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Funzione dell’assegno divorzile e rilevanza economica dell’attribuzione della casa familiare: prime applicazioni della sentenza ssuu n. 18287 dell’11 luglio 2018 (nota a Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 8 febbraio 2019, n. 3869)

autore: F. D'ambrogio

Sommario: 1. Il caso. - 2. Rilevanza economica dell’assegnazione della casa familiare. - 3. L’applicazione ai giudizi in corso del nuovo orientamento delle SSUU. - 4. Conclusioni.



1. Il caso



Nella sentenza in commento, la Cassazione, chiamata a decidere sulla rispondenza al dettato normativo ex art. 5 co. 6 l. 1 dicembre 1970 n. 898, in tema di quantificazione dell’assegno divorzile operata dal Tribunale di S. Maria C.V. e confermata dalla Corte di Appello di Napoli, ritenuto che quest’ultima non abbia potuto privilegiare, nella complessiva valutazione delle emergenze probatorie, dei principi introdotti da Cass. SSUU n. 18287 dell’11 luglio 20181 , ha rinviato alla medesima Corte di appello in diversa composizione, per un nuovo esame, reputando, in ogni caso, non adeguata la valutazione della circostanza della mancata fruizione della villa familiare di pregio, che avrebbe dovuto dar luogo all’incremento dell’assegno divorzile in favore della moglie. La decisione va scrutinata sotto un duplice profilo: il profilo inerente la rilevanza economica da attribuirsi all’assegnazione della casa familiare, ai sensi dell’art. 337-sexies c.c., e quello della funzione equilibratrice dei redditi degli ex coniugi attribuita all’assegno divorzile.



2. Rilevanza economica dell’assegnazione della casa familiare



A norma dell’art. 337-sexies c.c., il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Nella prassi applicativa, la presenza di figli minori o maggiorenni economicamente non autosufficienti ovvero con handicap grave costituisce, pertanto, il presupposto soggettivo dell’assegnazione della casa familiare, avendo l’istituto finalità di tutela della prole a seguito della disgregazione del consorzio familiare. Orbene, detto preminente interesse dei figli, ha, sinora, indotto i giudici ad assegnare l’immobile, già adibito a casa familiare, al genitore con il quale i figli convivono abitualmente, a salvaguardia dell’esigenza di conservazione dell’habitat domestico dei figli stessi. Non va sottaciuto che la giurisprudenza, individuando quale interesse protetto la sola conservazione della continuità abitativa della prole, ha finito per offrire una visione restrittiva del fondamento dell’istituto dell’assegnazione, identificandolo non nella tutela delle molteplici manifestazioni della personalità umana della prole, ma esclusivamente nell’esigenza di conservazione dell’habitat domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. In tal modo, “casa familiare” non è qualsiasi immobile astrattamente idoneo alle generiche esigenze dei figli, ma la residenza nella quale si sia svolta la vita della famiglia durante la convivenza dei genitori2 . Va, sul punto, rilevato, che, alla luce di una piena valorizzazione della ratio dell’art. 337-sexies c.c., volta alla promozione della personalità dei figli (artt. 2 e 30 cost.), potrebbe farsi rientrare nella discrezionalità giudiziale l’attribuzione di una dimora diversa da quella già familiare, ove si tratti della scelta in concreto maggiormente rispondente alle esigenze esistenziali della prole3 . E sebbene la Corte di Cassazione affermi che l’assegnazione deve riguardare “la stessa abitazione in cui si svolgeva la vita della famiglia finché era unita”, appare irragionevole escludere una dimora diversa in grado di soddisfare meglio gli interessi della prole ovvero di esprimere un ottimale bilanciamento tra essi e le esigenze abitative del genitore non convivente con i figli, anche tenuto conto dell’incidenza del provvedimento di assegnazione sulle condizioni economiche dei coniugi, ed in particolare, del coniuge non assegnatario4 .



Sotto il profilo della rilevanza economica dell’assegnazione della casa familiare, la giurisprudenza della Suprema Corte ante novella del 2006, ha affermato non essere “contestabile che il godimento della casa coniugale costituisca un valore economico corrispondente – di regola – al canone ricavabile dalla locazione dell’immobile” e che di tale valore il giudice debba tener conto ai fini della determinazione (o della revisione) dell’assegno dovuto ad uno dei coniugi5 . Tale consapevolezza ha ispirato il legislatore con la previsione di cui all’art. 337-sexies, co. 1, c.c., laddove dispone che il giudice deve tenere conto dell’assegnazione nel regolare i rapporti economici tra i “genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà”. Orbene, muovendo dal dato letterale del più volte citato art. 337-sexies c.c., laddove indica come prioritario ma non esclusivo l’interesse dei figli nell’attribuzione del godimento della casa familiare, e le nuove fragilità della nostra società, sarebbe opportuna, a parere di chi scrive, una rinnovata valutazione degli interessi da proteggere, in una chiave personalistica dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare che tenga conto di tutti i protagonisti della crisi, anche di coloro che si trovano in una posizione di debolezza economica. Va segnalata, sul punto, una interessante pronuncia da parte della giurisprudenza di merito, che ha dato rilievo ad interessi esistenziali diversi dalla sola conservazione dell’habitat domestico del minore: interessi valutati in concreto, in un’ottica compensativa, sicuramente mutuata dai principi dettati dalle SSUU in tema di assegno divorzile6 .



3. L’applicazione ai giudizi in corso del nuovo orientamento delle SSUU



In ordine al secondo aspetto, la S.C. richiama i principi espressi, in via nomofilattica, dalla sentenza n. 18287/18 con riguardo alla natura dell’assegno divorzile: “All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”. Trattasi di una delle prime applicazioni dell’orientamento della Cassazione a SSUU del 2018, che sollecita una riflessione in ordine alla relatività del criterio di inadeguatezza, al significato da attribuire al concetto di solidarietà post coniugale, come declinati a seguito della sentenza a SSUU richiamata, ed alla perdurante rilevanza del parametro del tenore di vita. Sulla premessa secondo cui, come evidenziato da acuta dottrina7 , la vicenda dell’assegno divorzile si radica in un contesto socio-culturale in cui la donna non è più solo quella che ha rinunciato in toto alla professione, ma è una donna che, pur se inserita nel mondo del lavoro, ha rinunciato ad un avanzamento completo e appagante della sua carriera in funzione della famiglia, il concetto di solidarietà post-coniugale, nella decisione delle SSUU, seguita dalla sentenza in rassegna, ha assunto una diversa interpretazione rispetto al passato. In questo mutato contesto, invero, l’assegno divorzile, oltre ad avere una funzione assistenziale, che viene in rilievo, in via prevalente, nell’ipotesi in cui vi sia sperequazione tra i redditi ed una delle parti non abbia redditi propri, avrà prevalente natura perequativo/compensativa nelle diverse ipotesi di disparità economica, nelle quali, tuttavia, il coniuge economicamente più debole risulta titolare di propri redditi. Conseguentemente, secondo l’interpretazione delle SSUU, la comparazione tra le posizioni reddituali dei coniugi che accerta lo squilibrio non è assunta come una premessa meramente fenomenica ed oggettiva, svincolata dalle cause che l’hanno prodotto, ma dalla riconducibilità delle cause medesime agli indicatori così come descritti nella prima parte dell’art. 5, 6° comma l. 898/70. In tale prospettiva, la solidarietà post coniugale emerge da un’analisi concreta della situazione di ogni singola famiglia, non risolvendosi più in una formula da applicare automaticamente ad uno stereotipo femminile. Pertanto, solo mediante una puntuale ricostruzione del profilo soggettivo del coniuge richiedente e dell’incidenza del matrimonio sulla sua attuale condizione, attraverso gli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, 6° comma l. 898/70, la valutazione di adeguatezza può ritenersi effettivamente fondata sul principio di solidarietà, che poggia sul cardine costituzionale della pari dignità dei coniugi, ai sensi degli artt. 2, 3 e 29 Cost. In quest’ottica si pone il principio, espresso dalla sentenza in rassegna, secondo cui la finalità equilibratrice dell’assegno divorzile non sarebbe finalizzata alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.



4. Conclusioni



Sul punto, va, però osservato che l’espresso riferimento alla funzione equilibratrice dell’assegno non finalizzata alla ricostruzione del pregresso tenore di vita, in linea con il principio espresso dalle SSUU di irrilevanza di tale parametro, desta perplessità da un punto di vista pratico ed esprime una palese contraddizione con quanto poi stabilito con riferimento alla casa familiare. Posto che l’assegno divorzile ha la funzione di riequilibrare la posizione economica degli ex coniugi e va quantificato in misura tale da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo dallo stesso fornito alla famiglia, ne consegue che il risultato, da un punto di vista pratico, potrà essere assicurato – in specie nei matrimoni di lunga durata – al coniuge economicamente più debole, che si sia dedicato alla famiglia in via esclusiva o prevalente, con il riconoscimento di un assegno tale da consentire, almeno tendenzialmente, la conservazione del pregresso tenore di vita. Come si può, invero, tradurre in termini monetari, le aspettative frustrate, le occasioni mancate, lo squilibrio di realizzazione, in altre parole, il contributo fornito alla vita familiare, se non facendo riferimento al tenore di vita? In tale prospettiva, esso costituisce la sintesi verbale di tutti i parametri che emergono dall’art. 5 co. 6 l. 898/70, sicché, uscito dalla porta, rientrerà dalla finestra nell’applicazione, in concreto, dei nuovi principi fissati dalle SSUU8 . Quanto innanzi espresso trova conferma, a parere di chi scrive, nella sentenza scrutinata, laddove viene richiesto al Giudice del rinvio di valutare adeguatamente “la disponibilità e la fruizione della casa familiare di elevate caratteristiche di pregio, tali da non renderla fungibile con qualsiasi altra abitazione reperibile nel medesimo Comune a costi contenuti”, a dimostrazione di un tenore di vita che deve, seppur in via tendenziale, essere conservato dal richiedente l’assegno.

NOTE

1 La nota sentenza è rinvenibile in Giur. it., 2018, 8-9, 1843, con nota di C. riMini.

2 Da ultimo: Cass. civ. Sez. I, 12 ottobre 2018, n. 25604 secondo cui la casa familiare deve essere assegnata tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non autosufficienti a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate, sicché è estranea a tale decisione ogni valutazione relativa alla ponderazione tra interessi di natura solo economica dei coniugi o dei figli, ove in tali valutazioni non entrino in gioco le esigenze della prole di rimanere nel quotidiano ambiente domestico, e ciò sia ai sensi del previgente art. 155-quater c.c., che dell’attuale art. 337-sexies c.c. in Mass. giust. civ., 2018.

3 Cass. civ., 4 luglio 2011, n. 14553: “Costituiscono requisiti imprescindibili per l’assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi separati o divorziati la sussistenza nell’immobile di un ambiente familiare, inteso quale habitat domestico, ovvero luogo degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia durante la convivenza dei suoi membri e l’affidamento al richiedente di figli minori, ovvero la convivenza con figli maggiorenni, incolpevolmente privi di adeguati mezzi autonomi di sopravvivenza”, in Fam. pers. succ., 2011, 10, 655 nota di C. irti; Cass. civ., 20 gennaio 2006, n. 1198, in Giur. it., 2006, 1595, la quale aggiunge che “al fine dell’assegnazione ad uno dei coniugi separati o divorziati della casa familiare [...] occorre che si tratti della stessa abitazione in cui si svolgeva la vita della famiglia allorché essa era unita”; Cass. civ., 16 luglio 1992, n. 8667, in Giust. civ., 1992, I, 3002.

4 Cass. civ., 16 dicembre 2013, n. 28001: “In tema di separazione personale, ove il giudice del merito abbia revocato la concessione del diritto di abitazione nella casa coniugale, è necessario che valuti, una volta in tal modo modificato l’equilibrio originariamente stabilito fra le parti e venuta meno una delle poste attive in favore di un coniuge, se sia ancora congrua la misura dell’assegno di mantenimento originariamente disposto”, in Banca Dati Pluris; Cass. civ., 20 aprile 2011, n. 9079, in Giust. civ., 2012, I, 2410, secondo le quali, una volta revocato il provvedimento di assegnazione, il giudice è tenuto a valutare se sia ancora congrua la misura dell’assegno di mantenimento originariamente disposto, poiché il venir meno di una delle poste attive a favore di un coniuge modifica l’equilibrio originariamente stabilito tra le parti; nonché, Cass. civ., 20 aprile 2011, n. 9079, in Dir. fam. pers., 2011, 1660. Afferma che la misura dell’assegno di mantenimento va incrementata là dove il coniuge affidatario non possa fruire della casa familiare, Cass. civ., 9 settembre 2002, n. 13065, in Fam. dir., 2002, n. 587. Sul punto, in dottrina, v. G. frezza, Mantenimento diretto e affidamento condiviso, Milano, 2008, 969.

5 Cass. civ., sez. VI, 17 dicembre 2015 n. 25420 in Giust. civ. mass., 2015, che richiama Cass. civ, sez. I., n. 4203 del 24 febbraio 2006 in Giust. civ. mass., 2006, 4. In senso implicitamente conforme, cfr.: Cass. civ. 9 settembre 2002 n. 13065: “L’assegnazione della casa familiare prevista dall’art. 155, comma 4, c.c. risponde all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. Ne consegue che l’istituto di cui si tratta presuppone indefettibilmente la persistenza, al momento della separazione dei coniugi, di una casa coniugale nell’accezione sopra chiarita. Pertanto, ove manchi tale presupposto, per essersi i figli già irrimediabilmente sradicati dal luogo in cui si svolgeva la esistenza della famiglia, non v’è luogo per l’applicazione dell’istituto in questione”, in Fam. dir., 2002, 6, 587 nota di A. liuzzi; Cass. civ., 26 settembre 1994 n. 7865, in Dir. famiglia 1995, 978.

6 Da ultimo, Trib. Perugia 23 gennaio 2019 n. 109 in De jure online, secondo cui, pur in difetto di figli aventi diritto al mantenimento dell’ambiente di vita abituale, in presenza di acquiescenza da parte del coniuge proprietario della casa familiare. al godimento esclusivo da parte della moglie dell’immobile, si è dato luogo all’assegnazione alla moglie in ottica compensativa della posizione di debolezza economica. Contra: Trib. Torre Annunziata, 7 maggio 2018 n. 1082, in Redazione Giuffrè, 2019.

7 M. bianCa, Le sezioni unite e i corsi e ricorsi giuridici in tema di assegno divorzile: una storia incompiuta?, in Foro it., 2018, 36.

8 G. CaSaburi, L’assegno divorzile secondo le sezioni unite della Cassazione: una problematica “terza via”, in Foro it., 2018, 32 ed in senso conforme: G. luCCioli, Ancora sull’assegno di divorzio: “la terza via” non obbligata delle sezioni unite, in Foro it., 2019, 1190-1191.