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L’onere della prova dopo le sezioni unite dell’11 luglio 2018 n. 18287 (nota a App. Napoli, sent. 10 gennaio 2019)

autore: V. Cianciolo

Sommario: 1. Il caso. - 2. I nuovi criteri di determinazione dell’assegno divorzile secondo le Sezioni Unite 18287/18. - 3. L’onere della prova nelle prime applicazioni della giurisprudenza di merito.



1. Il caso



Un anziano e illustre avvocato del foro partenopeo e sua moglie, dopo un lungo matrimonio, si separano e successivamente ottengono la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio medesimo. In questa sede il Tribunale condanna l’ex-marito al pagamento di un assegno di divorzio a favore dell’ex-moglie di € 1.300,00, richiamando i criteri enunciati dalla sentenza Grilli1, ma affermando al contempo, che il giudice deve comunque tener conto dei bisogni concreti del coniuge richiedente, “a partire dalla dignità dell’alloggio, vagamente e indirettamente riconducibili alla passata condivisione con il convenuto di abitudini di vita sontuosa”. Questa decisione viene, però, riformata dalla Corte d’Appello partenopea, in applicazione del diverso orientamento nel frattempo espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite dell’11 luglio 2018, n. 18287. Il Collegio, accertata la condizione economica dell’ex-moglie – la quale era titolare di una pensione di insegnante e di un patrimonio consistente – esclude il diritto di quest’ultima all’attribuzione dell’assegno di divorzio.



2. I nuovi criteri di determinazione dell’assegno divorzile secondo le Sezioni Unite 18287/18



Il parametro normativo dell’“inadeguatezza dei mezzi” del coniuge beneficiario dell’assegno post-matrimoniale, nel silenzio del legislatore, è stato oggetto di discussioni, oscillando il dibattito giurisprudenziale tra il dato del tenore di vita matrimoniale e quello della corrispondenza ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso. Come noto, la sentenza delle Sezioni Unite dell’11 luglio 2018, n. 182872 ha dato una rilettura dell’art. 5, co. 6, l. div., sul diritto alla percezione e alla quantificazione dell’assegno divorzile: nel chiarire il conflitto innescato dalla sentenza n. 11504 del 2017 che affermava, in contrasto con il precedente e consolidato orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità, che la fine del matrimonio deve necessariamente comportare un affievolimento degli obblighi assistenziali che lo caratterizzano, con la conseguenza che il diritto all’assegno divorzile non sussiste in ogni caso in cui il coniuge più debole è economicamente autosufficiente e quindi, può condurre una vita autonoma e dignitosa, la Corte ha indicato un nuovo principio di diritto a cui ora occorre fare riferimento. Se la sentenza Grilli del 2017 riguardava la nozione di “mezzi adeguati” che si legge nell’ultima parte dell’art. 5, co. 6, l. div., il punto di partenza della sentenza delle Sezioni Unite del 2018, è l’affermazione: “Il giudice dispone sull’assegno di divorzio in relazione all’inadeguatezza dei mezzi ma questa valutazione avviene tenuto conto dei fattori indicati nella prima parte della norma”3 . La Cassazione, pertanto, rilegge l’art. 5, co. 6, l. div. che, senza sconfessare il principio dell’auto-responsabilità del richiedente, rafforza il principio della solidarietà post-coniugale e dell’assegno divorzile quale strumento che incluso nell’art. 29 Cost., assolve ad una “funzione equilibratrice”, non “finalizzata alla ricostruzione del tenore di vita endo-coniugale”, ma al “riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole” al ménage familiare. All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. Se tale squilibrio non sussiste, la domanda di assegno deve essere rigettata perché la componente assistenziale nella funzione dell’istituto, impedisce di dare spazio ad esigenze compensative. Se esiste, invece, uno squilibrio fra le situazioni reddituali e patrimoniali dei coniugi, il giudice deve determinare se la parte debole sia in grado di colmarlo, per incrementare i propri redditi. Se tale dislivello economico non può superarsi per ragioni oggettive, il giudice deve valutare se esso “derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia e dal conseguente contributo fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge”4 . L’esistenza di un sacrificio a favore delle esigenze della famiglia da parte del coniuge che chiede l’assegno è un fatto il cui accertamento è sottratto ai poteri officiosi del giudice. Pertanto, la parte che chiede l’assegno deve dare la prova dei sacrifici fatti durante il matrimonio a favore della famiglia e del proprio contributo alla formazione del patrimonio comune e di ciascuno. Oltre a ciò, secondo le ordinarie regole di distribuzione dell’onere della prova, il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di provare il nesso causale fra i sacrifici fatti (e provati) e lo squilibrio fra le situazioni reddituali e patrimoniali dei due coniugi. In buona sostanza, se il coniuge richiedente non si fosse sacrificato a favore della famiglia, lo squilibrio non si sarebbe prodotto. Il convincimento del giudice in relazione al nesso eziologico fra i sacrifici effettuati a favore della famiglia dal coniuge richiedente e la sperequazione che si è determinata fra le situazioni reddituali e patrimoniali delle parti deve essere frutto di un “accertamento probatorio rigoroso”. Tuttavia, è evidente la difficoltà di provare questo fattore. È certamente questo l’aspetto più problematico della sentenza delle Sezioni Unite, prova ne è il fatto che in altra parte della decisione, è precisato che la prova può essere data dal richiedente anche tramite presunzioni.



3. L’onere della prova nelle prime applicazioni della giurisprudenza di merito



Come applicare praticamente la sentenza 18287/2018? Per meglio comprendere la tenuta della sentenza delle Sezioni Unite, è emblematico il caso del Tribunale di Nuoro di poco successiva alle Sezioni Unite del 20185 . Tizio e Caia sono coniugati da oltre vent’anni. Hanno avuto tre figli. Nel 2014 depositano ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Tizio è dipendente in una società e oltre a percepire un reddito annuo netto di Euro 21.392, corrispondente a Euro 1.783, beneficia di una rendita INAIL dell’importo mensile netto di Euro 2.103,88 e quindi gode di un’entrata mensile netta di Euro 3.887. È inoltre proprietario della casa familiare in cui vive e comproprietario con il fratello di un immobile di 198 mq. accatastato come magazzino e locale di deposito, nonché, per la quota di 1/4, di un’unità immobiliare di otto vani. La moglie Caia svolge (come pure all’epoca della separazione) l’attività di segretaria in uno studio legale e percepisce un reddito annuo netto di Euro 11.970, equivalente a Euro 997 per dodici mesi; non è proprietaria di alcun bene immobile, ma solo di una vettura utilitaria acquistata contraendo un finanziamento che comporta il pagamento di una rata mensile di Euro 300. Al contempo, non risulta che all’età di 51 anni, possa concretamente aspirare a miglioramenti della propria situazione reddituale o reperire un’attività lavorativa maggiormente remunerativa. Evidente la sproporzione creatasi, per effetto del divorzio, nelle rispettive situazioni economico-patrimoniali e riconosciuto dunque, l’assegno divorzile a Caia. Nel caso affrontato dal Tribunale di Nuoro, Caia ha provato di aver partecipato in modo significativo, alla formazione del patrimonio personale del marito, provvedendo, in parte, al pagamento del mutuo contratto per l’edificazione della casa familiare tramite le proprie risorse personali depositate in un libretto e sul punto ha depositato la documentazione. Inoltre, non è stato specificamente contestato che all’epoca in cui fu contratto il mutuo, il ricorrente era disoccupato. Caia poi, ha dimostrato di avere acquistato materiali da costruzione (e ne ha dato prova con la memoria ex art. 183, 6 co. n. 2 cod. proc. civ.) e di aver beneficiato dell’opera materialmente prestata dal padre. Anche quest’ultima circostanza non è stata specificamente contestata. Il Tribunale, di conseguenza, ha tenuto conto della durata nel tempo dei sacrifici fatti dalla moglie e della loro massima efficienza causale, sulle fortune economiche dell’altra parte. Tutti elementi che dimostrano l’affidamento che la parte ha posto nel matrimonio e nella sua efficacia ridistributiva delle risorse. Alla luce di queste considerazioni, l’affidamento è stato tutelato di fronte allo scioglimento del vincolo e ristabilito totalmente, il riequilibrio delle situazioni economiche degli ex coniugi.



4. Conclusioni



La lunga e articolata sentenza della Corte d’Appello di Napoli, pregevole sotto diversi aspetti, ha effettuato un accertamento probatorio rigoroso dei fatti accertando che tra gli ex-coniugi non vi fosse alcuna disparità economico-patrimoniale prendendo in considerazione il contributo che il coniuge economicamente più forte (nel caso di specie, un noto avvocato del foro partenopeo), potrebbe avere dato alla formazione del patrimonio comune, tramite i propri acquisti di cui ha beneficiato la moglie. Quest’ultima aveva dei risparmi importanti che di certo non aveva accumulato con una pensione di insegnante né ha dato prova di avere degli introiti da parte di generosi congiunti. Dunque, vi è certamente un dislivello economico, ma la donna durante il matrimonio, senza mettere nulla di suo, ha potuto raggiungere un benessere economico che solo il marito le ha garantito attraverso la sua attività. Se queste considerazioni sono corrette e possono essere serenamente raggiunte nei casi di “big case money” – come questo in esame, ma come pure per il caso Berlusconi-Lario –, rimane il fatto che nella maggioranza dei casi dove si assiste a divorzi fra persone non agiate o comunque, non così abbienti, dietro l’angolo incombe lo spettro della discrezionalità del giudice di merito e non è detto che si possa venire a delle soluzioni equilibrate. Un intervento del legislatore che meglio definisca i parametri cui agganciare la discrezionalità del giudice, è auspicabile, per non dire opportuno. Inoltre, sarebbe opportuno un correttivo da parte del legislatore che preveda la possibilità di riconoscere a favore del coniuge che deve essere compensato per i sacrifici fatti durante il matrimonio, una somma capitale in luogo di un assegno periodico realizzando così, una finalità compensativa con un clean break6 , cosa che all’estero già esiste.

NOTE

1 Cass. civ. 10 maggio 2017, n. 11504.

2 Cass., SS.UU., 11 luglio 2018, n. 18287, in Foro it., 2018, I, 2671, con nota di BianCa, Le sezioni

unite e i corsi e ricorsi giuridici in tema di assegno divorzile: una storia compiuta? e di CaSaBuri,

L’assegno divorzile secondo le sezioni unite della Cassazione: una problematica “terza via”; in Giur.

it., 2018, 8-9, 1843 ss., con nota di riMini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e

perequativa; in Corr. giur., 2018, 1186.

3 Entrambe le sentenze recuperano un principio espresso in una sentenza di poco successiva alla

Riforma operata sull’art. 5 nel 1987 rimasta isolata ed aspramente criticata. Il riferimento è alla

sentenza della Cass. civ., 2 marzo 1990, n. 1652, in Foro it., 1990, I, 1165 che affermava il seguente

principio: “A seguito della riforma introdotta dalla l. 6 marzo 1987, n. 74, all’assegno di divorzio è

stata riconosciuta dal legislatore (art. 10 legge cit., che ha modificato l’art. 5 l. 1° dicembre 1970, n.

898) natura eminentemente assistenziale, per cui ai fini della sua attribuzione assume ora valore

decisivo l’autonomia economica del richiedente, nel senso che l’altro coniuge è tenuto ad aiutarlo

solo se egli non sia economicamente indipendente nei limiti in cui l’aiuto si renda necessario per

sopperire alla carenza dei mezzi conseguente alla dissoluzione del matrimonio, in applicazione del

principio di solidarietà post-coniugale, che costituisce il fondamento etico e giuridico

dell’attribuzione dell’assegno divorzile. Pertanto, la valutazione relativa all’adeguatezza dei mezzi

economici del richiedente deve essere compiuta con riferimento non al tenore di vita da lui

goduto durante il matrimonio, ma ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso,

quale, nei casi singoli, configurato dalla coscienza sociale”.

4 Cfr. Cass. civ., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287.

5 Trib. di Nuoro, Sent., 23 agosto 2018 in Banca Dati, Pluris on Line.

6 BianCa, L’ultima sentenza della Cassazione in tema di assegno divorzile: ciao Europa, in

www.giustiziacivile.com, Editoriale, 9 giugno 2017.