti umani: l’astratto paradigma eterosessuale del matrimonio può prevalere sulla tutela del matrimonio della persona trans; similarmente, la Corte di Cassazione legittimava quantomeno la proposizione di domande di tutela giurisdizionale, già con l’arresto di Cass., sez. I, 15 marzo 2012 n. 4184, in Foro it., 2012, I, 2727, con nota di r. roMBoli, Il matrimonio fra persone dello stesso sesso: gli effetti nel nostro ordinamento dei “dicta” della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione della Corte di cassazione; giungendo poi alla decisiva affermazione di Cass., sez. I, 9 febbraio 2015 n. 2400, in Corriere giur., 2015, 909, con nota di G. Ferrando, Matrimonio same-sex: Corte di Cassazione e giudici di merito a confronto; ed in Nuova giur. civ. comm., 2015, 649, con nota di T. auleTTa, Ammissibilità nell’ordinamento vigente del matrimonio fra persone del medesimo sesso.

76 Secondo l’infelice dizione legislativa di cui all’art. 1, comma 2°, l. 20 maggio 2016 n. 76.

77 Cfr. G. Savi, Convivenza di fatto tra persone dello stesso sesso e diritto del partner superstite al trattamento previdenziale di reversibilità, in Dir. fam. pers., 2019, 160; id., Trattamento previdenziale di riversibilità: qualche spiraglio per i conviventi di fatto?, in Giur. it., 2019, 793, cui si rinvia anche per gli ulteriori richiami, siccome rilevanti ai fini che qui similarmente ci occupano.

78 Si consideri che l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità mostra sul punto particolare severità, al fine dichiarato di disincentivare impugnazioni tese a ritardare la conclusione del giudizio di status, pur in presenza di violazioni dell’incedere processuale particolarmente significative, quali la mancata concessione dei termini ex artt. 183 e 190 c.p.c., di norma comportante nullità della sentenza; cfr. a titolo esemplificativo, Cass., sez. VI-1, 26 luglio 2019 n. 20323, in banca dati Pluris; Cass., sez. I, 28 aprile 2006 n. 9882, ivi; indirizzo peraltro discutibile nel momento in cui recide senza mezzi termini la possibilità di accedere al grado di giudizio successivo in assenza della prova dell’effettivo pregiudizio in concreto patito dalla parte al proprio diritto di difesa, seppur sulla carta obiettivamente violato; v. ad ogni modo i richiami in nota 60.

79 Cfr. Cass., sez. I, 11 ottobre 2006 n. 21808 in Fam. dir., 2007, 329, con nota di e. al Mureden, Crisi del matrimonio, famiglia destrutturata e permanente esigenza di perequazione fra i coniugi. Anteriormente, vedi Corte cost., 24 gennaio 1991 n. 23, in Foro it., 1991, I, 3012, con nota di e. Quadri, Matrimonio, separazione personale, divorzio e attribuzione al divorziato dell’indennità di fine rapporto; ed in Corriere giur., con nota v. CarBone, Il concetto di matrimonio comprende anche il periodo di separazione personale?

80 A differenza da quanto disposto dall’art. 12-bis, comma 2°, l. div., al riguardo del riparto proporzionale del trattamento di fine rapporto percepito dall’ex coniuge divorziato (Cass., sez. I, 10 aprile 2012 n. 5654, cit., in nota 64), ove vige il rigido criterio aritmetico di quanto risulta maturato in coincidenza con gli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. In tema, M. MoreTTi, L’indennità di fine rapporto, in Trattato dir. fam. Bonilini, Torino, III, 2016, 3038.

81 Cfr. Cass., sez. un., 12 gennaio 1998 n. 159, in Fam. dir., 1998, 159, con nota di L. MenGhini, Sulla ripartizione della pensione di reversibilità fra coniuge separato e coniuge divorziato.

82 In sostanza secondo i rilievi mossi da Corte cost. 4 novembre 1999 n. 419, in Foro it., 2000, I, 1272, con nota di e. Quadri, La Corte costituzionale riapre la questione della ripartizione della pensione di reversibilità tra divorziato e coniuge superstite.

83 L’essenziale percorso della Corte di legittimità può sufficientemente enuclearsi attraverso gli arresti di, Cass., sez. I, 5 marzo 2014 n. 5136, in Fam. dir., 2014, 1106, con nota di M.G. GreCo, Ancora sui criteri di riparto della pensione di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato; Id., 7 dicembre 2011 n. 26358, in banca dati Pluris; Id., 18 agosto 2006 n. 18199, in Nuova giur. civ. comm., 2007, 706, con nota di e. Quadri, La sempre problematica ripartizione della pensione di reversibilità fra divorziato e coniuge superstite; Id., 30 marzo 2004 n. 6272, in banca dati Pluris; Id., 10 gennaio 2001 n. 282, in Giur. it., 2001, 1128, con nota di E. BelliSario, Ancora sul contrasto circa i criteri di ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite. Cfr. anche quanto richiamato in nota 76.

84 L’assegno divorzile a carico dell’eredità, regolato nell’art. 9-bis, l. div., è ipotesi che non può compararsi già per la sua eccezionalità e per i compositi criteri che disciplinano l’insorgenza del diritto verso gli eredi; comunque, presuppone anch’esso l’avvenuto riconoscimento della misura assistenziale post-coniugale il cui godimento è in atto al momento della morte e, per tale evento, si estingue, non trasmettendosi agli eredi, salvo appunto l’autonoma, nuova e peculiare regolamentazione prefigurata nella specifica disciplina menzionata; in tema, cfr. da ultimo, G. Bonilini, Gli effetti di diritto ereditario, in Trattato dir. fam. Bonilini, Torino, 2016, III, 3064; per la giurisprudenza, v., Cass., sez. un., 24 settembre 2018 n. 22434, in Foro it., 2018, I, 3915.