inserisci una o più parole da cercare nel sito
ricerca avanzata - azzera

La caccia alle streghe e la treccia d’aglio

autore: P. Sceusa

Sommario: 1. La malattia. - 2. Il dubbio. - 3. Già, ma quale rito? - 4. Tanto, è volontaria giurisdizione… - 5. Ma cos’è la volontaria giurisdizione? - 6. E invece… - 7. Ce n’è per tutti: la Cassazione… - 8. La vera volontaria giurisdizione minorile e il secondo dubbio. - 9. Conclusione.



I recenti boatos su quanto trapela dell’inchiesta sui fatti di Bibbiano, riportano alla ribalta il tema delle regole da seguire nel processo civile minorile. Il tema mi è caro fin da quando, nel luglio 2009, iniziai la mia esperienza dirigenziale di un ufficio minorile: il Tribunale per i minorenni di Trieste. Ripropongo allora due articoli scritti nel 2011 e nel 2016, dunque in tempi non sospetti, che mi valsero – e ancora mi valgono – una certa fama di eretico, negli ambienti della magistratura minorile, a livello nazionale. Sia benedetta la mia eresia. Infatti, anche indipendentemente dalle ipotesi delittuose su cui sta indagando la Procura di Reggio, occorre por mente al metodo che si deve seguire per celebrare un processo civile minorile degno di questo nome. Mi auguro che da quel lontano 2009 in molti abbiano cominciato a seguire la strada da me tracciata perché, com’è ovvio ci si debba aspettare dopo l’inchiesta sui fatti di Bibbiano, adesso in tutta Italia qualunque genitore sia stato interessato da un processo civile minorile che abbia inciso sulla sua potestà (ora detta responsabilità genitoriale), troverà destro e pretesto per inalberare qualunque tipo di recriminazione contro tutti i servizi sociali e contro tutti i giudici che pronunciarono decisioni a lui sfavorevoli (magari a suo tempo nemmeno impugnate, oppure impugnate e confermate). Insomma si scatenerà una novella (ma non nuova) caccia alle streghe, contro la quale sarà bene potersi agghindare il collo con una bella treccia d’aglio, utile a dimostrare di non aver avuto mai nulla a che fare con le streghe che, ancora una volta, si vorranno gettare nel rogo. La mia treccia d’aglio personale è costituita da quanto potete leggere nelle righe che seguono: “Il processo civile minorile: la volontaria giurisdizione non esiste (non solo a Trieste)” Questo fu il titolo (e il sottotitolo aggiunto tra parentesi dall’allora direttore di una importante rivista di diritto minorile, che me lo pubblicò, a significazione del fatto che la situazione che descrivevo come propria del Tribunale per i minorenni nel 2009, era in realtà comune a molti tribunali minorili, se non a tutti).



1. La malattia



Il processo civile minorile è malato e va sottoposto a intensive cure riabilitative, secondo la terapia del giusto processo



2. Il dubbio



Perché quando provo a lanciare sul forum dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia qualche spunto di sapore processuale, nessuno mi si fila e la cosa viene per lo più fatta cadere nel vuoto? I casi sono due: o è un modo garbato per richiamarmi a sanare qualche morosità pregressa di quote associative, o la tematica non appassiona. Siccome con le quote mi pare di essere (più o meno) in regola, il motivo dev’essere l’altro. Ho avuto la fortuna di attraversare molteplici esperienze giudiziarie in questi ventisei anni1 trascorsi a fare il giudice, tra cui sei di civile e penale in un tribunale ordinario, undici in una procura minorile, altri sei in una sezione civile di un altro tribunale ordinario. Però sempre con la costante di un ruolo civile comprendente minori e famiglia. Ebbene, non sono mai stato uno sfegatato processualista, anzi, le problematiche eminentemente processuali, quando sono sterili e fine a sé stesse, mi hanno sempre provocato fastidiosi effetti peristaltici… Tuttavia sono ancora abbastanza “togato” da capire come il processo, nelle sue essenzialità di contraddittorio, difesa e impugnabilità della decisione, sia esso stesso sostanza e non mera questione formale da liquidare con aria di sufficienza. Al di fuori di queste tre essenzialità, il processo non è processo. Per questo non ho mai capito perché, se di famiglia e minori si parli in ambito di tribunale ordinario, il rito abbia dignità di considerazione, se se ne parla in ambito di tribunale per i minorenni esso provochi alzate di spalle e di sopracciglia.



3. Già, ma quale rito?



“Eh, ma” – diranno i legulei – “mentre i codici sono pieni di norme che regolano il processo di separazione e divorzio, nulla dicono sul processo civile di potestà che compete ai tribunali per i minorenni!”. Vero. Questo però non vuol dire che davanti ai giudici per i minorenni si possa celebrare una specie di ordalia medievale, secondo la tautologia per cui “il giudice specializzato, al di là di ogni impiccio processuale, saprà riconoscere e tutelare al meglio, essendo specializzato, il superiore interesse del minore”. Niente affatto, occorre che il processo di potestà sia, quanto e più degli altri, “Processo” (perché in esso si definiscono e tutelano diritti primari e personalissimi). Cioè luogo dove il giudice risolva conflitti tra parti portatrici di diritti e interessi, che si muovono all’interno di un contraddittorio pieno e assistito. Del resto, il preminente interesse del minore, proprio perché tale, potrà trovare la tutela che merita, solo in quanto accertato in un rito permeato di contraddittorio, tra parti difese in modo tecnico, che si concluda con una pronuncia sindacabile da altro e diverso giudice (il che costituisce il nucleo del concetto di impugnazione). La preminenza (o superiorità) dell’interesse del minore implica infatti l’idea di un confronto tra posizioni. Niente di più e niente di meno.

E allora il rito sarà quello camerale contenzioso di cui alle vecchie, scarne – e perciò sempre buone – norme comuni (artt. 737- 742-bis, c.p.c.), lette ed integrate alla luce di principi ricavati da norme più recenti, quali: la ridetta necessità di contraddittorio fra tutte le parti interessate, a cominciare dal minore (art. 111, comma 2, Costituzione, inserito dalla legge costituzionale n. 2/1999, oltre alla previgente e susseguente normativa sovranazionale che, insieme, costituiscono il sistema processuale detto del giusto processo); il diritto alla difesa tecnica (insomma dell’avvocato), anche per il minore (art. 336, comma 4, c.c. aggiunto dalla legge n. 149/2001 e finalmente entrato in vigore dal 1° luglio 2007, ma già sancito dall’art. 24 commi 2 e 3 Costituzione); il diritto all’impugnazione della decisione, per violazione di legge (art. 111, comma 7, Costituzione.) e quello alla revisione nel merito della decisione, ove previsto dalla legge ordinaria (art. 739, 740 c.p.c. e 38, ult. comma, disp. att. c.c.).



4. Tanto, è volontaria giurisdizione…



Ove fin qui abbia sfondato porte aperte e detto banalità ormai condivise da tutti i giudici minorili moderni, allora scusate il disturbo e non proseguite la lettura. Se però volete sapere come mai io mi trastulli ancora con la scoperta dell’acqua calda (cioè con la necessità di applicazione delle regole del giusto processo al processo civile minorile di potestà), allora dovete sapere quali erano le prassi processuali che ho trovato in essere al Tribunale per i minorenni di Trieste quando, nel luglio 2009, mi son ritrovato a presiederlo. Se poi, per avventura, qualcuno dovesse riconoscervi le prassi del proprio tribunale per i minorenni, beh… allora continui pure la lettura. a) La circolazione della domanda: al ricorso del pubblico ministero (90% dei casi, anche se ho trovato decine di fascicoli dove ricorrente figurava essere addirittura “il servizio sociale di…”; “l’istituto scolastico di…”), seguiva una convocazione diretta dal giudice ai genitori del minore “per essere sentiti” notificata a mezzo posta tramite la cancelleria, senza alcuna allegazione del ricorso. Se i genitori (miracolosamente) comparivano (sempre senza difensore), il giudice gli spiegava oralmente che il pubblico ministero aveva chiesto questo e quello, quindi li invitava ad esprimersi in merito. Se (spesso) non comparivano, allora il giudice ne traeva argomento di prova in ordine alla sussistenza del deficit genitoriale, che, senza tanti altri complimenti, poteva portare all’accoglimento del ricorso, a sua volta recettivo di un’informativa o di una relazione di un qualche servizio sociale. All’obiezione che tutto ciò violava sonoramente non solo la Costituzione, ma anche gli stessi principi dell’Habeas corpus (nessuno verrà trascinato davanti ad un giudice senza sapere il perché…, cosiddetto principio di contestazione degli addebiti, che si affaccia agli albori del XIII secolo…) mi si rispondeva: ma tanto è volontaria giurisdizione…

b) L’acquisizione della prova sui fatti: quando non si risolveva tutto attraverso l’equazione: “relazione sociale allegata al ricorso + mancata comparizione dei genitori = prova raggiunta dell’inadeguatezza genitoriale” e sorgeva qualche dubbio sulla consistenza delle capacità genitoriali, allora il collegio commissionava una bella consulenza tecnica di ufficio per l’accertamento delle stesse (con incarico sempre fuori udienza e senza contraddittorio), perché tanto, è volontaria giurisdizione…

c) La decisione: sulla scorta della predetta “istruttoria” e del parere finale del pubblico ministero, la decisione giungeva con decreto non definitivo, giacché il dispositivo chiudeva quasi sempre con la formula “manda il servizio sociale del Comune di… di trasmettere relazione di aggiornamento entro il…”2 .

d) La reclamabilità: “Oddio (già quasi in preda ad una crisi di nervi), ma così nessuno lo potrà reclamare, sto decreto!” Embè? Tanto, è volontaria giurisdizione… Infatti, la sezione per i minorenni della locale Corte d’appello, ove sporadicamente adita da qualche genitore inopinatamente munitosi di difensore all’indomani dell’emanazione (spesso esecutiva) del decreto riguardante suo figlio, invariabilmente pronunciava l’“inammissibilità del reclamo, per esser stato proposto avverso decreto non definitivo, in quanto ancora aperto verso ulteriore istruttoria, mediante la richiesta relazione di aggiornamento ai servizi sociali del Comune di…”. Ineccepibile. e) Il ricorso straordinario per Cassazione: per questo rimando al successivo settimo paragrafetto: “Ce n’è per tutti. La Cassazione…”.



5. Ma cos’è la volontaria giurisdizione?



Come per quel famoso detersivo, “facciamo la prova finestra”. Cercate sull’indice alfabetico di un codice di procedura civile la voce volontaria giurisdizione: troverete il rimando a una bella sfilzetta di articoli di legge. Adesso controllate uno per uno quegli articoli: vedrete che in nessuno di essi sta scritta l’espressione volontaria giurisdizione. La “prova finestra” è riuscita: la volontaria giurisdizione non è espressione che appartenga al diritto positivo3 . È categoria dottrinale che risale al concetto romanistico della iurisdictio inter volentes: infatti tutte le norme indicizzate alla voce volontaria giurisdizione riguardano azioni (per lo più, ma non solo, in materia successoria) caratterizzate dall’inesistenza di una controparte rispetto al ricorrente o ai ricorrenti congiunti (come, ad esempio, nella separazione o nel divorzio consensuale), o dall’assenza di un conflitto (attuale) tra il ricorrente e le altre parti. Tuttavia, poiché si tratta di materie coinvolgenti diritti di terzi o diritti di carattere indisponibile delle stesse parti, occorre un controllo di legalità, riservato al giudice. Guardate ora, sempre alla voce volontaria giurisdizione, la sottovoce “procedimento”. Troverete il rinvio agli artt. 737-742-bis, c.p.c. Et voilà, la confusiva sovrapposizione tra la volontaria giurisdizione e il procedimento camerale tout court è compiuta.



6. E invece…



E invece, se da un lato è certo che la volontaria giurisdizione, nel senso proprio di iurisdictio inter volentes, si debba trattare secondo le norme comuni del rito camerale (artt. 737-742- bis, c.p.c.), per converso non è affatto vero che tutto ciò che la legge vuole si tratti col rito camerale debba appartenere alla categoria della volontaria giurisdizione. Anzi, il maggior numero dei procedimenti trattati col rito camerale sono altroché contenziosi: contenziosissimi! Pensiamo, per citare solo un paio di esempi, alle cause per modifiche dei provvedimenti di separazione e di divorzio (art. 710 c.p.c.; art. 9, legge divorzio n. 898/1970 e succ. mod.). C’è qualcuno, sano di mente, che potrebbe definirli esempi di iurisdictio inter volentes? Quindi occorre stare bene attenti a non fare confusione tra la volontaria giurisdizione vera e propria e tutto ciò che viene sì trattato con rito camerale, ma la cui giurisdizione deve dirsi contenziosa e non volontaria, perché a confondersi su questo ne va dell’applicazione delle regole del giusto processo. Regole che vanno sempre applicate al processo contenzioso, benché a rito camerale, non anche a quello di volontaria giurisdizione in senso proprio (dove non occorre difensore e non c’è contraddittorio perché il ricorso non è diretto a controparti, ma al solo giudice per il suo controllo di legalità).



7. Ce n’è per tutti: la Cassazione…



Secondo la mia (non breve) esperienza nel campo, posso dire che anche fra molti colleghi, minorili e non, in materia di volontaria giurisdizione la suddetta confusione regni sovrana. Un esempio per tutti: sono decenni che impera, costante e incontrastata, la giurisprudenza della Cassazione secondo cui “in materia di procedimenti civili di potestà, le pronunce dei tribunali per i minorenni, trattandosi di volontaria giurisdizione, come tali emanate rebus sic stantibus, sono sempre modificabili… ergo non ricorribili per cassazione…”4 . Appunto… Peccato che nei procedimenti di potestà non si tratti affatto di iurisdictio inter volentes, ma di procedimenti a rito camerale con contenziosità al calor bianco (avete mai visto genitori acquiescenti al ricorso per il loro allontanamento o per quello del figlio dalla casa familiare? Quando invece capita che siano i genitori stessi a richiedere congiuntamente il collocamento del minore presso terzi… beh quella è materia per i servizi sociali – art. 4, comma 1, legge n. 184/1983, come sostituito da legge n. 149/2001 – e non per il tribunale per i minorenni). In tali procedimenti i decreti che li definiscono, sebbene adottati rebus sic stantibus, hanno natura decisoria e definitività in senso formale. Diversamente, cara Cassazione, altro che semplice inammissibilità del ricorso straordinario ex art. 111 Costituzione: ne andrebbe, appunto, del giusto processo, e potremmo continuare col processo minorile di potestà “in sagrestia”, senza contraddittorio né difesa, tanto è volontaria giurisdizione. Per fortuna, la relazione di apertura dell’anno giudiziario 2011, del Presidente della Corte di Cassazione stessa, sembra finalmente aver esplicitamente sconfessato la gestione non giurisdizionale e non contenziosa di tale tipo di processo, anche perché ormai esso è stato tante volte oggetto di costose condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo (benedetta sia l’Europa)5.



8. La vera volontaria giurisdizione minorile e il secondo dubbio



Ed allora il campo della vera volontaria giurisdizione minorile, come tale sempre non contenziosa, si riduce a tal poca cosa da giustificare il titolo di testa di questa mia mini giaculatoria (“la volontaria giurisdizione minorile non esiste”): vedo i ricorsi congiunti ex art. 317-bis c.c. (speculari alla volontaria giurisdizione separatoria e divorzile, quella consensuale); vedo le dichiarazioni di disponibilità alle adozioni; vedo le istanze congiunte di aggiunta o sostituzione del cognome paterno, a seguito di riconoscimento tardivo; vedo le richieste di autorizzazione del/della sedicenne a contrarre matrimonio e qualche altra sciocchezzuola di scarso impegno a tasso contenzioso zero. Altro non vedo. E mi chiedo (ecco il secondo dubbio): ma perché esistono programmi di registrazione atti (il famigerato SICAM), intere cancellerie civili e asfissianti richieste statistiche ministeriali, tutte intitolate e dedicate alla volontaria giurisdizione, dove però, fatalmente, si trattano e si conteggiano sempre procedimenti camerali contenziosi? Secondo me è semplicemente uno dei tanti “passati che non passano” e che, per questo, ammorbano. Personalmente, ho svitato con le mie mani la tabella d’ottone tutta ossidata, con la scritta VOLONTARIA GIURISDIZIONE, campeggiante da secoli sullo stipite della cancelleria che si occupa dei procedimenti di potestà (fatto che ha provocato lo svenimento, seguito da immediato pensionamento – beata lei… – dell’impiegata che da trent’anni vi albergava).



9. Conclusione



La conclusione è che ormai al Tribunale per i minorenni di Trieste:

– il ricorso del pubblico ministero (o di qualunque parte privata legittimata) e il decreto del giudice di fissazione dell’udienza e nomina di curatore speciale al minore, viene notificato agli altri litisconsorti necessari (con tanto di informazione del diritto delle parti private a nominarsi un difensore, anche a spese dello Stato) dal ricorrente stesso (pubblico ministero compreso);

– l’acquisizione della prova sui fatti ora avviene, oltre che mediante l’audizione delle parti (compreso il minore discernente), mediante l’assunzione testimoniale delle persone informate dei fatti, quando controversi; l’acquisizione di atti e documenti (ad es. scolastici, sanitari, penali, di polizia); eventuali ispezioni, dirette o delegate, ecc. Una volta che l’istruttoria ha incamerato questo bel po’ di materiale probatorio sui fatti, solo raramente sentiamo l’esigenza di delegare ad altri, con una ctu, la (nostra!) valutazione sulle capacità genitoriali. Valutazione che il collegio sa fare in proprio, essendo appositamente composto anche da giudici onorari in possesso delle necessarie pertinenti competenze (giudice collegiale che per una volta può dirsi senza velleità davvero peritus peritorum). Comunque, le volte che ancora ci affidiamo a una consulenza tecnica di ufficio (di solito per accertamenti di natura medica o medico-psichiatrica), lo facciamo secondo i santi crismi del contraddittorio (nomina e quesito in udienza, consulenza tecnica di parte, termini e controtermini per relazione, osservazioni, chiarimenti, ecc.);

- la decisione giunge mediamente a meno di un anno dal ricorso (a una prossima occasione i nostri “trucchi” per fare così presto, ma solo a veramente interessati, no perditempo) ed è un decreto definitivo (ovviamente rebus sic stantibus), nel quale invitiamo i servizi sociali a riferire al pubblico ministero gli eventuali fatti nuovi che possano comportare un suo ricorso per revoca o modifica ex art. 742 c.p.c., e le parti private a ricorrere direttamente, alle stesse condizioni (verificazione di fatti nuovi, o pregressi ma non dedotti né esaminati);

– il decreto è, così, perfettamente reclamabile alla sezione minorile della Corte di appello, per il suo eventuale secondo vaglio meritale (guai a quel giudice di primo grado che pensasse di poter all’infinito correggere il proprio tiro, di relazione in relazione, senza mai sottoporsi ad altrui sindacato: questo è quello che intendo quando parlo di “autoreferenzialità”);

– infatti, la sezione per i minorenni della locale Corte d’appello, ha ben che smesso di dichiarare “a timbro” l’inammissibilità dei reclami che le pervengono (nemmeno poi tanti) e ha così l’occasione di poter scendere nel merito e almeno cominciare il lungo percorso che, data l’altissima turnazione dei togati che la compongono, qui come altrove, ancora la separa dalla effettiva specializzazione civile minorile. Mi accomiato rallegrandomi del fatto che lo stesso Consiglio superiore della magistratura abbia finalmente in calendario un incontro di studio sul tema della giurisdizionalizzazione del processo civile minorile. Poi però noto che è l’unico del 2012 per cui è prevista una durata di soli due giorni. Sarà mica un brutto segnale di banalizzazione? Tanto, è solo volontaria giurisdizione…



Bene, fin qui il mio articolo del 2011. Successivamente, le rigorose ricadute applicative in tema di acquisizione probatoria come sopra sintetizzate al § 9, lettera B che, manco a dirlo mi attirarono gli strali di tutta la magistratura minorile associata, spesso avvezza alla pedissequa trascrizione nelle motivazioni dei suoi provvedimenti civili, delle valutazioni di assistenti sociali e ctu (associazione dalla quale mi dimisi nel 2015, per incompatibilità di pensiero e di azione giurisdizionale) e di parte della stessa avvocatura (in questo caso a proposito della mia contrarietà all’impiego di ctu sulle “capacità genitoriali”), mi indussero a diffondere sulla mia pagina linkedin, le note a un convegno cui ero stato invitato quale relatore, ma al quale non potei partecipare, per precedente impegno. Le riporto qui di seguito, a rinforzo della suddetta ghirlanda di teste d’aglio con cui mi posso circondare il collo.



Note per il convegno ALFID 10 giugno 2016: “CTU e CTP: luci e ombre”. Trento. A proposito di CTU e procedimenti civili minorili ho già avuto occasione di esprimermi come relatore in qualche convegno. Ne ricordo in particolare uno, alla Bicocca di Milano, di cui fornisco il programma6 . Purtroppo, in concomitanza col vostro interessante appuntamento del prossimo 10 giugno, sarò in viaggio per il Piemonte, dove il giorno dopo sarò relatore ad un altro convegno, da tempo programmato. Il mio dispiacere per l’assenza mi induce però a rassegnare questa breve nota di estrema sintesi del mio pensiero a proposito di CTU e processo civile minorile (poco importa se si tratti di procedimento sulla responsabilità genitoriale o di adottabilità):

1. un processo, anche e soprattutto quello civile minorile, deve accertare i fatti controversi mediante un’istruttoria da svolgere in contraddittorio tra le parti, assistite da difensori. Si tratta dei fatti comportamentali, commissivi od omissivi, che caratterizzano le relazioni endo ed eso familiari rilevanti per la decisione da adottare nell’interesse del minore.

2. tra i fatti rilevanti può assumere un’importanza primaria anche l’ottemperanza o l’inottemperanza ai provvedimenti contenenti prescrizioni interlocutorie, dettate dal giudice;

3. i fatti vanno rigorosamente tenuti distinti dalle valutazioni.

4. Le valutazioni attengono alla decisione, non all’istruttoria. Occorre guardarsi dal trasformare, magari semplicemente parafrasandole, le valutazioni altrui (come ad esempio quelle dei servizi sociali) per trasformarle in motivazioni dei provvedimenti giurisdizionali, avulse dai fatti.

5. una volta esaurita l’istruttoria fattuale – e solo al termine di essa – si apre lo spazio valutativo/interpretativo dei fatti accertati. È un momento valutativo nel quale assumono massima valenza, oltre che le valutazioni tecniche di natura giuridica, anche le valutazioni in ordine alle capacità genitoriali e parentali che, congiuntamente, devono guidare il giudice alla decisione più conforme all’interesse del minore;

6. è scorretto anteporre o, peggio ancora, sostituire all’istruttoria fattuale, la valutazione mediante CTU sulle caratteristiche personologiche delle parti. La ctu non costituisce un mezzo di prova. È bensì un mezzo di valutazione delle prove acquisite mediante l’istruttoria fattuale.

7. il giudice del tribunale ordinario dispone solo delle competenze sue proprie e per aggiungere alle proprie valutazioni giuridiche quelle di tipo personologico, altrettanto necessarie, deve obbligatoriamente far ricorso a degli esperti esterni, mediante CTU di tipo psicopedagogico per la valutazione delle capacità genitoriali;

8. il giudice minorile, invece, ingloba nella sua composizione, significativamente paritetica, sia le competenze valutative di tipo giuridico (portate dai due giudici togati), che le competenze valutative di tipo psicopedagogico (portate dai due giudici onorari); ne consegue che il collegio minorile, a patto che l’istruttoria fattuale sia stata svolta secondo criteri di professionalità e di completezza, disporrà normalmente di tutti gli elementi per poter effettuare la sua valutazione su tutti gli elementi, di fatto, di diritto e psicopedagogici, per addivenire alla decisione, senza aver bisogno, quanto meno tendenzialmente, di esternalizzare quest’ultimo aspetto della valutazione che gli spetta, delegandola a terzi (i CTU, appunto). Senza considerare il fatto che la spesa ingente per il compenso, sia dei giudici onorari che dei ctu, si manifesta quale una duplicazione ingiustificata, sotto il profilo economico ed erariale.

9. L’obiezione che in questo modo i difensori verrebbero privati dal poter interloquire sulla valutazione di tipo psicopedagogico, tramite i ctp che potrebbero nominare solo in caso di conferimento di CTU, è priva di fondamento: nessun giudice ordinario (minorile o meno che sia) che disponga delle competenze extra giuridiche necessarie a decidere una qualunque causa (non solo minoril-familiare) è obbligato a nominare un CTU. Pertanto è insensato che il giudice minorile, data la sua composizione collegiale e multidisciplinare, debba provvedervi in ogni caso “di default”, come per la verità accade in quasi tutti i tribunali minorili italiani… Diversamente opinando, tanto varrebbe abolire i tribunali per i minorenni nella composizione mista (togati e onorari) che li caratterizza dal 1934.



Del resto, i giudici onorari già compongono altri collegi misti, come nel caso dei tribunali di sorveglianza e dei collegi per le cause agrarie, per i quali non risulta che vengano sollevate questioni analoghe da parte delle associazioni avvocatili.

NOTE

1 ... 26 anni nel 2009...

2 Un malvezzo ereditato pari pari dal procedimento per l’assunzione di misure amministrative ex artt. 27, ultimo comma e 29 della legge istitutiva del tribunale per i minorenni, r.d.l. n. 1404/1934, che può ancora avere applicazione nell’ambito della competenza amministrativa (... infatti, non giurisdizionale...) del tribunale per i minorenni ex art. 25 del r.d.l. cit.: procedimento che, a Trieste, conosce meno di dieci applicazioni all’anno.

3 Le uniche norme positive che usino l’endiadi volontaria giurisdizione, che io abbia rinvenuto, sono: l’art. 801 c.p.c. (ormai abrogato, con tutto il titolo settimo, dalla legge n. 218/1995 cd. codice del diritto internazionale privato); gli artt. 9, 66 e 67 di quel codice. Nessuna di quelle norme la definisce. Curiosamente, nessuna di queste norme si trova citata al suddetto indice alfabetico, voce volontaria giurisdizione. A questo punto è indetto il concorso per trovarne altre: comunicatemele alla mail paolo.sceusa@gmail.com.

4 Digitate su qualsiasi banca dati giurisprudenziale le parole volontaria giurisdizione, potestà e ne avrete la riprova.

5 Ormai. e grazie anche a questo articolo, la Cassazione ha compiuto il qui raccomandato revirement con la sent. n. 23633/16, peraltro seguita da qualche pericoloso ondeggiamento, per fortuna poi raddrizzato da SS.UU. sent n. 32359/18.

6 Ottenibile a richiesta alla mia email, indicata alla nota 3.