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Separazione e rilocazione del minore: un difficile equilibrio tra interessi in gioco

autore: M. E. Casarano

Sommario: 1. Brevi cenni alle concause del fenomeno della rilocazione del minore. - 2. Diritto alla libera circolazione ed alla bigenitorialità: un arduo bilanciamento. - 3. The best interest of the child e la sua individuazione. - 4. Difetto di competenza e giurisdizione: l’individuazione della residenza abituale del minore. - 5. Sottrazione del minore e configurabilità del reato. - 6. L’ordine di rimpatrio del minore e cause di esclusione. - 7. Il rispetto alla vita privata e familiare: le condanne della CEDU. - 8. Il ruolo della mediazione familiare nei casi di rilocazione e sottrazione di minori.



1. Brevi cenni alle concause del fenomeno della rilocazione del minore



I temi del trasferimento di un genitore a seguito dell’evento separativo e quello della conseguenziale necessità della c.d. “rilocazione” della prole presso una nuova residenza si affacciano costantemente all’attenzione degli operatori del diritto nel susseguirsi di pronunce di legittimità e di merito volte a dare risposte e soluzioni rispetto ad un fenomeno in costante crescita. Crescita inevitabilmente determinata da progressivi mutamenti di carattere sociale, economico e giuridico che, favorendo la ricerca di autonomia del genitore allocatario della prole, finiscono spesso col ripercuotersi in modo incisivo sui figli con modalità destabilizzanti non meno di quanto possa esserlo la separazione stessa, per i conseguenziali effetti sui provvedimenti inerenti il loro affidamento e le frequentazioni con l’altro genitore. Basti pensare da un lato all’intensificarsi del fenomeno migratorio ed alla maggiore mobilità dei cittadini all’interno dell’Unione europea; fenomeni questi destinati a veder proliferare la presenza di nuclei familiari con membri appartenenti a differenti stati ed etnie1 . Parimenti va rilevata l’incidenza sul ridetto fenomeno del graduale – ma ormai radicato – mutamento della concezione familiarista2 che, dall’individuare nella donna l’unico soggetto deputato alla cura della casa e della prole, e come tale dipendente in toto, per lo più sotto il profilo economico, dall’attività lavorativa del coniuge, oggi ne vede accresciute le ambizioni e l’esigenza di spostamento al fine di ricercare una propria e adeguata autonomia reddituale ovvero il ritorno alle proprie radici familiari, spesso fonte del necessario sostegno morale e materiale venuto a mancare con la separazione. Fenomeno questo verosimilmente destinato ad accrescersi nel tempo anche in ragione del significativo cambio di rotta in tema di assegno divorzile che, seppur in ridimensionata misura rispetto alle originarie previsioni3 , vede ormai sempre più svincolato dal pregresso tenore di vita4 il contributo in favore del coniuge più debole, legandolo invece a criteri di inadeguatezza di mezzi da valutarsi esclusivamente nell’ambito degli stretti indicatori di cui al dettato normativo5 .



2. Diritto alla libera circolazione ed alla bigenitorialità: un arduo bilanciamento



Che la ragione alla base del trasferimento miri a dare attuazione ad aspirazioni di natura lavorativa o sociale del genitore poco rileva, atteso che il provvedimento giudiziale non potrà prescindere dall’assicurare a quest’ultimo il pieno diritto (di rango costituzionale) alla libera circolazione come pure alla individuazione di un diverso luogo di residenza, salvo le limitazioni legate a motivi di sicurezza o di sanità6 . Libertà queste che, in quanto espressione di quella personale riconosciuta ad ogni cittadino, si manifestano nella facoltà di ciascuno di spostarsi senza condizioni nell’ambito del territorio dello Stato per l’effetto del divieto imposto alle Regioni di adottare provvedimenti limitativi della libera circolazione. Al di fuori di detto territorio, la più ampia normativa comunitaria riconosce tali diritti non solo ai cittadini italiani ma anche a quelli dell’Unione europea7 e dei Paesi extraeuropei che si trovino legalmente nel territorio comunitario8 . Il diritto della persona a spostarsi liberamente, tuttavia, in presenza di figli minori, deve necessariamente confrontarsi (rectius, scontrarsi) con quello alla bigenitorialità, il quale permea l’intera disciplina codicistica e la giurisprudenza sul tema, atteso che esso ha trovato espressione già nella Convenzione sui Diritti del Fanciullo, dove si statuisce che “Gli Stati rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo”9 . La pregnanza riconosciuta alla bigenitorialità trova, in ogni caso oggi, la sua massima espressione nella norma del codice civile10 che da un lato riconosce al figlio il diritto di mantenere, anche a seguito della separazione dei genitori, un rapporto equi librato e continuativo con ciascuno di essi e dall’altro impone al magistrato, chiamato ad assumere i provvedimenti riguardo alla prole conseguenti alla separazione, di valutare la preferenza per l’affidamento condiviso dei figli in luogo di quello esclusivo. Sicché il contemperamento tra il diritto al libero trasferimento del genitore e quello alla bigenitorialità del figlio si rivela spesso di ardua attuazione, al punto da sfociare, non di rado, in episodi di sottrazione nazionale e internazionale, quando l’allontanamento dell’adulto insieme alla prole sia realizzato contro la volontà dell’altro genitore, se non all’insaputa di quest’ultimo. Un bilanciamento fra diritti che si misura altresì con la necessità per il giudice di rivedere in molti casi i provvedimenti inerenti l’affidamento e la allocazione dei minori in tutte le ipotesi di disaccordo tra le parti, atteso che dette questioni rientrano tra quelle di maggior interesse che i genitori avrebbero il dovere di assumere di comune accordo11 con l’obiettivo di salvaguardare il primario interesse della prole. Principi questi fermi nel nostro ordinamento ancor prima della recente riforma del diritto di famiglia e della disciplina sulla filiazione12, come emerge anche da pronunce di merito meno recenti13 in cui, armonizzando la previgente disciplina codicistica14 con quella internazionale15, si evidenzia che seppur il genitore ha piena libertà di spostare la propria residenza dove ritiene, egli deve parimenti tener conto non solo dei probabili riflessi di tale decisione sulla sfera degli interessi dei figli minori, ma anche della possibile lesione dei diritti del genitore coaffidatario. Pertanto, rappresentando la scelta della residenza della prole una decisione da condividersi tra i genitori, non può ritenersi ammissibile (in mancanza di una volontà comune o in presenza di un diniego al consenso) la decisione unilaterale di ciascuno di essi, giacché questa rappresenterebbe una grave inadempienza, sanzionabile con i provvedimenti ex art. 709-ter c.p.c.16. I principi testé affermati emergono con vigore pure dalla giurisprudenza di merito più recente17 dove si ribadisce come la scelta della residenza abituale del minore (che rappresenta uno degli “affari essenziali” nella vita del fanciullo) vada rimessa al giudice in caso di disaccordo dei genitori, con l’unica eccezione per l’ipotesi in cui sia stato fissato un regime di affidamento monogenitoriale con concentrazione delle competenze genitoriali18. Ne deriva che non potrebbe darsi rilievo, in simili fattispecie, al solo rispetto della norma statuente l’obbligo di comunicazione del trasferimento all’altro genitore19 – semmai riferibile all’ipotesi di cambio di residenza nell’ambito del medesimo Comune – inidonea ad avere ex se significativa incidenza sulle modalità di affidamento e del diritto di visita del genitore non allocatario o non affidatario dei minori.



3. The best interests of the child e la sua individuazione



Il tema della rilocazione della prole lascia quindi emergere con tutta evidenza l’arduo compito spesso demandato al magistrato, chiamato ad assumere le più confacenti determinazioni nell’ipotesi in cui il cambio di residenza comporti una modifica delle modalità di affidamento dei figli; ciò col primario obiettivo di perseguire l’interesse superiore del minore che dovrà sempre costituire il principale parametro di riferimento in tutte le sue decisioni considerando la sua identità e nazionalità, nonché le necessità inerenti la sua persona e gli elementi di particolare vulnerabilità20. Il giudice dovrà infatti valutare la sussistenza di un eventuale contrasto tra la volontà al trasferimento dichiarata o attuata in modo unilaterale dal genitore e l’interesse del figlio minore; sicché, per quanto la distanza tra i luoghi di abitazione dei genitori non rappresenti di per sé un elemento in grado di impedire la conservazione del regime dell’affidamento condiviso, tuttavia allorquando dal cambio di residenza possa conseguire un probabile pregiudizio del minore in ragione del suo sradicamento dagli ormai acquisiti riferimenti affettivi, ambientali e scolastici, il magistrato potrà legittimamente subordinare la conservazione del provvedimento di affidamento del minore alla rinunzia al trasferimento21. A riguardo, alcune recenti pronunce di legittimità chiariscono su quale fronte debbano orientarsi le valutazioni del giudice chiamato a decidere sull’istanza di rilocazione del minore. Il magistrato, infatti, in presenza di “scelte insindacabili sulla propria residenza” da parte degli esercenti la responsabilità genitoriale, ha il compito di valutare in via esclusiva la maggior rispondenza all’interesse del figlio alla allocazione presso l’uno o l’altro dei genitori, anche se tale scelta possa incidere negativamente sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario22. Una volta effettuata tale valutazione, il giudice dovrà semmai rimodulare i provvedimenti riguardanti le frequentazioni tra i minori e il genitore non allocatario, tanto più che “l’affidamento condiviso non impone una suddivisione perfettamente paritaria dei tempi di permanenza del figlio presso l’uno e l’altro genitore o una permanenza identica nei tempi nell’una dimora e nell’altra”23 e non può ragionevolmente ritenersi precluso dalla oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, la quale può tutt’al più incidere solo sui tempi e le modalità della presenza del minore presso ciascun genitore24.

Nel confermare tale orientamento, tuttavia, la Suprema Corte sposa il principio della c.d. maternal preference, affermando che primario interesse dei figli è quello di ricevere quella carica affettiva e quel senso di protezione che, specie nella delicata fase dei primi anni della crescita del minore, solo la figura materna è in grado di dare. Orientamento questo pure espresso dalla giurisprudenza di merito25 la quale chiarisce come, nel contesto di una istanza di trasferimento, la posizione dei genitori non va configurata come diritto bensì come “munus”, dovendo il giudice privilegiare quello che tra i due genitori appaia da un lato maggiormente in grado di ridurre i danni conseguenti alla disgregazione del nucleo familiare, dall’altro di garantire alla prole il miglior sviluppo della personalità. L’individuazione di tale genitore da parte del magistrato – attraverso l’indispensabile ausilio del consulente tecnico – deve avere alla base un “giudizio prognostico” che sappia individuare le capacità di ciascun genitore (educative, affettive, di attenzione, di comprensione, di disponibilità ad un rapporto assiduo) a crescere ed educare la prole nella nuova situazione di genitore singolo. Scelta questa che, se spesso ricade – segnatamente in presenza di minori di tenera età – sulla figura genitoriale materna, ma che tuttavia può comportare la necessità di modificare il collocamento prevalente del minore presso il padre allorquando il trasferimento voluto dalla madre potrebbe determinare nel figlio un disagio connesso all’insorgere delle molte difficoltà logistiche legate alla frequentazione della scuola ed allo svolgimento delle attività sportive e di vita sociale, tutte aventi un importante ruolo per una serena crescita del minore26. Va chiarito, tuttavia, che l’interesse del minore non va necessariamente individuato nell’assicurare al fanciullo la permanenza nel luogo di residenza abituale (la casa familiare e l’ambiente sociale in cui si è articolata la sua vita) ma va invece ricercato in soluzioni in grado di garantirgli una crescita armonica, espressione del diritto alla bigenitorialità. Appaiono rappresentative in tal senso alcune recenti pronunce in cui, parallelamente all’accoglimento dell’istanza di trasferimento del genitore, si reputa necessario rimodulare tempi e modalità di visita col genitore non allocatario. Nella specie in esse si ribadisce che la distanza tra i rispettivi luoghi di residenza non esclude l’esercizio condiviso delle responsabilità genitoriali, ma semmai suggerisce l’adozione di provvedimenti che prevedano l’esercizio separato di detta responsabilità nei rispettivi tempi di permanenza con la prole, limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione. La predetta distanza impone, peraltro, una collaborazione tra le parti che – specie ove il trasferimento sia attuato nonostante il dissenso dell’ex partner – preveda altresì un fattivo avvicinamento del genitore trasferitosi alle esigenze dell’altro, attraverso l’impegno a condurre e prelevare la prole nei periodi di frequentazione di quest’ultimo (week end, pause scolastiche, festività, ecc.)27. Dal suesposto quadro giurisprudenziale emerge con tutta evidenza l’ampia discrezionalità di cui dispone il giudice nel decidere sull’istanza di cambio di residenza al fine di perseguire il miglior interesse della prole; discrezionalità che tuttavia non può prescindere da alcuni fondamentali criteri di riferimento in materia di rilocazione a distanza di minori, egregiamente racchiusi in una pronuncia di merito meno recente la quale fornisce un elenco di parametri di cui tenere conto in presenza della suddetta fattispecie. Tali parametri, se pur non riferibili ad ipotesi tassative, possono certamente rappresentare un utile riferimento per il giudicante e per lo stesso avvocato, chiamati rispettivamente l’uno ad assumere i provvedimenti nell’interesse della prole e l’altro a valutare l’adeguatezza del percorso logico-giuridico che ha condotto alla pronuncia giudiziale28.



5. Difetto di competenza e giurisdizione: l’individuazione della residenza abituale del minore



Parametri di riferimento che peraltro non vanno intesi ad esclusivo appannaggio del giudice del luogo di residenza anagrafico-amministrativa del minore, atteso che, in tutti quei casi in cui l’autorità giudiziaria sia interpellata a trasferimento già attuato (nel territorio nazionale o all’estero), il primo compito del magistrato sarà quello di individuare il luogo di “residenza abituale del minore” al fine di valutare la sussistenza o meno della propria competenza territoriale e di un eventuale difetto di giurisdizione per i casi di trasferimento all’estero. Tale accertamento, infatti, è riservato alla valutazione del giudice del merito, incensurabile (se logicamente motivata) in sede di legittimità e non può basarsi sul mero riferimento ad un calcolo matematico del tempo che il minore ha trascorso sul territorio nazionale o estero29. E proprio in merito al criterio della “residenza abituale” appare significativa una recente pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite30 in cui gli Ermellini, pure richiamandosi a propri precedenti31, ne individuano rispettivamente la nozione nel “luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale”, come pure, nel “luogo in cui l’interessato abbia fissato con carattere di stabilità il centro permanente ed abituale dei propri interessi e relazioni” ed ancora nel “luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località della sua quotidiana vita di relazione”. Appare di tutta evidenza, pertanto, come la residenza abituale del minore al momento della introduzione della domanda giudiziale finisca col rappresentare un parametro essenziale nell’individuazione del giudice competente, sicché non potranno assumere alcun rilievo intervalli privi di significativa rilevanza dati dal trasferimento temporaneo della prole32 o anche la semplice residenza anagrafica, ma occorre una “prognosi sulla probabilità” che il luogo di rilocazione diventi per il fanciullo lo stabile ed effettivo centro dei suoi interessi e non sia, invece, destinato a restare sul piano della precarietà o anche un semplice espediente per sottrarsi alla disciplina riguardante la competenza per territorio33. Al pari, per come chiarito dalla ridetta pronuncia a Sezioni Unite, la normativa comunitaria, al fine di individuare la corretta giurisdizione tra quella italiana e quella del diverso Stato nelle domande inerenti la responsabilità genitoriale, prevede che l’accertamento in merito al luogo di residenza abituale del minore alla data della domanda debba ispirarsi al criterio della vicinanza34: sicché per accertare detto luogo sarà necessaria una valutazione, caso per caso, di circostanze concrete quali: la durata, la regolarità e i motivi del soggiorno nel territorio di uno Stato membro, la cittadinanza del minore, la frequenza scolastica e, in generale, le relazioni sociali e familiari35. Vieppiù che il Regolamento CE n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale36 attribuisce al giudice del luogo in cui il minore ha la residenza abituale l’esclusiva competenza a decidere sulle domande inerenti la responsabilità genitoriale37 nonostante la proposizione congiunta di quella di separazione personale, con l’effetto che potranno venire instaurati distinti e autonomi procedimenti civili e che dovrà escludersi la validità del consenso prestato dal genitore alla proroga della giurisdizione sulle domande relative al minore. In ogni caso, in base al principio della perpetuatio fori, nelle ipotesi di lecito trasferimento di un minore da uno Stato membro ad altro Stato membro che diventi la sua residenza abituale, resterà ferma la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro della precedente residenza, per un periodo di 3 mesi dal trasferimento, nei casi in cui debba essere modificato un provvedimento sul diritto di visita reso in detto Stato prima del trasferimento e il titolare del diritto di visita continui a risiedere abitualmente in tale Stato; fa eccezione il caso in cui il genitore con diritto di visita abbia “accettato la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui risiede abitualmente il minore partecipando ai procedimenti dinanzi ad esse senza contestarla”38. Vi sono peraltro ulteriori casi in cui il criterio della residenza abituale può essere superato ai fini della individuazione dell’autorità giurisdizionale competente, sempre in ragione della primaria esigenza di un equo bilanciamento tra il perseguimento del best interests of the child ed un più corretto ed agevole sviluppo dell’attività processuale, stante la necessità per il giudice, operante in luogo distante da quello in cui dimora abitualmente il minore, di compiere la necessaria attività istruttoria propedeutica ai provvedimenti da adottare39.



6. Sottrazione del minore e configurabilità del reato



Le problematiche inerenti le questioni di competenza e giurisdizione nelle fattispecie riguardanti la rilocazione della prole si intrecciano sovente con quella che rappresenta in molti casi l’altra faccia della medesima medaglia: quella della sottrazione (nazionale o internazionale) di minori. Fenomeno questo che si configura in tutte quelle ipotesi in cui il genitore separato, sul quale corre l’obbligo di attivarsi correttamente ed efficacemente per consentire l’esercizio dei diritti riconosciuti all’altro genitore40, si allontani dal domicilio stabilito trasferendo altrove la residenza della prole minorenne all’insaputa e contro la volontà dell’altro genitore, allorquando tale condotta sia di impedimento all’esercizio delle diverse manifestazioni della responsabilità genitoriale41. Tali condotte da un lato integrano una specifica fattispecie di reato e dall’altro legittimano il genitore privato della possibilità di relazionarsi con la prole a promuovere una istanza giudiziale di rientro del minore presso la residenza abituale. Sotto il primo dei suddetti profili, il codice penale prevede, nell’ambito dei delitti contro l’assistenza familiare, alcune fattispecie delittuose caratterizzate da condotte di sottrazione di un minorenne (o persona incapace) agli esercenti la responsabilità genitoriale. Fattispecie che, nonostante l’avverbio “chiunque”, sono da ricondursi nella maggior parte dei casi a specifiche ipotesi di sottrazione di minori avvenute ad iniziativa di un genitore nei confronti dell’altro a seguito della separazione. Tali norme puniscono la sottrazione consensuale di minore ultraquattordicenne, quella dell’infraquattordicenne (o di una persona incapace per infermità) e dell’ultraquattordicenne avvenuta senza il suo consenso, ed infine, la sottrazione del minore condotto o trattenuto all’estero contro la propria volontà42; fattispecie quest’ultima pure punita con la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale quando in cui i fatti siano commessi da un genitore in danno del figlio minore. Tutte ipotesi delittuose caratterizzate da valenza plurioffensiva giacché individuano la vittima del reato non solo nei genitori, privati della possibilità di pieno esercizio della responsabilità genitoriale attraverso l’instaurazione di un rapporto con i figli caratterizzato da assistenza, affetto e supporto educativo, ma anche nello stesso minore, privato delle essenziali funzioni di cura, educazione e sostegno di entrambi i genitori. Ne consegue che i comportamenti di “sottrazione” sono configurabili quali fattispecie di reato anche quando la condotta del genitore, ancorché non separato o non convivente, trattenga la prole presso di sé senza il consenso dell’altro, in tal modo precludendo l’esercizio della responsabilità genitoriale per un adeguato lasso di tempo43. Di contro, il reato non può ritenersi sussistente nei casi in cui, pur avendo un genitore trattenuto la prole presso di sé, così violando un provvedimento giudiziario sull’affidamento, non abbia tuttavia impedito gli incontri del minore con l’altro genitore44 e neppure quando la condotta consista nel rifiuto alla consegna del figlio da parte di un genitore all’altro, se il trattenimento del minore sia stato limitato a poche ore45. Quanto ai casi di sottrazione internazionale, essi sono configurabili non solo in tutte quelle ipotesi in cui un minore, avendo la residenza abituale in un determinato Stato, è condotto in diverso Stato senza il consenso dell’esercente la responsabilità genitoriale, ma anche in quelle (definite di “mancato rientro”) in cui il minore è trattenuto in uno Stato diverso da quello di residenza abituale46; sotto questo secondo profilo deve ritenersi integrata la fattispecie di reato anche allorquando il trasferimento con la prole sia stato comunicato all’altro genitore e questi abbia apertamente manifestato il proprio dissenso47. Ciascuna delle suddette fattispecie può trovare i necessari strumenti internazionali di risoluzione in ambito civile grazie alla ratifica di alcuni accordi internazionali48 a cui l’interessato potrà ricorrere in ragione della loro maggiore adeguatezza a definire la questione; tra le Convenzioni infatti non sussiste un ordine gerarchico o di priorità di utilizzo49. In tutti i casi di sottrazione internazionale, infatti, il primario obiettivo è quello di garantire, tramite l’attivazione di un sistema di protezione sovranazionale, l’immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente o membro e, al pari, quello di dare effettività ai diritti di affidamento e di visita riconosciuti dalla disciplina normativa nazionale, nel rispetto del best interest del fanciullo il quale, se pur soggetto particolarmente vulnerabile, è considerato titolare di autonomi diritti.



7. L’ordine di rimpatrio del minore e cause di esclusione



L’enorme portata del fenomeno delle sottrazioni nazionali e internazionali di minori impone dunque la necessità di attivarsi immediatamente in un’azione diretta a ripristinare la situazione illecitamente determinata al fine di evitargli ogni pregiudizio, anche di tipo psicologico, derivante dallo sradicamento dall’abituale contesto socio-familiare e territoriale. A tal fine, la normativa riguardante le ipotesi di sottrazione internazionale prevede la creazione di una articolata rete di cooperazione fra Stati membri ed aderenti finalizzata ad una quanto più celere risoluzione del problema al fine sia di ridurre i danni sul minore derivanti dalla privazione delle frequentazioni di un genitore50, sia di impedire che il fanciullo si radichi nella nuova realtà, così rendendo più difficoltoso, quando non traumatico, il suo rientro nell’originario luogo di residenza. Con tale obiettivo, la Convenzione dell’Aja del 1980 stabilisce che l’autorità dello Stato di illecito trasferimento del minore debba ordinarne l’immediato ritorno nel Paese di residenza abituale a prescindere da qualsivoglia indagine in merito al suo affidamento (le cui decisioni invece restano riservate al foro dello Stato di residenza abituale, certamente più indicato ad assumere provvedimenti in merito). Competerà pertanto a detta autorità decidere sulla istanza di rientro e parimenti istruire il procedimento sul ritorno del minore; procedimento rispetto al quale risulta di particolare importanza il problema del decorso del tempo, atteso che quando la domanda di rientro sia presentata entro un anno, si ha una presunzione assoluta che il ritorno sia vantaggioso per il minore. Sicché le autorità competenti, una volta riscontrato che il minore è stato illecitamente trasferito, sono tenute ad adoperarsi con sforzi adeguati ed efficaci per assicurare il ritorno del fanciullo presso la residenza abituale nel più breve tempo possibile. Decorso, invece, un anno dall’illecito trasferimento o qualora risulti che il minore si sia inserito nella nuova realtà familiare e socio-culturale, le autorità, allo scopo di evitare al minore il trauma di un ulteriore sdradicamento dal nuovo ambiente, potranno respingere la richiesta di rimpatrio51, ritenendo la permanenza nel diverso luogo maggiormente vantaggiosa rispetto al rientro ai fini di un corretto sviluppo psico-fisico del fanciullo. La Convenzione prevede poi ulteriori ipotesi in presenza delle quali l’obbligo di restituzione del minore viene sottoposto a valutazioni di merito e di opportunità, sicché l’autorità, ritenendone sussistenti le condizioni, potrà derogare in via eccezionale all’obbligo di ritorno tenuto conto che l’obiettivo della disciplina generale rimane quello della protezione del minore52. Esse, più in particolare, sono riferibili a casi tassativi in cui: a) chi si oppone al rimpatrio dia prova che il soggetto che, al momento del trasferimento o del mancato rientro, aveva il minore in affidamento non esercitava tale diritto in modo effettivo (sempre che ciò non derivi dall’impossibilità di esercitarlo conseguente all’avvenuta sottrazione) ovvero chi denuncia la sottrazione avesse dato, in un successivo momento, il consenso al trasferimento o al mancato ritorno53;

b) o ancora che sussista un fondato rischio che il minore venga esposto, per l’effetto del ritorno, a pericoli fisici e psichici o ad una situazione intollerabile (si pensi a maltrattamenti o abusi, in grado di ledere o porre in pericolo l’incolumità personale, la libertà e la dignità del minore): il rischio di tale danno, per rilevare come causa di esclusione dell’obbligo di rimpatrio, deve essere di elevata probabilità e il danno psichico di elevata natura e intensità, non potendo bastare ad impedire l’ordine di rientro, “il trauma psicologico ossia la semplice sofferenza morale (o pena o nostalgia) per il distacco dal genitore autore della sottrazione abusiva ed a prescindere dalla sussistenza di un buon legame affettivo anche con l’altro genitore”54.

c) o che, sussistendo la volontà del minore di opporsi al ritorno, è opportuno tener conto del suo parere per l’età ed il grado di maturità55; profilo questo rispetto al quale, nell’indagine sul raggiungimento da parte del minore di un’adeguata capacità di discernimento al fine di esprimere una volontà idonea a opporsi al rimpatrio, il giudice non ha l’obbligo di procedere all’audizione del fanciullo attraverso specifiche modalità (quali ad es. l’esperimento di una consulenza tecnica d’ufficio), ma è sufficiente che dia adeguata motivazione alle ragioni del rifiuto essendo tale materia caratterizzata dall’urgenza di provvedere56. Tuttavia, allo scopo di evitare che il genitore che ha attuato l’illecito trasferimento possa ottenere, in pendenza del giudizio sull’istanza di rimpatrio o ancor prima della relativa istanza, un provvedimento relativo all’affidamento in proprio favore del minore, la Convenzione dell’Aja prescrive che volta accertata, sulla base delle norme del singolo paese, l’integrazione del minore nel nuovo Stato di residenza, non sarà più possibile disporne il rimpatrio57. La Convenzione, peraltro, in un’ottica di prevenzione al fenomeno della sottrazione internazionale, prevede una disciplina volta a rendere effettivo il diritto di visita anche nei casi di lecito trasferimento ed a favorire, a tale scopo, la cooperazione tra le autorità centrali. Sicché potrà essere inoltrata all’Autorità centrale di uno Stato contraente una domanda concernente l’organizzazione o la tutela dell’esercizio del diritto di visita con le medesime modalità previste per la domanda di rientro del minore58. Al di fuori dei casi di applicabilità della Convenzione dell’Aja, le previsioni in essa contenute hanno altresì ispirato numerose convenzioni regionali e bilaterali e dichiarazioni di principio pure concluse tra gli Stati non membri, al fine di garantire l’immediato rientro del minore nel luogo di residenza abituale la cui autorità dovrà decidere sul suo affidamento.



8. Il rispetto alla vita privata e familiare: le condanne della CEDU



Le problematiche connesse alla rilocazione dei minori conseguente alla disgregazione della famiglia si legano pure strettamente a quelle del contemperamento tra la disciplina in tema di sottrazione internazionale di minori ed i principi affermati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che, in particolare, all’art. 8 sancisce il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita familiare59. Tale norma si pone non solo quale divieto di ingerenze arbitrarie da parte dei poteri pubblici ma altresì come fonte di obblighi attivi quali l’adozione di misure volte a rendere effettivo l’esercizio di un diritto da parte dell’individuo. E proprio con riguardo alla necessità di dare concreta pienezza ed attuazione al ruolo di ciascun esercente la responsabilità genitoriale, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha posto nelle sue pronunce tale diritto quale garanzia di un genitore di vedere adottate le misure che gli permettano di relazionarsi con i propri figli e ha statuito l’obbligo per le autorità statali di agire in tal senso. E così, ad esempio, i giudici di Strasburgo – nel decidere riguardo alla dedotta violazione di tale principio da parte di un padre ostacolato dall’ex moglie nelle frequentazioni con la figlia60 – ricordano che la necessità di adottare una decisione in merito a diritti quali quelli sanciti dalla suddetta Convenzione impone “una diligenza e una rapidità supplementari”, talché qualsiasi ritardo procedurale ingiustificato integra la violazione dell’art. 8 CEDU atteso che il trascorrere del tempo può incidere irrimediabilmente sulle frequentazioni tra il fanciullo e il genitore con lui non convivente61, rischiando la conseguenza ultima di porre fine alla questione in contestazione. Parimenti, sotto il profilo dell’inadempimento degli obblighi positivi procedurali dello Stato, la Corte ha evidenziato che per un genitore e suo figlio stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare e che delle misure interne che lo impediscano costituiscono una ingerenza nel diritto protetto dall’articolo 8 della Convenzione62. Se, infatti, tale norma si pone il primario obiettivo di tutelare l’individuo da possibili ingerenze dei pubblici poteri, essa non stabilisce semplicemente un limite allo Stato di astenersi da tali ingerenze, ma impone altresì di attivarsi concretamente per consentire il rispetto effettivo della vita privata o familiare63 attraverso la predisposizione di strumenti giuridici in grado di consentire l’adozione di misure idonee non solo a favorire le frequentazioni tra genitore e figlio – anche quando sussista una conflittualità tra i genitori – ma pure di tutte le misure propedeutiche al raggiungimento di tale obiettivo. In entrambi i casi, non potrà prescindersi dal considerare che l’interesse superiore del minore deve rappresentare il primario riferimento.

I giudici di Strasburgo hanno così più volte condannato il nostro Paese al risarcimento del danno64 per non essere stato in grado di tutelare con misure adeguate le relazioni parentali che vedevano coinvolti minori, indebitamente allontanati da uno dei genitori e dalla relativa rete familiare, invitando l’Italia a dotarsi di un adeguato sistema giuridico in grado di favorire il rispetto del diritto alla bigenitorialità piuttosto che adottare nella maggior parte dei casi “misure automatiche e stereotipate” (quali ad es. la delega ai servizi sociali in merito alla gestione degli incontri tra padre e figlio, resi impossibili dalla contrarietà della madre). Un obiettivo che, secondo la Corte di Strasburgo, può realizzarsi anche attraverso un’iniziativa dei servizi sociali che ponga in essere un progetto di sostegno per aiutare gli ex coniugi a migliorare le rispettive capacità genitoriali.



9. Il ruolo della mediazione familiare nei casi di rilocazione e sottrazione di minori



Il richiamo della Corte di Strasburgo all’utilizzo di strumenti non stereotipati capaci di dare concreta attuazione alla necessaria continuità e stabilità della relazione tra i genitori e i figli rende doverosa, nell’ambito del presente studio, una disamina dell’istituto della mediazione familiare65 che ben può trovare applicazione nelle ipotesi di conflitti in grado di coinvolgere la prole in procedimenti giudiziari quali quelli relativi ai casi di sottrazione di minori e di regolamentazione del diritto di visita. A riguardo giova segnalare in primis che l’opportunità di fare ricorso, nelle suddette fattispecie, a strumenti di risoluzione delle controversie alternativi al giudizio è affermata nel diversificato contesto giurisprudenziale e normativo nazionale ed internazionale. Con particolare riferimento alla giurisprudenza nazionale sul tema, pronunce di merito piuttosto recenti66, hanno ricordato che il Tribunale per i minorenni rappresenta l’organo giudiziario deputato a farsi garante della realizzazione di un diritto che ora è “per i minori” (e non più “su i minori”), i quali non possono ormai da tempo considerarsi semplice oggetto di protezione, come avveniva in passato, ma piuttosto veri e propri titolari di diritti67. Con tale finalità il giudice minorile deve utilizzare “tutti gli istituti giuridici ritenuti significativi” sicché, in contesti nei quali il procedimento previsto dalla Convenzione dell’Aja si pone l’obiettivo di ottenere un celere ordine di rimpatrio del minore che sia stato allontanato dalla propria residenza abituale in modo illecito, compito del giudice minorile – tenuto conto del quadro normativo, della condizione personale dei genitori, dello stato del minore, nonché dell’evolversi della specifica vicenda – è quello di svolgere una indagine accurata, da effettuarsi caso per caso, circa le possibilità concrete che venga data attuazione a quello che rappresenta l’interesse preminente del fanciullo: “vivere con entrambi i genitori”. Tale obiettivo va perseguito – sottolineano i giudici minorili – “principalmente attraverso un autoregolamentazione del ménage familiare anziché con una imposizione giudiziale esterna”, facendo uso di strumenti, anche stragiudiziali di risoluzione del conflitto familiare. Nello svolgimento di detta indagine (che deve essere di natura concreta e non invece basata su misure stereotipate) il magistrato, conformemente ai solleciti in sede di cooperazione nazionale e internazionale, dovrà prospettare alle parti la possibilità di ricorrere all’ausilio della mediazione familiare, avendone previamente illustrato le relative finalità. Tale strumento, infatti, consente una rivisitazione del conflitto al di fuori del contesto giudiziario, senza quindi porsi l’obiettivo del risarcimento del danno ovvero del ripristino della situazione preesistente alla lite, bensì quello di districare i nodi del conflitto in modo da liberare la prole dalle tensioni legate ai litigi genitoriali connessi alla sua collocazione geografica. Il ricorso alla mediazione familiare non priva in ogni caso lo stesso giudice minorile del potere di esperire un, anche informale, tentativo di conciliazione tra i genitori, eventualmente sottoponendo alla loro attenzione eventuali condizioni di vita ritenute in grado di “soddisfare l’esigenza genitoriale delle parti, sia pure nell’esclusivo interesse preminente del minore”, il quale potrà indubbiamente ricevere miglior tutela quando entrambi i genitori abbiano la possibilità di esercitare in modo concreto la responsabilità genitoriale. Ove poi venga rappresentata dalle parti la disponibilità alla ricerca di un accordo, il Tribunale minorile ha il dovere di compiere tutti gli sforzi necessari a permettere una risoluzione bonaria della lite. Non va infatti trascurata la circostanza che il provvedimento giudiziale, qualora fosse accertata la sussistenza della sottrazione, comporterebbe da un lato l’ordine di rientro del minore presso la residenza abituale (sempre che ciò si appalesi conforme al suo interesse) e di contro, ove detta sottrazione non fosse ritenuta sussistente, si tradurrebbe in un “non luogo a provvedere”. In entrambe le ipotesi – ribadiscono le ridette pronunce – l’intervento del giudice contribuirebbe alla permanenza del conflitto genitoriale (destinato, in quanto tale, a ledere la serenità dei figli) in contrasto con l’obiettivo di perseguire il miglior interesse per il minore; interesse questo che non necessariamente implica la riconciliazione dei genitori ma certamente una messa in discussione degli assetti familiari da parte degli stessi al fine di ricercare la soluzione più confacente al benessere della prole. Peraltro, se anche la legge non fa espresso richiamo all’istituto della mediazione familiare rispetto a fattispecie di sottrazione di minori, detto strumento – sottolineano i giudici minorili – trova largo utilizzo sul fronte europeo68 nel contesto delle liti genitoriali internazionali. Difatti, secondo la normativa europea, nei casi di sottrazione internazionale di minori, una delle funzioni delle Autorità centrali è quella di attivarsi al fine di favorire un accordo tra gli esercenti la responsabilità genitoriale attraverso l’ausilio della mediazione o di altri strumenti (alternativi a quelli giurisdizionali) idonei alla risoluzione dei conflitti familiari69. Il mediatore, infatti, ha il compito di assistere le parti in contrasto senza tuttavia avere alcun potere di adottare o imporre il rispetto delle decisioni ma semmai di favorire la loro libertà di autodeterminarsi. Ed è su diversi fronti che tale istituto trova sostegno e promozione. In primis, le sollecitazioni provengono dalla sede della cooperazione europea e internazionale anche in virtù della Guida alle buone prassi pubblicata dalla Conferenza dell’Aja e diramata dal Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità a tutti gli organi giudiziari minorili italiani70. Inoltre, nell’ambito della Convenzione Europea sull’esercizio dei Diritti dei Minori, il ricorso alla mediazione e ad ogni altro metodo di soluzione dei conflitti viene promosso imponendo agli Stati contraenti di incoraggiare l’attuazione della mediazione per raggiungere un accordo nei casi in cui si ritenga opportuno, con la finalità di prevenzione e risoluzione delle controversie anche al fine di evitare il coinvolgimento dei minori nei procedimenti giudiziari71. Analogamente, alcune raccomandazioni del Consiglio d’Europa72 individuano nella mediazione familiare uno strumento appropriato alla risoluzione dei conflitti familiari trattandosi di un mezzo atto a favorire il raggiungimento di una conclusione accettabile senza discutere “in termini di colpa o di responsabilità” delle parti confliggenti nell’ambito di questioni peculiari in quanto relative a “persone che avranno rapporti interdipendenti e continui”. Ivi si legge infatti che l’obiettivo primario di questo strumento “non è quello di alleggerire il carico dei tribunali, ma di ristabilire, con l’aiuto di un professionista formato nella mediazione, la carenza di comunicazione tra le parti”. Sullo stesso fronte si orienta la Convenzione del Consiglio d’Europa del 2003 sulle relazioni personali che riguardano i fanciulli73, dove viene sancito il dovere per le autorità giudiziarie di fare ricorso a ogni misura atta ad “incoraggiare” tutti coloro che hanno legami familiari con il minore a raggiungere “accordi amichevoli” riguardo alle relazioni personali con quest’ultimo, ricorrendo in particolare, alla mediazione familiare, come pure ad altri strumenti di risoluzione delle controversie. Un ruolo rilevante è pure rivestito nei casi di sottrazione internazionale dalla figura del coordinatore (già mediatore) del Parlamento europeo74, la cui figura, evolutasi negli anni, è sorta in un periodo in cui la collaborazione tra gli Stati membri dell’Unione europea era quasi assente nell’ambito della materia del diritto di famiglia. Il suo compito è quello di contribuire al raggiungimento di soluzioni reciprocamente accettabili nell’interesse superiore del fanciullo attraverso la promozione della mediazione in casi di sottrazione di minori o in diverse controversie familiari transfrontaliere (come quelle relative al diritto di visita) ed una più stretta collaborazione con gli organi giudiziari e amministrativi. Risulta di tutta evidenza, pertanto, come l’istituto della mediazione familiare può rappresentare un mezzo di prevenzione se non di “cura” non solo nel generico contesto delle liti genitoriali ma anche in quello più specifico di fenomeni di sottrazione, in quanto capace di favorire, per la sua assoluta adattabilità alle singole fattispecie, la risoluzione dei conflitti genitoriali. Basti solo pensare alla sua potenziale capacità di dare concreta attuazione al diritto del fanciullo di poter avere costanti contatti (quantomeno telefonici o skype) con il genitore dal quale sia stato forzatamente allontanato. Ciò premesso non si possono, tuttavia, ignorare i rischi connessi ad un uso improprio di questo strumento in quelle fattispecie nelle quali invece le specifiche circostanze impongano l’esclusivo ricorso al procedimento giurisdizionale; va infatti considerato che non tutti i casi di conflittualità sono “mediabili”, specie quelli ove le parti presentino un grave grado di litigiosità talvolta anche legato alla presenza di particolari disturbi della personalità o di forme di dipendenza. In tali casi, tuttavia, non può non rilevarsi come oggi sia possibile attingere, nel ventaglio offerto dalle diversificate forme di ADR, all’ulteriore istituto, di derivazione statunitense, della coordinazione genitoriale75, il quale negli ultimi anni ha trovato applicazione anche in Italia ad iniziativa di vari giudici di merito76; la sua funzione è proprio quella di prevenire, nelle ipotesi di esasperata conflittualità della coppia – rispetto alle quali tuttavia non siano stati disposti provvedimenti ablativi o fortemente limitativi della responsabilità genitoriale – l’inutile ricorso ad ulteriori iniziative giudiziarie tese ad evitare lo “stallo” delle decisioni inerenti le questioni di maggior interesse per la vita dei figli e rispetto alle quali l’intervento giudiziale risulterebbe, in molti casi, estraneo al thema decidendum del processo77. Il coordinatore genitoriale, a differenza del mediatore familiare, può accompagnare i genitori anche in caso di persistenti difficoltà relazionali, affiancandoli nel tempo nella gestione della relazione con la prole e nell’assunzione delle scelte fondamentali che la riguarda. Egli è chiamato così a farsi garante della concreta attuazione della rete di protezione e di sostegno già individuata dal giudice nell’interesse del minore, anche mediante l’assunzione di provvedimenti riguardanti specifici ambiti di vita dei figli. Ed in effetti l’intervento del coordinatore genitoriale è collocabile, sotto il profilo temporale, nell’ambito di una fase di esito (anche provvisorio) di un contenzioso giudiziario, sicché egli, pure in sinergia con gli stessi avvocati78 della coppia genitoriale, opera al fine di ricostruire le relazioni familiari compromesse dall’alta conflittualità, alla luce delle consulenze tecniche e delle decisioni giudiziali già assunte. D’altra parte, se l’obiettivo ultimo resta sempre quello di protezione del fanciullo, non può non considerarsi che “la costruzione dei diritti dell’infanzia passa necessariamente attraverso il cambiamento dell’adulto e la sua volontà di riconoscere l’identità di un minore, anche al fine di rispondere ai suoi bisogni primari di protezione ed educazione”79. Ma tale riconoscimento difficilmente può avvenire nello stretto ambito giudiziale dove, specie dinanzi all’alta conflittualità e al reciproco discredito che di solito accompagna la coppia genitoriale al fallimento della propria unione, gli strumenti processuali si limitano ad individuare soluzioni meramente contenitive del conflitto che si rivelano del tutto inidonee a dare attenzione alle relazioni e voce ai bisogni delle persone. Il conflitto rappresenta invece una modalità – seppur disfunzionale – di relazione e solo un percorso capace di dare alle parti il giusto tempo e spazio per il dialogo e l’ascolto può essere in grado di condurre l’adulto ad un cambiamento che sappia attribuirgli la capacità di riconoscere i bisogni dei figli al di là dei propri.

NOTE

1 In base ai dati forniti dall’Istat con report del 14 novembre 2016, i matrimoni in cui almeno uno dei due sposi è di cittadinanza straniera sono circa 24.000 (12,4% delle nozze celebrate nel 2015). https://www.istat.it/it/files//2016/11/matrimoni-separazioni-divorzi-2015.pdf.

2 P. paSSaniti, Diritto di famiglia e ordine sociale. Il percorso storico della “società coniugale” in Italia, Milano, 2011.

3 In Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2017 n. 11504, il giudizio di inadeguatezza del coniuge più debole viene ricondotto alla non autosufficienza economica.

4 Cass. civ., sez. UU, 29 novembre 1990 n 11490, in Foro it., 114, 1991, parte prima, 67-92 con nota di E. QuaDri e V. Carbone.

5 In Cass. civ., sez. UU, 11 luglio 2018, n. 18287, il criterio di non adeguatezza viene collegato agli indicatori elencati nell’art 5 comma 6 legge sul divorzio. Si veda: G. DoSi in Lessico di diritto di famiglia, voce Come applicare la sentenza delle Sezioni Unite 18287/18.

6 Artt. 16, 120 co. 1 e 13 Cost.

7 Art. 21 n. 1, Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, in Gazz. Uff. dell’Unione Europea, su eur-lex.europa.eu.

8 Art. 45 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea (anche nota come Carta di Nizza) in Gazz. Uff. delle Comunità europee.

9 Art. 9.3 Convenzione universale di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176.

10 Art. 337-ter co. 1 e 2 c.c.

11 Ai sensi dell’art art. 316 co. 1 c.c.

12 Ai sensi della l. 10 dicembre 2012, n. 219 recante Disposizioni in materia

di riconoscimento di figli naturali e del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 recante Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della l. 10 dicembre 2012, n. 219.

13 Ex multis: App. Napoli, 17 ottobre 2008 in www.minoriefamiglia.it.

14 Artt. 155-quater co. 2 c.c. e 155 co 3 c.c.

15 Art. 5 Convenzione dell’Aja del 25 ottobre del 1980 e art. 2 n. 9 del Re-

golamento CE 2201/03.

16 Si veda Trib. Pisa 20 dicembre 2006, in Fam. dir., 2007, 1051 ss., con

nota di A. iannaCone, Affidamento condiviso e mantenimento della residenza dei figli, secondo cui il trasferimento di residenza dei minori, attuato in modo unilaterale e arbitrario dalla madre, rappresenta una condotta sanzionabile ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c., in quanto costituisce “quanto meno ostacolo al corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento”.

17 Ex multis: Trib. Torino, sez. VII civ., 5 giugno 2015 in www.ilcaso.it, massima a cura di G. buffone.

18 Art. 337-quater comma 3 c.c.

19 Ex art. 337-sexies comma 2 c.c.

20 Art. 3 Convenzione di New York, cit.; R. rivello, L’interesse del minore fra diritto internazionale e multiculturalità, in Minori e giustizia, 2011, 3, 15-27, in part. 17 ss.

21 Ex multis: Trib. Min. Bologna, 6 febbraio 2007, in Famiglia e diritto, 2007, 813 con nota di A. arCieri, Ancora in tema di diritto del minore alla bigenitorialità e libertà dei genitori di trasferire la residenza.

22 In tal senso: Cass. civ., sez. I, 14 settembre 2016 n. 18087, in www.ilcaso. it, massima a cura di G. buffone e Cass. civ., sez. I, sent. 3 febbraio 12 maggio 2015, n. 9633 in www.dirittoegiustizia.it.

23 Trib. Messina, sez. I, 27 novembre 2012, in Il corriere del merito, 2013, 495, 5.

24 Cass. civ, sez. I. 12 febbraio 6 marzo 2019 n. 6535 in www.dirittifondamentali.it.; Cass. civ. sez. I, 14 settembre 2016, in Foro it. 2016, I, 3448, nota di G. CaSaburi, Responsabilità genitoriale e diritti e doveri del figlio, figlio minore, collocamento, mutamento di residenza di un genitore, in Guida al diritto 2016, 41, 36 con nota di M. fiorini, Necessario preservare la continuità delle relazioni e in www.ilfamiliarista.it, con nota di R. roSSi.

25 Ex multis: App. Ancona, sez. II, 27 dicembre 2016 n. 2341 in www.altalex.com.

26 Trib. Civitavecchia, 9 aprile 2018 in www.osservatoriofamiglia.it.

27 Trib. Gorizia, 13 febbraio 2018 n. 38 e Trib. Gorizia, 4 luglio 2017, in

www.osservatoriofamiglia.it.

28 In Trib. Milano, sez. IX civ., 12 agosto 2014, in www.ilcaso.it, massima a cura di G. buffone, si elencano otto criteri oggettivi di riferimento in tema di rilocazione del minore, collaudati nella letteratura nazionale e internazionale di settore: 1) Il giudice deve primariamente procedere ad una valutazione delle motivazioni che hanno determinato la richiesta di trasferimento del genitore collocatario o affidatario della prole: motivazioni che devono avere natura sostanziale, non basandosi esclusivamente su occasioni di lavoro maggiormente remunerative per il genitore o sulla circostanza che l’inserimento nel nuovo ambiente sociale possa offrire all’adulto (e a lui solo) maggiore sicurezza rispetto a quella offerta dall’ambiente in cui ha vissuto col minore prima della formulata istanza; 2) Il magistrato è altresì tenuto a valutare modalità e tempi attraverso i quali il genitore che chiede di essere autorizzato al cambio di residenza con la prole sia in grado di assicurare l’effettiva frequentazione tra i figli e l’altro genitore: deve trattarsi, sottolinea la pronuncia, di condizioni di realistica fattibilità e non tali da costringere il genitore non allocatario ad uno stravolgimento delle proprie abitudini di vita o anche ad affrontare sforzi economici insostenibili o, in ogni caso, del tutto sproporzionati alle proprie capacità reddituali; 3) Ancora il giudice deve tener conto della eventuale disponibilità manifestata anche dal genitore non allocatario a trasferirsi nel nuovo luogo di residenza; disponibilità che, tuttavia, non potrà subire alcuna forzatura da parte del giudicante ma che, quando non esclusa (in quanto concretamente attuabile), potrà consentire a quest’ultimo di vagliare sia l’apertura del genitore al cambiamento dei propri riferimenti lavorativi e sociali per rafforzare il proprio legame con i figli, sia di accertare che l’istanza di cambio di residenza non abbia come obiettivo quello di ostacolare le frequentazioni tra l’altro genitore e i minori; 5) Altro parametro di riferimento per il magistrato è la valutazione della incidenza del trasferimento sulla salvaguardia delle relazioni del minore rispetto alle diverse figure parentali e affettive; figure che permettono al figlio di definire la sua identità familiare, conservando la memoria e riconoscibilità delle proprie origini culturali, sociali e geografiche; 6) Ulteriore imprescindibile criterio di riferimento per il giudice è rappresentato dalla ponderazione (da effettuarsi anche in prospettiva) circa i probabili effetti sul figlio della disponenda rilocazione rispetto al necessario bisogno del fanciullo di stabilità ambientale, emotiva, psicologica e relazionale: con tale obiettivo il magistrato dovrà vagliare se la istanza di trasferimento del genitore possa considerarsi o meno definitiva; 7) Ancora il magistrato sarà chiamato a raffrontare le caratteristiche dell’ambiente sociale e familiare del luogo di residenza della prole con quelle in cui si intende attuare il trasferimento: si pensi non solo alla diversità tra la realtà metropolitana e quella, ben più circoscritta, di un piccolo paese ma anche alla possibilità o meno che, in detta realtà, la prole possa contare su figure di riferimento; 9) Altro criterio da tenere in debito conto ai fini della decisione è rappresentato dall’età del figlio, atteso che quanto più piccolo è il fanciullo tanto più sussiste il rischio che questi possa veder minata la conservazione di un rapporto significativo con il genitore non allocatario; più nello specifico sarà compito del giudice procedere non solo all’analisi del tipo di rapporto già in atto tra genitore e figlio, ma anche a quella del suo sviluppo nel tempo; 10) In ultimo, ma non per importanza, sarà compito del magistrato valutare, a seguito dell’ascolto del minore, la volontà espressa dal figlio, la cui maturità e sviluppo psicofisico saranno ritenuti tanto più elevati quanto maggiore sia la sua età.

29 Cass. civ. sez. UU., 18 marzo 2016 n. 5418, in Foro it., Rep. 2016, voce Responsabilità genitoriale, n. 18; Cass. sez. UU., 2 agosto 2011, n. 16864, in Foro it., Rep. cit., voce Minore, infanzia e maternità n. 39, e in Famiglia e dir., 2012, 29, con nota di A. liuzzi, Sulla giurisdizione ad emettere provvedimenti de potestate in caso di trasferimento di minori.

30 Cass. civ., sez. UU, 10 febbraio 2017 n. 3555, in www.ilcaso.it, massima a cura di G. buffone.

31 Cass. civ., sez. UU, 13 febbraio 2012 n. 1984, Rep. 2012, voce Giurisdizione civile, n. 132, e Giust. civ., 2012, I, 915; Cass. civ., 19 ottobre 2006 n. 22507 in Famiglia e minori, 2007, 1, 73.

32 Cass. civ, sez. UU, 7 settembre 2016 n. 17676 in www.eclegal.it, con nota di M. aDorno, Separazione personale tra coniugi di nazionalità diversa e responsabilità genitoriale: la giurisdizione si scinde se il minore risiede all’estero, e in Guida al dir., 2016, 40, 40, con nota di M. finoCChiaro, Quelle perplessità di una decisione ineccepibile.

33 Cass. civ., sez. VI, 15 dicembre 2017 n. 30219 in www.dirittoegiustizia.it.

34 Art. 8, n. 1 Regolamento U.E. n. 2201/2003; F. Danovi, Sottrazione inter-

nazionale di minori e conflitti di giurisdizione, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2000, 3, 1143-1160; M. Mellone, La nozione di residenza abituale e la sua interpretazione nelle norme di conflitto comunitarie, in Rivista di Diritto internazionale privato e processuale, 2010, 3, 685-716.

35 In Corte giustizia, sez. III, 2 aprile 2009, A. in causa 523/2007 in Racc., 2009, I-2805, si individua un ulteriore elemento idoneo ad evidenziare la residenza abituale del minore nell’avvenuto acquisto o locazione, da parte dei genitori, di un’abitazione nello stesso Stato membro ospitante o la presentazione di una domanda per ottenere un alloggio sociale. In dottrina si veda M. Gozzi, Regolamento 2201/2003 e protezione dei minori: nuovi chiarimenti della Corte di giustizia CE in tema di ripartizione della competenza e di tutela cautelare, in Rivista di diritto processuale, 2010, 1, 477-486, in part. 481 ss.; Corte giustizia Unione Europea, sez. I, 22 dicembre 2010, n. 497/10.

36 In esso si prevede che il trasferimento o il mancato rientro del minore configurano ipotesi illecite allorquando siano avvenute in violazione dei diritti di affidamento derivanti da una decisione, dalla legge o da un accordo vigente in base alla legislazione dello Stato membro nel quale il minore aveva la sua residenza abituale.

37 A. zanobetti, Campo di applicazione del regolamento (CE) 2201/2003 relativo alla competenza, a riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, in Fam. dir., 2008, 403.

38 Art. 9 Regolamento U.E n. 2201/2003.

39 Ulteriori ipotesi di deroga al criterio della residenza abituale possono verificarsi: 1) quando l’istanza sulla responsabilità genitoriale sia presentata unitamente a quella relativa allo scioglimento del matrimonio: in tale ipotesi la competenza spetterà ai giudici del foro matrimoniale ma cesserà contestualmente al passaggio in giudicato della decisione sullo scioglimento del vincolo; 2) se, pure in assenza di una connessione con la causa matrimoniale, le parti in causa abbiano manifestato, nell’interesse del figlio, la volontà di prorogare la competenza per via della sussistenza di un legame sostanziale del minore con lo Stato scelto (art. 12 Reg. cit.;); 3) non sia possibile localizzare la residenza abituale del minore: in tal caso il compito sulla sua individuazione spetterà alle parti stesse o ai giudici dello Stato membro in cui il minore viene, di volta in volta, a trovarsi (art. 13 Reg. cit.); 4) in ultimo, è possibile superare tutti i suddetti criteri nell’ipotesi in cui lo stesso giudice competente valuti come conforme al superiore interesse del minore che il caso sia trattato (in tutto o in parte) da un differente foro col quale il minore abbia un particolare legame (art. 15 Reg. cit.).

40 Cass. pen., 6 febbraio 2013 n 5902, nota di L. naCCiarone su www.diritto.it.

41 Cass. pen., sez. VI, 29 luglio 2014 n. 33452, su www.neldiritto.it.

42 Art. 573, 574 c.p. e art. 574-bis (introdotto codice penale dalla lettera b

del comma 29 dell’art. 3, della legge 15 luglio 2009, n. 94).

43 Ex multis: Cass. pen. sez. VI, 6 febbraio 2014 n. 17799 su www.personae-

danno.it che richiama Cass. pen. sez. V,. 29 luglio 2008 n. 37321; Trib. Trento, 1 aprile 2011 in www.studigiuridici.it.

44 Cass. Pen., sez. VI, 19 febbraio 27 maggio 2013 n. 22911 su dirittoegiustizia.it.

45 Cass. pen., sez, VI, n. 8076 del 28 febbraio 2012 in www.iusdicere.it.

46 M. friGeSSi Di rattalMa, Minore illecitamente trattenuto dal genitore non affidatario e Convenzione dell’Aja del 1980, in Fam. dir., 1997, 371.

47 Cass. civ. sez. I, 13 ottobre 2017 n. 24173 in www.osservatoriofamiglia.it.

48 Convenzione dell’Aja del 25 ottobre del 1980, ratificata con l. n. 64 del 1994 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, in cui l’ordine di ritorno del minore prescinde da ogni indagine sul suo affidamento; la Convenzione dell’Aja del 1996 e la Convenzione di Lussemburgo del 20 maggio 1980 sull’affidamento dei minori, in cui il rimpatrio del minore deriva dal riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti emessi nel Paese di residenza legittima in ordine all’affidamento del minore o alla fissazione della sua residenza; il Regolamento n. 2201/2003 che si pone in un rapporto di coordinamento con la disciplina prevista dalle Convenzioni internazionali in materia di responsabilità genitoriale, ferma restando la sua prevalenza (salvo alcune eccezioni) su di esse.

49 Cfr. I. Queirolo, La sottrazione internazionale di minori: pluralità di fonti e difficoltà nell’applicazione di esse, in AA.VV., Le controversie in materia di filiazione, 194 ss. 50 Cfr. P. re, A.M. SanChez, La sottrazione internazionale dei minori: aspetti psicologici, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2002, 2, 577 ss., dove alla sottrazione di minori si ricollegano anche le conseguenze della c.d. “sindrome da alienazione parentale”.

51 Il numero di casi in cui la domanda può essere respinta è tassativo.

52 Cass. 18 marzo 2006, n. 6081, nota di B. lena, Le eccezioni all’ordine di

rimpatrio del minore illecitamente sottratto al genitore affidatario, in Fam. dir., 2006, 588 ss.

53 A tal proposito la High Court irlandese (nella causa HC/E/UK n 594, 22 dicembre 2003, Re G. e A.) pur dichiarando l’illiceità del trasferimento della prole compiuto da una madre, ha tuttavia negato il rientro dei minori in Australia, Stato di residenza abituale, attribuendo efficacia ad un accordo sottoscritto precedentemente dai genitori che prevedeva la possibilità che i minori lasciassero il Paese.

54 Cass. civ, sez. I, 4 luglio 2003, n. 10577, in Fam. dir., 2004, 357 e Cass. civ. sez. I, 18 marzo 2006, n. 6081, in www.osservatoriofamiglia.it.

55 In Cass. n. 10817 del 25 maggio 2016 su www.personaedanno.it, la Suprema Corte conferma la legittimità del rifiuto al rimpatrio di due minori aventi residenza abituale in Ungheria, stante l’accertato rischio che il loro rimpatrio in Italia avrebbe comportato “gravi turbamenti per il loro equilibrio psico-affettivo [...] a causa della condotta materna da loro percepita come punitiva e violenta, nonché in considerazione delle serie difficoltà di inserimento nel nuovo ambiente, anche scolastico”.

56 M. franChi, Audizione senza modalità particolari se il rifiuto è adeguatamente

motivato, in Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, Diritto Comunitario e Internazionale,

1 marzo 2008, n. 2.

57 Art. 16 Convenzione dell’Aja del 1980 cit.

58 Art. 21 Convenzione dell’Aja del 1980 cit.

59 Art. 8 CEDU: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

60 C.EDU D’Alconzo c. Italia, sez. I, 23 febbraio 2017, ric. n. 64297/12 in www.camera.it.

61 C.EDU Lombardo c. Italia, 29 gennaio 2013, ric. 25704/2011 in www.camera.it. e Piazzi c. Italia, 2 novembre 2010, ric. n. 361687/09 in www.minoriefamiglia.it.; Bondavalli c. Italia, n. 35532/12, 17 novembre 2015; Zhou c. Italia, n. 33773/11, 21 gennaio 2014.

62 C.EDU Errico c. Italia, sez. II, 24 febbraio 2009, ric. n. 29768/05 in www. giustizia.it.

63 Rientrano, peraltro, nella nozione di vita familiare non solo le relazioni genitori-figli ma anche quelle nonni-nipoti (C.EDU, Nistor c. Romania, 2 novembre 2010, ric. n. 14565/05).



64 Ex multis: C.EDU Endrizzi c. Italia, sez. I, 23 marzo 2017 in www.camera. it; C.EDU Giorgioni c. Italia, sez. I, del 15 settembre 2016 in www.camera.it.

65 L’istituto della mediazione familiare è stato espressamente introdotto in ambito giurisdizionale con l’art. 2 della l. 8 febbraio 2006 n. 54 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli” nel (l’abrogato) art. 155-sexies cod. civ, oggi trasposto (dall’art. 55 del d.lgs. 28 dicembre 2013 n. 154) nell’art. 337-octies co. 2 cod. civ., dove si prevede che “Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”. Tale istituto è altresì previsto dall’art 6 l. 10 novembre 2014 n. 162 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, recante Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile) sulla negoziazione Assistita dove si prevede che “nell’accordo si dà atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la Mediazione Familiare e che gli avvocati hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori”.

66 Trib. Min. Bologna, 23 maggio 2017 in www.ilfamiliarista.it e, conformemente, Trib. Min. Bologna, 5 marzo 2015 in www.ilcaso.it, massima di G. buffone. 67 Cfr. M. finoCChiaro, Va in soffitta la nozione di “potestà”: ora il nucleo ruota

intorno ai figli, in Guida al diritto/Dossier, 2004, 3, 112-114.

68 Il Libro Verde della Commissione europea del 19 aprile 2002, n. 196, relativo ai metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, riconosce l’esigenza di estendere i principi delle A.D.R. alle dispute familiari richiamando il concetto di “mediazione familiare” la quale trova applicazione indipendentemente dal fatto che il rapporto si fondi sul matrimonio o meno. Cfr. G. Chiappetta, Famiglie e minori nella leale collaborazione tra le Corti, Napoli, 2011, 279-321.

69 L’Art. 55 lett. e) del Regolamento n. 2201/2003 rubricato “Cooperazione nell’ambito di cause specifiche alla responsabilità genitoriale”.

70 Guide to Good Practice under the Hague Convention of 25 October 1980 on the Civil Aspects of International Child Abduction-Mediation, The Hague, 2012.

71 Art. 13 Convenzione Europea sull’esercizio dei Diritti dei Minori adottata dal Consiglio d’Europa il 25 gennaio 1996, ed entrata in vigore il 1° luglio 2000 rubricato: “Mediazione ed altri metodi di risoluzione dei conflitti”.

72 Raccomandazione R(98)1 del 21 gennaio 1998 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e Raccomandazione 1639 (2003) del 25 novembre 2003 del Consiglio d’Europa, recepita dal Comitato dei Ministri il 16 giugno 2004.

73 Art. 7 della Convenzione sulle relazioni personali che riguardano i fanciulli, firmata a Strasburgo il 15 maggio 2003 rubricato: “Risoluzione delle controversie in materia personale”.

74 Il ruolo di Coordinatore (inizialmente denominato Mediatore) del Parlamento europeo per i minori vittime di sottrazione internazionale da parte di un genitore”, nasce nel 1987 su iniziativa del Presidente del Parlamento europeo ed è ricoperto da gennaio 2019 da A.M. Corazza Bilt. Il ruolo di Mediatore è stato in precedenza ricoperto da E. Morin-Chartier (2017-2019), M. McGuinness (2014-2017), R. Angelilli (2009-2014), E. Gebhardt (2004-2009), M. Banotti (1995-2004) e M. Vayssade (1987-1994).

75 La coordinazione genitoriale è un istituto giuridico di derivazione giurisprudenziale affermatosi negli Stati Uniti già dagli anni ’80 (Parenting Coordination); esso nel 2005 ha potuto fondarsi sulle linee guida della Association of Family and Conciliation Courts (AFCC), elaborate a livello interdisciplinare e internazionale.

76 Tra le pronunce più significative: Trib. Mantova, sez. I, 5 maggio 2017 in www.ilcaso.it; Trib. Pavia, 21 luglio 2106 inedita; Trib. Milano sez. IX, 7-29 luglio 2016 in www.ilcaso.it, massima a cura di G. buffone; Trib. Civitavecchia 20 maggio 2015.

77 F. Danovi, Il coordinatore genitoriale: una nuova risorsa nella crisi della famiglia, in Fam. dir., 2017, 8-9, 793.

78 C. piCCinelli, G. iaCobino, La Coordinazione genitoriale, il coordinatore e l’avvocato, in www.osservatoriofamiglia.it.

79 Trib. Min. Bologna, 5 marzo 2015 cit. nota 66.