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Uno sguardo giuridico sulle nuove genitorialità: ruolo e funzioni del Tribunale per i minorenni

autore: P. Sceusa

Sommario: 1. Genitorialità naturale, genitorialità legale (matrimoniale, di fatto e adottiva) e genitorialità sociale (famiglie ricomposte, affidamenti familiari). La tradizione giuridica ancorata al modello bigenitoriale. - 2. Lo statuto attuale dei diritti dei figli; conflitti fra modelli familiari interni e allogeni. - 3. Crisi del modello bigenitoriale - La genitorialità omoaffettiva - L’interesse superiore del minore a confronto con la multiformità dei modelli genitoriali in campo. - 4. La presente era di transizione: dal modello naturale a quello neo-naturale. - 5. Il modello plurigenitoriale.





1. Genitorialità naturale, genitorialità legale (matrimoniale, di fatto e adottiva) e genitorialità sociale (famiglie ricomposte, affidamenti familiari).



La tradizione giuridica ancorata al modello bigenitoriale Il modello base di genitorialità legale codificata sia in Costituzione, che nel codice civile, trae fondamento dal modello biologico naturale, proprio degli esseri umani e di tutti gli altri mammiferi: una genitorialità che nasce dall’incontro tra i gameti di un uomo e di una donna, realizzato per mezzo di unione sessuale. Né poteva essere diversamente, dato che il livello raggiunto dalle scienze mediche e biogenetiche degli anni in cui quelle normative vennero scritte, contemplava delle metodiche di procreazione assistita che non andavano al di là di alcune terapie dirette a stimolare la fertilità di uno o di entrambi i componenti della coppia. Accanto a quel modello legale base esiste da tempo altrettanto antico, quello adottivo, che è la prima forma (insieme a quella storica dell’affiliazione, ormai superata, entrambe di origine romana), parimenti codificata, di genitorialità sociale, intesa come genitorialità non derivante da procreazione. Tuttavia, anche la coppia genitoriale adottiva è stata ed è tuttora codificata in Italia, secondo una regola di imitatio naturae, dovendo essere composta da un uomo e una donna. In tutti i casi predetti sia la Costituzione, che il codice civile, che la legge sulle adozioni, oltre ad ispirarsi alla suddetta regola riproduttiva naturale, hanno però espressamente privilegiato, per ragioni culturali e storiche proprie soprattutto di questo Paese e sulle quali non serve attardarsi, la coppia genitoriale (di uomo e di donna) unita in matrimonio. Tanto che solo ad essa, per esempio, hanno riservato la chance adottiva. Alla prole nata da genitori naturali, cioè non uniti in matrimonio, si riservò una condizione deteriore, di serie B, parificata solo di recente (ma non del tutto) alla condizione dei figli dei maritati. Perché dico “non del tutto”? Perché posso portare almeno due esempi in cui questa parificazione non si è ancora realizzata, uno di natura sostanziale e uno di natura processuale: la condizione sostanziale dei figli adottivi per “adozione non legittimante” (di cui accenneremo dopo) e la condizione processuale dei figli nati fuori dal matrimonio per i quali non ci sono norme codificate che regolino il procedimento di separazione tra i loro genitori, lasciato alle svariate, multiformi e spesso opinabili prassi giudiziali dei Tribunali di questo Paese.

Altri esempi di genitorialità sociale si rinvengono nei casi di affidamento familiare a persone non parenti di minori i cui genitori versino in difficoltà temporanee (anche qui la legge indica come preferibili le coppie maritate e con figli, ma almeno non si escludono le coppie di fatto o i cosiddetti single) e, infine, vi è la vastissima schiera dei genitori sociali delle famiglie ricostituite o ricomposte, cioè con i nuovi compagni/e, risposati o meno, dei separati/divorziati. A quest’ultima vastissima categoria di genitori sociali la normativa espressa non dedica ancora attenzioni, ma la giurisprudenza più lungimirante sì, laddove ha cominciato a riconoscere un ruolo affettivo ed economico a tutela della prole sociale, desumendola dai principi normativi ricavabili dal sistema normativo generale, anche se, come detto, non (ancora) espressamente codificato1 . Nel che consiste la parte più nobile ed evolutiva del ruolo dei giudici che solo alcuni sprovveduti dell’abecedario del diritto, chiamano dileggiosamente “giurisprudenza creativa”, sottintendendone una pretesa illiceità in quanto non basata su “norme espresse”, mentre è precipuo dovere del giudice regolare anche le situazioni non (o non ancora) regolate da norme espresse, traendo le regole di tutela dei diritti delle persone dai principi generali del diritto, che il giudice sa (o dovrebbe saper) trarre dal sistema giuridico complessivamente considerato. Ciò che mi preme far notare come tema ricorrente di questa prolusione, è il fatto che tutti i modelli tradizionali di genitorialità, si sono sempre raccolti attorno a un totem di derivazione strettamente biologica: il postulato della bigenitorialità; l’assioma della diarchia riproduttiva eterosessuale; l’impero assoluto e incontroverso del Numero Due, imposto, fin qui, da Madre Natura come regola riproduttiva di tutto il regno animale (o quasi). Essere umano incluso (forse, ma anche no).

Il perché quel “forse, ma anche no” debba probabilmente uscire dal grembo di quella parentesi, lo si vedrà più avanti.



2. Lo statuto attuale dei diritti dei figli; conflitti fra modelli familiari interni e allogeni



Ma prima di scomodare le complicate tematiche cui appresso accennerò e che si ricollegheranno alla stringata premessa storica appena esaurita, mi piace segnalare, perché credo che la cosa non mancherà di stimolarne le riflessioni e le prassi operative, la sopravvenienza nel nostro contesto sociale, di modelli genitoriali ben diversi da quelli più diffusi e assimilati al nostro interno. Mi riferisco ai modelli relazionali che caratterizzano i rapporti tra i genitori, e tra essi e la prole, delle famiglie appartenenti a culture allogene. Così spesso radicalmente diversi da quelli correnti tra gli autoctoni. Sì, perché mentre questo Paese giungeva faticosamente e con significativo ritardo (soltanto nel 2012)2 ad enucleare uno statuto uniforme dei diritti dei figli, ricco (massimamente se minori d’età), di tutele finalmente indifferenziate e indifferenti alle circostanze legali della loro procreazione, dalle quali sempre essi sono stati estranei (e cioè che i genitori fossero sposati; che non lo fossero; che essi stessi risultassero figli legittimi, illegittimi, legittimati, naturali, adottivi, incestuosi, eccetera), contemporaneamente cominciava a giganteggiare il numero dei nuclei familiari di lontana provenienza, spesso molto distanti dall’intendere come paritari i ruoli genitoriali e niente affatto inclini a considerare i loro figli e le loro figlie come soggetti portatori di diritti personalissimi e assoluti, pari a quelli degli adulti o anche semplicemente uguali a quelli dei loro coetanei, italiani o europei. Mi riferisco al diritto di non essere sottoposti a discriminazioni endofamiliari per ragioni di genere; al diritto di non subire mezzi di correzione violenti; coercizioni morali o religiose immotivate; pratiche tradizionali lesive dell’integrità fisica; pratiche paramediche inadeguate alle eventuali e reali necessità di cura; deprivazione di scolarità o anche solo di socialità adeguata all’età e alle esigenze di integrazione desiderate dalla stessa prole; imposizioni di precoce avviamento al lavoro domestico o extradomestico (solo per citare alcune, più ricorrenti, violazioni dei diritti universali delle persone di minore età, discendenti da stili genitoriali allogeni). Ebbene i Tribunali minorili ora sono molto spesso sollecitati a intervenire sulle responsabilità genitoriali e parentali di tali nuclei, spesso propugnatori di modelli antichi, distanti dagli assetti di diritto attuali e ormai consolidati che si pretende di far loro osservare. Tuttavia, tali stilemi, per loro pacificamente leciti in patria mettono spesso in profonda crisi tutti gli strumenti di mediazione culturale, pedagogica e psicologica, dei quali il Tribunale pur dispone, per ottenere l’adeguamento del trattamento della prole al rispetto dei diritti della persona. Di talché a volte si registrano contromisure reattive alle prescrizioni correttive degli abusi parentali dettate dai tribunali, consistenti nel rimpatrio improvviso del figlio (più spesso della figlia), nel lontano Paese d’origine, dove costui o costei potrà rimanere soggetto/a alle impostazioni e alle imposizioni tradizionali3 .

Quando ciò non avviene, si assiste spesso alle deflagrazioni di dissesti familiari e psicologici anche gravi, generati dalla impossibilità del minore di conciliare il suo desiderio di assimilazione agli stili di vita dei suoi pari italiani, essendo egli magari nato qui, rispetto ai dictat che l’autorità familiare (solitamente paterna) gli impone, attraverso metodi di “persuasione” costrittiva, anche violenti, per noi intollerabili. In alcuni di questi casi è stato necessario ricorrere ad allontanamenti dei maltrattanti dalla casa familiare, oppure, ove impraticabili, ad allontanamenti della prole maltrattata, con immaginabili ripercussioni sullo stato psichico di chi deve vivere il senso di straniamento e sradicamento da quelle che comunque restano le sue radici familiari. Più paradossale ancora è la situazione dei minori vessati da comportamenti pesantemente contrari ai loro diritti fondamentali, ma che non avvertono alcunché di lesivo nell’aderire (aut subire) alle modalità di (mal)trattamento, pertinenti alla loro situazione che considerano assolutamente conforme alle loro tradizioni e quindi “normale”.



3. Crisi del modello bigenitoriale - La genitorialità omoaffettiva - L’interesse superiore del minore a confronto con la multiformità dei modelli genitoriali in campo



Oltre che a causa degli eventi naturali luttuosi che possono incidere sulla situazione dei bambini che perdono uno o entrambi i genitori, il modello bigenitoriale rischia di entrare in crisi in seguito alle separazioni tra i genitori, ove caratterizzate da lunghe e aspre conflittualità che mirino al “possesso” esclusivo dei figli, fino ad arrivare a vere alienazioni parentali (che esistono sotto il profilo fattuale, indipendentemente dalla stucchevole polemica attorno alla qualificabilità delle conseguenze come “sindrome”4 ). Fortunatamente però, presto o tardi anche la maggioranza di tali situazioni conflittuali trova nel tempo una pacificazione simile a quella delle separazioni non conflittuali, che conduce alla ricomposizione di nuclei familiari estesi ai nuovi compagni e compagne dei separati, in veste di genitori sociali (e anche ai loro parenti e ai loro figli preesistenti o sopravvenuti). In questi casi, come in quelli di affidamento extra familiare, il riferimento bigenitoriale dei bambini non si perde (e anzi esso è stato recentemente codificato come diritto soggettivo dei figli dei separati a mantenere rapporti con entrambi i genitori e con le rispettive famiglie, diritto che la giurisprudenza aveva già da tempo messo in luce, proprio come conseguenza di quello ius naturale che deriva dal modello biologico di procreazione), ma si arricchisce di nuovi soggetti portatori di contributi affettivi, educativi, istruttivi ed economici verso la prole altrui e che per questo chiamiamo “genitori sociali”. Come accennato, la giurisprudenza minorile, usa a considerare come preminenti i diritti e gli interessi dei minori rispetto a quelli degli adulti, ove confliggenti, per prima ha cominciato a riconoscere una funzione preziosa a queste figure, individuandone le ricadute positive e cominciando a tratteggiarne le tutele sino al punto di inibire le interdizioni genitoriali che dovessero immotivatamente ostacolarle5 . Tale tendenza ha cominciato a trovare sponda anche nei tribunali ordinari, competenti per le cause separatìli e di recente, anche in alcune pronunce della cassazione e perfino della corte costituzionale, la quale ha riconosciuto nella condotta del genitore che ostacola i rapporti di un figlio con un soggetto non parente verso il quale esista un legame significativo (nel caso, la compagna della madre biologica, dopo lo scioglimento della loro convivenza), una condotta pregiudizievole al figlio, suscettibile di correzione mediante provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale ed arrivando, ancora più recentemente, a riconoscere a un genitore sociale, la possibilità di ottenere la genitorialità adottiva (in favore del genitore privo di legami genetici col nato, in un caso di maternità surrogata). La menzione di questi due ultimi casi introduce l’argomento di un modello genitoriale nuovo e diverso: il modello genitoriale omoaffettivo. Non è il caso di passare qui in puntuale rassegna le pronunce giurisprudenziali6 che negli ultimissimi anni si sono succedute in proposito, ormai in numero piuttosto significativo, a tutti i livelli (principalmente minorile7 , ma anche ordinario di merito; di cassazione; delle corti internazionali8 ). Basterà dire che tutte queste pronunce hanno disegnato, nel loro insieme, una situazione per cui appare ormai assodato che, indipendentemente dalle modalità di procreazione medicalmente assistita (pma) realizzata o delle circostanze fattuali che abbiano creato legami stabili tra il figlio naturale di una persona col suo convivente dello stesso sesso, debba trovare spazio il prevalente (o superiore) interesse del minore a veder riconosciuto il proprio legame con entrambi i componenti della coppia omoaffettiva che lo cresce come figlio e, per converso, che ai componenti di quella coppia vada riconosciuto un ruolo e una funzione genitoriale piena, indipendentemente dal fatto che uno o che a volte entrambi, non abbiano legami biologici né financo genetici col bambino. È noto che in Italia non è ammesso il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma solo la costituzione di una unione civile9 , così come regolamentata dalla legge e che tale legge ha rinunciato a regolare specificamente il tema dell’adozione di minori da parte delle coppie omoaffettive, rimettendo sostanzialmente ai giudici di determinare se e quali siano le condizioni di applicabilità delle norme sull’adozione alle coppie unite civilmente. È altrettanto noto che la legge sulla pma (n. 40/2004), della quale molti originari divieti sono venuti meno per effetto degli interventi abrogativi da parte della corte costituzionale, vieta ancora ogni pratica di pma nei confronti di coppie omoaffettive, di singoli, nonché quelle di maternità surrogata, queste ultime punite penalmente.

La corte costituzionale è stata chiamata recentemente ad esprimersi sul divieto del primo tipo e il procedimento è ancora in corso. Peraltro, in molti altri Paesi tali divieti, compreso quello della maternità surrogata, non sussistono, sicché molti italiani (coppie etero, singoli o coppie omo), vi fanno crescente ricorso. Sulla opportunità di tali divieti è in pieno svolgimento un dibattito etico molto articolato e degno della più alta attenzione, sugli estremi del quale non è dato qui attardarci. I Tribunali per i minorenni, quando sono stati investiti dalle domande di riconoscimento delle adozioni avvenute all’estero nei confronti di uno o di entrambi i componenti della coppia omoaffettiva, hanno dimostrato speciale attenzione alla condizione del bambino a prescindere sia dal dibattito etico che dalle eventuali violazioni dei divieti italiani (benché esse rimangano perseguibili alla stregua delle leggi italiane)10. Si sono quindi succedute diverse pronunce che, in nome della salvaguardia del superiore interesse del minore a conservare i suoi consolidati legami affettivi con entrambi i componenti della sua famiglia omoaffettiva, hanno “validato” quelle adozioni estere, nella forma speciale prevista dalla legge italiana per i casi particolari, denominata “adozione non legittimante” o anche, in un caso recente (TM Ve) pronunciando l’adozione piena. Le pronunce del primo tipo (di adozione non legittimante, ammesso che tale distinzione sia ancora possibile, dopo la legge di equiparazione dello status di tutti i figli11) hanno già avuto l’avallo della corte di cassazione e della corte europea dei diritti dell’uomo12. Le più avvedute tra tali decisioni hanno doverosamente tenuto conto del dato acquisito dalle scienze psicologiche, secondo cui sarebbe ormai assodato che le coppie genitoriali omoaffettive non determinano statisticamente alcun particolare orientamento sessuale nella prole, a paragone di quanto già non si verifichi nelle coppie genitoriali etero13.



4. La presente era di transizione: dal modello naturale a quello neo-naturale



Ho appena espressamente rinunciato ad accennare alle controversie etiche intorno al tema della maternità surrogata, ma non posso esimermi dal segnalare come l’essere umano abbia da sempre cercato di sovvertire le regole naturali, a cominciare da quelle che, attraverso l’invecchiamento e la malattia, lo conducono alla morte. Lo scopo e la storia della scienza medica, ne costituiscono la lampante dimostrazione. Che cosa c’è di naturale nel trapianto di un organo? Nulla. A meno che non consideriamo tutto ciò che via via diventa possibile per l’essere umano. E ciò che diventa possibile per l’essere umano, diventa per lui naturale, perché è la sua natura umana che lo porta a superare continuamente, col suo intelletto, i propri limiti. Sicché la risposta alla domanda di cui sopra (che cosa c’è di naturale, per l’essere umano, nel trapianto di un organo?) diventa: tutto. Ora la scienza medica è in grado di interferire coi meccanismi dell’inizio vita (cioè della procreazione) e del fine vita (con le tecniche di rianimazione e di mantenimento vegetativo). Cosa c’è di naturale in questo? Niente, oppure tutto? Ricorre il medesimo argomento di cui sopra: tutto ciò che all’uomo diventa possibile è per lui naturale, nel senso di conforme e confacente alla sua natura di essere intelligente e creativo, da sempre incline a superare i limiti che la Natura sembra aver imposto a tutti gli altri esseri viventi del pianeta. È, ormai, assodata la possibilità, già realizzata in via sperimentale, di giungere alla manipolazione di embrioni attraverso tecniche di editing genetico orientate a ragioni di prevenzione di malattie altrimenti mortali. Ed è stata data notizia di realizzazione di embrioni umani col patrimonio genetico di più di due donatori, sempre a fini di prevenzione medica. Possiamo quindi dire di esser ormai difronte a un modello procreativo neo-naturale, parecchio lontano da quello bi-genitoriale, che più che “naturale” sarebbe forse più corretto definire “tradizionale”.



5. Il modello plurigenitoriale



Tuttavia, sia nelle normative (interna e internazionali), che nella giurisprudenza (nazionale e internazionale), si osserva, laddove si riconosca legittimità alle unioni omoaffettive (in forma matrimoniale o meno) e alle loro filiazioni, il costante riferimento al modello di coppia genitoriale che però è di stretta derivazione dal modello duale legato alla modalità biologico-riproduttiva tradizionale: secondo la legge italiana, le unioni civili sono lecite solo se perfezionate tra due persone dello stesso sesso; le adozioni estere da parte di genitori omoaffettivi, si perfezionano (e vengono poi recepite) solo verso una coppia genitoriale. Insomma, la pulsione subliminale di legislatori e giudici, sembra ricondurli irrefragabilmente sempre e comunque al fatidico numero due. Tuttavia, dal punto di vista dell’attaccamento, un bambino non conosce necessariamente il limite duale quando ha interazioni stabili con chi si occupa affettivamente e continuativamente di lui (fossero pure tre o più persone), il che si riscontra comunemente nei nuclei poligamici o poliandrici, perfettamente legittimi e piuttosto diffusi (almeno i primi), altrove. Altrettanto poteva dirsi per i modelli di “genitorialità diffusa”, comuni tra gli insediamenti indigeni dell’America settentrionali. E allora c’è da chiedersi: come mai di fronte all’apertura legislativa e giurisprudenziale verso modelli genitoriali ormai estranei alla modalità riproduttiva tradizionale, rimane così forte lo schema genitoriale legato al numero due? Dipende da una motivazione psicologica, radicata al modello evolutivo, fin qui conosciuto? E tale limite è destinato a crollare difronte al superiore interesse di quei minori che si trovassero, per avventura e sempre senza aver scelto tale loro condizione, a veder legalmente riconosciuto un legame di tipo genitoriale che essi sentano verso più di due persone? Al proposito segnalo che risultano attualmente pendenti tre cause, negli Stati Uniti (in alcuni di essi la maternità surrogata è legale), nelle quali tre madri surrogate, avanzano diritti genitoriali nei riguardi dei bambini da loro partoriti per conto terzi, ma da loro allattati e in due casi anche svezzati, sostenendo l’indissolubilità del legame creatosi col bambino e chiedendo un ruolo paritario rispetto ai genitori committenti (in caso di accoglimento, avremmo tre genitori per ciascun bambino…). E che dire del segmento B dell’acronimo LGBT, cioè dei bisessuali, che per la loro realizzazione affettiva potrebbero puntare a costituire nuclei di tre o più persone, capaci di occuparsi paritariamente e convenientemente della crescita di bambini con loro conviventi (ma figli biologicamente solo di alcuni o di nessuno di essi)? Il superiore interesse del minore, sarà allora quello alla conservazione di tutti i suoi multipli legami affettivo-genitoriali con tutti i componenti di quella sua famiglia, oppure quello di ricondurre al numero massimo di due quello delle figure dotate di responsabilità genitoriale (non foss’altro che per mero bisogno di omologazione ai suoi pari o anche per una mera questione di praticità…) Oppure questo ancoraggio alla regola del due ha piuttosto radici sociologiche, legate agli assetti globali degli ordinamenti giuridico-sociali e ai loro riflessi, per così dire cosmogonici e religiosi? Sì, perché ad incrinare la regola del due si rischia un sommovimento generale ed epocale del Cielo e della Terra: in fondo il cristianesimo ha ribaltato lo schema familiare imperiale romano, caratterizzato da geometrie piuttosto variabili tra il Dio-Imperatore, la sua Consorte, le sue legittime concubine e tutti i loro figli, fedelmente riprodotto tra gli dei dell’Olimpo, sostituendolo con uno schema divino di tipo familiare (Gesù, Giuseppe e Maria) caro all’attuale establishment occidentale, nonostante le modalità eterologhe del concepimento di Maria… Dico ciò per consegnare tutti e tre gli spunti che ne muovono l’odierna attenzione: psicologico, sociologico e giuridico. Una prospettiva di riflessione composita che vuole far emergere alla consapevolezza di tutti, di quale sia la posta in gioco. Consapevolezza che non mi pare ancora neppur lontanamente sfiorata né dai legislatori, né dai giudici che si arrabattano attorno a questi temi.

NOTE

1 Corte Cost., 20 ottobre 2016, n. 225. La Corte d’Appello di Palermo aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale circa la conformità al testo dell’art. 337-ter nella parte in cui impedirebbe al giudice di garantire che il minore conservi dei rapporti significativi con soggetti diversi dal ramo parentale. L’articolo 337-ter, stabilisce un simile diritto del minore nei confronti degli ascendenti e dei parenti di ciascun ramo genitoriale. Interrompere in maniera ingiustificata un rapporto significativo instaurato dal minore con soggetti non parenti, a detta della Consulta, è però comportamento che il nostro ordinamento prende in considerazione in una diversa disposizione, essendo esso riconducibile a quanto statuito da un altro articolo del c.c., il 333, che consente al giudice di adottare i provvedimenti opportuni dinanzi a comportamenti di un genitore comunque pregiudizievoli per il figlio. In conclusione, il vuoto di tutela paventato dalla Corte d’appello di Palermo non c’è e anche il genitore sociale può essere adeguatamente tutelato. Nel caso di specie, sussisteva un legame tra due donne, una delle quali si era sottoposta alla fecondazione eterologa all’estero partorendo, così, due gemelli. Una volta cessato il rapporto tra le due, la madre non biologica si era visto negato dall’ex partner il diritto di visita ai bambini.

2 Legge 10 dicembre 2012, n. 219, “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”.

3 Corte Cass., Sez. I civile, Sent., 25 maggio 2016 n. 10817, in Fam. e Dir., 2016, 8-9, 808..

4 http://www.dire.it/16-01-2019/280973-la-pas-non-esiste-a-rischio-minori-nel-10-dei-divorzi-giudiziari/

5 Trib. Palermo, 13 aprile 2015, App. Palermo, 31 agosto 2015.

6 App. sez. min., Firenze, sent. 4 ottobre 2012, n. 1274, G. Miotto, Stepchild adoption omoparentale ed interesse del minore, in Dir. civ. cont., 5 giugno 2015; S. Stefanelli, Adozione del figlio del partner nell’unione civile, in GenIus, www.art.29.it; A. GorGoni, La filiazione oltre la genitorialità biologica, in Le Corti Fiorentine, Rivista di diritto e procedura civile, a cura della Camera Civile di Firenze, 2016, 1, 55 ss.

7 Trib. Min. Roma, sent. 30 luglio 2014, n. 299, G. Miotto, Adozione omoparentale e preminente interesse del minore, in Dir. fam. pers., 2015, 1335; M. Cavallo, Si fa presto a dire famiglia, Bari-Roma, 2016. Secondo cui l’art. 44 c. 1, lett. d) l. 184/1983 – fondato sul presupposto imprescindibile dello “stato di abbandono – si può applicare solo ai minori non collocabili “di fatto” in affidamento preadottivo (o perché portatori di handicap o perché, se sradicati dal contesto in cui già vivono, potrebbero subire un serio pregiudizio psico-fisico).

8 Corte EDU, 22 febbraio 2008, nota di A. Donati, Omosessualità e procedimento di adozione in una recente sentenza della Corte di Strasburgo, in Dir. fam., 2008, 1090.

9 Legge 20 maggio 2016, n. 76 (cosiddetta legge Cirinnà).

10 Trib. Min. Roma, sent. 22 ottobre 2015, n. 291, S. niCColai, Diritto delle persone omosessuali alla genitorialità a spese della relazione materna?, in Giur. cost., 2016, 1169B. App. Firenze, Sez. min., 4 ottobre 2012, n. 1274; Trib. Min. Milano, 28 marzo 2007, n. 626. Contra Trib. Min. Roma, 22 dicembre 1992, in Dir. fam., 1993, 212. App. Roma, 23 dicembre 2015, n. 7127, nota di G. Sapi, in Il familiarista.it, 2016, 5 gennaio s.m.; S. MeniChetti, Una sentenza che allinea l’Italia a Strasburgo, in Dir. fam. pers., 2016, 806, Contra Trib. Min. Milano, 17 ottobre 2016 (ud. 13 settembre 2016, dep. 17 ottobre 2016), n. 261.

11 G. DoSi, in Lessico di diritto di famiglia, voce L’adozione in casi particolari, aprile 2016 secondo cui “La riforma del 2012/2013 ha reso omogenea nell’ambito della nuova definizione di parentela l’adozione piena all’adozione in casi particolari, unificando di fatto lo status di tutti i figli minori ivi compresi quelli adottivi”.

12 C. Cost. 24 febbraio 2016, 76, in Riv. dir. int., 2016, 949; L.S. runChella, Il primo intervento della Consulta sul riconoscimento di provvedimenti stranieri in tema di adozione coparentale per coppie dello stesso sesso, in www.art29.it, 16 maggio 2016.

13 Corte Cass., I sez. civ., 26 maggio 2016 n. 12962; A. fiGone, La Cassazione dice sì alla stepchild adoption, in Diritto & Giustizia, 2016, 61; nota di G. CaSaburi, in Foro it., 2016, 2342; A. faSano, in Ilfamiliarista.it, 2016, 3 ottobre; M. labriola, Adozione: giurisprudenza creativa o conforme alla legge?, in personaedanno.it, 2016, 2 settembre; A. SpaDafora, Adozione, tutela dell’omogenitorialità ed i rischi di eclissi della volontà legislativa, in Giur. it., 2016, 2573.